La scelta di Mark
Storia scritta per IL DONO SEGRETO organizzato da TeamYggdrasil seguendo il desiderio di Spectrethief.
Amber teneva per mano il piccolo Tony, che saltellava felice fermandosi a osservare le vetrine addobbate a festa. Dalle più classiche a quelle più elaborate con pupazzi che si muovevano sulla neve finta, il tre dicembre si era tenuto la tradizionale accensione dell'albero al Rockefeller Center e quella sera della vigilia loro erano riusciti a ottenere il biglietto VIP e si erano guadagnati il diritto della foto con Babbo Natale e l'accesso al Top of the rock.
Mark, che le camminava al fianco con la sua solita aria tra le nuvole, le aveva detto di aver vinto i biglietti alla lotteria che si era organizzata al suo ufficio. Lei ne era entusiasta quasi più di Tony, e sorridente percorreva la via che l'avrebbe condotta al luogo più magico in quel periodo, in quella città così grigia durante il resto dell'anno.
«Mamma papà guardate» Tony lasciò la mano della madre per andare ad appiccicare il nasino alla vetrina dove era stata ricreata una collinetta dove renne, scoiattoli e altri animaletti scendevano con lo slittino.
Mark pose le mani alle spalle del figlio, poi lo afferrò da sotto le braccia e se lo issò in spalla, ripresero a camminare e nella vetrina a fianco c'era una sagoma di cartone a grandezza naturale di Bionic Hero, il super eroe della città.
I capelli neri a doppio taglio come quelli di Mark, gli stessi occhi verdi, il naso dritto, le spalle larghe e quando lo faceva anche lo stesso sorriso, però quello della sagoma era tirato, non sincero. Posare ore e ore per delle stupide foto non gli era mai piaciuto.
Ai piedi del cartonato c'erano decine di confezione del personaggio in vari modelli dell'eroe, a uno si accendevano gli occhi, un altro lanciava il pugno e il più grande era in grado di ripetere dieci frasi con la vera voce di Bionic Hero.
«Papà, secondo te Babbo Natale mi porterà ciò che ho chiesto?» Nella sua letterina vi erano soltanto tre richieste: Il BH parlante, uno slittino nuovo e che suo padre avesse meno lavoro in ufficio.
«Certo giovanotto, come tutti gli anni» sorrise e guardò Amber che, con un'espressione seria pareva ammonirlo.
Lei sapeva che il lavoro per lui sarebbe venuto sempre prima di tutto e lo aveva accettato, anche se ancora le notti in cui era fuori piangeva nel letto. Tony invece era solo un bambino, per lui la presenza del padre era fondamentale, aveva tanti progetti in mente da fare assieme. Quelle cose comuni, che potevano sembrare banali agli occhi di un adulto, ma per lui erano importanti, i suoi compagni a scuola gli raccontavano di come i loro padri gli insegnassero ad andare in bici, a giocare a baseball, andavano assieme alle partite o a pescare.
Mark accarezzò i capelli della moglie che in onde dorate si posavano sul suo cappotto blu notte che metteva in risalto l'azzurro dei suoi occhi, una morbida sciarpa la avvolgeva scendendo fino alla vita dove le frange argentate erano piene di perline bianche e azzurre.
Mark pensò che forse fosse giunto il momento di dirle la verità sul suo lavoro, se la meritava, sapeva che lei soffriva per le sue continue assenze, ma non le aveva mai detto nulla.
Fu grazie a lei che quel giorno scelse la via del bene.
Erano all'università, i suoi poteri si erano rivelati da quasi un anno e lui ne era sopraffatto, influenzato in maniera negativa, temeva che lo rinchiudessero in qualche laboratorio e sottoposto agli esperimenti più strani, oppure che la gente lo avrebbe considerato un mostro.
Lui e Amber frequentavano alcuni corsi assieme, legarono subito e s'innamorarono, anche se lui cercava di non dimostrare mai ciò che provava, anzi, la trattava spesso di merda. Non voleva correre il rischio di farle del male con la sua vista laser o di stringerla troppo forte fino a stritolarla.
