Giugno 2019: Percorso - La Strada di Serena

Come ogni mattina, alle sette e trentacinque Serena guardò il suo riflesso allo specchio e spruzzò un tocco di Chanel n°5 sui polsi e sul collo. «Tesoro, sto andando» disse distrattamente a Federico, già stretto nel suo completo e intento a sorseggiare il caffè davanti al computer. «Siamo d'accordo per la cena?»

Lui mugugnò qualcosa di indistinto e Serena sospirò. Sistemò le ciocche bionde sfuggite allo chignon e ripassò il rossetto. «Ho detto, siamo d'accordo per la cena?» ripeté.

Federico alzò il viso. «Cosa? Oh sì, certo. Otto e mezza, giusto?»

«Nove, oggi resto un po' di più in ufficio.»

Si avvicinò e gli soffiò un bacio vicino alla guancia, e le loro nuvole di profumo si scontrarono. «Ha chiamato mia madre» disse lui. «chiede se andiamo da loro per il suo compleanno, martedì prossimo.»

Serena storse le labbra. «Non posso. Devo lavorare.»

«Le dico che non fa.» Lo sguardo di lui tornò allo schermo, senza alcun cenno di dispiacere. Soddisfatta, Serena ruotò su se stessa e uscì dalla sala. Afferrò le chiavi e la fedele Louis Vuitton  e uscì, con un ultimo «Ciao!» che non ricevette risposta.

Pazienza, si disse. Il ticchettio delle décolleté rieccheggiò per il corridoio e l'accompagnò fino all'ascensore. Lì, davanti a un altro specchio, Serena ricontrollò il trucco e iniziò a rimuginare sul nuovo lavoro. Natural Beauty, un cliente importante per la sua agenzia. Prodotti per il make-up, tonalità nude semplici e raffinate. Spontanee, le aveva definite il loro cliente. Come un trucco potesse essere spontaneo, Serena ancora non lo capiva.

Arrivata al pianterreno, inforcò gli occhiali da sole con la consueta eleganza e uscì dal palazzo. Camminò a falcate contenute per la breve strada che la separava dalla stazione. Era uno dei pochi momenti in cui poteva godere della città appena sveglia, e rimanere sola con i suoi pensieri.

E con il suo lavoro.

Lavorava nel campo della grafica pubblicitaria da anni. Con il tempo, aveva scalato con grazia la gerarchia dell'azienda, guadagnandosi un nome e una posizione. E, di conseguenza, anche i contratti migliori.

Quest'ultimo, molto probabilmente le sarebbe valso un aumento e un ufficio più grande. Peccato che, per qualche irritante motivo, in quegli ultimi giorni faticasse a trovare un'idea adatta.

***

Dopo una densa giornata di brainstorming, meeting e brunch, Serena lasciò il palazzo. Era stata così immersa nel lavoro, e nelle possibili combinazioni dei termini bellezza al naturale, spontaneità e felicità, che rischiava di fare tardi. Camminò rapida verso la stazione - correre era del tutto fuori discussione con il suo tailleur - e arrivò nella hall una manciata di minuti prima della partenza. 

Realizzando di aver scordato di fare il biglietto, si guardò intorno in cerca di una biglietteria libera. Ne individuò una automatica con solo un viaggiatore in fila e ci si fiondò.

Tirò un sospiro di sollievo, ma l'euforia durò poco. L'uomo davanti a lei rovistava nelle tasche e nel borsello in cerca di denaro, contando gli spiccioli ad uno ad uno. Un'occhiata al tabellone delle partenze le confermò che non c'era tempo. Estrasse con rapidità la carta dal portafoglio e, prima che lui potesse protestare, lo scostò con un «Scusi, eh. Ma il treno parte» e pagò al volo la sua corsa.

L'uomo la osservò confuso, balbettò un «Oh, grazie», e lei lo degnò appena di un'occhiata; gli porse il biglietto appena emesso e con un «Si figuri» seccato riportò la sua attenzione alla macchinetta.

Digitò con rapidità la sua destinazione - e notò che l'uomo aveva ripreso a contare le monete - e pagò anche il proprio biglietto. Quando si voltò per raggiungere il binario, l'uomo la richiamò. «Aspetti! Forse manca ancora qualche centesimo, ma...»

Serena si limitò a ruotare appena il capo e ad esclamare: «Le tenga pure, ho fretta», prima di riprendere la sua camminata veloce. Lui la seguì e ritentò «No, davvero, non posso accettare...» ma poi il suo cellulare squillò e fu costretto a fermarsi.

