La Misura delle Cose

Quando la mano di un uomo tocca la mano di una donna, entrambi toccano il cuore dell'eternità.

 Khalil Gibran 







La sorregge tra le braccia per poi adagiarla sulla battigia che sfrigola al frangersi continuo delle onde.
Il riverbero dei raggi solari, di mezza mattinata, si estende a perdita d’occhio lungo lo sconfinato litorale e splende tra i capelli di Jen, già inumiditi dai primi schizzi dell’oceano. Esso si riflette in un luccichio diamantino che sprigiona una miriade di scintille che si rincorrono sulla cresta spumosa delle onde.
Jen si abbandona, distesa, per lasciarsi carezzare dall’acqua e dagli occhi dell’uomo che le regala il suo tempo insieme a risate, calore e un affetto che non riesce a ricordare da quanto non avesse più provato.

La vita l’ha allontanata dalle esigue, granitiche amicizie sopravvissute al college.
È diventato quasi impossibile vedersi, ancor più dopo l’incidente. Troppa distanza, i figli, il lavoro, questioni organizzative e il denaro che non abbonda.
In tutto questo Poe rappresenta la quotidianità del viversi: qualcosa che, negli ultimi tempi, ha condiviso solo con Tess e la sua bambina.

Lo guarda rincorrere Lily; la fa piroettare – è in assoluto uno dei loro giochi preferiti – fino a puntare, poi, i suoi occhi scuri in quelli ridenti della scimmietta avvinghiata a lui.

Jen ripensa alla magia pura nello sguardo di sua figlia, pochi momenti prima, quando sono arrivati al residence. Poe ha preso in braccio Lily per farle scorgere il mare al di là delle vetrate del bungalow assegnato loro.

Il resort scelto è a metà strada tra la ricca e rinomata Bal Harbour e la più affollata South Beach.
È un luogo esclusivo che garantisce riservatezza e, allo stesso tempo, dove godranno di una grande spiaggia di sabbia bianca con acque cristalline e poco profonde. Poe è stato minuzioso nel ponderare il minor rischio possibile per Jen e la piccola: niente onde da surfisti ma comunque abbastanza alte da assicurare il divertimento.

Una volta immersi i piedi nell’acqua lo stupore di Lily erompe in una risata cristallina che echeggia tra la risacca; si tiene con un braccio ancorata alla schiena dell’aviatore, l’altro proteso in avanti con la mano rivolta a indicare l’orizzonte.

«Portami a giocare, Poe ma tienimi forte, perché le onde sono alte» gli chiede, faticando a sovrastare il fragore del mare, con una tenerezza e uno sguardo carico di fiducia che fiacca il respiro del pilota.  Lui afferra saldamente la piccola e corre verso il divertimento.
La tiene forte forte. Lo ha promesso.
Le risa della bambina sono così squillanti che giungono come una musica all’anima di Jen che li osserva, immaginando un moderno Tritone danzare con la sua piccola Ariel.

Poe non lascia Lily un istante mentre sfidano le bianche creste furenti. I fasci di nervi, lungo le spalle e la schiena del pilota, tracciano un rilievo argenteo che spicca sulla pelle scura e bagnata; si contraggono e intersecano a ogni movimento mentre i gridolini gioiosi di scimmietta si affievoliscono sulla spalla del tenente colonnello, dove la piccola nasconde il viso a ogni onda un po’ più alta.
Poco dopo, Poe prende nel gioco anche Jen; è sempre molto prudente, si tiene verso la riva.
Sembra un sogno, loro tre che scherzano tra le onde. Poe insiste perché anche Tess si unisca ma quest’ultima si rilassa sulla sdraio, al riparo delle grandi palme ombrose, dove è immersa nella lettura di un libro dalle pagine del quale alza gli occhi, ogni tanto, per scorgere lo spettacolo del mare e di sua sorella felice. E non le sembra vero.

A metà pomeriggio, Lily prende parte alle attività di animazione per bambini e Jen e Poe hanno dei momenti da dedicare solo a loro due.
Tess si è ritirata in camera sua.

Il bungalow è dotato di due camere separate, in modo che tutti abbiano il proprio spazio e di una zona giorno in comune. Tutte le suite della struttura affacciano sull’oceano e godono di un accesso privato a piccole porzioni di spiaggia, quando non si desidera usufruire del lido attrezzato.

