Amore radioattivo
Amore radioattivo
Amber osservava ciò che accadeva all'esterno della vecchia casa, spiando attraverso le fenditure fra le tavole inchiodate alla finestra. Passò un dito sul lerciume che appannava il vetro, disegnando uno smile accanto al cagnolino sgorbio fatto in precedenza.
Fuori le nuvole nascondevano a tratti il sole pallido, dai riflessi che andavano dal giallo acido al rosso cremisi, che lentamente andava a posarsi sull'orizzonte, colorando il terreno che circondava l'abitato ancora più di arancio, come se le foglie secche dalle calde sfumature che ricoprivano tutto non fosse abbastanza.
Il viale in cemento era solo un lontano ricordo, le siepi, un tempo ben potate sembravano grovigli inestricabili, gli alberi spogli davano all'insieme un aspetto ancora più desolato.
In fondo al viale l'auto antracite, tappezzata di foglie e cartacce trasportate dal vento, le ricordava che una volta era possibile viaggiare, ma adesso tutto era cambiato.
L'intero mondo era andato in malora dopo la fuga di radiazioni da quella che sarebbe dovuta essere la più grande e sicura centrale nucleare dell'intero stato. Ricordava ancora come i vari politici si stringevano le mani, con quei loro sorrisi tirati di fronte alle frotte di giornalisti arrivati da ogni dove per l'inaugurazione della centrale.
"Energia pulita accessibile a ogni cittadino, nessuno resterà indietro". Questo era stato lo slogan che il presidente e i vari membri dei partiti avevano ripetuto fino a farne il loro mantra.
Non servirono a nulla le manifestazioni, gli scioperi i blocchi stradali e i tentativi di sabotaggio dei lavori, i potenti avevano deciso di andare avanti e nulla li avrebbe fermati. Niente e nessuno, tranne la faglia.
Il sito era stato dichiarato idoneo per una costruzione del genere, ma il mondo ebbe da ridire, la faglia di San. Antonio ritornò a muoversi, causando una nuova spaccatura della crosta terrestre che si diramò fino alla centrale. Il resto era storia ormai.
Gettarono cemento per mesi, nella speranza di tamponare la fuoriuscita di radiazioni. Centinaia di operai morirono, nel giro di ore, che si mutarono in giorni e in settimane, man mano che i lavori procedevano.
Adesso chi aveva dato tutto per salvare il mondo giaceva in cimiteri abbandonati in cui nessuno avrebbe mai messo più piede, quei corpi erano talmente contaminati dalle radiazioni che brillavano e i terreni in cui riposavano erano stati classificati come molto pericolosi.
La ciliegina sulla torta si ebbe quando scoppiò lo scandalo del laboratorio top secret, che produceva armi biologiche. Camuffato da allevamento intensivo di bovini, si trovava solo a pochi chilometri dalla centrale.
Le radiazioni una volta contaminata l'area, diedero il via a un tremendo mutamento dei virus presenti, e infettarono gli scienziati, trasformandoli in creature aggressive. Il mondo fu corrotto da questa nuova epidemia trasmessa attraverso morsi e graffi. La gente si vide costretta a nascondersi in bunker, o barricandosi in case isolate.
L'unica nota positiva era che queste creature erano alquanto stupide, giacché erano attratte dagli occhi. Già, si era scoperto nell'ultima settimana, che attaccavano qualsiasi cosa avesse le iridi, in più non avevano molta forza, ma erano tenaci, se puntavano, una preda facevano di tutto per cibarsene. Si doveva comunque fare attenzione.
L'esercito via radio aveva dato disposizioni ben precise, uscire solo in caso di effettiva necessità, ben mascherati e armati.
Un click metallico la ridestò da quei suoi pensieri. Giordan stava pulendo per l'ennesima volta il vecchio fucile da caccia di suo nonno. Era una pratica che portava avanti ogni giorno, dalla notte in cui furono costretti a rinchiudersi nella casa dei suoi vecchi.