Un brandello della conversazione raggiunse Serena: «Sto tornando... forse. In realtà non ho fatto caso al binario, ma... ho ancora due minuti. Forse ce la faccio.»

La donna sentì la tentazione di far finta di nulla e proseguire, ma il tono disorientato dell'uomo la spinse a girare sui tacchi e tornare indietro.

«Dove deve andare?» chiese, sbrigativa. 

Lui alzò lo sguardo su di lei e sorrise di gratitudine. «Vignate.»

«È fortunato, andiamo dalla stessa parte. Venga» disse, e si voltò per riprendere a camminare. «Grazie!» rispose lui, accelerando per starle dietro. «No, non a te, Ellie. Sì, ci vediamo tra poco.» Chiuse la chiamata e la affiancò. Il treno era già il binario e salirono insieme, prendendo posto l'uno davanti all'altra, una manciata di secondi prima che le porte venissero chiuse e il treno si mettesse in moto.

Serena tirò un sospiro di sollievo. Ce l'aveva fatta. Felice, estrasse il tablet dalla borsa e riaprì i documenti. Cercò di assumere un'espressione concentrata, nella speranza che l'uomo evitasse di fare conversazione.

Un suono di monetine la deconcentrò. L'uomo era chino sul borsello e contava le monete; prima che lei potesse dirgli di lasciar perdere, alzò il capo e le porse una manciata di ramini: «Ecco, ora sono giusti.»

«Non si preoccupi, glielo offro» disse lei, sorridendo forzatamente e tornando ai documenti.

«Insisto.»

Serena sospirò. «La prossima volta offrirà lei» borbottò, sperando di mettere fine alla conversazione. Uno scroscio di metallo la informò che l'uomo si era arreso, e che stava rimettendo le monete nel borsello. "Bravo" pensò. "Così la prossima volta farai tardare un altro malcapitato."

Abbassò il capo, seccata, e riuscì a leggere per qualche minuto, finché l'uomo non decise di tornare alla carica. «E se invece le offrissi la cena, per sdebitarmi? Non passo quasi mai da Lambrate...»

Non poteva crederci, stava davvero tentando di rimorchiarla in modo così imbranato? 

«Il mio fidanzato mi aspetta per cena» rispose in tono lapidario, evitando di spostare lo sguardo dal tablet.

«E che problema c'è? Inviti pure lui! I miei figli ne saranno felici, abbiamo di rado ospiti a cena.»

Serena alzò lo sguardo, incapace di mascherare lo stupore. La risposta acida che aveva sulla punta della lingua però sfumò, davanti allo sguardo gentile di lui. Pareva davvero dispiaciuto di non poter ricambiare il suo gesto.

Gli sorrise, cercando di apparire meno brusca. «È gentile da parte sua. Ci penserò» rispose, e poi tornò ai suoi documenti, decisa a lasciar cadere il discorso. Ma nn riuscì a evitare che gli occhi guizzassero in direzione del suo compagno di viaggio. Doveva una quarantina d'anni, pochi più di lei. Li portava bene e nonostante la barba incolta e i capelli un po' troppo lunghi, era decisamente piacente.

Colpita da quel pensiero, Serena si ributtò sul lavoro, ma non riuscì a concretizzare le idee che le ronzavano nella mente. "Ma perché diamine è così difficile?" si chiese, frustrata. Spontaneità, bellezza e naturalezza. Che sarà mai?

Il beep del suo cellulare la distrasse. Estrasse lo smartphone dalla borsa e lesse le poche linee sullo schermo.

Carico di lavoro imprevisto, mi dispiace tesoro.
Rimandiamo la cena a domani, ok?
Baci
Fede

P.S
Non aspettarmi alzata, tarderò.

Una fitta allo stomaco la sorprese. Non era raro che accadesse, spesso era lei stessa a disdire le loro cene per il lavoro. Eppure quel giorno la cosa la intristì. Lanciò un'occhiata al suo compagno di viaggio, che ora pareva perso a contemplare l'oscurità oltre il vetro, e per un attimo si chiese se non dipendesse da lui. Il suo invito a cena, per quanto inopportuno, l'aveva destabilizzata. Chissà se lui dava mai buca alla fidanzata per lavorare... O moglie, forse, visto che avevano anche dei figli. Doveva essersi sposato giovane. Chissà se erano felici insieme...