Poe tiene Jen tra le braccia mentre le onde li cullano in una danza fatta di carezze e mille baci. Poco dopo, sdraiati sull’arenile, assaporano la pelle salata l’uno dell’altra mista al loro proprio odore che sprigiona un irresistibile mix afrodisiaco, acre e dolciastro al contempo, e Jen è sicura che, se esista un paradiso, è quello che lui le fa vivere.

Quasi non le sembra vero di essere la stessa ragazza insicura e irrisolta che è sempre stata. Le pare d’essere in una realtà parallela dalla quale, prima o poi, dovrà svegliarsi. E teme che quando accadrà si ritroverà a cadere faccia sull’asfalto da un’altezza vertiginosa.

Dopo il bagno, distesa sul grande letto, tra le lenzuola immacolate e profumate, appoggia il viso sulla pelle di velluto dorato dell’uomo che la stringe a sé. Vi scorre delicatamente il palmo della mano per gustare appieno del suo tepore. Percepisce nitidamente il battito regolare del cuore di lui aumentare appena, all’audacia delle sue carezze.
Vuole concedergli tutto di sé; non potrebbe altrimenti.
Lo amerebbe all’infinito... perché sì, lei si sta irrimediabilmente innamorando.
Si è ripromessa di non farlo, ma lui le ruba la ragione. Ad ogni tocco, ogni bacio, ogni volta che si sveglia e lo trova al suo fianco.
Potrebbe guardarlo dormire sereno, per l’eternità.
Dietro le lunghe ciglia di seta scura immagina che la stia sognando.

Gli regala il suo mondo, Jen, un pezzo per volta, con dedizione.
L’ha fatto per chi al risveglio non c’era, per uomini che non ricordavano il suo viso, il giorno dopo, affamata di quell’amore che, da sempre, crede di dover guadagnare, ha donato ciò che non ha ricevuto mai a ogni persona incontrata.
Fino a quando è arrivato lui.

Ma poi, davvero si guadagna l’amore?

Si dona senza riserve, Jen Lindley, perché è nella sua natura libera e generosa, anche quando sa che potrebbe rimetterci.
Si innamora di lui, Jen, ogni volta che lo guarda con la sua bambina; il modo in cui lui e scimmietta si cercano, la naturalezza con la quale la riaddormenta, cullandola, dopo un brutto sogno o perché un rumore, nel buio, l’ha spaventata. Le si annodano le viscere nell’osservarli insieme, sprofondati nel divano a strimpellare le corde della chitarra mentre quelle del suo cuore di madre vibrano e si tendono al punto che crede possano spezzarsi da un momento all’altro.

Perdono il conto delle volte che si sono appartengono, quel pomeriggio. Ci sono solo gli occhi, la pelle – che si respirano a vicenda – le mani di entrambi, a tratti sicure, a volte tremanti per la troppa emozione. Le mani che si rincorrono e s’intrecciano infinite volte, insieme ai respiri spezzati, per quanto si desiderano.

Lo richiama, sensuale come solo lei sa essere, porgendogli la schiena nuda e bianchissima.
È certa, dal guizzo nei suoi occhi, che lui abbia colto perfettamente il senso di quell’invito ma l’arte della sorpresa è parte del carattere dell’uomo che l’ha stregata.

«No, Jen. Io mi sento completamente appagato. Sei magnifica, non hai bisogno di dimostrarmi, ogni volta, qualcosa di più, perché con te ho già tutto.»

«Te l'ho chiesto perché lo voglio," insiste lei, conturbante all’estremo, ché è difficilissimo resisterle.

«Jen» la fissa profondamente negli occhi, tenendole il viso fermo tra le mani, la bacia sulla fronte «tu sei quello che io voglio. Quando mi baci mi perdo, fino a non sapere più nemmeno chi sono tanto è il trasporto che provo. E poi... voglio che con me sia speciale, diverso da qualunque altra cosa tu abbia sperimentato in precedenza.»

«Lo sai, Dameron riesci a essere irritante come una verruca su per il sedere!» ribatte lei, divincolandosi, stizzita e facendo leva sulle braccia per mettersi a sedere. «Mi hai appena etichettato due volte, dando per scontato che ciò che voglio fare con te lo abbia fatto con chiunque e pure che mi spinga la gratitudine? Una escort in pratica.»

