Quattro Luglio

È mattino presto, l’aria è ancora frizzantina della frescura notturna, prima che il sole si alzi.
Qualche volta, da quando è a casa, gli piace sonnecchiare un po’ di più. Tuttavia, in linea di massima, le palpebre gli si sollevano ai primi albori.

La tempra della vita militare ha abituato il tenente colonnello Dameron a ritmi rigidi ma ciò ha portato con sé il privilegio di potersi fermare ad ammirare orizzonti di albe vergini dalle mille sfumature rosazzurre; nel mezzo di un deserto, sulle rive del Mar Morto o da qualche sperduto villaggio polveroso, nel cuore del Medio Oriente.

È attivissimo, già di primo mattino: controlla che in garage non manchi il carbone, in quantità industriali, per dar fuoco alle braci. Anche il frigo in cantina scoppia di carne e di birra bionda, che scorrerà a fiumi, tanto nessuno dei presenti dovrà guidare. Dopo l’abituale barbecue del quattro di luglio, a casa Dameron, gli ospiti che lo desiderano, di solito si fermano a dormire in qualche punto della grande dimora, giardino compreso.

Distende la colonna vertebrale, inarcandola.
Una mano su un fianco, l’altra a riparare gli occhi dal sole che è già troppo alto e gli riduce le palpebre a due fessure.
Rotea le vertebre cervicali, massaggiandole.
I quasi quarant’anni si fanno sentire, pensa.
Talvolta se ne dà ottanta per quante ne ha passate.

Le dita affusolate gli fanno ombra sulla fronte mentre volge lo sguardo verso casa Martinelli: nei pomeriggi prima, vi è stato gran fermento per l’apposizione dei sigilli, gli ha detto Rose.
Lui era al Waterfront Blues Fest con la band, con Jen e Finn.
Un evento epico che non ha lasciato a Poe il tempo di assimilare quell’informazione.
Se l’è lasciata scivolare addosso in modo indifferente.
Avrebbe potuto chiedere se fosse arrivato qualcuno dei proprietari.
Sa che la procedura lo richiede formalmente. Avrebbe potuto, ma non l’ha fatto.

Oggi non s’ode mosca volare, nei pressi dell’abitazione.
Del resto è il long week end più amato dagli statunitensi. Un pensiero saetta nella mente del pilota e fende le costole in una fitta acuta. Un pensiero che evita di proposito, da tanto. La dura disciplina cui ha sottoposto corpo, mente e spirito gli ha insegnato come rimuovere gli ostacoli che deconcentrano dall’obiettivo.
Una freddezza che non gli appartiene, cui è stato forgiato allo scopo di un fine superiore: sopravvivere. Sì, quando il dolore si fa insopportabile. Sopravvivere.
Ecco come ha imparato a farlo. Si impone di non pensarci. Sì, lui, semplicemente, non ci pensa. Mai.
Da quando è tornato, l’unica cosa importante è stata cominciare a rimette in piedi la sua vita da dove l’ha lasciata. Riprendere in mano le sue passioni: la musica su tutte.

Ha tirato a lucido l’amata Stratocaster; per troppo tempo è rimasta orfana delle dita del suo proprietario che è finalmente tornato a pizzicarne le corde.
Con Finn e il resto della band ha rifinito, in poco meno di due mesi, una mini raccolta grunge che teneva nel cassetto da anni. NightLab è il titolo della breve antologia di brani intimi, di una manciata di minuti ognuno, che hanno suonato nei Jazz Club di Portland per un pubblico scelto.

Poe ha supervisionato personalmente i posti dove si sarebbero esibiti perché non ci fossero ostacoli per Jen. Con la band ha concordato di lasciare da parte i bagni di folla distratta da mercatini e alcolici, cui arrivava a malapena qualche nota. La loro musica è per intenditori, e nei club più intimi la gente si reca per sentirne di buona, oltre che gustare cibo di qualità e ottime birre.