Imbarazzata da quei pensieri, Serena tornò rapida al suo lavoro. Non alzò più lo sguardo e quando il treno finalmente fermò a Vignate, ripose il tablet nella borsa e si alzò, decisa a levare le tende il prima possibile. Con una galanteria ormai rara, lui si scostò per farla passare, poi la seguì giù dal treno. 

Fatta eccezione per loro due, la stazione era deserta e, per un momento, tra i due calò un silenzio imbarazzante. L'idea di salutare e avviarsi la sfiorò, ma una domanda emerse prepotente alle sue labbra: «A sua moglie non dispiace se invita degli sconosciuti per cena?»

Lui si limitò ad alzare le spalle. «Sono vedovo.»

«Oh, mi dispiace» balbettò lei, dandosi della stupida.

«Si figuri, è passato tanto tempo» recuperò lui, infilando le mani nelle tasche con fare rilassato. «Quindi, venite?»

L'indecisione della donna aumentò. A casa, d'altronde, la aspettavano solo lavoro e frustrazione. Perché no, dunque? «In realtà... sarei solo io. Federico è stato trattenuto a lavoro.»

L'uomo sorrise. «Possiamo aspettarlo.» 

Serena trovò la sua naturalezza piacevole. «In realtà non è necessario, tarderà parecchio.»

«Be', allora andiamo. Abito a qualche minuto da qui» concluse lui, e si mosse per scortarla. A Serena, l'idea di camminare con uno sconosciuto per una cena con i suoi figli sembrò assolutamente allucinante. Eppure, in qualche modo, anche stimolante.

Il suo cellulare squillò, proprio quando stava per aprire bocca e dire qualcosa per smorzare l'imbarazzo. Era la sua collega e rispose, facendosi coinvolgere nel delirio lavorativo fuori orario. Quando l'uomo aprì il portone di una modesta palazzina e imboccò le scale, Serena si congedò a fatica e lo raggiunse mentre lui armeggiava già con le chiavi. Lo guardò con sguardo dispiaciuto. «Desolata. Il lavoro, sa...»

Lui scosse il capo con fare bonario. «Non c'è problema. Prego.»

Un breve corridoio e un piccolo salotto furono le prime cose che Serena notò entrando in casa. Poi dal divano emerse la testa di una ragazza, che togliendo le cuffie esclamò: «Era ora, pa'! Sto svenendo dalla fame...» per poi bloccarsi alla vista della sconosciuta in tailleur. «Oh, salve!» Lo sguardo della giovane, un'adolescente graziosa con due lunghe trecce color nocciola, saettò verso il padre con fare interrogativo.

«Ciao» rispose Serena, mentre l'uomo esordiva, festante: «Tesoro, abbiamo un'ospite per cena. Vai a chiamare i tuoi fratelli?»

La ragazzina annuì e si diresse alla porta, lanciandole un'ultima occhiata incuriosita.

«Può lasciare la giacca lì» disse lui, indicando l'appendiabiti. «Inizio a preparare.» E la lasciò lì, per sparire a sua volta oltre la porta. Serena si sfilò la giacca del tailleur e prese a guardarsi intorno, attirata da una serie di foto appese alle pareti della sala.

Vi si diresse, incurante di apparire indiscreta. Foreste avvolte dal chiarore dell'alba, mare cristallino e, al centro della composizione, il ritratto di una donna. Qualcosa, in lei, la affascinò subito. Indossava un abito leggero e i capelli dorati le fluttuavano intorno al viso. Non aveva un filo di trucco e sorrideva, rilassata, voltata in parte verso la fotocamera. Era bellissima e Serena non potè fare a meno di pensare al suo cliente: Spontaneità e bellezza. Quella foto le rappresentava in pieno.

Si staccò a fatica dal ritratto e proseguì fino alla cucina, dove il misterioso sconosciuto stava armeggiando con il microonde per scaldare la loro cena. Sentendola entrare, si voltò e le sorrise.

«Ti va un bicchiere di vino?» chiese e Serena notò con piacere che era passato a darle del tu.

«Volentieri» rispose, entrando nella stanza e fermandosi accanto a un tavolo già apparecchiato. L'uomo afferrò una bottiglia di vino bianco dal frigo e la stappò, versando il contenuto in due calici. Gliene porse uno e mentre brindavano, in cucina entrarono i figli di lui. La più grande, l'adolescente che li aveva accolti all'ingresso, guardava il padre con un pizzico di malizia. Gli altri due osservavano incuriositi ora lei ora lui.