«Perdio, Jen» inveisce lui, alzandosi di scatto dall’amorosa alcova, gesticolando ampiamente con le braccia e dirigendosi verso le vetrate.

«È davvero incredibile come travisi, tutte le volte, ogni singola parola! Potrei mai pensare questo di te?»

«Non saresti il primo» ribatte lei, ancora più piccata, «e vieni via di lì, David di Donatello, prima che ti veda Tess o chiunque altro.»

«Non t’importava, molto, poco fa, sull’arenile, chi accidenti potesse vederci.»

«Sei impossibile, Poe Dameron.»

«Tu uno yogurt andato a male, signorina so-tutto-io.»

«Idiota.»

«Presuntuosa.»

Più tardi, nella memoria dell’ufficiale resteranno impressi i fianchi morbidi di Jen, prona sui cuscini, e le dita maschili che affondano nella sua carne tenera, il riflesso del sole che le bacia i capelli, le labbra rosse dischiuse delle quali saggia il profilo con il pollice, godendo dei caldi sospiri che emettono.
Le labbra affamate dell’aria che lui le sottrae a ogni stoccata.

Ricorderà bene, Poe, la nenia crescente che non trattengono e che termina in un ruggito che rompe il silenzio del pomeriggio estivo, e del quale – sono certi – si sia accorto più di qualche ospite del resort, ma poco importa.
Gli amanti impertinenti ne ridono; quella gente inamidata non proverà mai neanche la metà di quello che sentono loro.
Spontanei, sinceri. Sfrontati e dolci e, più di qualche volta, esitanti quando sono persi uno nell’altra e i gesti vorrebbero trasformarsi in parole che hanno paura di ammettere a se stessi.

A lei resterà impressa la dolcezza, la lentezza, l’estrema delicatezza. Lui che la sfiora come si tocca un fiore e la conduce verso orizzonti inesplorati, per entrambi, e che rendono evanescente il ricordo del passato, ormai così lontano, da quando stanno insieme. Sa di renderlo felice, come lo è lei in questi attimi di cielo che rubano al tempo.


È

notte, di già. Tutto tace tranquillo, la prima giornata in quell’eden è trascorsa. Poe si alza per andare a bere, allunga lo sguardo verso la sua musa e, con tocco gentile, la copre con le lenzuola; un vento piuttosto fresco arriva dalle finestre aperte.
Il pilota volge lo sguardo anche verso il letto dove riposa la bambina, poco distante. Dorme serena, con Mrs. Nesbitt stretta tra le braccia. Sorride a quella visione.

Una volta in cucina, si dirige verso il mobile bar dal quale prende dell’acqua fresca che versa in un bicchiere. Poi si ferma presso le vetrate che affacciano sull’oceano. Nel cielo caliginoso lo spettacolo maestoso di una tempesta di fulmini, che si abbatte in lontananza, desta la sua attenzione;
pensa a Jen, a tutto ciò che la vita gli ha riservato in poco meno di due mesi, da quando si conoscono. Le labbra si curvano in un sorriso pieno che gli scalda il cuore mentre osserva i bagliori purpurei contornare il profilo dei nembi densi.
L’aliseo, che sferza l’oceano, rinforza fino a sollevare le tende. Uggiola nell’oscurità tra il mugghiare delle creste ondose che si ergono simili a spettri minacciosi su una distesa di pece.

Allo sfolgorio di un lampo, la vetrata gli restituisce l’immagine di un’ombra alle sue spalle. Non ha sentito arrivare nessuno, assorto tra i suoi pensieri, coperti dallo sciabordio delle onde. Gli si gela il sangue nelle vene e si volta repentino con il cuore in gola.

«Tess, per la miseria, mi hai fatto morire.»

«Scusa, Poe. I-io... avevo sete.»

«Non preoccuparti. Ci mancherebbe, con i rumori di sottofondo e al buio non potevo vederti» per pudore si nasconde dietro la penisola, dal momento che indossa solo la biancheria intima.

Tess non sembra prestarvi attenzione, si dirige verso il minibar ma quando la luce del piccolo frigo irrompe nella stanza rivela la donna abbigliata di un poco coprente negligé.

Poe si sente enormemente in imbarazzo e fa per sgattaiolare, tentando di non farsi notare mentre lei beve.

