Novembre 2018: Inferno - A new life
Roma, 1 Gennaio 2051
La città è in fiamme. Si consuma, tra le spire di quello che ormai è diventato il mio inferno personale. Dalla finestra del palazzo nel quale ci siamo rifugiati, osservo quel che rimane della città Caput Mundi, un mucchio di edifici disabitati già preda del delirio collettivo.
Tra le macerie che si stagliano ai margini delle strade, ombre consumate vagano incerte, spettri pallidi delle persone che devono essere state. Oltre il profilo dei grattacieli, un'oscurità viscosa si estende a perdita d'occhio, ma da sicuro rifugio dalla realtà quale era ora si è tramutata in un drammatico e funesto scenario teatrale.
Le fiamme si levano dal palazzo del Ministero, divorano voci e ricordi, insinuandosi in quel che resta della città e promettendo di illuminare l'oscurità ancora per parecchie ore. Da qui a domani, e forse oltre, la realtà di Roma brillerà davanti ai nostri occhi anche di notte, implacabile memento di una colpa indelebile.
Il mio personale inferno, esposto in tutta la sua cruda realtà.
Vorrei avere la forza di afferrare la tenda e di chiuderla tra me e la città, ma sono paralizzata. Gli occhi vagano, soffermandosi sulle ombre pallide e indistinguibili da questa distanza, sulle macerie ancora fumanti, sulle fiamme che gridano alte il destino di Roma e dei suoi abitanti.
E forse, ormai, della terra intera.
Non v'è fuga a tutto questo, non esiste perdono, non esiste riscatto. Il mondo intero è destinato a marcire e bruciare, e l'immobilità del mio corpo non fa che ricordarmi che dopo aver scatenato tutto questo, non posso che rimanere ferma a osservare.
Da qualche parte nella stanza spoglia, la voce di Francesco mi chiama, cerca di distogliere la mia attenzione dalle fiamme, ma è costretto ad avvicinarsi e trascinarmi con sé per riuscire a staccarmi da quella vista. Mi sposta con dolcezza dal vetro, mormora parole rassicuranti, ma nulla fa presa nel vuoto che sono diventata. Davanti ai miei occhi velati, la realtà delle sue mani calde e del suo viso preoccupato si alterna ai frammenti di quella che ormai pare un'esistenza estranea e lontana, persa dietro le volute del tempo e del fumo.
Eppure, brandelli di quel passato cominciano a ordinarsi e ricostruiscono una storia che sono costretta a rivivere da capo per l'ennesima volta.
Roma, 18 Dicembre 2028
Ore 17.45
Ce l'abbiamo fatta.
Anni di studi, ricerche e speranze si sono appena concretizzati davanti ai nostri occhi. Io e Francesco ci chiniamo su di lui, e il frutto del nostro lavoro pare quasi osservarci di rimando, un agglomerato macromolecolare che potrebbe quasi avere vita propria, coscienza definita.
Attraverso lo schermo del SEM, mi scopro a ricambiare quello sguardo immaginario, e non posso fare a meno di sorridere.
Una nuova vita, un nuovo futuro.
È perfetto.
Rivoluzionerà le nostre esistenze, sconvolgerà il mondo.
Il ricordo sfuma, sbiadisce e si contorce, si fonde nel vortice inconsistente di cui sono preda, per essere sostituito da un altro, che riconosco appartenere ad appena qualche ora dopo...
Roma, 18 Dicembre 2028
Ore 21.30
Matteo attende al nostro tavolo, raggiante nello smoking che ha tirato fuori dai meandri dell'armadio per l'occasione. Lo raggiungo adagio, assaporando ogni passo, ogni metro nel quale i nostri occhi si incrociano, per poi abbandonarsi ancora. Il suo sguardo vaga stupito su di me, sull'abito blu notte che ho scelto per lui, e lui soltanto; indugia sulla profonda scollatura, e so che già immagina il momento in cui potrà sfilarlo, e appoggiare le sue labbra calde dove prima riposava il velluto sottile.