Lei però, anche se ignorava la reale ragione del suo comportamento, sapeva che in lui c'era del buono, che Mark quello stronzo e cattivo, era soltanto un rifugio, un modo per tenere lontani i suoi veri sentimenti, lei sentiva che era una sua parte che si poteva cambiare, relegare in un posticino nascosto e fargli vivere tutto il buono che c'era in lui e nel mondo.
Mark fu strappato da quei ricordi da Amber che lo chiamava.
«Terra chiama Mark, rispondete».
Erano giunti all'ascensore che li avrebbe portati all'ultimo piano per poter così ammirare la città dall'alto, vi era un bel gruppetto di gente e quando le porte si aprirono, si affrettarono a ficcarsi dentro. Tra chi riuscì ad accaparrarsi un angolino, c'erano Amber e Tony, lui invece rimase fuori.
Il luxury concierge che in quell'occasione si occupava di guidare i possessori del biglietto VIP, indossava una livrea rossa con decori dorati, un gilet di tartan, papillon e un cilindro, lo guardò e disse.
«Desolato, dovrete aspettare il prossimo, il mio collega si occuperà di voi nel migliore dei modi».
«Ti aspettiamo di sopra tesoro» disse Amber alzandosi sulle punte per farsi vedere meglio.
«A tra poco» le rispose salutandola con la mano.
Il concierge lo guardò, sorridendo ambiguo e stimolo il pulsante, le porte si richiusero separandolo dalla sua famiglia.
Mark attirato dalla luce dell'altro ascensore che ne indicava la discesa, si mise di fronte elle porte dorate chiuse in attesa, ritornando con i pensieri al giorno in cui era riuscito a cambiare, grazie ad Amber. Lei aveva allontanato per sempre la sua parte più oscura, curandolo col suo amore, accettando i suoi poteri era riuscito a controllarli e iniziò a usarli per fare del bene, così Bionic Hero iniziò il suo servizio per il bene dell'umanità.
Il nome alquanto banale, glielo aveva scelto il suo migliore amico Kevin, l'unico che avesse mai saputo della sua vera identità, che non lo aveva mai trattato né come un diverso né aveva mai avuto paura di lui. Gli aveva sempre detto che lui era un privilegiato e doveva essere grato per quella possibilità che gli era stata data dal destino. Che poteva usare quei suoi poteri per essere al di sopra della stessa legge dei comuni uomini, Mark anche a causa di questo suo continuo insistere, iniziò a cedere al male. Dopo alcuni mesi fu il turno di Kevin di confessare il suo segreto, stava morendo, gli era stata diagnosticata una forma di leucemia fulminante, da pochi mesi a massimo un anno di vita fu il responso dei medici. Dopo la sua morte e grazie alla vicinanza di Amber il suo lato oscuro svanì definitivamente, addormentandosi per sempre. Si domandò come sarebbe stata la sua vita se invece di lasciarsi avvolgere dall'amore di Amber avesse seguito il suo lato malvagio.
Lo scampanellio della porta che si apriva lo riportò al presente, il concierge, un giovane poco più che ventenne, teneva il capo chino e il brim del cilindro gli nascondeva il volto.
Mark entrò, a quanto pare in quella salita sarebbe stato l'unico occupante, il giovane pigiò il pulsante, scampanellio, le porte si chiusero, l'ascensore vibrò e poi iniziò il sibilo che indicava l'inizio della risalita.
L'imbarazzante silenzio che lo avvolgeva spingeva Mark a dondolarsi, si controllò i capelli al grande specchio, sistemò il colletto del dolcevita e annodò nuovamente la sciarpa verde bosco a coste che gli aveva fatto Amber ai tempi dell'università. Vi era un buco a causa di una maglia scappata e ogni volta ci infilava il dito, ma a lui piaceva lo stesso perché si era impegnata, aveva messo tutto il suo amore in quel semplice dono e ciò gliela faceva sembrare ancora più calda e morbida.