«Ciurma, lei è...» iniziò il suo ospite e poi si bloccò, realizzando solo in quel momento che non si erano ancora presentati.

Le venne da ridere, per l'assurdità di quella situazione. «Serena, piacere di conoscervi» gli venne in soccorso, alzando il calice nella loro direzione.

Anche lui ridacchiò, imbarazzato. «Serena, sì... Mentre loro sono Helena, Thomas e Lara» continuò, indicando prima la grande e poi gli altri due. Questi ultimi erano tanto simili che, Serena ne fu certa, dovevano essere gemelli. «Ringraziate Serena, ragazzi. È merito suo se riusciamo a cenare in tempo, stasera.»

«Ti ha dato un passaggio?» chiese il ragazzino. Somigliava al padre, stessi riccioli castani e disordinati.

Serena sorrise, spostando lo sguardo su di lui. «Non proprio. L'ho salvato mentre errava per la stazione. Rischiava di finire a Roma, sapete.»

Thomas lanciò un'occhiata alla sorellina e ridacchiò. «Mi sta già simpatica.»

«Quindi è con lei che parlavi, in stazione?» domandò Helena.

L'uomo si limitò a un «Sì» distratto, facendo cenno di prendere posto al tavolo mentre lui tirava fuori una teglia di lasagne dal microonde. «Non è una cena da gourmet, ma d'altronde l'importante è stare insieme.»

L'odore era davvero invitante e Serena si chiese se le avesse cucinate lui, magari durante il week-end. L'uomo servì prima lei e poi i figli, senza perdere la naturalezza che lo aveva contraddistinto fino a lì. Poi si sedette a sua volta.

I due ragazzi più giovani azzannarono le lasagne con voracità, mentre Helena, la grande, le spiluccò con modestia, più interessata a fare conversazione che a mangiare. «E quindi, di cosa ti occupi?» chiese a Serena.

«Sono una grafica, mi occupo di pubblicità» rispose lei, portando alla bocca una forchettata di pasta. Era squisita e a Serena ricordò la sua infanzia.

«Fico! Hai fatto tu quella nuova di Assassin's Creed?» chiese il ragazzino, esaltato.

«No, quella l'hanno fatta dei colleghi» ridacchiò lei.

«Ma hai visto il salto che fa Alexios dalla rupe? È fichissimo!» Serena stava per ammettere che no, purtroppo non l'aveva visto, quando l'uomo alzò il calice di vino nella sua direzione, e la salvò. «Agli incontri fortuiti! A proposito, io sono Giovanni.»

«Non le hai neanche detto come ti chiami?!» rise Helena, seguita a ruota dalla sorellina più silenziosa.

Fu il turno di Serena di salvarlo. «Non c'è stata occasione, eravamo entrambi in ritardo.»

«Papà, già che stavamo parlando di Assassin's Creed...» riprese Thomas, implacabile.

Giovanni non perse un briciolo di compostezza. «Te l'ho già detto, Thomas; forse il mese prossimo.»

«Uffa...» si lamentò lui, e la gemella gli strinse la mano con fare comprensivo.

Quello scambio così spontaneo e naturale diede a Serena una sensazione strana. Erano mesi che non cenava con i suoi, non ne aveva mai il tempo. E Federico... Be', lui non era certo tipo da discorsi del genere. 

Sulla tavola calò il silenzio e per qualche minuto ognuno si rifugiò nei propri pensieri, e nella pasta al forno. Fu Helena a farsi avanti e a infrangere l'imbarazzo. «Ah, papà. Guarda che domani dovrebbe arrivare un pacco per me nel tuo ufficio.»

«Un pacco? Hai comprato altri vestiti?»

La figlia scosse il capo. «No, la Canon che ti dicevo, l'ho trovata usata su Subito a un prezzo stracciatissimo...»

«Certo, e Assassin's Creed il mese prossimo... forse» borbottò Thomas, giocando con l'ultimo pezzo di lasagna rimasto nel piatto.

Helena lo fulminò con lo sguardo. «Se proprio ci tieni vai tu a fare da dogsitter al cane bavoso dei Wu.»

«Se proprio ci tieni, gne gne gne...» le fece il verso il fratello.

Con la coda dell'occhio, Serena notò che Giovanni apriva bocca per sedare la lite. Lo anticipò. «Ah, ti piace fotografare?» chiese a Helena. «Sono tue le foto alle pareti?»