E poi... ha voluto Jen, con loro. Cocciuto com’è, ha implorato Tess per ottenere il permesso di averla con sé a poche ore di macchina.
Perché è un portento al basso, perché è una tosta e divertente, arguta, tiene alto il morale della band e, particolare non da poco: è sexy e tutti stravedono per lei, ma lui sa come tenere a bada i bollenti spiriti dei suoi amici e gli sguardi fin troppo licenziosi che le indirizzano, quando è abbigliata nei suoi adorabili vestiti leggeri.

Ripensa al viaggio da cui sono appena tornati, e un sorriso gli spunta in viso.
Sono partiti con la Porsche Wampa, la coupé che il tenente colonnello non utilizzava più da un po’. Finn si era generosamente proposto di noleggiare, a spese proprie, un mini van per tutti, ma Poe aveva in mente un “on the road” per la sua compagna d’avventure. Voleva che Jen si divertisse. Era sicuro che da troppo non avesse tempo solo per se stessa, per essere un po’ folle e spensierata.
Niente di meglio, dunque, che musica alta e vento tra i capelli e anche sui volants del leggero vestito color pesca che ne accarezzava il profilo morbido sul quale troppo spesso ha fantasticato. È pur sempre un uomo.

Rivede Jen, che gli sorride, durante il viaggio in macchina. Oh Jen, un po’ ingenua e un po’ no, occhieggia sorniona da dietro le lunghe ciglia bionde, mentre, con le candide dita smaltate color vermiglio, sposta ciocche di capelli dal viso e dalle labbra. Poi, in un gesto naturale, vi passa su il burro di cacao alla ciliegia il cui profumo fruttato rimanda l’aviatore al ricordo di un lecca lecca per cui andava matto da bambino e di cui ha una voglia irrefrenabile, tanto che, alla prima stazione di rifornimento, ne compra due: uno per sé e uno per lei.

Inutile dire che ha riempito una sporta piena di ogni specie di snack da sgranocchiare e bibite: gli piace viziare la sua ospite.
Scarta il dolcetto a velocità luce, serrandolo saldamente tra le labbra, mentre rimette in moto l’auto e seleziona una stazione radio.
E via, si riparte. Le note in etere diffondono Mika: un cantante libano-statunitense, apprezzato perlopiù in Europa, il quale riscuote un certo seguito anche oltreoceano. Si è da poco esibito a New York, tappezzata di suoi manifesti fino a Times Square.
I versi intriganti di Domani sprigionano una sensualità imbarazzante.

Io vorrei soltanto i graffi sulla schiena.
Nudi, nel retrovisore,
 in macchina io e te   con la radio accesa. Cosa vuoi spiegare, abbracciami.

Cosa succederà domani, all’inferno, sento i brividi.
Oh, chi se ne frega del domani. Stanotte a casa non ci tornerai.
Oh, domani pensaci domani.

Poe guarda Jen con uno sguardo serio, torturando il lecca lecca tra le labbra. Jen ne fugge gli occhi e poi li cerca ancora, mille volte, in una danza carica di elettricità.

Ma che stai facendo? Cretina! Fai le fusa come una gatta in calore. Sorridi, lo guardi sfuggente... poi, pessima trovata, prendi dal porta oggetti il lecca lecca destinato a te, lo rigiri tra le labbra con fare provocante. Sposti i capelli su un lato per lasciare in vista il collo e la linea generosa del tuo profilo, con un fare da Lolita. Sei alla disperazione, è questo il messaggio che gli stai lanciando.

Poe inchioda e, per miracolo, non tampona il pick-up davanti, fermo all’incrocio con la provinciale.
Sorride Jen, e azzarda una inequivocabile reazione fisiologica, dal modo in cui il tenente colonnello sgancia insofferente la cintura di sicurezza – che pare più di castità – per accomodare i jeans.

«Scusa» un flebile suono perviene alle orecchie della ragazza.

«E di cosa?» fa l’ingenua lei.