«La serata è di vostro gradimento?» Chiese il giovane.
«Sì grazie».
«Siete da solo».
Mark notò che non si trattava di una domanda e pensò che lo avesse dato per scontato :«No, sono con mia moglie e nostro figlio».
«Invece sei solo Mark» il giovane si voltò e lui quando lo vide in faccia impallidì «Come in realtà lo sei sempre stato».
«Non può essere» disse poggiandosi con la schiena contro lo specchio «Tu non esisti, tu sei morto» disse puntandogli contro l'indice.
«No Mark è qui che ti sbagli, noi due esistiamo, è tutto il resto che è cambiato o non vuoi più sapere come sarebbe la tua vita una volta lasciata libera di agire l'oscurità che è in te?».
Le porte si aprirono e Mark si ritrovò di fronte uno scenario completamente diverso da quello che si aspettava.
Si ritrovarono in un enorme open space di lusso, i pavimenti bianchi di marmo lo ricoprivano completamente, al soffitto lampadari in acciaio dalle forme astratte illuminavano l'ambiente, alla destra dell'ingresso vi erano i divani bianchi dalle forme arrotondate sistemati di fronte il grande camino acceso, contornato da una ghirlanda piena di palline e fiocchetti argentati, morbidi e candidi tappeti ricoprivano il pavimento, le ampie vetrate regalavano una vista mozzafiato sulla città illuminata a festa.
Sulla sinistra vi era il corridoio che conduceva alla zona notte e una sinuosa scala portava al piano superiore, alzando lo sguardo si poteva notare il fondo della grande piscina in cui stava nuotando una donna che, appena li vide, salutò con la mano e riemerse.
«Mark, amico mio, non restare lì imbambolato, dopo tutto questa è casa tua» disse camminando allargando le braccia.
Kevin non aveva più indosso la livrea dalle tinte natalizie, ma un completo chiaramente su misura blu scuro, si tolse la giacca adagiandola sul divano e sbottonò la camicia al colletto e arrotolò le maniche, dirigendosi alla cantinetta che si trovava nella grande cucina moderna dal top bianco che brillava illuminato dalle lampade in stile industriale di rame che pendevano dal trave. Presa la bottiglia con i bicchieri, andò a Prendere Mark per un braccio e lo fece accomodare sul divano.
«Amico mio non startene lì impalato come uno idiota, non è da te».
Arrivò la donna senza che se ne accorgesse, si fermò alle sue spalle e lasciò scorrere le mani sul suo petto chinandosi e gli sussurrò all'orecchio :«Amore mio, hai fatto tardi» lo baciò al collo, fece il giro, indossava un morbido accappatoio azzurro e si mise a sedere sulle sue gambe, avvolgendolo in un lascivo abbraccio.
Mark si sentiva confuso come non mai, fissava il suo defunto amico e non sapeva che dire o meglio, da dove cominciare.
Kevin gli si avvicinò, versato da bere gli passò il calice :«Bevi Mark e rilassati, vedrai che ricorderai tutta la verità».
Mark osservò il vino rubino nel calice, lo annusò, guardò Kevin che sorrise affabile e scolò tutto d'un fiato il liquido corposo e fruttato.
«Amore mio, chiudi gli occhi e lasciati andare» Disse la donna dai soffici capelli rossi con la sua voce di velluto intanto che gli accarezzava il petto.
Mark poggiò la testa all'indietro, chiuse gli occhi e il buio lo avvolse, nero, denso e vivo.
Quando li riaprì, era in cima al One World Trade Center, indossava il suo costume interamente nero da super eroe, no era da criminale, lui non era mai stato un eroe. Si sentiva confuso e la testa gli doleva leggermente, il bracciale che aveva iniziò a risuonare, accettò la chiamata e la voce di Kevin risuonò roca.
