Una Promessa Fatta Per Essere Mantenuta
Al rientro a casa, Tess e Jen si sorprendono di trovare Hunter, Renè, Finn e Rose sulla porta d'ingresso.
«Ehi, ragazzi che ci fate qui? È bello rivedervi» esclama Jen entusiasta.
«Ci siete mancate e volevamo farvi una sorpresa e visto che mi hai lasciato le chiavi per venire a controllare, di tanto in tanto, che tutto andasse bene, abbiamo pensato di prepararvi il pranzo» spiega Rose. «Oltretutto “un uccellino” mi ha detto che oggi è il tuo compleanno, Tess!»
«Oh, Rose, che carini. Davvero, non dovevate. Non è poi un evento» mormora imbarazzata la festeggiata.
«Sì, sì. È il tuo compleanno, zia Tess. È molto importante». Scimmietta fa le feste, saltellando intorno a tutti. «Dove sono i regali? E la torta?»
Hunter invita le signore ad accomodarsi al fresco, sotto il portico, mentre Poe scarica i bagagli, aiutato da Renè.
«Allora, siete riusciti?» bisbiglia l’aviatore agli amici, per non farsi sentire.
«Sì, un gran bel lavoro» gli sorride occhi di diamante e il pilota gli batte una calorosa pacca sulla spalla.
«Grandi siete dei grandissimi! I migliori amici che si possano avere» e che neanche merito e speravo di ritrovare, dopo essere sparito per anni, si ritrova a considerare Poe.
«Le signore saranno a posto per molto. È stato un piacere» Renè ricambia la stretta sulla spalla dell’altro.
«Andiamo a provarlo subito!» Poe è impaziente, come sempre.
Le facce di Jen e Tess, quando sentono il rumore del montascale in funzione, non si possono descrivere.
Sono ancora a tavola; si guardano e velocemente si dirigono all’interno, Poe e Renè stanno provando il funzionamento caricando le valigie.
Le due donne hanno gli occhi lucidi. Il tenente colonnello se la ride sotto i baffi, a capo chino, che se mai dovesse guardarle per poco più di mezzo secondo oltre, gli occhi lucidi verrebbero anche a lui. Lily prova subito a fare su e giù insieme ai bagagli.
«Mamma, guarda che bello, non devi più salire con il sedere» ridacchia vittoriosa scimmietta.
«Ragazzi, io... non trovo le parole... grazie» sussurra Jen con un filo di voce rotta dall’emozione.
«Tutto questo sarà costato un occhio della testa» continua Tess, molto commossa anche lei.
«Per le belle persone come voi questo e altro» ribadisce Finn, «è qualcosa a cui pensavamo, da tanto, tutti noi. Ne abbiamo parlato con Poe e abbiamo approfittato per farvi una sorpresa mentre eravate fuori» esclama l’ingegnere, abbracciando le due donne. «Abbiamo pensato che sarebbe stato un regalo di compleanno utile per te e la tua famiglia, Tess» soggiunge.
«Ecco, una volta tanto non guardate me» da in cima alle scale, l’aviatore se la ride teatrale come suo solito. «Mi prenderei volentieri tutta la gloria ma non ho agito da solo, stavolta.»
In una risata generale si stemperano gli animi troppo seri, fino a quel momento.
«¿Señorita vienes a probar el carruaje?» Poe invita Jen, mani sui fianchi, con il solito fare impertinente
«Non vedo l’ora» ride lei.
Tutto funziona alla perfezione. I ragazzi sono andati, dopo pranzo, ma prima hanno sparecchiato e caricato la lavastoviglie.
Tess si concede un bagno rilassante, Lily dorme, dopo la doccia. In camera, Jen ringrazia a dovere il suo bel pilota, coprendogli il viso di baci e lui la lascia fare tutto soddisfatto.
«Tu sei pazzo, Dameron.»
«Sì, di te. Lo sai» la vezzeggia tenero. «Non è stata solo una mia idea, davvero. Vi vogliamo tutti bene, Jen. Siete persone stupende e meritate il meglio.»
Lo abbraccia, scompigliandogli i capelli. Non riesce a dire nulla. Solo respira il suo profumo che sa di tabacco, di menta, di rasatura fresca, delle note speziate orientali del dopobarba, di buono e intenso come l’anima del suo uomo.