Il pilota si ricompone e fa per accendersi una sigaretta ma poi desiste, rimettendola nel pacchetto.

«Non sono di cristallo, non c’è problema, Poe» lo invita sorridente.

Lui resta inebetito a guardarla. Giurerebbe che un lieve rossore le stia tingendo le guance del medesimo color ciliegia delle labbra mentre abbassa gli occhi per puntarli poi verso la strada e infilare una ciocca d’oro dietro l’orecchio.

Non se lo lascia ripetere, è troppo nervoso, una sigaretta lo calmerà.

«Accosto meglio l’auto, ti spiace?»

«Certo che no» mormora lei, cambiando stazione radio.

Si dirige verso lo sportello dal lato passeggero, che apre, tendendole la mano. Jen lo guarda stupita.
«Mi fai compagnia?»

«Ci metti più tempo a recuperare la ferraglia, lì dietro, che a finirti una sigaretta» lo scoraggia.

Prima che la bionda batta ciglio, si ritrova tra le braccia dell’aviatore. E annaspa in maniera vistosa, quando solleva le pupille incerte in quelle di lui che stillano caffè bollente. Sono talmente vicini che i loro respiri si accarezzano. Quello di Poe sa di ciliegia del dolcetto misto alle note speziate del tabacco e le dà i capogiri, stretta contro la maglietta sottile di lui, attraverso cui percepisce il calore che emana.
Dal canto suo, il tenente colonnello la guarda con occhi ipnotici, pozzi neri carichi di un desiderio che vorrebbe irrompere. Jen effonde di una dolcezza fruttata. Sentirla respirare contro il proprio petto, calda e morbida, gli toglie la ragione.

La tentazione di catturarle le labbra rosse e piene in un bacio è quasi incontrollabile.
Oh, Jen... se non ti lascio subito, sono finito. Perso. La adagia sul cofano dell’auto, è quasi l’imbrunire e accende la sua Marlboro. Da dietro gli arzigogoli di fumo la osserva di sottecchi.

Jen reclina il capo a cercare gli ultimi raggi del sole tiepido, che va a coricarsi dietro le cime delle rigogliose conifere. Se ci si inoltra attraverso il folto di quei boschi, Poe ricorda vi siano incantevoli laghetti naturali dove, da bambino, andava a fare dei picnic con la sua famiglia. Fantastica di portarci di corsa Jen, su quelle rive, a fare l’amore e nasconde il viso paonazzo dalla vergogna facendovi ricadere i capelli sciolti.
Tiene le braccia tese, lei, e i palmi delle mani poggiati sul cofano, a sostenere il peso del corpo. Il libeccio gioca impertinente con il vestito leggero che si solleva oltre le ginocchia ossute e i volants color pesca si increspano in maniera intrigante lasciando intravedere l’incantevole dote di cui madre natura le ha fatto dono.

Consapevole che lui la stia guardando, ondeggia la chioma bionda indietro, viso al cielo.
Si sente bella. Gli occhi di Poe sono fuoco che non le brucia addosso quasi mai. Chi troverebbe sexy una ragazza in carrozzina, del resto.
Il solo pensiero fa rabbrividire.
Un paraplegico non può, non deve, avere pulsioni.
Il concetto stesso di piacere sessuale non può, non deve essere accostato a un corpo menomato. È rivoltante.

Ma lei se ne frega del pensiero comune. Ascolta i suoi bisogni.
Con una mano accomoda l’abito, scorrendo le dita, con lentezza, lungo la V della scollatura, che contorna ma lascia solo intuire, senza volgarità. Esse indugiano doviziose sull’addome, continuando lungo le cosce, per terminare sulle ginocchia, dove trattiene un lembo di stoffa.
Sa che lui la sta osservando, si sente desiderata o forse se ne illude solo. Ma è comunque una sensazione non sovente per chi è “come lei”.
Sente gli occhi di Poe addosso, come una carezza delicata. Non è qualcosa di forzato. Non è programmato. È genuino e soprattutto la fa sentire donna, non solo un oggetto degno di compassione.
Non c’è pietà o tristezza in quegli occhi che scorge liquefarsi dietro il fumo della sigaretta.
Lui la guarda come si guarda una donna.