«Capo bentornato al lavoro, questa sera ti toccherà sabotare il laboratorio della Pharmaceutical Industry & Co.».
Mark si sentì strano, non aveva mai sentito parlare di questa società, eppure le parole uscirono da sole dalle sue labbra : «Sneaky sapeva fin dall'inizio cosa rischiava se non si atteneva all'accordo, averci negato il suo appoggio al congresso avrà delle conseguenze poco piacevoli». Chiuse la chiamata e levitò fino al piano occupato dagli uffici della sede centrale della P.I. & Co, tagliato il vetro col la sua vista laser lo spinse con un leggero colpo facendolo cadere all'interno.
Sorvegliava il posto da settimane, a quell'ora la sicurezza si aggirava per i piani inferiori, poi era la notte della vigilia e non correva neanche il rischio che vi fosse qualcuno, manomesse le telecamere, si sentì libero di agire.
Non gli restava che trovare l'ufficio di Sneaky, gli ci volle poco tempo, si accomodò alla poltrona, dalla tappezzeria capitonné di pelle e la struttura in faggio. Accese il computer e vi inserì la chiavetta colma di dati contraffatti su bilanci e test dei medicinali, quando tutto quel marciume sarebbe uscito fuori giungendo a chi di dovere, le azioni della società sarebbero crollate e Sneaky si sarebbe trovato in bancarotte senza sapere come.
Anche se i suoi sospetti sarebbero caduti su di lui, non avrebbe potuto far nulla per provarlo, e dopo non lui avrebbe dovuto fare altro che rilevare la sua società a un prezzo irrisorio, ripulito il nome col suo o meglio quello di Mark Minogue e messo a dirigerla da uno dei suoi burattini, accrescendo così ancora di più il suo potere in città dal punto di vista borghese.
Un rumore attirò la sua attenzione, lasciò la chiavetta a finire il suo lavoro e cautamente si diresse a controllare.
Dove aveva rotto la finestre, c'era una donna che gli dava la schiena, i lunghi capelli biondi erano mossi dal vento, si stringeva nella giacca blu che indossava, camminava facendo attenzione a non scivolare su i cocci di vetro, estrasse dalla borsetta il cellulare, ma prima che potesse iniziare a comporre il numero fulmineo si avventò su di lei strappandola da quel luogo e mettendola spalle al muro dall'altra parte dell'ufficio.
La donna stringeva gli occhi, ansimava spaventata e attendeva che accadesse qualcosa, Mark la osservava, studiandone i lineamenti e i ricordi tornarono prepotenti, erano passati più di dieci anni da quando l'aveva trattata talmente male da convincerla a cancellarlo dalla sua vita.
Amber. Era sempre splendida, il suo profumo dolce non era cambiato, le lentiggini sul naso a darle quell'aria sbarazzina e i capelli che aveva amato accarezzare. Il cappotto che indossava le metteva in risalto gli occhi, avvolta al collo una sciarpa verde bosco a coste con un buco all'altezza del petto, "quella è mia, oppure no?".
Mollò la presa e lei aprì gli occhi, riconoscendolo, rimase a bocca aperta riuscendo a dire a malapena :«Corrupt Soul».
"No, non è questo il mio nome, ma ..." pensò Mark, ma poi la certezza di essere lui lo dominò e disse :«Sì e se non farai ciò che ti ordino ti lascio immaginare cosa potrà accaderti, l'uscita è già pronta». Indicò la vetrata rotta e le strinse di più le braccia, lei gemette dal dolore e i quei suoi grandi occhi azzurri si riempirono di lacrime, ma non abbassò lo sguardo, Mark si rese conto che gli era mancato perdersi in quell'azzurro così puro e per un attimo viaggiò in quei ricordi che aveva sepolto dove assieme a lei riusciva a trovare un poco di serenità.