Qualche giorno più tardi, Poe e Finn si ritrovano a casa di quest’ultimo per un’ulteriore messa a punto dell’auto dell’ingegnere, che ancora non va.
«Hai intenzione di continuare a evitarla per sempre?» bofonchia Finn, in tono polemico, all’ennesimo ronzio del cellulare del pilota.
Il silenzio gli fa eco mentre continua ad armeggiare nel bagagliaio dell’auto in cerca degli attrezzi per riparare i guasti che proprio non ne vogliono sapere di andare a posto.
«Passami un chiavino a brugola, per piacere» Poe glissa di rimando tendendo verso Finn l’avambraccio, impregnato di grasso del motore fin quasi al gomito, dal retro del cofano sollevato.
«Sei impossibile, Dameron» sbuffa Finn. «Il tuo solito modo di risolvere i problemi: dartela a gambe. Il pluridecorato eroe della nostra aviazione nazionale che se la fa sotto per una donzella, o perché, semplicemente, affrontare il passato è troppo doloroso.»
L’asprezza delle parole dell’amico ingegnere inchiodano la coscienza, già martoriata, dell’ufficiale. Un silenzio snervante aleggia, frammezzato esclusivamente dallo sferragliare dei componenti metallici che il tenente colonnello assembla con maestria, fino a che un improperio gli fugge dalle labbra, seguito dal clangore del cofano che si richiude pesantemente.
«Non fai altro che ignorare le sue chiamate e scorrere i messaggi sul display, senza leggerli. Quel telefono esploderà. E non ne parliamo di quando sei con Jen: lo spegni, lo lasci a casa. Bravo, Poe. Suppongo che tu non le abbia mai detto niente di Rey.»
«Finn, quando la finisci con le preduche?» a quel punto l’aviatore alza la voce, ripulendo l’olio che gli imbratta le mani con un cencio, per poi puntare l’indice verso l’amico. «Hai raccontato a Rose che eri un seminarista, prima di conoscerla? Quanto sei ipocrita!» tuona sarcastico.
«Sono sempre stato sincero con Rose» ribatte l’ingegnere a tono, «non le ho mai nascosto la mia vita precedente, però io ho avuto solo relazioni di passaggio. Per te e Rey è stato un tantino diverso; anni e... quasi un figlio ti sembrano cose irrilevanti? Credo che Jen meriti di sapere e che tu, con Rey, chiuda il cerchio. Dovresti farlo anche per te stesso. A meno che tu non sia ancora... confuso.»
«Confuso? Finn, vattene al diavolo tu e io tuo carorcio!» Poe lancia lo straccio sul cofano della macchina mentre muove di gran carriera verso la sua.
«Se ci vai adesso la trovi alla tavola calda da Loris, lavora lì» Finn glielo urla appena prima che il pilota richiuda la portiera della sua coupé, sbattendola.
Per l’ennesima volta, una ragazza dai capelli castani sposta, col dorso di una mano, qualche ciocca sottile che sfugge dai tre chignon accomodati dietro la testa. I movimenti rapidi e circolari che effettua, forzando il braccio per mondare tavoli e sedute, fanno fuggire le ciocche più corte di qua e di là. Di tanto in tanto solleva gli occhi verso la parete frontale al bancone per controllare l’ora: sono quasi le 15:00. La fine del turno è vicina.
Sente il cigolio della porta aprirsi e richiudersi alle sue spalle. «Loris, ho finito, non c’è bisogno di controllare. Chiudo io» esclama, affannata, schiena ancora china sui tavoli.
I passi che incedono alle sue spalle rimbombano nel silenzio del locale ormai vuoto. Dev’essere un avventore ritardatario. Vista l'insistenza, la giovane si volta e socchiude le palpebre per mettere a fuoco la sagoma, in ombra, che le si fa incontro; la luce accecante del pieno pomeriggio, proveniente dalle vetrate, non le consente di vedere in viso chi sia entrato.
«Signore, siamo chiusi, mi dispiace» precisa la cameriera. Poco dopo però sgrana i grandi occhi verdi dalla sorpresa, quando dalla penombra emerge il viso più familiare che lei conosca.
«Hai già pranzato? Ti ho portato le lasagne.»
Lo sguardo della giovane si fa acquoso, mentre sorride. Il cuore le si stringe in una morsa, al calore di quella voce. Lui ricambia il sorriso abbassando lo sguardo, subito dopo. Non riesce a reggere quello di lei.