Il tenente colonnello sente di non riuscire a controllarsi, mentre osserva le dita di Jen muoversi lentamente lungo il suo profilo, in un gesto ad alto tasso di seduzione, immaginando che siano le proprie. Al pensiero che, finita la sigaretta, la riprenderà in braccio per riportarla a sedere e proseguire il viaggio, balza dal cofano e finge di cercare qualcosa nel cruscotto; deve allentare la tensione che lo sta uccidendo lentamente.
Respira, arrancando.

«Hai caldo?» chiede lei sfrontata, lo sta mettendo a dura prova.

«Sì. E non vedo l’ora di arrivare in albergo per togliermi i vestiti» la provoca.

Jen ride, sorniona, come una gatta sul cofano.
Lui la mangia con gli occhi, dal basso dei sedili, in un gioco eccitante.
Dovrebbe sentirsi colpa? Per cosa poi!
Jen è una ragazza. Punto. I particolari non influiscono sulla percezione della sua sensualità di donna.
Fa appello all’ultimo barlume del suo essere gentiluomo, quando desiste dal divorarla di baci, sorreggendola tra le braccia perché riprenda posto accanto a lui, in macchina.

Appena in camera, si libera degli indumenti del viaggio che gli si scollano a fatica di dosso, tanto è sudato ed eccitato.
Lascia scorrere l’acqua freddissima. A occhi chiusi pensa a Jen, a come hanno flirtato tutto il tempo. In un contesto diverso, l’avrebbe portata di peso in camera sua.
Ma è Jen e lei non è intrattenimento.
Porta nel corpo e nell’anima ferite indicibili e che lei voglia del sano sesso è fisiologico pure.
Due adulti consenzienti?!
Perché no, si dice, ma se accadrà sarà attento, perché di lei e della sua piccola è stregato.
Una tenerezza immensa lo brama fin nel profondo, quando la guarda con Lily. È una madre premurosa e loro sono due piccole donne. Jen non è un corpo del quale non ricordi il viso il giorno dopo e lui, lui sarà un gentiluomo, qualsiasi cosa accada tra loro.

Si ridesta dai ricordi del week end appena trascorso.
Il viaggio a Portland è stato corroborante.
Una parentesi d’adrenalina pura che lo ha rinvigorito a livello di buon umore e testosterone, anche se la fatica da stacanovista la paga tutta a postumi.

Si mette all’opera ad accomodare lucine, tavoli, seggiole e panche in giardino.
E di nuovo un groppo gli si riaffaccia amaro.
Nel gesto di appendere le lampadine, lungo la siepe e alcuni rami degli aceri, rivede due occhietti curiosi spuntare dal fogliame. Verdi e attenti lo scrutano dalla punta di un nasino perfetto, costellato di efelidi. E Dio, se fa male.

Rivede quella bambina diventata donna. Davanti agli occhi ha l’immagine di quando l’ha presa al volo, tra le braccia, mentre lei s’intestardiva a dargli una mano con le medesime lampadine, in bilico su una sedia dalla gamba sbilenca. E Poe, il prode cavaliere, lì a salvarla, ad amarla come sempre.

E Lady Tano... anche lei emerge tra i ricordi e gli manca tanto.
Poe si è affezionato in fretta all’anziana padrona di casa di Rey, a Boston.
Il tenente colonnello Dameron ha una predilezione per le persone dal cuore rotto.

Era convinto che avrebbe avuto ancora tante occasioni da trascorrere insieme agli affetti di un tempo e a quelli conosciuti in posti nuovi e invece la sua vita cambia, rapidamente, di continuo.
Non attecchiscono mai quelle radici di cui finge non gli importi, incastrato nei ruoli che gli attribuiscono.

Non ha figli?