Quando arrivo davanti a lui, il suo volto si apre nel sorriso più bello che possa immaginare. In quegli occhi nocciola e nella piega dolce che assumono è contenuto un oceano di promesse, anni di sostegno e rispetto reciproco, di amore e coesistenza, e una fitta di dolore inizia a irradiarmi il petto, aprendomi in due... No... questo non fa parte del ricordo... non c'era dolore quel giorno, solo gioia, solo amore... È il dolore del presente che si insinua nel ricordo e lo distrugge, e il volto di mio marito scompare di nuovo, sostituito dallo sguardo preoccupato di Francesco. Poi anche lui svanisce, e sono di nuovo lì, a quel tavolo...
Il tintinnio delle posate, il gusto intenso della carne appena marinata, le risate, le promesse e poi il brindisi. Matteo versa lo champagne fresco nei calici, alza il suo con solennità, e guardandomi negli occhi pronuncia quelle parole: «Alla mia stella, la mia guida, il mio orgoglio; finalmente il mondo riconoscerà quanto vali, amore mio.»
Le parole turbinano, riecheggiano, mi trafiggono come lance acuminate riaprendo ferite impossibili da cicatrizzare, che bagnano di cremisi il ricordo del suo volto. E anche questo svanisce, non mi è concesse godere ancora di quella felicità perduta, di rifugiarmi nel calore delle lenzuola che quella notte hanno accolto per l'ennesima volta i nostri sospiri. Vengo strappata bruscamente e depositata con malagrazia davanti a un'altra scena, le lacrime che bagnano il mio viso e le mani di Francesco che cerca di consolare qualcosa che non potrà mai più essere consolato.
Tokyo, 4 Maggio 2030
XI Conference for A New Reality
La folla esplode in un boato, un unico applauso a ritmo perfetto con il battere che avverto nel petto. L'emozione che mi invade è tale che a stento riesco a mantenere l'equilibrio, e stringo con forza il leggio che ancora conserva i miei appunti disordinati, per sorreggermi. Dietro di me, le immagini del SEM illuminano la sala, accentrando buona parte degli sguardi, e distogliendo da me quasi tutta l'attenzione. Non me ne rammarico, mi dà il tempo di riprendere fiato e di godermi quella pioggia scrosciante che so di meritare tanto quanto la splendida creazione che ci osserva fiera dalla parete.
Il team sale sul palco e raggiunge il mio fianco, per ricevere le congratulazioni che merita.
Francesco per primo, la mia spalla e il mio più prezioso collaboratore, seguito da tutti coloro che, negli anni, hanno partecipato al nostro progetto, investendo le proprie forze, donando i propri respiri. Sono stata la loro voce in questa serata, la loro guida in questi nove anni di ricerche, sperimentazioni fallite e infine successi insperati, ma senza uno qualunque di loro ora non saremmo qui, a godere del riconoscimento che ci spetta. Li osservo uno per uno, con orgoglio e rispetto... Perché condividono con te il dolore, perché si fanno in parte carico della tua colpa. Anche se a te resterà sempre la colpa più grande, l'embrione dell'idea, il seme della distruzione. Quando apri le porte dell'Inferno, non conta quanti ti seguono lungo il cammino: quando realizzeranno dove li hai portati, e sentiranno le fiamme lambire la loro carne e il fumo intossicare i loro polmoni, si guarderanno indietro e non potranno non vedere te, e ciò che hai realmente donato loro...
Di nuovo la vista si annebbia, la sala svanisce nella densa oscurità di cui sono fatti i ricordi, ma questa volta le sono quasi riconoscente. Non voglio vedere le congratulazioni, non voglio assistere ancora una volta alla premiazione e al momento in cui il mondo mi ha dato il permesso di dar vita al suo inferno.
Ma proprio quando un sospiro di sollievo per aver evitato quel ricordo sta per lasciare le mie labbra, ecco che il mio demone personale rivolta le carte, e davanti a me iniziano a stagliarsi gli imponenti edifici di Milano.