La sua anima nera lo fece tornare con i piedi per terra e afferrandola per un braccio se la tirò dietro fino all'ufficio di Sneaky, riprese la chiavetta lasciandola scivolare in tasca e si voltò a guardarla, non poteva lasciare testimoni, questa era una regola che non poteva infrangere, ma ritrovarsela di fronte, così uguale alla ragazza di cui si era innamorato, lo confondeva.
«Come vi chiamate?»
«Amber Peterson» rispose.
Perché gli sembrava sbagliato? Sì era il suo nome, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che doveva essere un altro il suo cognome, gli mancava un pezzo, qualcosa continuava a sfuggirgli.
Si avvicinò lei indietreggiò di un passo, lui continuava a esserle sempre più vicino ad Amber strinse gli occhi voltandosi dall'altra parte, le lacrime iniziarono a scendere calde, amare, sapendo che era giunta la sua fine, si vedeva già a cadere nel vuoto e poi il suo corpo scomposto sul marciapiede, con i passanti che iniziavano ad attorniarla.
Mark fu scosso dall'interno, qualcosa in lui ribolliva, cercando di fermarlo da quell'intento di liberarsi di lei nonostante tutto.
"Amber è Amber dannazione" si disse.
Come avrebbe potuto farle del male? Lei aveva sempre cercato di fargli capire che in lui ci fosse del buono, era riuscita a trovarlo e lui terrorizzato da quel suo lato debole, dietro i continui moniti di Kevin l'aveva allontanata per soffocare quel briciolo di anima che aveva.
Lei continuava a piangere e Mark la prese e la strinse a sé, Amber cercò di divincolarsi iniziando a urlare e colpendolo a pugni, ma lui non mollò la presa e le sussurrò all'orecchio.
«Calmati Amber».
Il suo tono era rassicurante, stranamente familiare, alzò lo sguardo e scrutando meglio in quegli occhi gelidi le parve di ritrovare qualcuno, si calmò non riusciva a staccare gli occhi dai suoi, quante volte si era persa in quel verde prima di venire respinta per sempre.
«Mark» sussurrò.
Non riusciva a crederci, Mark era Corrupt Soul, com'era possibile, le girò la testa e sentì le gambe cederle. Mark la sorresse e la aiutò a sedersi sul divanetto presente in ufficio.
«Tutto bene?».
Lei lo guardò, la confusione iniziale la abbandonò lasciando il posto alla rabbia, la frustrazione, perché lui l'aveva cacciata, e lei non era mai riuscita a dirgli ciò che pensava su di lui.
«No Mark nulla va bene dannazione!» si alzò e puntò gli occhi nei suoi, la sua collera era palpabile «Hai fatto saltare in aria una centrale elettrica con tutti gli operai dentro, hai ucciso un senatore, distrutto una diga perché non sono stati al tuo ricatto, hai fatto evadere quello psicopatico di Black Smile, mi hai tratta da schifo, mi hai allontanata da te per cosa, diventare così? Un assassino, un criminale» si lasciò cadere nuovamente sul divano e mise il volto tra le mani, tremava per la rabbia «Mark perché?» Disse piano.
Perché Mark, per quale ragione non hai scelto lei? Semplice Mark tu sei il male, tu ami causare sofferenza, la tua anima nera ti guida e tu sei felice, sei marcio, corrotto nel profondo, le sue moine da ragazza innamorata non potevano farti cambiare.
La voce di Kevin rimbombava nella sua mente, ma non voleva ascoltarla, vedere Amber delusa a quel modo da lui, che lo descriveva come il peggior essere sulla faccia della terra, lei lo aveva amato, sapeva che in lui c'era qualcosa da salvare, del buono. Ora però, sarebbe stato ancora possibile recuperarlo o era troppo tardi?
Si inginocchiò ai suoi piedi, aveva paura a sfiorarla, temeva che potesse scappare, prese la sciarpa lasciandola scorrere nella sua mano, arrivato al buco, vi infilò il dito dentro.