«No, non ho ancora pranzato. Ti ringrazio. Finisco di tirare giù le sedie e arrivo.»
La aiuta, così che possano fare prima. «Ti va di farmi compagnia al lago, qui dietro?» chiede Rey speranzosa.
«Certo» annuisce Poe.
Un silenzio imbarazzato fa eco alla quiete che li accompagna lungo le poche decine di metri più avanti, fino al pontile, dove si siedono quasi a ridosso del prato, così da poter immergere i piedi in acqua e ripararsi all’ombra dei salici al limitare della riva.
Rey si dedica al suo pranzo, affamata. Si stira un poco la schiena e fa roteare le caviglie nell’acqua fredda, prima di lanciarvi un’occhiata di disappunto «Sono gonfie come palloni» osserva stizzita.
Poe se ne sta in silenzio, mani conserte e schiena curva. Lo sguardo punta l’acqua mossa appena dal guizzo sporadico di qualche pesciolino che guizza sulla superficie calma, creando cerchi concentrici.
«Non avevo idea che lavorassi da Loris» rompe il ghiaccio lui rivolgendole un’occhiata sbieca.
«Già, quasi da due mesi, Poe. E tu... come stai?»
«Bene, Rey. Sto bene» le sorride assertivo.
La ragazza seguita a guardarlo alternando occhiate fugaci tra l’uomo davanti a lei e il contenitore dal quale mangia con appetito la lasagna che lui le ha portato. A ogni boccone le pare di mandar giù un macigno.
Poe intanto è tornato a fissare il lago. Tiene il mento poggiato sulle nocche di una mano chiusa a pugno, col gomito che preme su una gamba. L’altra è posata sulle assi di legno del pontile, col palmo ben disteso. Non la guarda mai.
A un tratto, dal rumore della carta stropicciata, capisce che Rey abbia finito di mangiare e dunque prende parola.
«Tu come stai, Rey?» inspira per poi riprendere, quasi a fatica, «mi dispiace di essere sparito nel nulla. Dove dormi, ora che lavori da Loris?»
La ragazza gli fa cenno con gli occhi verso la mansarda sopra la tavola calda.
«Rey...» Poe si fa coraggio e le prende le mani tra le sue, guardandola «Non hai parlato con Rose o Finn? E poi... c’è sempre casa mia, avresti meno spese. Lo so, mi ricordo tardi, ma non posso sapere che ti trovi in difficoltà e continuare a fare finta di niente.»
«Avere un secondo lavoro, durante l’estate, non è essere in difficoltà, Poe. Non l’ho mai fatto finora perché avevo una casa di proprietà e zero spese d’affitto ma la maggior parte delle persone comuni si arrangia in questo modo, per arrotondare.»
Le stringe le mani in segno d’assenso e la guarda col rispetto dovuto a una donna piena di dignità.
«Non serve che ti dica quello che già sai, Rey. Hai almeno avuto il tempo di riprenderti dopo...» le parole non trovano una via d’uscita.
«Sto bene. Mi sono ripresa e ho iniziato a lavorare.»
«Sei ancora più magra, però. Sei sicura di star bene?» la mano di lui risale sulla spalla della ragazza e la sua espressione accorata finisce per far sbottare Rey in una sonora risata.
«Non ti preoccupare. L’appetito non mi manca, come vedi!» i due ridacchiano più rilassati. La fame da lupi della ragazza è sempre stata indubbia per chiunque la conosca bene come lui, Rose e Finn, e sempre oggetto delle più svariate prese in giro, da parte dei tre.
«Ah, del resto è risaputo che si spenda meno regalandoti qualcosa di costoso che portandoti al ristorante» la canzona il pilota mentre lei lo allontana, spingendolo dalle spalle, mettendolo a tappeto.
«La vostra è sempre stata tutta invidia. Guarda qua, mangio come una disperata e non un etto e sono pure muscolosa» strizza un bicipite vittoriosa, sovrastandolo ritta, a gambe divaricate, mentre lui ride, disteso supino sul pontile.
«Ringrazia che rido e non ho le forze nemmeno di mettermi seduto, altrimenti saresti già volata nell’acqua a far compagnia alle anatre.»