Uno sciupafemmine. Non metterà mai la testa a posto, il figlio di Kes.

È una testa calda. O meglio è gay.

Nemmeno fossero i grandi problemi della vita e non semplicemente fatti suoi.
Finge di farsi scivolare tutto. Quanta voglia ha, invece, di noiosa, comoda, rassicurante, calda normalità.
Qualcuno da cui tornare a casa stanco, dopo mesi in missione. Un letto sfatto, braccia che muoiano dal desiderio di riabbracciarti dopo una lunga assenza.

E un pensiero folle che ha solo sfiorato... il piccolo artiglio di un ranocchietto rugoso che si aggrappa al suo dito, intrecciando così due esistenze per sempre.

Non pensava, visto il varicocele di terzo grado che, a quattordici anni, gli ha regalato l’astenospermia, che avrebbe mai assaporato la paternità. Ma il più recondito anfratto di cuore si ancorava tenace alla speranza.

E poi Rey, e quel verdetto di morte. Inappellabile sentenza dinanzi alla quale non gli è stata concessa libertà di scelta, di replica. Non gli è stata concessa possibilità di dire la sua, di protestare per l’ennesima beffa di un destino avverso.
La speranza è morta, scivolata tra le dita prima ancora di fiorire. È restato il vuoto, il freddo. E lui si sente destinato al nulla e molto vicino a Jen, per questo. Enteambi ricorrono la “normalità” che il resto del mondo si permette di disprezzare, molte volte, mentre qualcuno la sfiorerà senza raggiungerla mai.

Il rumore dello steccato che si apre fragorosamente irrompe nel vorticare dei pensieri dell’aviatore. È Finn, con altro cibo, e il suo sorriso genuino che ti migliora la giornata di netto.
Seguito, poco distante, dal canticchiare di una scimmietta di otto anni che gracchia un motivetto infantile e si accolla, al pilota, braccia e gambe, prima che se ne renda conto.

«Poe» miagola, euforica «è vero che stasera balli con me, alla festa?»

Un sorriso enorme spunta al tenente colonnello mentre la bimbetta gli avvolge le braccia più strette, intorno al collo, e lo trafigge con due occhioni color nocciola cui fanno da cornice lunghi boccoli castani.

«Certo» esclama, convinto «sarò tutto tuo» la vezzeggia con un bacio sulla fronte.

«Che state facendo?» Lily chiede a Finn con il tipico candore dei bambini.

«Prepariamo per stasera» precisa il ragazzone muscoloso davanti a lei, «scommetto che vuoi darci una mano!»

«Sììì!» saltella lei pimpante.

Poe le si accovaccia ad altezza occhi «Ti va di gonfiare i palloncini ad acqua per fare un po’ di scherzi agli invitati, a fine festa?»

«Per tutta la festa, non solo alla fine» suggerisce lei in uno sguardo complice che vale più di mille parole. Dameron e socia mettono mano all’armamentario.
Presto sarà tutto pronto.
Il loro patto malefico è siglato con il lattice.

In men che non si dica, la musica riempie il cielo estivo delle sette del pomeriggio. L’afa oggi è clemente, ha ceduto il posto al più secco libeccio, che annuncia pioggia sicura nei
prossimi giorni.

L’odore di carne alla brace permea l’aria.
Finn e il tenente colonnello Dameron si danno gran da fare a intrattenere gli ospiti, sfornando salsicce e hamburger in quantità industriali. Generose pinte di bionda Budweiser rinfrescano le fauci riarse dal caldo e rallegrano gli animi dei presenti.
Poe, intento alla cottura ottimale della carne, è in fermento.

«Ehi, sei sulle spine. Rilassati, l’abbiamo fatto altri anni» lo canzona bonariamente Finn, che vede il navigato re del barbecue un po’ troppo nervoso.

