Arrivi e Ritorni
Quest’inedia sonnolenta non può restare,
mentre un amore spettrale gioca con le luci.
Non voglio mentirti, se arriverà la marea non sopravvivremo.
Ho tirato via un’altra foto dal muro
perché non le voglio più.
Ho nuotato in queste acque così a lungo,
ho sempre pensato che non avrei raggiunto la riva.
Quando ne sono uscito, tu aspettavi lì sorridendo,
radiosa, nonostante i tuoi traumi.
Splendi, sole che affonda. Il declino del tempo mi piega.
Not Changing Pops Seeking
Oscar Isaac
«Bene, ragazzi, quale di queste canzoni dovrei suonare? Mmh... proviamo questa.» Sorride, mentre posa la sigaretta accarezzando con un ultimo sguardo gli accordi sullo spartito.
In un pomeriggio di metà giugno il frinire delle cicale è divenuto assordante; ciò suggerisce che la temperatura ha oltrepassato i trenta gradi o poco più, ma l’umidità ne fa percepire parecchi in più.
Una voce si libra tra il folto degli alberi, al culmine della loro stagione, e il richiamo stridulo degli insetti.
Dal terrazzo situato sul tetto di una casa, un giovane uomo in calzoncini, a gambe incrociate e piedi nudi, inganna l’insopportabile canicola con le note che vibrano dalle corde vocali a quelle della sua Fender Stratocaster.
Un applauso entusiasta, al termine di quella ignara esibizione, richiama la sua attenzione. Affacciatosi dal parapetto, i suoi occhi scuri come chicchi di caffè si curvano sorridenti, accompagnando un inchino e poco dopo cercano, curiosi,
“i misteriosi ammiratori”. L’uomo si sofferma a osservare una giovane donna che gli sorride e, poco distante, una bimba che sgambetta felice sull’altalena ricavata all’interno di un vecchio pneumatico appeso a un ramo; infine nota un volto rimasto in penombra. Tra le foglie c’è abbastanza luce per scorgere uno sguardo vispo e sfuggente che si ripara dietro una mano, per poi scomparire tra un groviglio del colore del grano.
Un temporale estivo è in arrivo; l’odore muschiato di terra bagnata si fonde con l’elettricità che permea l’aria.
Anche i due amici del musicista, un giovane dalla pelle d’ebano e una ragazza dai tratti asiatici, rivolgono dal terrazzo un saluto alle vicine che hanno assistito alla performance dal giardino della casa adiacente. Dopo la piccola parentesi canora, i tre restano a chiacchierare.
«Ehi, evidentemente non era male» esclama Poe Dameron. Porta una barba folta e i capelli ondulati ricadono sulle spalle, il che ne definisce l’anima anticonformista.
La sensazione di libertà che prova, non essendo in servizio, ingabbiato nella rigidità della vita militare, lo rinvigorisce.
«Eh no! Non è per niente male la tua musica. Ti rendi conto che tra due settimane ce ne andiamo al Waterfront Blues Fest? Non è proprio la sagra dell’oratorio di quartiere» precisa Finn tutto euforico. «Però dovresti smetterla con il fumo, ti rende la voce rauca.»
«Che vuoi dalla mia voce graffiante?» protesta il cantante, rilasciando dalle labbra volute di fumo provenienti dalla Marlboro rimasta sul posacenere durante l’esibizione. «La mia voce è adatta al folk, al blues, al country e al grunge. Sta bene con tutto» si vanta, «e poi è sexy.»
«E tu di nuovo sul mercato, scapolo d’oro. Giusto?» lo canzona affettuosamente Rose.
«Così si dice» annuisce lui, sporgendosi a indicare la villetta di sotto. «Chi vive adesso nella casa dei Lars? L’hanno affittata? È stata vuota per anni.»
«Le sorelle Lindley. Sono arrivate a settembre scorso. La minore è un’insegnante di sostegno, mentre la più grande è un funzionario del governo per l’immigrazione» precisa Rose.
«Cavolo, sono mancato proprio un sacco.»
«“Ci sei”mancato proprio un sacco, Poe Dameron» lo vezzeggia l’amica, coccolandolo in un abbraccio.
«Guarda che poi si monta la testa» interviene Finn con gli occhi al cielo.
«Ma, a proposito, voi le conoscete già?» chiede curioso Poe, riferendosi alle nuove arrivate.
«Sì, ci siamo conosciute quasi subito, al loro arrivo, perché Jen lavora nella mia stessa scuola» risponde Rose, «poi le ho presentate anche a Finn, qualche tempo dopo. Ogni tanto siamo pure stati a cena insieme.»