«Te lo lascio credere, vecchietto. Te lo lascio credere» gli tende una mano per aiutarlo a ricomporsi ed entrambi tornano a fiancheggiarsi, seduti l’uno accanto all’altra.
Qualche attimo di silenzio e l’atmosfera torna seria. «Mi dispiace, Poe» gli prende la mano, stringendola con dolcezza. «Io... io... avrei voluto che le cose andassero diversamente. Ho perso il tuo, il nostro...»
«Sssttt» le asciuga una lacrima mentre a stento trattiene l’uragano che gli si è scatenato dentro. «Rey... penso che le cose dovessero andare così. Diversamente, sarebbe stato tutto molto complicato.»
«Ma era tuo. Non riesco nemmeno a immaginare come ti sia sentito. Ho solo pensato che mi odiassi per tutto il male che ti ho fatto.»
«Odiarti? Rey...» prende un respiro profondo. «Abbiamo sofferto tutti troppo. Me ne sono andato senza una parola» le accarezza i capelli dolcemente mentre lei, accoccolata sulla sua spalla, cerca il coraggio di perdonarsi.
Fiduciosa rialza lo sguardo per incontrare i caldi grani di caffè del suo Poe.
«Fino a quando non ti avessi guardato negli occhi, non avrei saputo se stavi bene. E se tu non stai bene, non posso neanch’io. Lo sai.»
«Rey» le loro mani si intrecciano di più, «lo so.»
«Poe, per tanto tempo siamo stati una cosa sola. Poi lontanissimi, fino quasi a essere estranei. Che cosa siamo? O cosa siamo stati? Amici, amanti, niente?» mugugna lei.
«Anime gemelle, Rey. Questo siamo, da sempre, e lo saremo per sempre» lui la guarda placido e certo di ciò che le ha appena detto.
Quelle parole restano sospese nel silenzio cui unico sottofondo sono il frusciare delle fronde dei salici e lo sporadico gorgoglio dell’acqua del lago.
Un momento sospeso nel tempo.
Il loro momento.
Suggellato dalle mani strette, le une in quelle dell’altro, in una presa rassicurante e piena di un calore antico – che conoscono da sempre – che profuma di promesse mantenute, di partenze che si tramutano in ritorni. Di aiuto e di una mutua comprensione tra due esseri che hanno condiviso, da una vita intera, una sofferenza simile.
Quella magia è interrotta dal rumore di un’auto che si ferma in lontananza e dallo scricchiolio delle assi del pontile, sotto un passo cadenzato e pesante.
Quando i due si voltano, una sagoma imponente si staglia contro il cielo terso. L’imbarazzo si fa strada insieme allo stupore. Poe è il primo a rialzarsi, tendendo una mano a Rey.
Entrambi tirano giù i pantaloni, di cui avevano arrotolato l’orlo per immergere i piedi in acqua. Si asciugano come meglio possono e rimettono le scarpe.
«Non sapevo fosse qui, te lo giuro. Non so neanche come mi abbia trovato» si sente in dovere di giustificarsi, Rey.
Poe le fa un cenno col capo per lasciarle intendere che non c’è nessun problema.
Un uomo alto, dai lunghi capelli neri, si ferma davanti a loro; «Scusate, non volevo interrompervi.»
«Salve, Solo» lo saluta Poe Dameron. «Io stavo andando. Ci vediamo» si affretta evasivo.
«Aspetta, Dameron» lo ferma il misterioso nuovo giunto. «In macchina c’è qualcuno che vorrebbe salutarvi entrambi. Siamo appena arrivati in città.»
«Ben» Rey lo saluta affettuosamente con un bacio sulla guancia.
«Tuo padre non riesce a fare due passi, fin qui, per venire a salutare, Solo? Io vado, ho da fare. Ciao Rey, ci sentiamo presto.»
«Dameron, non si tratta di mio padre» insiste Ben Solo, appena giunto da Boston.
Poe lo fronteggia dritto negli occhi, a questo punto. Lo ha caldamente evitato per tutto il tempo, se non per rivolgergli rapide occhiate saettanti.
L’elettricità che passa attraverso le iridi dei due uomini sarebbe in grado di scatenare una tempesta in pochi attimi, non fosse che l’aviatore si dirige verso la macchina, ferma sul ciglio della strada, con aria stranita.