Milano, 2 Febbraio 2035
Sede del European Research Council
Osservo Milano dall'alto, il quartiere Porta Nuova si estende smisurato davanti ai miei occhi, simile in tutto e per tutto alla città giapponese che per prima ha riconosciuto e premiato il nostro lavoro. Siedo su una scomoda sedia dirigenziale, nell'enorme sala riunioni della sede milanese dell'ERC. Il Consiglio Europeo per la Ricerca ha finalmente terminato di vagliare il nostro progetto, dopo quasi cinque anni di studi approfonditi, e investigazioni minuziose. Un tempo infinito, nel quale spesso siamo stati tentati di accogliere proposte esterne, giapponesi per prime, ma anche americane, indiane e persino siriane, tutti desiderosi di mettere le mani su un progetto che promette di dare un nuovo volto al nostro mondo... Un volto di morte, un volto di distruzione... Eppure, per spirito patriottico abbiamo atteso, ci siamo impuntati, finché alla fine l'ERC non ha ceduto, e ci ha convocati qui nell'ufficio italiano. Che il nostro progetto non convincesse molti dei loro scienziati era chiaro fin da subito: troppo timorosi che un passo del genere fosse avventato, affrettato, si sono presi cinque anni, giustificandosi con poco credibili esigenze di studio solo per poter ritardare l'uscita del nostro progetto, per rimandare l'inevitabile, e posticipare il futuro.
Ma il futuro è qui e adesso, e attende solo una firma sullo schermo bianco che ho davanti. Quanto può una semplice firma, nel gioco del destino del mondo! Quanto può una sola parola, nell'universo di possibilità umane di cui siamo parte. Una firma, e il mondo non sarà più lo stesso.
Una firma, e l'inferno può finalmente avere inizio.
Roma, 16 Aprile 2035
Laboratorio dell'Università della Sapienza
La comunicazione è appena arrivata: la settimana prossima comincerà la prima produzione su scala ridotta e la nuova generazione figlia del nostro prototipo-madre vedrà finalmente la luce. Il ventiquattresimo prototipo in quasi vent'anni, quello definitivo, quello perfetto.
Ho dovuto sostenere una discussione accesa con i nostri finanziatori, ma alla fine ho ottenuto quello che desideravo: sarò tra i primi a indossare l'ANL-24, tra i primi ad accedere alle sue infinite possibilità. Sono riuscita a inserire anche Matteo in lista, e forse potrà arrivare a possederne uno appena poche settimane dopo di me.
Sono riuscita a condannare anche lui... La dannazione ora appartiene ad entrambi...
La sua fiducia incondizionata per il mio lavoro è ciò che mi ha permesso di arrivare dove sono, il suo sostegno il motore di questi anni apparentemente infiniti, ma che oggi sembrano solo il naturale percorso che ha permesso all'umanità di giungere fino a qui. Tra qualche mese i primi di noi avranno la possibilità di beneficiare dell'ANL-24 e forse tra un anno o due l'intera Roma potrà godere dello stesso privilegio.
Ma per il momento, io e mio marito saremo tra i primi, a condividere un dono che sostituirà ogni rammarico e dolore passato, ogni tentativo fallito di creare qualcosa che fosse a nostra immagine e somiglianza, e che portasse la nostra eredità.
Sarà ANL-24, d'ora in poi, la nostra eredità. Abbiamo lasciato la nostra impronta nel mondo, e nessun seme di mortalità potrà mai farla sbiadire.
...Li hai condannati tutti, tu hai creato l'Inferno in terra... Satana si è ritirato dal suo seggio diabolico, e non hai esitato neanche un secondo a sederti al suo posto... Il mondo brucerà per l'eternità, e tu starai a guardare, con la soddisfazione sulle labbra, e l'Inferno nel cuore...
Roma, 26 Novembre 2049
Ospedale dei Castelli Romani
Il filo della mia esistenza si è spezzato.
Mi sento una corda senza più un punto di aggancio, una foglia senza più un ramo al quale sostenersi, preda di turbini di vento implacabili che non può controllare.
Nulla ha più senso, nulla importa. Neanche l'ANL-24 riesce a rallentare la caduta che sta piegando il mio corpo, contorcendo il mio spirito. Il controllo che esercita sulle mie funzioni vitali non può nulla, contro la mia volontà di lasciarmi andare.
Lo sento scaldare il mio organismo, pompare con costanza sangue nei tessuti e irradiarli in quella scintilla vitale che potrebbe salvarmi la vita, ma le macchine intorno a me segnalano flebilmente che la vita mi sta lasciando, e lui non può farci niente.
Ha guarito le mie ferite, riassorbito l'emorragia che minacciava di stroncarmi, ma l'anima fugge altrove, in un luogo dove il naturale scorrere del tempo non si è mai spezzato, e io ancora mi aggrappo saldamente all'albero che fino ad ora mi ha sostenuta.