Prima che possa muovere un passo però, si sente afferrare per un polso, «aspetta, Poe. Dai, fermati a chiacchierare un po’.»

Lui ritrae il braccio da quel contatto indesiderato e tiene gli occhi bassi ma lei, messasi a sedere sulla penisola, si pone vicinissima a lui, in una posa provocante. Accavalla le gambe mentre porta alle labbra una pesca.
Lui deglutisce sempre più in difficoltà, senza emettere suono.

«Ti sei ammutolito all’improvviso?» sussurra lei, tanto vicina che può percepirne il profumo femminile e il fiato solleticargli il viso.

Poe indietreggia, vincendo l’iniziale pudore di mostrarsi in déshabillé. Deve andarsene.
Ma lei lo incalza, ponendosi di fronte a lui. Allunga una mano a carezzargli il viso e il labbro superiore, con il pollice.
Lui non ha mai alzato gli occhi, sarebbe peggio, considerata la “porzione del corpo della donna che il tessuto sottile evidenzia.

«Sei timido con me, Poe? Eppure ti sento, con Jen. Una sera vi ho visti e giuro che da allora non riesco a non pensare a quanto anch’io voglia scorrere le dita sulla tua schiena e farti gemere forte, come fa lei. Lo so... non dovrei, ma è così.»

Glielo dice d’un fiato, seguitando ad accarezzare la sua guancia, fino a portare gli occhi scuri come la notte, di lui, nei suoi.

Non vorrebbe guardarla ma lo fa. E, in quell’istante, si rende conto di quanto lei non sia solo la sorella di Jen, ossia l’assistente dai mille doveri, la vicina gentile che compare sempre con una tazza di caffè fumante.
Mille considerazioni si inseguono, sovrapponendosi nella mente dell’aviatore, in una frazione di secondo.
Tess: “la donna che non esiste”, un fantasma silenzioso e annichilito, ecco cos’è.
Invece no, è bellissima, una donna di valore quanto Jen anche se diversa da lei.

La fissa negli smeraldi lucenti e tristi e, di rimando, le accarezza i boccoli castani che scendono fino sulle spalle esili. Lei gli si avvicina, sempre più, per baciarlo.
Lui la trattiene per le spalle, fermamente.

«Tess, non le faresti mai questo. Lo sai anche tu!»

A quelle parole la donna china il volto, scossa da irrefrenabili singhiozzi.
Lui la abbraccia, accarezzandole piano i capelli e la schiena.
È un fuscello agitato da un pianto colpevole e dirotto.

«Mi dispiace, non lo so che mi è preso» si giustifica.

Poe se ne distacca, ciò che vuole è guardarla ancora negli occhi. Gli diranno la verità: e in cuor suo si augura sia stato solo un momento di crisi.
Le asciuga le lacrime e aspetta che sia lei a parlare.

«Non hai idea da quanto... non conto più i mesi, il tempo dal quale non lo sento, non c’è linea... potrebbe essere morto per quanto ne so io. Vado avanti così da anni.»

Quel tormento lo conosce bene, è lo stesso che l’ha separato da Rey, la ragazza che amava. Quando sei un militare la divisa viene prima d’ogni cosa.
Dai suoi occhi sa che non mente. È stato un attimo di debolezza.

«Sai, Jen è stata sempre più intraprendente di me.»

«Tu sei una delle persone più forti e straordinarie che conosca, Tess. Non è successo niente. Hai bisogno d’affetto, è solo questo.»

«Tu sei adorabile, Poe Dameron» ride nervosamente lei, cercando di allentare la tensione.

La abbraccia ancora. «Tranquilla, stai serena. Quando hai bisogno di parlare un po’, io ci sono. Non sei sola. Non siete sole» la saluta con un bacio sulla fronte, sciogliendo un abbraccio che faticano entrambi a lasciar andare. Lei per quel bisogno di contatto, di non sentirsi sempre e solo la tuttofare della situazione. Lui per un istinto di protezione, in virtù dell’affetto sincero che nutre per lei. Se arrivasse Jen, sarebbe un disastro, per cui Poe si congeda non esitando oltre.