Gli hamburger stanno fondendo, gli casca la spatola e pure la mascella, per poco. Pulisce frettolosamente le mani dal grasso della carne, misto alla fuliggine, sul grembiule e si dirige a passo di marcia, inciampando nei sacchi di carbone per terra, verso gli ospiti appena arrivati. Cerca di darsi una ripulita al viso sudato con il medesimo cencio che ha usato per le mani.
Saluta Tess e Jen con un bacio affettuoso sulla guancia, prima di essere travolto da un piccolo treno in corsa: una scimmietta di nome Lily.

«Quanto puzzi!» la bimba si lagna con disarmante sincerità, tappando il nasino con due dita mentre con l’altra mano sventola via il cattivo odore.

«Hai ragione, scimmietta. Scusa. Appena finisco di cucinare tutta la ciccia, vado a farmi bello per te, okay?»

Scimmietta approva, annuendo con la testolina riccioluta, poi corre da Finn a prendere un panino, mentre sua madre guarda tutta la scena divertita.

È di parola Dameron. All’ultimo giro di carne da cuocere, chiede a Finn di continuare e fila di sopra a rendersi presentabile.
Per fortuna nessuno dei vicini ha fatto troppe domande sugli accadimenti nel Vermont, trattenendolo.
Sceglie con cura il bagnodoccia al sandalo, che rilascia più a lungo la sua fragranza mascolina e intensa, sui ricci, che tampona solo con un asciugatoio, ma lascerà rigorosamente umidi. Vi applica la spuma effetto bagnato che li conserverà particolarmente morbidi anche quando si saranno asciugati all’aria.
Il profumo che sceglie è Fahrenheit di Dior, giusto qualche goccia tra i capelli e sui polsi.
Una t-shirt nera, quella un po’ aderente che fa molto sexy sull’incarnato dorato e, nonostante il caldo, non rinuncia ai jeans che gli fasciano le cosce tornite ed esaltano il fisico marmoreo che sa essere uno dei suoi punti forti.
Si guarda allo specchio: l’immagine che gli rimanda è gradevole. Tutto sommato è ancora aitante. E scemo! Si sente un adolescente alla prima cotta.

Scende di sotto e lo sguardo corre a Jen. È bellissima; indossa un golfino nero in cotone, abbinato a un abito dello stesso colore, ravvivato da piccoli fiori: un incanto. Ma è ora di aprire le danze, si è fatto buio e ha una scimmietta che lo attende e non deluderà.

Danzano a ritmo frenetico. Poe balla con Lily, poi travolge Tess, guarda Jen e le sorride e Dio, se vorrebbe stringerla tra le braccia e farla ballare.
Jen ricambia i suoi sorrisi, a sua volta.
Non ricorda a quando risale l’ultima volta che qualcuno ha fatto divertire sua sorella. Jake, il marito di Tess, è un soldato dell’esercito in missione, ci vorranno mesi, prima del suo rientro.
La maggiore delle sorelle Lindley, esausta, riprende posto accanto a sua sorella mentre il tenente colonnello continua a ballare sulle note di un ritmo suadente con scimmietta, che lo ha monopolizzato, e si divertono un mondo.
Ed è... ammiccante, ancheggia in maniera provocante e Jen se la ride sotto i baffi e indugia sui suoi movimenti perfetti, arrossendo vistosamente ogni volta che lui si accorge che lo sta osservando.

Dopo la sfrenata performance da ballerino, accalorato, si prende una pausa raggiungendo Finn alla staccionata. Sorseggiano una birra di seguito all’altra.

«Finn, ma Rose dov’è?» chiede l’ufficiale.

«Ha avvisato che sarebbe arrivata più tardi.»

Parli del diavolo, ed è... “in compagnia”.

Il giovane ingegnere sgrana le pupille all’inverosimile, il tenente colonnello sbianca come un lenzuolo. Rose si avvicina, non senza esitazione, e dà un bacio al suo ragazzo per salutarlo, poco dopo lo tira via verso il buffet o quello che ne rimane.

«Ciao» esclama una voce calda.