Sta per posare la mano sulla maniglia dello sportello, quando questo si socchiude leggermente. Ciò che gli si palesa dinnanzi lo lascia senza fiato. Un tremore improvviso lo pervade, le ginocchia diventano gelatina. Le mani incerte e nervose si muovono ad accarezzare teneramente il viso di una donna attempata, mentre flette le ginocchia per poter essere al suo stesso livello, così da abbracciarla.
Non regge e le ginocchia poggiano sull’asfalto. La donna nella macchina lo stringe a sé, scompigliandogli i ricci ribelli. Lui soffoca il tremore irrefrenabile che lo scuote sulla spalla di lei, mentre non smette un momento di accarezzarle i capelli e il viso.
«Mi dispiace, sei venuta fin qui. Non ti ho chiamato mai, non ho scuse» si stringe a quella figura esile e smagrita.
«Ragazzo mio, ti ho pensato tutti i giorni. Eri quello per il quale ero più in pena» mormora Lady Tano.
Subito dopo, in quell’abbraccio finisce anche Rey. I due giovani non smettono di baciare e ribaciare le mani dalla pelle diafana e il viso della donna, nell’auto. A tratti Poe nasconde il viso, per l’imbarazzo, sul golfino di cotone lavorato a maglia della signora.
A quella scena anche l’austero professore universitario, giunto dal Boston College, si sente compungere.
Quando l’atmosfera rovente torna a un livello accettabile, Ben cerca di ricomporre gli animi, affinché ognuno si diriga verso la propria destinazione.
«Ben» è la prima volta che Poe Dameron lo chiama non usando il suo cognome, «vorrei che veniste da me. Siete miei ospiti, per cena.»
«Ah... e... io e Lady Tano veramente siamo in albergo e abbiamo la mezza pensione» gli fa eco il professore.
«Insisto. Casa mia è grande e spaziosa, ci sono camere da letto già pronte, Lady Tano può riposare fino a ora di cena. Dopo vi riaccompagno in albergo personalmente. Naturalmente vieni anche tu, Rey.»
«Ci vediamo tra un po’, allora. Io ho bisogno di passare da casa a fare una doccia e cambiarmi. Voi andate avanti, vi raggiungo.»
I tre la salutano mentre lei si dirige verso la mansarda di Loris. Solo e Poe muovono ognuno alle rispettive auto, in direzione di villa Dameron.
Poe fa gli onori di casa ai suoi ospiti, invitandoli ad accomodarsi in giardino mentre scarica, dal bagagliaio, alcune borse necessarie all’anziana signora.
Dal vialetto sul retro, un ronzio meccanico richiama Ben Solo. Una ragazza bionda, molto bella, senza badare a lui e Lady Tano, va incontro all’aviatore. Ben li scruta discreto. Sembrano in confidenza. Poco dopo, il pilota si dirige in compagnia della ragazza verso i due.
«Ben, Lady Tano, lei è Jen» la introduce Poe, «Jen, loro sono il professor Ben Solo e Lady Tano: persone che ho conosciuto a Boston, l’autunno scorso.»
«Per questo ti sei dimenticato di avvisare che non c’eri alle prove?» ridacchia Jen.
«Le prove, no!... quei tre mi faranno secco!» esclama con una mano sulla fronte.
«Beh, sei giustificato, per questa volta. I tuoi ospiti ti hanno fatto una sorpresa» esclama candida.
Sbrigati i convenevoli, si accomodano tutti all’interno nell’ampia cucina del tenente colonnello.
Poco dopo, suonano al campanello. «Vado io, Poe» cinguetta Jen, che fino a quel momento ha intrattenuto Solo e Lady Tano.
Sorpresa, la bionda si ritrova Rey alla porta, con un vassoio di mignon acquistato da Moffet's e una bottiglia di frizzante dolce, tra le mani.
Le gambe perfette e coperte da shorts che lasciano poco all’immaginazione, Jen le riconoscerebbe ovunque; le ricorda bene aderire a quelle di Poe mentre ballavano, una sera di quasi due mesi prima, al party del quattro luglio.
«Ciao» la saluta Rey, sorridendo. Jen le tende una mano per prendere il vassoio dei dolci, ricambiando il saluto.
Non appena ha un braccio libero, Rey lo tende verso Jen così che possano stringersi la mano. Le due donne si scrutano reciprocamente per qualche momento. In quel frangente arriva Poe, intento ad asciugare le mani con un canovaccio. Esita un momento, guardandole ma appena si accorgono della sua presenza egli incede verso di loro.