Giordan odiava la caccia, ma aveva imparato ugualmente a usare un fucile, quella scelta adesso gli pareva la cosa più intelligente che avesse fatto.
Lei, per sentirsi utile e più al sicuro, aveva optato per dei macete.
Il cibo era terminato e sarebbero dovuti arrivare fino all'emporio che si trovava sulla strada principale della cittadina.
«Io sono pronto, tu hai sistemato le zucche?».
«Il miglior "Creative attack" della storia» disse sorridendo, ripensando alla trasmissione pomeridiana che guardava da bambina, la conduttrice si chiamava Sugary. Andò al tavolo e sollevò fiera la sua creazione.
In soffitta trovarono due contenitori di plastica a forma di zucca, la nonna di Giordan li riempiva di dolcetti per i bambini che sarebbero passati la notte di halloween. Amber col taglierino era riuscita a ricavare le fessure per gli occhi, incollandoci poi dei pezzi di calze in nailon, affinché i mutanti all'esterno non li avessero attaccati.
Si diressero in centro usando il vecchio pickup.
Amber osservava Giordan, dentro di sé non sapeva se piangere o ridere per la situazione. Sembravano due idioti armati che si dirigevano a compiere la loro prima rapina.
Il tragitto fino al fiume fu tranquillo, incrociarono soltanto il signor Jammed, almeno dall'auto si doveva trattare di lui, o di uno dei suoi figli. In testa aveva un sacchetto di carta con disegnato un sorriso ebete.
Giordan fermò il mezzo poco prima del ponte di legno, tamburellava nervoso le dita sul volante, Amber gli mise la mano sulla gamba accarezzandolo dolcemente.
«Ce la faremo» gli disse con la voce deformata dal secchio.
Giordan posò la mano sul fucile, passò alla sua coscia, stringendola per darsi forza e ripartì.
In città la situazione era diversa, quelle creature vagavano per le strade come ubriache, inciampando e cadendo malamente a terra, cercavano di passare attraverso le vetrate di un negozio, rosicchiando la testa di un manichino o semplicemente se ne stavano in piedi in mezzo alla strada a fissare il cielo, come a leggere in quell'immenso un qualche messaggio importante.
Amber si domandava se fra loro vi fosse qualcuno del luogo. Un suo amico, la cameriera della tavola calda, il prof di lingue o il benzinaio. Un brivido la scosse, pensare la terribile fine cui era andata incontro tutta quella gente, non era una buona idea, non poteva lasciarsi annebbiare la mente dai sentimentalismi, oramai per loro non vi era più nulla da fare e forse, spararli a tutti era la soluzione più giusta.
Parcheggiato di fronte al minimarket, affiancandosi a un'altra auto, sul portabagagli aveva un adesivo di una donna di schiena che suonava la chitarra.
«C'è quell'idiota di Alan» disse Giordan.
I due facevano parte della squadra di football al liceo, erano grandi amici e molto amichevolmente, si chiamavano usando epiteti poco gentili.
«Ci sarà anche Lara?»
Le due coppie prima del disastro uscivano sempre assieme, al cinema, a mangiare, al lago a prendere il bagno nei caldi pomeriggi estivi. Amber aveva davvero bisogno di parlare con qualcuno che non fosse Giordan o la voce impersonale dall'altra parte della ricetrasmittente. Amava Giordan con tutta se stessa ma quella convivenza forzata avrebbe logorato i nervi anche a un santo.
Scesero cautamente, Giordan col fucile carico puntato, osservava attento tutto ciò che lo circondava, doveva prestare attenzione se non voleva rischiare di sparare a qualcuno ancora sano.
«Lara, Alan, siete qui?» urlò Amber una volta dentro.
Qualcosa cadde a terra, un rumore metallico, Giordan si voltò di scatto in quella direzione. Rotolando un barattolo spuntò da dietro uno degli scaffali.
«Alan, sono Giordan».