Poe abbassa gli occhi verso la bottiglia che stringe nelle mani.
«Non sapevo che saresti venuta» salta giù dal muricciolo accanto alla staccionata e le fa strada verso il buffet.
«Non è rimasto granché, mi spiace, se avessi saputo del tuo arrivo ti avrei tenuto qualcosa da parte» cerca di pronunciare frasi sensate, e si guarda intorno nervoso.

Il silenzio viene interrotto dalle note di Goodnight Moon e lui seppellisce un sorriso beffardo, scorrendo una mano tra i ricci, fin dietro la nuca.

Una mano morbida e calda gli afferra l’altra e, la ragazza arrivata da poco gli si stringe al petto, reclamando i suoi occhi.
Non vuole Poe, li evita, ma ci si ritrova immerso in quel verde intenso e nelle efelidi sul naso.
Lei gli poggia il capo su una spalla e pone l’altra mano a mezz’aria, in quella di lui. Non ci saranno travolgenti casquè, come nel night a Boston, ma il calore e l’odore familiare, l’uno dell’altra, sono sempre lì.

I fuochi d’artificio esplodono improvvisi. Poe, si ridesta di soprassalto. Solleva lo sguardo e rimane inchiodato in due pupille scure e lucenti come quella notte d’estate. Lo osservano, in lontananza, e poi scompaiono. Sta andando via.

Dameron si congeda dalla sua inaspettata ospite e corre verso l’ingresso del giardino, ma Jen è già oltre, non la vede più.
Raggiunge Tess, anche lei sta andando. Saluta affettuosamente scimmietta con un bacio, e chiede se può salire da loro un momento.

«È tardi, Poe. Scusa, ma Lily non dorme se c’è qualcuno in casa, si gasa troppo. Te la saluto io, Jen. Grazie di tutto.»

Si maledice, è un idiota. I fuochi d’artificio avrebbe voluto guardarli con lei.
Torna dentro e non c’è più nessuno, a parte Finn che resta a dargli una mano a togliere un po’ di baldoria lasciata in giro.

«Non guardarmi così, Dameron. Non ne sapevo niente. Rose non mi ha avvertito.»

L’ufficiale lo fissa torvo, ma poi si rabbonisce. Non crede che il suo migliore amico possa mentirgli.
Cerca di emettere respiri regolari per calmarsi, quando il cellulare gli vibra nella tasca retrostante dei jeans.
«Poe, sono Tess, scusa. Devo mettere Lily a letto, ma Jen non è a casa e non mi risponde al telefono, non posso lasciare la bimba da sola» dice il messaggio di testo.

«Ci penso io» le risponde laconico e gli sale il cuore in gola. «Finn, finisci tu qui, per favore?»

Si precipita fuori casa. Dove può essere? Cerca di calmare il battito impazzito del cuore che gli pulsa nelle tempie.
Pensa, Poe, pensa, Dio! Fa che non sia successo niente. Non può essere lontana.

E infatti la trova sulla riva del lago Chambers, poco distante il retro delle abitazioni.

«Jen» la chiama e lei si volta, nella luce dei lampioni, e gli regala due occhi sorridenti.

Poe affanna vistosamente, si poggia sulle ginocchia tirando un sospirone di sollievo.
«Tess è preoccupata, non rispondevi al telefono.» E io, diamine, ho il cuore in gola per te! Vorrebbe dirle.

«Ah, mi spiace» controlla nella borsa, «non c'è campo.»
Sei qui solo perché ti ha avvisato Tess, se no avresti di meglio che... “una storpia”.

«Scusa, Jen ma sei nuova e non conosci molti posti qui, mi sono preoccupato anch’io.»

«Se non fossi su una sedia a rotelle non vi preoccupereste, magari sarei stata solo un’invitata che se la svigna, con uno a caso, dopo la festa. Fosse vero...» aggiunge, amara, occhi verso l’acqua scura come il suo animo.