I giorni volano ma l’aviatore sa renderli indimenticabili.
Una mattina porta le sorelle e la bimba alla base di volo.
Le ragazze fremono come scolarette quando lui le presenta a colleghi, superiori e ai giovani cadetti delle accademie in visita alla prestigiosa base NATO.
Si sentono onorate di conoscere un colonnello che sia in confidenza con le più alte cariche dello stato, se pure rimanga un uomo semplice al di là della divisa.
Quel giorno Poe indossa la tuta di volo verde militare. A Jen mozza il fiato, è così fiera di lui.
Il Capo di Stato Maggiore ha chiesto di incontrarlo a Cape Canaveral dove quest’ultimo si trova per un sopralluogo.
Finita la riunione formale, Poe porta le signore verso gli hangar.
I caccia, allineati, scintillano uno accanto all’altro in una fila ordinata in prossimità delle rampe dei depositi.
Una alla volta fa salire, su un’apposita scala passeggeri motorizzata, prima Lily, poi Jen e Tess nella carlinga insieme a lui per spiegare loro i comandi e, poco dopo, guida le sue ospiti in un tour in elicottero, sorvolando basso la costa di Miami. Infine si riserva un ultimo giro, da solo, con Jen. La prende in grembo, schiena contro il suo petto, e le fa manovrare la cloche e i comandi. Poco dopo, inserisce il pilota automatico e la bacia, a lungo, sentendola tremare tra le proprie braccia mentre le sposta i capelli dalla guancia, che il vento, dalle aperture laterali, agita sul suo viso. Non dicono niente; c’è solo la loro complicità, la magia dei loro silenzi capace di annullare il frastuono del rotore.

Una volta tornati in camera, dopo un bagno rigenerante, con indosso solo la biancheria e una t-shirt per ripararsi dall’aria condizionata, Poe cinge le spalle di Jen e con una mano le accarezza un fianco, scendendo lungo la parte laterale della coscia, fino al ginocchio in un lento ripetersi del movimento. A un tratto lei sussulta.

«Poe...»

«Che c’è?» continua lui senza interrompere le premure che le dedica.

«Poe» Jen irrompe nuovamente in un delicato sussurro. Lui la guarda. «Poe io... ho sentito qualcosa. Dove mi stavi toccando.» Lui insiste lungo la coscia e lei sussulta ancora. Le volta leggermente il viso verso il proprio per guardarla. Sorridono nello stesso momento.

«Ho sentito la tua mano. Io ho sentito la tua mano...» negli occhi Jen ha la stessa sorpresa di Lily quando Poe la porta ad arrampicarsi al Parco Avventura: sembra una bambina. La stringe di più e le carezze si approfondiscono anche nella parte dell’interno coscia, risalendo lente fino all’inguine e via più intime.

«Ti sento incredibilmente» lo invita con tono arrendevole, reclinando il capo sulla spalla di lui che la bacia tra i capelli sussurrandole quanto sia bella.

«“Pare che l'esercizio aiuti il ritorno della sensibilità completa”, ha detto la tua fisioterapista. Allora bisogna essere costanti» insinua malizioso e tenero e non solo con le parole.

La libera di ogni ostacolo che si frapponga tra lei e le proprie dita che sapienti eseguono un ardito giro armonico. Suonano, per la sua amata, le corde del delicato liuto femminile che lei schiude per lui.
Nel mentre, i polpastrelli dell’altra mano si insinuano al di sotto della maglietta a saggiare, con doviziosa perizia, le rosee chiavi di flauto che sbocciano sul seno.
Le corde si estendono e contraggono al pizzicare sapiente delle dita dell’abile liutaio e, in accordo con le chiavi di flauto, sprigionano un’ incantevole armonia di suoni che si irradiano dal corpo alle labbra dell’amata, che Poe bacia tra i capelli. Una sinfonia composta dai mille sospiri reciproci dei due amanti, suggello della loro estasi.

La volta verso di sé e le copre di baci il viso arrossato. «Sei così bella, Jen. Dimmi che sei felice quanto lo sono io» gli trema la voce mentre la guarda, venerandola.
Jen non riesce a rispondergli niente, solo gli copre il viso di carezze, ancora scossa dal piacere inenarrabile di cui il suo amante è stato l’artefice.

«Jen» mormora ancora con voce sommessa, «è così bello con te. È come fare l’amore per la prima volta. Le emozioni che provi sono così forti e pensare di essere io a farti sentire tutto questo, dopo tanto tempo, mi toglie il respiro.»