...È colpa tua, è tutta colpa tua. L'inferno è appena cominciato e non puoi farci nulla, non puoi farci nulla...
Matteo è morto, e la colpa con grande probabilità è stata dell'ANL-24. L'ho capito nel momento in cui il suo corpo si è teso, il suo sguardo si è fatto vacuo, e ha mormorato quelle atroci parole, con le mani ancora ancorate al volante. «Non sento più il mio corpo, non lo sento, non lo controllo.»
Le scene dell'incidente si susseguono rapidamente davanti ai miei occhi, come un film atroce e crudele che non posso smettere di guardare: la macchina che corre a velocità impazzita, Matteo che non riesce più ad arrestarla, le pupille che si perdono nel bianco dei suoi occhi rivoltati, i muscoli sui quali non ha più volontà che ancora premono l'acceleratore, lanciandoci in una folle corsa verso l'abisso. Io che urlo come impazzita, cercando di aiutarlo, tentando disperatamente di salvarci. Invano. La macchina vola oltre la scarpata, e la vista di Matteo viene sostituita da quella della lamiera che si contorce, e del vetro che va in frantumi. Un istante, e il buio sostituisce ogni cosa.
Bloccata in un involucro dal quale voglio fuggire, continuo a pensare a quello che è successo, a cosa ha scatenato la nostra fine. I primi segni di malfunzionamento dell'ANL-24 sono arrivati qualche mese fa, ma al Laboratorio abbiamo dato poco peso: parametri nel del tutto nella norma, sporadici episodi epilettici, fenomeni di irrigidimento muscolare, parevano solo i normali sintomi di una risposta differenti di organismi differenti all'azione dell'ANL-24. Nulla di preoccupante, nulla di importante. Ho negato la realtà dei fatti con testardaggine, finché non l'ho vista con i miei stessi occhi.
Matteo guidava come era solito a fare, i controlli automatici dell'auto disattivati per godersi il piacere del controllo, nonostante sapesse quanto ritenevo inutilmente pericolosa quell'abitudine. Dev'essere stato allora che l'ANL-24 ha iniziato il suo dannoso operato, o forse era già in moto da ore, giorni, settimane, e non ce ne siamo mai accorti. Forse ha agito indisturbato, invisibile ai controlli medici e alle scansioni regolari alle quali ci siamo sottoposti, e quando il suo corpo se n'è reso conto e ha cercato di rifiutarlo, di espellerlo come qualcosa di estraneo e nemico, era ormai troppo tardi.
I ricordi di quella manciata di minuti si alternano alla consapevolezza che man mano che il mio corpo guarisce, la mia coscienza riprende terreno, e la mia anima viene richiamata dal suo guscio protetto. Lo sento, il mio ANL-24 ha rimediato a ogni danno fisico, e temo che presto sarà in grado di fare lo stesso con quella parte di me che ancora si rifiuta di riprendere a vivere.
Non so quanto è trascorso dall'incidente, non so cosa succede oltre i pesanti tendaggi che separano la mia stanza dal resto del mondo, ma più il tempo passa, più ne sono consapevole: non mi lascerà morire. L'ho progettato proprio a questo scopo: innescherà una cascata di reazioni a catena, trasporterà forsennato sostanze essenziali alla mia sopravvivenza da un punto all'altro dell'organismo finché non mi riprenderò del tutto, e a quel punto nulla potranno i miei tentativi di lasciarmi andare. Gli basterà insinuarsi nel tessuto nervoso, riprogrammare i giusti segnali, e anche il desiderio di abbandonarmi svanirà, lasciandosi dietro solo un pallido ricordo.
Sono bloccata in un corpo che fa di tutto per salvarmi, ma ora l'unica cosa che vorrei è morire, e porre fine a tutta questa sofferenza.
E invece non puoi, non potrai mai... Il tuo corpo continuerà a vivere ancora a lungo, e tu sei destinata a rimanere per sempre la sua preda, il suo trofeo, il suo tesoro... Puoi solo stare a guardare, mentre tuo figlio ti mantiene in vita giorno dopo giorno, e ti mostra il frutto della tua eredità...