«Giordan!». Il ragazzo sbucò da dietro lo scaffale tirandosi dietro il carrello pieno a metà di roba in scatola.
Giordan consegnò il fucile ad Amber e andò a dare una stretta delle sue all'amico, che ricambiò entusiasta.
«Come ti sei conciato?» disse in fine tirandosi indietro per guardarlo meglio.
Alan si era messo in testa un secchio di latta, il manico gli pendeva sul petto :«Questo ho trovato, senti chi parla poi, sembri un poppante col suo primo costume».
Amber sorrideva osservando la scena talmente familiare e allo stesso tempo surreale, poi chiese :«Lara dov'è?».
Alan uomo di latta si girò verso di lei :«Ḗ rimasta a casa».
«Perché, non sta bene?».
«In parte» sospirò.
I due conoscevano fin tropo bene l'amico, Giordan gli mise la mano sulla spalla :«Alan, sai che a noi puoi dire tutto».
Alan lasciò andare con la schiena contro la parete e lentamente scivolò a terra, stringendosi le ginocchia al petto.
La coppia si guardò, qualcosa non andava, era fin troppo chiaro e gli si sederono accanto, aspettando che l'amico di sempre si confidasse.
«Ha mangiato stamani, adesso è tranquilla, ma non le piacciono i rumori forti, si spaventa facilmente» disse Alan alla coppia, intanto che stringeva la maniglia della porta verniciata di bianco. Girò la chiave nella toppa e aprì.
La camera era in penombra, vi era un forte odore, simile all'aglio, sul letto una sagoma scura. Si sentiva il suo respiro pesante.
«Lara, non crederai mai a chi ho incontrato» disse Alan intanto che scostava leggermente le tende :«Giordan e Amber, non sei felice?».
La ragazza che giaceva sul letto si girò verso Alan, allungò la mano. Il giovane si mise a sedere accanto a lei e gliela prese tra le sue.
«Ngha! Nnnm» disse Lara strattonando il ragazzo.
«No, calmati, loro sono amici» le accarezzò i capelli.
Amber si avvicinò dall'altro lato del letto e rimase in silenzio a osservare ciò che restava della sua amica. Strinse i pugni, iniziando a tremare leggermente, mordendosi le labbra riusciva a soffocare i singhiozzi, ma le lacrime scendevano copiose sul suo viso nascosto dalla zucca.
Giordan la strinse a sé, sollevato dal fatto che a loro non fosse toccata la stessa sorte.
Alan gli aveva raccontato che il giorno del disastro loro erano assieme a casa, i suoi erano partiti per la Florida, così ne avevano approfittato. Tutto sembrava andare bene, ma un pomeriggio una di quelle creature riuscì a entrare in casa, cercò di assalire Alan ma Lara si mise in mezzo e fu contagiata.
La segregò in camera, nell'attesa che la contaminazione facesse il suo decorso, seduto dietro la porta, impotente ascoltò le sue urla, i rantoli e in fine il silenzio. Credeva che fosse morta così entrò a controllare, ritrovandola mutata che guardava con lo sguardo assente fuori dalla finestra.
Da lì si vedeva il lago, le sue acque rilucevano come se vi fosse posato sopra un tappeto di stelle.
La tenne così sotto chiave, cercando di capire cosa fare. Ucciderla? Non ne sarebbe stato mai capace, era la sua Lara. Mettersi in contatto con le autorità equivaleva a condannarla a morte, così come lasciarla uscire da casa e abbandonarla al suo destino.
Iniziò così a lasciarle del cibo, che lei ignorava, un giorno trovò un tasso zoppicante sul ciglio della strada sterrata che attraversava la loro proprietà e decise di fare un tentativo. Da quel giorno si prese cura della donna che amava come meglio poteva.
Amber scappò al piano inferiore, non riusciva a sopportare quella vista. La sua amica, dolce, sempre disponibile, dagli occhi color del cielo non esisteva più. Adesso al suo posto c'era quella cosa, raccapricciante, priva di volontà che Alan continuava a tenere in vita per puro egoismo.