«No, sono di papà. Io sto ancora iniziando.»

Lo sguardo della donna saettò verso Giovanni. «Quindi sei un fotografo!»

«No, faccio il ragioniere.»

«Ma un tempo era un fotografo bravissimo» aggiunse la figlia, con orgoglio.

«E poi?» lo incalzò Serena.

«E poi ho dovuto smettere...» rispose lui, lapidario.

Fu Lara, che fino ad allora aveva mangiato in silenzio, a concludere la frase. «Perché ci siamo trasferiti.»

Serena intuiva di camminare su un sentiero fragile, eppure qualcosa la spronava a indagare oltre. Lo sguardo di quella donna, la sua naturalezza... «Sono davvero bellissime, comunque. Soprattutto il ritratto all'ingresso.»

Giovanni sospirò. «È Elizabeth, mia moglie.»

«L'ha scattata con una Hasselblad, vero papà?» si inserì di nuovo Helena.

Lui si limitò ad annuire, e la figlia proseguì, rivolgendosi a Serena con un sorriso. «Quel giorno eravamo andati in gita a Yosemite e al ritorno io e la mamma lo abbiamo aiutato a svilupparla. Papà all'epoca aveva una camera oscura nel bagno.»

«Ah, il parco di Yosemite! Siete stati in vacanza in America?»

Helena scosse il capo «No, vivevamo lì, prima che la mamma...» la voce le morì e Serena si sentì in colpa per la sua mancanza di tatto.

Per sua fortunata, Giovanni riprese in mano la situazione. «Va bene, abbiamo rattristato abbastanza la nostra ospite. Aiutatemi a ritirare» esclamò, alzandosi e facendosi passare i piatti. «Tu stai pure comoda, finiamo subito» aggiunse, nella sua direzione. Serena li osservò mentre sparecchiavano e non le sfuggì quanto fossero affiatati. In qualche modo, Giovanni sembrava riuscire a riempire, con la sua sola presenza, il vuoto lasciato dalla moglie. 

Ripulito il tavolo, i ragazzi si congedarono e lui iniziò a risciacquare i piatti per caricare la lavastoviglie. Sola con i suoi pensieri, Serena ripensò alla foto di Elizabeth, sorridente e immersa nella natura. Facendosi coraggio, riaprì l'argomento. «Hai del talento. È un peccato che tu abbia smesso.»

Ancora di spalle, Giovanni scosse il capo. «Con tre figli a cui badare, non c'è molto tempo da dedicare alle passioni.»

«Li hai cresciuti da solo?»

«In parte. Elizabeth ci ha lasciati quando i gemelli avevano appena tre anni. Non è stato semplice.»

Le differenze tra loro erano così evidenti che Serena si chiese come avesse fatto a finire lì, a cenare con lui. «Sono molto educati, comunque. Hai fatto un buon lavoro» mormorò, sincera.

Giovanni chiuse la lavastoviglie e le sorrise. «È merito di Elizabeth. È lei che ci ha insegnato a lavorare come una squadra.» Si mosse verso il frigo e lo aprì, rovistando ed estraendo un barattolo di gelato. «Dessert?»

«Perché no?»

La voce di Lara li sorprese dal salotto: «Papà ha tirato fuori il gelato!» In una manciata di secondi i tre fratelli erano di nuovo in cucina, seduti intorno al tavolo.

«Ma oggi non è sabato. È il sabato il giorno del gelato» esordì Thomas, guardando il padre con diffidenza.

Lui posò barattolo, cucchiai e coppette e scrollò le spalle. «Sì, ma oggi abbiamo ospiti.»

«Dovresti venire a cena più spesso» esclamò Lara e la semplicità di quella frase le tolse il fiato. Serena ridacchiò, imbarazzata.

Giovanni distribuì il gelato e per qualche minuto il suono dei cucchiaini riempì il silenzio.

Poi, non riuscendo a trattenersi, la donna riprese: «Quindi sono dieci anni che non tocchi una macchina fotografica?»

«Ho fatto qualche scatto qui e lì, ma nulla di serio.»

«Mai pensato di riprendere?»

«È quello che gli dico anche io» intervenne Helena.

Lui scosse il capo. «Ellie, lo sai che non ne ho il tempo.»

Thomas si intromise, parlando a bocca piena. «Magari potremmo sospendere il Risikabato.»

«Risi...kabato?» chise Serena, confusa.