Roma, 30 Novembre 2049
Ospedale dei Castelli Romani
È passato più di un mese dall'incidente, ora lo so, un mese nel quale ogni tentativo del mio corpo di liberarsi di ANL-24 è stato vano: una lenta e futile battaglia invisibile tra ciò che rimane del mio organismo originale e ciò che la mia creatura ha riprogrammato. Un mese trascorso a letto, al sicuro tra le quattro pareti di questo ospedale vecchio e decadente, mentre là fuori Roma lentamente implode su se stessa.
È stata Francesco, dopo avermi rintracciata in ospedale, a raccontarmi quello che succede tra le strade: la città è in preda al caos, e nessuno ne comprende ancora la causa. Quello che si sa, è che la gente urla e corre impazzita, commette azioni insensate, distrugge ciò che ha creato, negli occhi il terrore di chi si rende conto di non avere più il controllo del proprio corpo, la libertà delle proprie azioni. Nessuno al sicuro, e chi ancora è padrone di sé si domanda quando arriverà il proprio turno, mentre lentamente l'Apocalisse si insinua tra noi, e spalanca le porte dell'Inferno.
Solo io e Francesco sappiamo che ANL si muove dentro ognuno di loro, si fa strada nelle loro difese, riprogramma il loro corpo secondo uno schema che doveva servire a mantenerli in vita e garantire loro un'esistenza migliore, ma che ora pare essersi svincolato da ogni controllo, e agisce senza nessuna apparente logica. Lo sappiamo, eppure non abbiamo idea di come combatterlo, né le forze per farlo.
Ho dato vita a un mostro che non ha sostanza, che vive e cresce in noi, e che non può essere estratto. E l'ho diffuso tra la gente, ho permesso che diventasse non solo comune, ma anche amato, desiderato e bramato. Chiunque, da Capo Nord a Città del Capo, da San Francisco a Mumbai, ha un ANL impiantato nell'organismo.
Nessuno è più al sicuro, l'Inferno è arrivato e non esiste Redenzione.
Prima che il ricordo sbiadisca del tutto e sfumi nel vortice di cui sono preda, mi chiedo se allora avessi realizzato quale punizione la mia creatura avesse pensato per me. Se avessi anche solo immaginato come mi attendeva...
Roma, 1 Gennaio 2051
Riapro gli occhi nella stanza, e Francesco è ancora chino al mio fianco. Sul suo volto, posso leggere lo stesso dolore radicato anche nel mio, la stessa colpa che non abbandona mai i nostri sguardi, ma che non riesce mai a trovare espressione nei nostri discorsi. Non ne parliamo mai, eppure entrambi sappiamo, ed entrambi soffriamo.
E solo ora che la realtà del mio presente assume infine consistenza, il pensiero interrotto poco prima riprende forma, in tutta la sua crudele e atroce realtà. Io e lui siamo gli unici, a quanto ne sappiamo, a non essere caduti preda dell'ANL. Le nostre coscienze sono ancora intatte, il nostro corpo ancora ci appartiene. Ma non del tutto. Mai del tutto. Possiamo respirare, osservare l'esterno e parlare tra noi. Possiamo vedere con i nostri occhi dove la nostra sete di divinità ci ha trascinato, ma se proviamo a mettere fine a tutto questo, l'ANL ce lo impedisce. Se ci ribelliamo e ci rifiutiamo di mangiare, o di bere, l'ANL ci obbliga a farlo. Come ci ha obbligati a cercare risorse, e ad accumularle in questo palazzo, uno dei pochi rimasti interi in quest'anno maledetto, e a continuare a sopravvivere.
Il mondo intorno a noi è colato a picco appena l'umanità ha perso completamente il controllo. Chi lavorava per garantire elettricità, riscaldamento, acqua calda, sicurezza, è morto o è impazzito, e ora forse vaga come un'ombra per le strade distrutte.
Senza nessuno a domare gli incendi, a prevenire i danni elettrici, a pilotare coscientemente gli aerei ancora in volo, gli incidenti si sono susseguiti senza sosta, prosciugando la città e calandola in un vortice di disperazione.
Di Roma, ormai, non resta che uno scheletro fragile e in decadimento.
Solo noi rimaniamo coscienti, spettatori obbligati di questo disfacimento.
Volevamo regalare al mondo un paradiso lontano dalla malattia, dalla morte improvvisa e dalla sofferenza.
E invece abbiamo spalancato le porte dell'Inferno e ora assistiamo dallo scranno di Satana, al tormento dei dannati.
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