Poco dopo la raggiunse Giordan, non disse nulla, limitandosi a osservarla attraverso il nailon. Avrebbe voluto dirle tanti di quelle cose, ma quello non era il momento, non a casa di Alan.
infine giunse Alan che sottobraccio si portava dietro Lara.
Le parlava dolcemente, cercando di spiegarle che era tutto a posto, di non agitarsi, che la amava.
La fece accomodare su una delle poltrone, da sopra la mensola del camino prese una spazzola, cominciò a pettinarla, canticchiando una canzone che andava molto due anni prima. La loro canzone, il loro primo ballo alla festa di fine anno, stavano insieme da mesi, ma soltanto quella sera ebbe il coraggio di dirle ciò che provava per lei.
Lara mugugnava sommessa, ciondolando il busto si stringeva le spalle, un filo di bava le scendeva dall'angolo della bocca, talvolta aveva dei scatti con la testa, passando a osservare con quei suoi occhi vuoti, le due sagome con in testa delle zucche.
Alan cacciò fuori un fazzoletto di stoffa dalla tasca dei jeans e le asciugò il mento :«Hai sete amore?». Come risposta ebbe un lamento.
«C'e del succo d'uva in frigo, va bene?» un altro mormorio.
«Ne sono felice, ne porto anche a voi ragazzi?».
«Sì, grazie, va benissimo» gli rispose Giordan imbarazzato, si stava convincendo sempre più che l'amico fosse impazzito.
«Si, Alan, grazie» Amber si lasciò cadere sul divano blu a elle, si portò le mani al volto, avrebbe tanto voluto urlare, era tutto troppo assurdo.
Guardò ciò che un tempo era la sua migliore amica, poi il suo amore e capì. Lei avrebbe fatto lo stesso e anche Giordan, ma era questo ciò che loro avrebbero voluto? Lara non aveva potuto scegliere, loro avevano ancora la possibilità di decidere.
Giordan e Amber non dissero una parola "durante" il rientro, lei si tormentava le dita. Non faceva altro che pensare che quella sorte, presto o tardi, sarebbe potuta accadere a loro. La vita senza di lui non avrebbe avuto più alcun senso, Giordan era rimasto il suo unico punto fermo, la sua certezza in mezzo a quel macello di mondo in cui si erano ritrovati a vivere.
Preparata la cena, mangiarono in silenzio, talvolta i loro occhi s'incontravano e si stringevano la mano, non trovavano il coraggio di dire ciò che li spaventava a quel modo.
Fecero l'amore a lungo, dolcemente, baciandosi, accarezzandosi, cercando di imprimere nelle loro menti ogni minimo particolare, dal neo più nascosto, fino alla cicatrice sul ginocchio.
Una volta finito, rimasero abbracciati stretti, assaporando appieno la semplice perfezione di quel momento.
«Se dovesse capitare a me» iniziò Giordan, mentre le accarezzava la schiena lentamente.
«Non iniziare con-».
La baciò interrompendola, la guardò negli occhi :«Dovrai uccidermi».
Come avrebbe potuto fare una cosa del genere? Anche se non sarebbe stato più lui, lei avrebbe continuato a vederlo come il suo Giordan, ne era certa. Solo adesso capiva la scelta di Alan.
«Solo se prometti che farai lo stesso con me», sostenne decisa il suo sguardo, si morse il labbro e tirò su col naso.
«Va bene» la baciò ancora :«Non temere, non ci accadrà nulla» le sussurrò.
Amber si strinse a lui : «Ti amo».
Si addormentarono abbracciati, pregando che tutto si risolvesse al più presto, che l'esercito liberasse il mondo dai contaminati e tornasse tutto come prima.
Si amavano, questa era l'unica cosa importante cui aggrapparsi, dalla quale trarre la forza per andare avanti.
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