Giovanni sorrise. «È una tradizione. Il sabato giochiamo a Risiko.»

«Tutta la sera...» borbottò Lara.

«Tutti i sabati» concluse Thomas, in un tono così drammatico che a Serena sfuggì una risata.

«Magari potresti dedicarne qualcuno alla fotografia. Sarebbe bello, vero Serena?» le chiese Helena.

Il pensiero che aveva iniziato a coltivare alla vista del ritratto stava prendendo forma sempre più consistente. «Sì, è un peccato abbandonare le proprie passioni» rispose. Poi spostò lo sguardo su Giovanni e, continuò, invogliata dalla scintilla di malinconia che aveva intravisto nei suoi occhi. «...e a dirla tutta, se sei ancora in grado di produrre scatti come quelli, potrei addirittura avere un lavoro per te.»

Helena sgranò gli occhi, eccitata. «Davvero? Che tipo di lavoro?»

«Degli scatti per una campagna pubblicitaria. Sono settimane che cerco un'immagine che trasmetta ciò che ho in mente e quella che ho visto all'ingresso mi ha colpita come non succedeva da tempo.»

«Quella foto non è in vendita» rispose Giovanni, brusco.

Serena non si scompose. «Non voglio acquistarla. Dico solo che se sei riuscito a catturare quell'attimo una volta, potresti essere in grado di farlo ancora.»

Lui titubò, colto alla sprovvista. «Dovrei lavorarci su, rispolverare la tecnica, procurarmi una macchina...»

«Posso chiederne una in ufficio. Abbiamo del materiale a disposizione» lo incalzò lei.

«E poi volendo c'è la mia Canon» le diede manforte Helena.

«Non è così semplice. Dovrei fare delle prove, capire cosa cerchi... Magari lo scatto che ti serve è uno, ma richiede comunque tempo, impegno, studio...»

Per un attimo, Serena si domandò se stesse facendo la cosa giusta. Lo stava mettendo in difficoltà, era chiaro, eppure in qualche modo sentiva di star camminando sul giusto percorso, per la prima volta da anni. Si era lanciata in quella discussione seguendo un'intuizione, ma ora sentiva che c'era dell'altro. Qualcosa, nella famiglia di Giovanni, nel suo calore e nella sua semplicità, la attirava come una calamita. Quella sera, nonostante tutto l'imbarazzo, si sentiva bene. E poi lui amava fotografare, ne era certa. Lo leggeva in quello sguardo nostalgico.

«Non ho detto che sia semplice. Ma possiamo lavorarci insieme, le sere o il fine settimana» mormorò, sempre più decisa. Il pensiero di Federico la sfiorò per un secondo e poi si eclissò. Tanto, lui avrebbe lavorato, come sempre. Come aveva sempre fatto anche lei. Solo che ora, l'idea di chiudersi nuovamente in ufficio per dodici ore al giorno le sembrava improvvisamente soffocante. «Magari senza togliere troppo tempo al Risikabato» continuò, guardandolo negli occhi.

«Non preoccuparti, sopravvivremo» ridacchiò Thomas.

Helena guardò il padre. «Secondo me è una bella idea. E potrei imparare qualcosa anche io, nel frattempo. Fotografia e grafica, un mix perfetto!»

Le parole di Helena le diedero la certezza: aveva voglia di aiutarlo, aveva voglia di aiutare entrambi, anche se significava togliere del tempo alle sue, di aspirazioni. Per una volta, aveva voglia di dar spazio ad altro, oltre che a se stessa.

«Questo vuol dire che verrai più spesso a cena?» chiese Lara con fare innocente.

«Gelato tutte le sere!» rincarò la dose il gemello.

Serena guardò Giovanni, lesse la sua indecisione, la sua paura di rimettersi in gioco. Ho sbagliato? Si chiese. 

E poi lui le sorrise, e quando parlò i dubbi svanirono. «Magari evitiamo di esagerare con il gelato.»

***

Questa è solo una parte della storia. Il tema di questo mese era infatti Percorso, e io e Alterigio l'altra penna dietro la storia di Serena e Giovanni, abbiamo pensato di parlare anche di Incontri, quelli capaci di cambiare forse per sempre il tuo Percorso e la tua percezione della vita.
In questo caso, il discorso vale per Serena, certo, ma vale anche per Giovanni.

Se sei curioso di scoprire come l'incontro con Serena ha modificato il Percorso di Giovanni trovi il suo punto di vista sul profilo di Alterigio

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