«Vi siete già presentate, vedo» sorride. E le due annuisconi, seguendolo in cucina.
Poe fa accomodare Rey, che prende posto tra Ben e Lady Tano.
Quest’ultima osserva la scena intorno a lei, in silenzio, mentre gli altri si muovono tutt’attorno: Ben e Rey si scambiano timide occhiate fugaci, Poe catalizza la conversazione e straparla, al solito. Jen si muove silenziosa, passando al padrone di casa quanto gli serva per cucinare. Il menù prevede pesce fresco al cartoccio; un ottimo pescato di giornata. La donna bionda si muove tra cassettiere e posate come chi conosce la casa piuttosto bene. Lo hanno notato tutti.
«Da quanto tempo siete sposati?» irrompe Lady Tano, in un momento di silenzio, mentre Poe serve birra ghiacciata e Jen gli passa gli stuzzichini da aperitivo.
Il silenzio si fa piombo.
Poe guarda Lady Tano e sorride imbarazzato, Jen di più, e abbassa gli occhi. A Rey prende quasi una sincope ma cerca di non scomporsi e Ben Solo se la ride di gusto sotto i baffi.
«Ci tenevi nascosta la tua doppia vita, a Lacey, giovanotto?» lo incalza l’anziana signora.
«In effetti, Lady Tano. Beccato!» la asseconda lui, posando un bacio sui capelli d’oro di Jen, mentre con un braccio le cinge dolcemente le spalle e alza il calice per proporre un brindisi. «Alla salute, e alle belle persone, cin» fa scontrare prima il suo flûte con quello di Jen, poi entrambi protendono i propri bicchieri a incontrare quelli degli altri.
Jen sente il cuore uscirle dal petto. È come una piccola conferma quella che Poe stia accanto a lei, nonostante la presenza della bellissima spilungona.
Rey sembra essere la meno rilassata del gruppo. Ha un sorriso forzato. Cerca di dissimulare ma la tensione permea quella stanza in una situazione quantomeno grottesca.
«Poe, ti dispiacerebbe andare a chiamare Lily? Vorrei cenasse con noi. Tess mi ha detto di avere un impegno» Jen chiede all’uomo di andare a prendere la bambina come la cosa più naturale al mondo, dopo aver letto il messaggio arrivatole sul cellulare da parte di sua sorella.
«Certo, ci penso io. Il pesce non lo mangerà mai però. Dici che se le faccio i medaglioni di prosciutto e formaggio andrà bene?»
«Andrà bene; la vizi troppo» sorride Jen.
Hanno una confidenza che va oltre l’essere espansivo di lui, oltre l’essere un vicino di casa. Non si sono definiti coppia ma chiunque si accorgerebbe della loro complicità, della chimica che passa persino attraverso i gesti più comuni.
Una volta condivideva con lei quella confidenza, pensa Rey. Ora è tutto diverso. Dovrebbe esserne felice, dunque perché si sente smarrita?
Sotto il tavolo fa scivolare la mano a cercare quella salda e robusta di Ben e lui non si nega, intreccia le sue dita a quelle della ragazza dai capelli castani.
Poe attraversa il vialetto e bussa vigorosamente alla porta d’ingresso di casa Lindley, senza ricevere risposta. «Tess, Tess, sono Poe. Entro un momento. Jen mi ha mandato a prendere Li–» si piantona al centro della sala da pranzo in palese imbarazzo, voltando la testa. Tess è tra le braccia di un uomo possente, alto e dai capelli castano chiaro. I due sono piuttosto indaffarati.
«Oddio, Poe» Tess cerca di ricomporsi come può. «Lily sta facendo il bagno, cena da te con Jen? Te la preparo subito» la maggiore delle Lindley corre di sopra dalla bambina.
L’aviatore allunga una mano verso il soldato, ancora in divisa, rimasto al centro della sala da pranzo. «Piacere, Poe Dameron.»
L’altro, visibilmente impacciato, gli rivolge il saluto formale «Signore, è un onore.»
«Lascia perdere le formalità. Tu devi essere Jake, giusto?»
«Sissignore, per l’appunto, piacere mio.»
«Piacere di conoscerti, Jake. Sono contento che tu sia a casa. Mi hanno parlato molto di te.»