Abbassa il capo lui, indugia qualche attimo, poi si accovaccia per guardarla negli occhi, appoggiato alla carrozzina. Le sta vicinissimo, ne sente il delicato profumo fruttato.
Lei ne fugge lo sguardo, ma lui “la sente”.

«Jen, stai tremando.»

Si sente trafitta a quelle parole, il profumo da uomo che ha indosso è un richiamo languente ma non lo guarda, non può, fino a che le dita delicate della mano di lui non le portano il viso a incontrare i suoi occhi.

Perde il respiro, forse più d’uno, Poe. Due stelle velate di tristezza scintillano su un viso d’angelo, incorniciato da filigrana d’oro, su guance di pesca.

«Hai freddo?» chiede.
È folle il pensiero che lo sfiora dal modo dolce nel quale lei arrossisce e abbassa gli occhi a quella domanda.
Jen, è per me che tremi? Perché pensi che non m'importi di te? Non osa chiederlo ad alta voce.
Si risolleva e le domanda il permesso di riaccompagnarla fino a casa. Lei annuisce silenziosa.

Poco dopo, nel suo letto, in un’eterna lotta tra lenzuola, insonnia e zanzare, Jen sente dei rumori provenire dalla finestra aperta. Oddio,ti prego, no! teme il peggio, ricordando l’ultima volta che Amy si è introdotta in casa loro. Si mette a sedere, facendo leva sulle braccia, e si allunga per prendere il cellulare e chiamare Tess.
Un tonfo sul pavimento e un lamento ne richiamano l’attenzione. Quando realizza chi sia, per pudore, si porta le lenzuola addosso.

«Scusa» pronuncia un’ombra dalla zazzera riccia, con una mano in testa a lenire la craniata assestata all’infisso della finestra. «Sono fuori allenamento» ridacchia per stemperare la tensione.

«Hai l’abitudine di entrare sempre, in piena notte, dalle finestre dei vicini? Cosa sei “un amichevole Spider-Man di quartiere?” Mi hai fatto venire un colpo!» brontola, tirandogli un cuscino in piena faccia.

«È che alla festa... non abbiamo praticamente parlato.»

«Eri il padrone di casa, dovevi badare a tutti» gli fa cenno di accomodarsi accanto a lei. E lui non se lo fa ripetere.

È così bella alla luce della luna. La guarda e sono pericolosamente vicini e attratti l’uno dall’altra.
Anche lei lo fissa, e trema, ancora, come poco prima, al lago.
È un richiamo potentissimo, ancestrale: quel tremore chiede calore, quello di due braccia.
«Non puoi avere freddo, saranno ventotto gradi, come minimo» le sussurra sempre più vicino, non smettendo mai di tenere gli occhi nei suoi.

«Infatti, non ho freddo» ammette lei, sottovoce, a un passo dalle labbra di lui, da cui non riesce a staccare lo sguardo.

E Poe fa quello che avrebbe voluto dal primo istante che l’ha vista, la prende tra le braccia, la guarda, le carezza i capelli, il viso, lentamente e molto dolcemente. È un fuscello delicato stretta a lui. Calda e morbida, ancora di più le labbra, le guance che prende ad assaporare in piccoli baci, via via sempre più audaci e prolungati, tanto che ora anche lei lo stringe, scompigliandogli i ricci con entrambe le mani.

Jen, mia rovina e diletto, sei un paradiso.

Angolo Autrice:

Bene, abbiamo fatto un bel salto in avanti tra questi due impulsivi e appassionati protagonisti.
Entrambi, sia Poe che Jen, vivono la vita gustandosi il presente, senza preoccuparsi del domani, appunto come dice la canzone. Le conseguenze non le calcolano mai prima, si prendono ciò che vogliono, sul momento.

Long week end: lungo fine settimana che equivale ai nostri ponti per le festività.

Astenospermia: carenza di numero e potenza degli spermatozoi. A Poe Dameron insorge a causa di un varicocele di terzo grado che scopre di avere, a quattordici anni.

A presto.

Nives♥️.

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