Tu fai l’amore con me?
Non è certa di aver capito bene.
«Poe, nessuno mi ha mai toccata piano come fai tu. Nessuno mi ha mai guardata come mi guardi tu. Tu mi fai sentire... speciale» sussurra con un filo di voce e gli occhi aggrappati ai suoi.

«È ciò che sei, speciale e preziosa. E mi guardi in un modo che io non merito» mormora a sua volta.
«Ho avuto una vita prima di te, Jen ma tu risvegli in me qualcosa che credevo non potesse tornare. Qualcosa che, a lungo, so di aver provato solo io. Da quando sto con te so che sentiamo le stesse cose; non sono quello più coinvolto, lo siamo entrambi. Mi sento desiderato quanto io desidero te. Non so se ha un accidenti di senso, per te, quello che sto farfugliando» la guarda smarrito e Jen percepisce tutto il coraggio che gli serve per quella confessione impacciata, tenera, come lo sguardo che ha negli occhi. Sente che finalmente inizia a liberarsi, tra le sue braccia, di una solitudine antica che lo attanaglia da molto. Forse da quando non ha più i genitori, forse frutto di storie precedenti andate male. Perché poi? Con un tesoro del genere, cosa potrebbe essere andato male, e perché? Il suo Poe è adorabile.

La sua dea lo trae a sé, per travolgerlo dello stesso struggimento che lui le ha appena regalato. Gli affonda le dita tra i ricci, che tira e tormenta mentre lo sente morire dentro di sé, godendo del respiro caldo e speziato che rilascia sulla sua pelle. Gli accarezza la schiena, lo stringe dai fianchi mentre lui si abbandona tremante con il viso immerso nella distesa d’oro dei suoi capelli.

L’ultima sera, Poe ha ancora qualcosa in serbo per la sua Jen. Hanno cenato presto, in camera, e dopo aver indossato i costumi sono scesi in piscina: le ha detto che vuole fare un bagno con lei.
Quello che ha omesso è che ha riservato l’accesso solo per loro due. Poe sospinge la carrozzina fino al bordo della vasca e Jen non può fare a meno di notare candele, fiori e una musica di sottofondo. C’è anche un cestello con dello champagne e due calici, posizionato in un angolo, vicino il passamano per scendere in acqua.
Le slaccia l’accappatoio, dopo aver tolto il proprio, e la prende in braccio.

«Mi concede un ballo, signorina? È da tanto che vorrei invitarla» le chiede con la fronte poggiata alla sua.
Ha un pochino le vertigini, Jen. Non sa se per la paura che lui possa scivolare, con lei in braccio mentre discendono i gradini, entrando in acqua, o se è semplicemente lui a farle quell’effetto.
La musica diffonde la sua melodia e, una volta immersi nelle acque riscaldate, lei gli posiziona le braccia sulle spalle larghe e gli accarezza il viso.

«Vuoi ballare con me, Jen Lindley?» le sorride in quel suo modo irresistibile.

«Onorata, bell’ufficiale. Lo desidero dal momento che ti ho visto per la prima volta» mormora lei, abbandonando il capo sulla sua spalla.

Non dicono niente, danzano, nella semi oscurità delle luci soffuse, fronte contro fronte, per momenti interminabili.
No, non sta ballando Jen, tra le sue braccia. Vola, ne è sicura! Più che sull’elicottero, qualche giorno prima.

«Hai freddo? Siamo stati troppo in acqua? Avvicino gli asciuga–»

«No» lo trattiene lei, stringendolo di più. Allora la guarda: ha gli occhi lucidi, la bacia sulle guance, non smette mai di accarezzarle il volto. Di quegli occhi arrossati non è il cloro il responsabile. La bacia, ancora, le accarezza il capo per tutto il tempo. Lei gli si aggrappa in un abbraccio che avvolge senza imprigionare e che urla, silenzioso, insieme all’espressione sul suo viso, quanto lui la renda felice a ogni gesto attento e premuroso che compie per lei.
Le labbra lambiscono lentamente le une quelle dell’altro, mentre la musica e il lieve gorgoglio dell’acqua li avvolgono.
Si guardano, si accarezzano in silenzio, nella penombra, tutto il tempo. Incanto e magia.
Una lacrima silenziosa fugge dalle palpebre della donna, lui prontamente la asciuga con un bacio. È così fragile che potrebbe rompersi come porcellana, tra le sue mani.