In quel momento irrompe scimmietta, si abbarbica al tenente colonnello e gli racconta nel dettaglio il ritorno inaspettato di zio Jake.
«Per favore, Tess preparami anche il pigiamino e Mrs. Nesbitt. Stanotte Jen e Lily restano da me» riccioli d’ebano strizza l’occhio, complice, a scimmietta.
Le sorprese di Rey non sembrano avere fine. Osserva Poe tornare con la bambina arroccata al suo collo, e che non si separerà mai da lui, durante tutta la cena.
A tavola, la bimba racconta con entusiasmo della vacanza al mare, delle arrampicate pomeridiane al Parco Avventura ed è sempre più indubbio che Poe non sia solo il vicino di casa.
«Stanotte io, tu, mamma e Mrs. Nesbitt facciamo un pigiama party. Sei pronto Poe?»
Il professor Solo non trattiene una risata, alla quale segue lo sguardo torvo dell’aviatore.
«Solo se mangi un po’ del pesciolino che ho pescato con zio Finn, ieri» torna a dedicarsi alla bimba.
«Bleah, ha le spine.»
«No. Guarda, le sto togliendo una a una» la imbocca teneramente con piccoli bocconi che ha provveduto a sfilettare personalmente. «È buono, ammettilo.»
«Mmh... buonissimo» scimmietta rigira l’indice nella guancia.
Rey – e non solo – tutti sono rapiti dalla naturalezza del rapporto tra Poe e la bambina.
Dopo aver gustato i mignon di Moffet's, Ben si intrattiene conversando con Jen e Lady Tano mentre Rey aiuta Poe a sparecchiare.
Il pilota sta sistemando l’immondizia sul retro, dove la ragazza lo raggiunge.
Lo fissa silenziosa, appoggiata all’infisso della porta finestra. Lui solleva lo sguardo con aria interrogativa mentre s’accende una sigaretta; sa che quegli occhi vogliono dirle qualcosa.
«Poe, tu e scimmietta siete carinissimi insieme. Non ho potuto fare a meno di notare quanto...» gli occhi di Rey diventano lucidi e li solleva al cielo, le parole faticano a farsi strada.
«Tu... tu l’ami? Insomma non solo Lily, ma...»
«Sì, Rey. Amo Jen più di quanto sia ancora riuscito a dirle»
Poe la guarda dritto negli occhi con l’espressione limpida e cristallina di chi è totalmente sincero e non ha timore di mostrarlo.
Non c’è rivalsa verso Rey per essere stato piantato a causa di un altro, mesi prima. Nessuna ripicca. Solo la sincerità di chi non deve nascondere niente.
Attimi di silenzio intercorrono tra un tiro alla sigaretta e le mani nervose di Rey, che tortura ciocche di capelli fatte fuoriuscire dai suoi codini.
«Volevo ridarti questo. È di tua madre, non posso continuare a tenerlo.»
Gli cede il rubino che indossava alla Prima del Boston Opera House, durante la Carmen, l’autunno precedente.
Una ferita antica si riapre per un attimo nello sguardo vacuo di Poe. È solo una porzione di ricordi incandescenti cui segue un abbraccio, pieno di mutua comprensione, che scambia con la donna che ha amato per una vita; una vita passata, però.
Si guardano. Gli occhi di entrambi intrisi di un sorriso malinconico. L’una accarezza il viso stanco dell’altro, che ricambia con un bacio sulla fronte.
Sono i gesti di una ritrovata serenità tra i due.
Purtroppo non vengono interpretati così da Jen che li scorge sull’uscio della cucina. Cerca di non farsene accorgere, scappando via, ma Poe si accorge del ronzio metallico della carrozzina. La conosce abbastanza bene per sapere cosa abbia potuto pensare.
Torna in fretta a prendere posto accanto a lei e intreccia le proprie dita a quelle fredde – nonostante il caldo – ed esili della sua donna. Con quelle dell’altra mano le lascia lievi carezze calde mentre continua a conversare coi presenti.
Jen lascia la presa e, con una scusa, adduce di doversi recare sul retro dell’abitazione. Attraversa il giardino per raggiungere il pontile retrostante la casa dei Dameron, quello che volge verso il lago. Lui non la ferma.
Se ne sta da sola, mentre guarda i fulmini in lontananza.