«Ottimo. Sono l’unico nel quartiere che non ha ancora dato loro il benvenuto» osserva Poe, alzando un sopracciglio.
«Ma ora sei tornato. Ci riprenderemo il tempo perso.» Finn gli posa affettuosamente un braccio sulle spalle.
«Sono libere? Chi delle due ha una relazione? Ho visto una bambina nel loro giardino. Vado a invitarle a cena. Ho il frigo pieno zeppo di costolette che aspettano solo di essere cotte e divorate. Finn, mi daresti una mano col barbecue? Ovviamente ci sarete anche tu e Rose».
«Sei incorreggibile, Dameron! Ti rendi conto di quante cose hai detto e deciso in un’unica frase?...
“deformazione professionale”, giusto, tu e la smania di organizzare, fare» comandare pensa Finn, rassegnato all’esuberanza dell’amico.
«Senti, non farti strane idee, eh. Voglio solo essere ospitale con le nuove vicine, non ho secondi fini» ironizza, inarcando un sopracciglio che lascia presagire odor di guai a distanza di miglia, se lo conosci bene.
«Ehi, Tess! Sei sempre la solita sfacciata, che t’è venuto in mente di metterti ad applaudire in quel modo?»
«Sei tu a essere un’asociale, è diverso» controbatte la maggiore delle sorelle. «Sono semplicemente amichevole con il vicino che ancora non conosciamo. Dicono sia un aviatore e sia stato persino al servizio di Obama, alla guida dell’Air Force One. Mica male! I piloti sono dei fighi. Era con Finn e Rose, la tua collega. Abbiamo la scusa per invitarli a cena, una sera di queste.»
«Ti ricordo che sei sposata, Tess. Jake è via da un po’, ma tornerà. E “io” mi trovo i fidanzati da sola, grazie. Non c’è bisogno che mi organizzi anche la vita privata» Jen frena lapidaria l’incontenibile sorella tuttofare. «Piuttosto, mi avvicineresti un pochino di più il
“bolide”? Comincia a essere troppo umido qui fuori.»
Poco dopo si sente bussare alla porta. La maggiore delle Lindley va ad aprire, ritrovandosi davanti un gradevole esemplare maschio dalla corporatura media e la carnagione olivastra. Ha capelli e barba riccioluti. Da quest’ultima spunta un sorrisone che illumina due spicchi vivaci colore del caffè, e con voce entusiasta si presenta: «Salve, sono il vostro vicino, Poe Dameron». Allunga una mano amichevole verso Tess, che ricambia sorridente.
«Piacere, Teresa Lindley» ribatte lei, facendogli cenno di entrare.
«Oh, no grazie, non voglio disturbare. Sono passato solo un momento per invitarvi a cena più tardi, se volete. Mi piacerebbe darvi il mio benvenuto. Vi aspetto per... le sette?»
«Volentieri, Poe Dameron, saremo da te alle sette. Grazie della gentilezza. Siamo io, mia sorella e una piccola peste di otto anni, che spero non ti smonti casa». Teresa gli sorride di rimando, immaginandolo in difficoltà nelle grinfie di Lily.
«Non temo nulla, so far divertire anche i più piccoli. A più tardi allora» la saluta il pilota, eclissandosi dietro la siepe da cui è spuntato.
«Chi era?» chiede flemmatica Jen, quando Tess torna in cucina, mentre seguita a intrecciare i lunghi capelli di sua figlia Lily, seduta sulle sue ginocchia.
«Il vicino canterino.»
«Allora?» Jen allarga le braccia mentre fa spallucce.
«Ci ha invitato a cena.»
«Io sono un disastro, vai tu. Resto qua con Lily: pizza e film.»
«Non se ne parla. Tu vai a darti un’ampia sistemata e io con Lily arrivo da Moffett’s a prendere i cupcakes. Ti va, piccola?» chiede Tess alla bambina.
«Sì, sì, zia Tess, buoniii! Possiamo prendere anche quelli al cioccolato con gli zuccherini?»
«Certo, poi torniamo a casa e scegliamo cosa metterci, ok? Intanto lasciamo il bagno a mamma, che come al solito ci metterà un’eternità. Dai, Jen muoviti! Ti porto su
“la ferraglia”. Niente storie.»
«E va bene, capo! Mi ci vorrà un’impresa specializzata in ristrutturazioni, ma per le sette ce la posso fare, mancano due ore!»
«Eh no, carina, il bagno serve anche a noi! Non illuderti che te lo lasci per tutto il tempo» precisa Tess mentre le porta su la sedia a rotelle.