Quando tornano in camera, prima di dormire, l’aviatore tira fuori un foglio dal cassetto del comodino, lo ripone in tasca e poi la prende in braccio e scendono alla spiaggia, si sdraiano sotto il manto scuro di un cielo trapunto di brillanti.
Le tiene la mano mentre cercano le costellazioni che riescono a indovinare. Si volta verso di lei e non può fare a meno di osservare, con una tenerezza che gli stringe il cuore, la bambina col dito puntato verso l’alto che gli spiega tutto quello che sa sul cielo australe e la Croce del Sud.

«Ti voglio far sentire una cosa che ho scritto» le dice.

«Sono curiosa, sì. Ma... quando hai avuto tempo di scrivere?»

«Le notti, prima di addormentarmi. Ogni tanto scendevo giù alla spiaggia e finalmente sono riuscito a finire questo pezzo che ho iniziato da un po’ di settimane.»

«Questo posto ispira» gli sorride lei.

«Non solo il posto, Jen.»

Si tengono per mano, sulla fresca sabbia bianca e lui canta per lei.

“Amore non voltare le spalle al futuro che bussa alla porta.
Non lo farai entrare forse?
Mentre ti supplica di peccare, prima dello spegnersi della candela.

Ora facciamo l’amore a memoria, potrebbe riuscirci bene e salveremmo le nostre anime, stanotte.
Sarebbe come cancellare in una parola tutte le stronzate che ho fatto.

E, se ti fa star bene, sdraiati accanto a me, poggiando la testa contro la mia e respira via il dolore che opprime i polmoni.

Oh, amore col mondo in fiamme, le nostre lingue intrecciate prendono tempo per gemere, tra le magie che siamo soliti sussurrare, in una danza altalenante, in questi bollenti giorni estivi.
E se ti fa star bene, sdraiati accanto a me e respira il buono che c’è nella mia anima."


Angolo dell’Autrice:


Bene, non mi dilungherò ulteriormente alla fine di questo capitolo, lungo di per sé.
Vi è venuto il diabete per il troppo romanticismo?
Ve lo faccio passare subito spiegandovi perché ho voluto ancora approfondire il rapporto intimo tra i due; e non l’ho fatto per caso.

Certo è una vacanza e come tale doveva essere un momento magico per cementare ulteriormente il loro legame: questo avviene quando Jen chiede a Poe qualcosa che agli uomini piace parecchio e lui non è né diverso, né principe, né finto. È sincero nel volerle far notare che è veramente felice senza performance extra, con lei.
Lei però non la prende benissimo. Si sente come giudicata da un perbenismo che non appartiene a Poe. Scaramucce e incomprensioni normali che alla fine si risolvono nel modo più piacevole: normalità di una coppia.

Nella seconda parte abbiamo la sorpresa (o forse no) di Tess. La odiate? Nel mondo dei vivi le brave persone commettono errori. Ho voluto sottolineare tutta la pesantezza cui va incontro chi vive accanto a una persona che ha difficoltà. Tess è sfinita, sola da non si sa bene quanto tempo, come la maggior parte di coloro che prestano supporto fisico e morale a chi ha un problema. La sua cura per Jen è iniziata molto prima della ferraglia e suo marito è un soldato in missione per mesi interi.

Nella terza parte affronto prettamente un fattore medico: quello che Poe dice a Jen è sacrosanto. Una disabilità di tipo reversibile come quella di Jen, torna alla normalità anche con una riabilitazione anche di tipo sessuale. La persona ne ha bisogno perché il desiderio non si affievolisce ma le reazioni fisiche a livello dei genitali sì.
Molto può un partner attento e innamorato che farà di tutto per far vivere, a chi affronta delle difficoltà, un’esperienza intima e profonda.

Detto ciò vi auguro un buon proseguimento, nel prossimo capitolo ci saranno dei ritorni dal passato di Poe. Stay tuned.

Nives.

Un ringraziamento speciale va a @lyrrikirryl meravigliosa artista che mi ha regalato la fanart che apre questo capitolo. Seguitela su IG e su Ao3 e inondatela di tanto amore, kudos e quant’altro meriti ♥️.

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