Poco dopo, Poe congeda gli ospiti. Ben tornerà all’albergo con Rey si è offerta di fare strada ai forestieri.
Prima che quest’ultima salga in macchina per andare via, può osservare una scena.
Il chiaro di luna illumina il pontile ancora per un poco, prima che arrivino le nuvole di un temporale estivo ad oscurarla – quel pontile a Rey così familiare. Su di esso si staglia il profilo di una bellissima donna, contornato dal riflesso fioco dei lampioni.
Folate di vento smuovono le ciocche d’oro dei suoi capelli.
L’aviatore le va incontro. Si è posto frontalmente alla donna e si è chinato per guardarla. La prende per le spalle e poggia la propria fronte a quella di lei. Avvicina le loro labbra, traendola per le guance delicatamente e la bacia.
Sottili gocce di pioggia picchiettano sul finestrino dell’auto di Ben Solo, che intanto riparte, e paiono suggellare quel bacio sul pontile.
Dal modo in cui tiene il viso della donna bionda tra le mani, Rey sa che Poe è profondamente innamorato. Conosce il trasporto totale con il quale si dona, lo stesso che fino a poco tempo prima riservava a lei.
La pioggia scende lieve su Jen e Poe, Lily è rimasta a guardare un cartone, spanciata sul divano, in attesa che i grandi finiscano di sparecchiare per poi andare da lei.
Poe posa un bacio dolce tra i capelli di Jen, dopo quello prolungato di pochi istanti prima. Guarda la sua donna negli occhi: sono tristi, anche se non vuole darlo a vedere. Faticano a stare in quelli di lui che le legge dentro tutta l’insicurezza, cui in parte sta contribuendo anche lui.
«Jen» la incalza, riportando le sue agate nelle sue stelle scure, «rientriamo, prenderai freddo» la donna non oppone resistenza lasciando lui spinga la carrozzina all’interno.
Una volta al caldo, nel grande letto, i due tengono fede alla promessa fatta a Lily: giocano con lei fino a che la cucciola s’addormenta addossata a Poe. Lo sovrasta con una gambetta avvinghiata al suo fianco e l’immancabile manina paffuta che affonda nella barba folta e soffice dell’uomo.
«È fissata con la mia barba... come la sua mamma» sorride con lo sguardo un po’ ammaccato dalla stanchezza.
«È come una nuvola soffice, lo dice sempre anche lei» sorride Jen.
Piano, spostano un pochino la bimba, coprendola con le lenzuola, mentre Jen le dà il bacio della buonanotte.
Poe ne approfitta per farsi più vicino a Jen, facendo le fusa.
«Non te la puoi cavare sempre così, Top Gun» finge di ribellarsi lei.
«Ti prego, Jen. È stata una giornata lunga e impegnativa, più del previsto. Sono senza forze. Stringimi. Parleremo domani, te lo prometto.»
A quel tono supplichevole Jen cede senza indugi. Gli accarezza i capelli mentre il fiato caldo dell’uomo che ama le solletica la pelle. Si è accoccolato nel suo posto preferito: l’incavo del collo della sua amata. E lei lo accarezza, sa che in quel modo si addormenterà come un bambino in men che non si dica.
Tante domande si assiepano nei pensieri della donna ma ci penserà domani. Gli bacia la fronte e, pianissimo, anche le ciglia assopite. Respira il suo odore e si augura di poterlo fare ogni notte. Che la vita non le porti via anche lui. Caccia via le sue paure e smorza la luce tenue dell’abat-jour e si stringe impercettibilmente a lui, più forte.
Angolo Autrice:
¿Señorita vienes a probar el carruaje? Signorina, viene a provare la carrozza?
Flûte: calice allungato, dallo stelo alto e sottile, favorisce la conservazione della temperatura di servizio, regola le correnti aromatiche e conserva le noti acide, il che lo rende adatto per le la frizzantezza delle Pils e l’acidità delle Lambic.
Da questo capitolo in poi, e siamo verso la fine, ho aggiunto un Poe in modalità spagnola, del tutto simile al Buzz Lightyear di Toy Story 2, quando invita Jen a provare il montascale.
Spero che i ritorni dal passato di Poe siano stati graditi.
Questo interferirà nel rapporto con Jen?
Lo scopriremo presto.
Nives ♥️.
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