Jen si aggrappa al passamano e si solleva dalla sedia a rotelle. Posizionatasi a sedere sui gradini inferiori delle scale che portano alle camere del piano superiore, sale all’indietro, facendo leva sulle braccia, con il suo sederotto che un po’ funge da ammortizzatore.
Il montascale è rotto. Andato. E costa un rene ripararlo!
«Va beneee. Messaggio recepito. Mi sbrigo» fa eco a Tess dietro la porta chiusa della toilette.
La paglia, in confronto alla secchezza dei miei capelli sottili e sfibrati dal sole, è seta, pensa Jen. Riempiendosi di schiuma, si passa il rasoio con cura: ascelle, inguine, mezza gamba; le gambe non sono il suo punto forte, ma è meglio tenerle in ordine. Intanto l’impacco all’olio di albicocca, che ha tenuto in posa mezz’ora, ha fatto il miracolo e finalmente i sottili fili d’oro, che districa delicatamente con il pettine, sono tornati decenti! Un top color glicine, e un pantalone largo e comodo andranno benissimo. Lo smalto semi permanente vermiglio sui piedi bianchissimi e sulle mani fa il suo bell’effetto. Si passa il burro di cacao alla ciliegia ed è fatta. Poco dopo viene raggiunta da Tess, che la squadra da capo a piedi. «Hai messo il pigiama? Pantaloni sformati e infradito?»
«Sto solo andando dall’altra parte del giardino, Tess. Non rompere.»
«Non si tratta di questo. Hai mille cose più carine nell’armadio. E poi te lo dico sempre: fa caldo con quella roba da clausura fino alle caviglie.»
«Le sette sono passate da dieci minuti, ci muoviamo?» la precede Jen, seccata, avviando la sedia a rotelle.
Bussano all’uscio di casa Dameron e ad accoglierle trovano una ragazza asiatica, di statura minuta.
«Rose! Ciao» Jen la saluta, è sorpresa di trovarla lì. Non aveva idea che la sua collega nella scuola elementare fosse amica dell’ufficiale.
«Ciao, Jen, che piacere! Ciao, Tess, ciao, Lily! Vi faccio strada, venite.»
Rose conduce le ospiti sul retro, raccontando alle sorelle che lei e Finn, il suo fidanzato, sono amici di vecchia data dell’aviatore. Dal folto di una chioma raccolta in una mezza coda, spuntano due occhi attenti che guardano nella direzione del gruppetto appena giunto. Con fare disinvolto, Poe pulisce le mani sul grembiule, che posa in un angolo, e va incontro alle sorelle Lindley per fare gli onori di casa.
Saluta ognuna delle sue ospiti e il suo sguardo indugia qualche attimo in più sull’ultima della fila, rimane sorpreso nel constatare che la sorella di Tess è su una sedia a rotelle. Si dà immediatamente dell’idiota, sperando di non averla messa in soggezione per averla guardata con aria da pesce lesso. Si avvicina sfoderando uno dei suoi sorrisi ammalianti.
«Ciao, io sono Poe, Poe Dameron» le porge la mano deciso.
La testolina bionda, poco più in basso, solleva le pallide dita, smaltate vermiglio, per incontrare il palmo dalla pelle olivastra dell’aviatore.
«Piacere, io sono Jennifer». Schiude appena le labbra in un sorriso che le illumina gli occhi. Al riflesso rossastro dell’ultimo sole, le sue iridi sprigionano un caleidoscopio di pagliuzze dorate, in cui lo sguardo del pilota rimane irretito per qualche istante più del dovuto, tanto che dimentica di allentare la presa sulla mano della ragazza. Viene ridestato da un piccolo terremoto che reclama sua madre.
«Mamma, devo andare in bagno» miagola una vocettina, richiamando Jen e il pilota.
«Oh, vi faccio strada. Se passiamo dal retro, il bagno è proprio vicinissimo.»
Rose, che è nei paraggi e conosce la bambina, si offre di accompagnarla per alleggerire Jen.
«Così lei è tua figlia?» chiede Poe candidamente.
«Sì, Elisabeth. Ha otto anni.»
«Dai capelli credevo fosse figlia di tua sorella, li hanno uguali» osserva lui, notando come i capelli biondi di Jen contrastino con il castano di quelli di Tess e della bambina.
Una figlia di otto anni?... Ma hai il viso di una ragazzina, pensa l’aviatore tra sé.
«Si somigliano molto, non sei il primo che lo dice.»