Amber si raddrizzò e gli levò la sciarpa di mano, quella gliel'avrebbe dovuta regalare per Natale, ci aveva impiegato un sacco di tempo tra gli impegni che avevo con lo studio e il lavoretto part time che si era trovata, l'aveva terminata in tempo, non era perfetta ma averla realizzata con le sue mani la rendeva speciale. Lui però ebbe la brillante idea di rovinare tutto e far sì che desiderasse stargli il più lontano possibile.
«Era il mio regalo per Mark».
«Per me?» le prese le mani,
Lei lo guardò e disse fredda «No, per Mark, lui non avrebbe mai commesso i tuoi crimini».
Quelle parole lo ferirono profondamente. Che cosa aveva guadagnato dall'aver scelto la parte oscure del suo potere? Mark Minogue, l'uomo più ricco e influente d'America, a capo delle più importanti aziende, l'uomo cui tutti dovevano qualcosa, politici, militari, industriali, tutti erano in debito con lui. Poi c'era il suo alias Corrupt Soul, che con i suoi poteri aveva terrorizzato tutti, che risolveva problemi alla sua parte di uomo comune. Denaro, potere, gloria aveva tutto eppure adesso che aveva di fronte Amber si rendeva conto che era tutto inutile, illusorio, sbagliato.
«Amber io» cosa dirle, che le dispiaceva, era pentito di quelle sue azioni? Si mise a braccia conserte sulle sue gambe e vi poggiò il capo. Avrebbe tanto voluto aver amato lei invece di cedere ala tentazione del potere, in quel momento forse si sarebbero trovati a casa, di fronte al camino acceso ad aspettare che fosse Natale e scambiarsi i doni.
Come poteva una cosa tanto semplice sembrargli la più importante e necessaria.
Amber posò la mano sul suo capo e gli sfilò la maschera, iniziando ad accarezzargli i capelli.
Il pendolo
«Ho sbagliato tutto, riuscirai mai a perdonarmi?».
Il grande pendolo presente nell'ufficio iniziò a battere i rintocchi della mezzanotte, era giunto il Natale.
Amber gli fece alzare la testa, si sfilò la sciarpa e la avvolse al suo collo :«Buon Natale Mark».
Le sorrise, grato di sapere che anche se l'aveva profondamente delusa nel suo cuore ci sarebbe sempre stato un posto per il Mark buono.
«Io non ho nulla da darti» le accarezzò il viso e si rese conto che qualcosa aveva «Tranne che me stesso, il vecchio Mark, se lo vuoi ancora, se avrai la pazienza di riportarlo a galla» la guardò pieno di speranza, lei sorrise e poggiò la fronte alla sua.
«Un nuovo inizio?».
«Se lo vuoi».
Lo guardò e ritrovando in quei suoi occhi la calda luce che l'aveva fatta innamorare, disse :«Lo voglio».
Il buio lo avvolse, si sentì risucchiare in un vortice, istintivamente chiuse gli occhi, poi tutto finì com'era iniziato e quando aprì gli occhi, rimase a bocca aperta, era nell'ascensore, di fronte a lui a dargli le spalle, il concierge, lo afferrò per una spalla e lui si voltò.
«Signore tutto bene?».
Non era più Kevin, ma un uomo sulla sessantina panciuto con capelli e barba bianchi ben curati.
«Sì, tutto bene» riuscì a dire.
Quando le porte dell'ascensore si aprirono, le prime persone che vide furono Amber e Tony che lo attendevano, uscì subito come temesse che potessero sparire nuovamente.
«Allora Buon Natale Mark, spero che d'ora in avanti apprezzerete le cose belle che avete».
Mark si voltò confuso, come diamine sapeva, ma non fece in tempo a dire nulla che le porte si richiusero
«Papà sei arrivato» esclamò saltandogli addosso. Mark lo prese in braccio stringendolo e lo baciò. «Papà, così mi soffochi».
«Scusami giovanotto ma papà ti vuole troppo bene» poi baciò Amber «Ti amo mio destino » e insieme si avviarono al terrazzo panoramico in attesa del Natale.
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