La voce possente di Finn irrompe nel chiedere a tutti di prendere posto.
«La cena è pronta!»
In lontananza, il baluginio dei lampi squarcia il cielo livido del crepuscolo.
Il vento è cambiato e lo zefiro allieta la conversazione, a tavola. È imbandita in maniera frugale, sotto il pergolato sul retro di casa Dameron, adorna di una semplice tovaglia a scacchi rossi e bianchi i cui lembi si sollevano, a intervalli irregolari, alle folate più vigorose del vento di ponente. Abbondanti porzioni di costolette, salsicce e hot dog, insieme a pane da hamburger, bibite e numerose bottiglie di birra ghiacciata, si avvicendano in un rapido passaggio di mani tra i presenti.
Il chiacchiericcio vivace dei commensali si sovrappone all’acciottolio di piatti e stoviglie che fa da sottofondo a un momento leggero del quale Poe approfitta per approfondire la conoscenza delle vicine.
«Tess, di cosa ti occupi di preciso? Io sono rientrato da poco a Lacey, perché sono in congedo dopo una lunga missione, e sapevo che la casa qui accanto alla mia era sfitta da tempo. Rose e Finn mi hanno detto del vostro arrivo in città» spiega l’ufficiale, prendendo un generoso sorso di birra. È un padrone di casa attento e si preoccupa di parlare con tutti.
«Sei un militare?» irrompe a quel punto Lily, tutta entusiasta, mentre ancora mastica un bel boccone del suo hot dog con la bocca mezza aperta e le guance piene, «Hai detto la parola “missione”. Sei come lo zio Jake, anche lui va in “missione”!»
«Lily, da brava, non si interrompe. E non si parla con la bocca piena, è pericoloso, lo sai», le sussurra sua madre, chinandosi appena per contenere con garbo l’irruenza di sua figlia.
Poe non può fare a meno di notare la sua grazia nel non rimproverare la bimba dinanzi al resto del gruppo.
«Sì, Lily, sono un militare, per la precisione un tenente colonnello.»
«E che cosa fa un tenente colonnello? Mio zio fa la guardia. Fai la guardia anche tu?»
«Sì, faccio la guardia anche io, però nel cielo, perché posso far volare un aereo» spiega Poe alla bambina che, frattanto, finito di mangiare, si pulisce la bocca con il dorso della mano, spostando una ciocca di capelli che il dispettoso vento serale le riporta all’angolo delle labbra dove uno sbaffo di maionese l’ha trattenuta.
«Wow, tu fai volare un aereo? Che bello! Una volta mi porti con te? Mi piace un sacco stare in alto, mi arrampico sempre sugli alberi.»
«Lily!» esclama Jen un po’ spazientita, «Usa i tovaglioli! Hai la salsa nei capelli, vieni qui» si affretta a ripulirla mentre il pilota seguita a fissare le due, sorridendo intenerito, seppur cercando di non farsi notare. Poco dopo, riporta il proprio sguardo sul viso di Jen, ne osserva le gote di porpora nell’attimo in cui anche lei lascia guizzare gli occhi su di lui nel mentre che le sue mani seguitano a detergere il viso della piccola Lily con un fazzolettino di carta inumidito con qualche goccia d’acqua versata dal suo bicchiere.
«Dicevamo, Tess, che lavoro fai?» Poe torna a rivolgere la parola alla maggiore delle sorelle, distogliendo gli occhi da Jen.
«Mi occupo di controllare e approvare i visti per l’immigrazione. Un lavoro impegnativo ma sicuramente non interessante quanto fare il pilota!» proclama la donna, servendosi dell’altra insalata.
«Ah, non buttarti giù» interviene Rose mentre passa le verdure grigliate a Jen. «É un lavoro di grande responsabilità e prestigio e tu, Tess, sei una persona precisa e affidabile.»
«Concordo», aggiunge Finn, «ci sono così tante storie di disagio e bisogno dietro ogni persona che passa nei tuoi uffici, e tu sei in gamba.»
Tess sorride e abbassa leggermente gli occhi; un lieve imbarazzo le tinge le guance all’accorato sostegno della coppia di fidanzati.
«Concordo; oltre che senso del dovere, bisogna avere attitudine per valutare le situazioni e decidere della vita di tante persone» asserisce Poe, «il qui presente ingegnere informatico è un damerino dietro la scrivania, invece. Vita comoda!» l’aviatore pungola l’amico di una vita.
«Tu pensa per te, Dameron. La mia fatica è tutta qui» Finn indica la sua testa alludendo alle sue spiccate doti intellettive e a sottolineare quanto il suo lavoro sia faticoso.
«Invece il lavoro che svolgete tu e Rose, Jen, io non potrei mai farlo. Ogni giorno combattete con orde di ragazzini urlanti con mille bisogni. Eroico, se consideriamo i tempi che corrono. Anche se non sono genitore, sicuramente essere insegnante non dev’essere meno faticoso.»
«Suppongo di sì, sta diventando un’impresa lavorare con i ragazzi e, molte volte, soprattutto con i loro genitori, eppure è la mia vita! Adoro i miei piccoli studenti e non potrei fare altro» a Jen non resta che accondiscendere alle osservazioni del tenente colonnello ma l’impresa più ardua è controllare il turbamento che avverte crescere sotto lo sguardo profondo del suo interlocutore.
«Da quanto tempo insegni?» chiede l’aviatore, guardandola dritto negli occhi seppure sollevi il bicchiere per finire la sua birra.
«Da circa sette anni, ma è qui a Lacey che ho ottenuto la mia cattedra di ruolo.»
«Ah, dunque è per questo che siete arrivate in città?»
«Indovinato» gli sorride lei, mentre tenta di sembrare più disinvolta.
Poe è riuscito a portare Jen nella conversazione. Non l’ha mai persa di vista in verità, nemmeno mentre parlava con gli altri. Continuando a sbocconcellare qualche ultimo pezzetto di pane, la osserva nuovamente. All’angolo opposto del tavolo, gli occhi di agata della donna sono puntati sulla sua bambina che, finito di cenare, è corsa a sgambettare sull’erba del prato inglese con la sua scimmietta di peluche, con la quale intavola una fitta conversazione. Non prende la parola Jen, se non interpellata; se ne sta un po’ in disparte, è attenta che sua figlia si comporti a dovere e ogni tanto volge le pupille lontano, verso il cielo squarciato dal bagliore dei fulmini.
La cena è ormai al termine e, dopo il gelato che ha ridestato subito l’attenzione di Lily, Poe prende la chitarra e, insieme a Finn, intrattiene gli ospiti iniziando a canticchiare qualcosa assieme all’amico. La piccola è immediatamente attratta dal nuovo passatempo: i grandi hanno smesso i discorsi noiosi, quindi la bimba corre incontro all’aviatore arrestandosi a pochissima distanza da lui. Lo fissa in una muta richiesta a cui lui pare sciogliersi, accogliendola al volo. Le porge la chitarra, attento a sistemarla con cura, e le fa strimpellare le corde, sedendosi a terra per fronteggiarla e farla familiarizzare con lo strumento. Gli occhi della bambina sono incollati su di lui e sulle corde, con aria adorante.
La serata è stata rilassante, il tempo ha tenuto e le ospiti stanno salutando.
Jen è l’ultima a uscire dallo steccato. Accorgendosi di aver dimenticato il peluche della figlia, si volta indietro, trovando lo sguardo dell’ufficiale posato su di lei. Tra le mani stringe una scimmietta. Le sorride e le va incontro di corsa, perché nel frattempo ha iniziato a piovere goccioloni pesanti.
«Appena in tempo, Jen.»
Gli sorride. «Appena in tempo, Poe» e sparisce di corsa sulla sua “ferraglia” come l’ha ribattezzata.
Angolo Autrice:
Salve a tutti. Eccoci all’inizio di questo viaggio.
Allora, partiamo subito col dire che ho voluto eccezionalmente tradurre l’incipit, tratto dal brano scritto da Oscar Isaac.
Di solito preferisco lasciare le citazioni originali, perché la resa in altre lingue, alle volte, porta via qualcosa al flow.
Questa volta mi è parso non fosse così, dunque volevo che vi arrivasse la poesia di Oscar e il testo che parla di un amore travagliato.
Il Waterfront Blues Fest è un festival musicale che si tiene a Portland, tra fine giugno e inizio luglio, la nostra storia infatti è ambientata a Lacey, sulla West Coast, nello stato di Washington.
Bolide e ferraglia sono termini ironici con i quali Jen si riferisce alla sua sedia a rotelle.
Che ne pensate di Poe? È troppo intraprendente? È sfacciato? Può andare d’accordo con Tess? Sembra molto diverso da Jen, più riservata di lui e di sua sorella maggiore. Che ve ne pare di Rose e Finn e della piccola Lily, tanto solare?
Fatemi sapere il vostro parere, se ne avete voglia.
Grazie a chi leggerà, commenterà, lascerà il segno del suo gradimento e anche
ai lettori silenziosi.
Nives ♥️🙏.
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