Gennaio 2020: Desiderio - Gocce di Desiderio

Dannata città.

Quando è uscita, questa mattina, il sole splendeva alto nel cielo. Era una perfetta giornata di giugno, calda e senza vento. La prima da settimane, e non è riuscita a resistere alla tentazione di indossare un sottile vestito bianco a fiori rosa, il suo preferito. Il più leggero che possiede e anche il più dannatamente trasparente. Soprattutto quando si inzuppa come adesso.

Ha iniziato a gocciolare che ancora passeggiava in centro e prima di poter realizzare in che guaio si fosse cacciata, è venuto giù un acquazzone estivo in piena regola. Senza ombrello - che senso avrebbe avuto portarlo, con quel sole? - non le è rimasto altro da fare che correre a ripararsi sotto la prima tettoia.

Ora è bloccata, fradicia, con la pioggia che non accenna a diminuire e sembra farsi beffe di lei e del suo abitino estivo; che è ridotto a nulla più che uno straccio fin troppo sottile, dal quale si intuiscono le poche curve morbide. Rabbrividisce, il cellulare stretto in mano quasi potesse tramutarlo in un ombrello con il solo pensiero.

Casa è distante, non ha modo di arrivarci senza bagnarsi ancora di più. Nei sandaletti intrecciati, poi, i piedi sono già così umidi da farla scivolare di continuo, e gli occhiali sono tutti puntinati di piccole goccioline che le rendono impossibile distinguere i contorni della via. Non che vedrebbe nulla di diverso dalla pioggia in questo momento, certo, ma attraversare due quartieri in queste condizioni, con le macchine che le sfrecciano accanto, non le pare affatto una buona idea.

Dannata città, brontola ancora. L'unico posto al mondo in cui esci con il sole e rientri bagnato fradicio in meno di un'ora. Quanto odia questo posto.

Artiglia il cellulare con le dita, indecisa. Potrebbe chiamare diverse persone per farsi venire a prendere, ma odia disturbare per questioni così futili. Scorre comunque la rubrica avanti e indietro, cercando di ignorare quel nome che continua a fare capolino a ogni passaggio.

Lui abita ad appena un incrocio di distanza, lo sa bene. E se glielo domandasse, sicuramente la ospiterebbe fino al termine del fortunale. Potrebbe offrirle abiti asciutti e, perché no, una cioccolata calda per riscaldarsi. Potrebbero parlare, solo lui e lei, e forse...

Al solo pensiero, il sangue le si accende e lo stomaco si contrae. Lo percepisce, quel sottile e impossibile desiderio che si infila nel suo respiro. Lo vorrebbe così tanto che sente le gambe tremare, all'idea di farsi accogliere a casa sua.

Scrolla la testa, per allontanare dalla mente le immagini che si sono presentate. Vale solo per te, si ripete a denti stretti. Per lui sei solo un'amica. Sii forte. Sii salda. Ce la puoi fare.

Accanto a lei la pioggia continua a cadere, instancabile, e il vestito zuppo inizia a trasmetterle un freddo penetrante. Scosta una ciocca di capelli dagli occhi e attraverso gli occhiali scorge un'altra tettoia, a qualche metro di distanza. Forse può spostarsi dall'una all'altra, e continuare così fino a casa. Si bagnerà, certo, ma almeno arriverà tutta intera.

È sul punto di fare un passo e avviarsi, quando un lato della maledettissima copertura che ha sulla testa si inclina sotto il peso dell'acqua. Le piovono giù almeno tre litri tutti insieme, una doccia fredda che le appiccica alla faccia anche gli ultimi capelli rimasti finora salvi. L'acqua le cola giù per il collo e lungo la profonda scollatura del vestito. Resta immobile qualche secondo, raggelata, e tutta la determinazione crolla sotto lo sconforto di sentire le gocce insinuarsi perfino dentro le mutande.

Fanculo, si dice, riaccendendo lo schermo. Non succederà niente e dovrò stringere i denti per per non fargli capire quanto mi pesa guardarlo senza sognare di saltargli addosso, ma ce la posso fare. Prima di cambiare idea, seleziona il suo nome e fa partire la chiamata.

Lui risponde al secondo squillo.

«Pronto?» La sua voce, dall'altra parte del telefono, è un'inaspettata carezza.

«Sono io... ciao» balbetta. «Ti disturbo?»

«Certo che no. Dimmi tutto.»

La rapidità con cui lui pronuncia quelle parole basta a farla sentire meglio. «Sono uscita per fare due passi, stamattina, e mi ha sorpresa questo stramaledettissimo temporale...»

Lui ridacchia. «Io l'ho scampato per un pelo, sono rientrato poco prima che iniziasse.»

«Quindi sei a casa? Potrei...» Esita, non sa bene come porre la domanda.

«Sì, sono a casa.» Lui non aggiunge altro, sembra aspettare che sia lei a dire qualcosa.

Inspira, per trovare il coraggio. «Ti disturbo se mi avvicino qualche minuto? Giusto finché non diminuisce. Ero a due passi da casa tua quando è iniziato e...»

«Nessun problema, ti aspetto.»

Lei sorride, il cuore che già batte più forte. «Grazie.»

«Figurati.»

Chiude la chiamata ed espira. La pioggia continua a cadere, incessante. Preferirebbe che smettesse, che le desse una scusa per cambiare di nuovo idea. Ma non succede, quindi afferra la borsa, la solleva sopra la testa e corre fuori dal suo riparo.

Arriva a casa sua in una manciata di minuti. Suona il citofono e lui le apre subito, senza neanche chiedere chi è. La salita in ascensore è una silenziosa agonia, l'abito e i capelli gocciolano sul pavimento ma lei non ci fa caso. È troppo impegnata a tenere a bada l'ansia, crescente, che si sta impossessando di lei.

Quando le porte finalmente si aprono, lui è già sulla porta, lo scorge tra le lenti bagnate.

«Ciao» le dice, e poi ride, forse perché appare buffa così conciata. «Vieni, accomodati. Qui starai al caldo.»

Si scosta per farla entrare. Ha i capelli disordinati, lunghi il tanto giusto per infilarci le dita dentro e... Scrolla ancora il capo, contrariata dai suoi stessi pensieri. «Ti ringrazio. Mi hai salvato la vita» dice, per sdrammatizzare, mentre lui chiude la porta e la scorta lungo il corridoio. In casa non sembra esserci nessuno, forse i suoi coinquilini sono tutti a lavoro. Pessimo tempismo, si dice. Sono soli.

«Sempre a disposizione.» La sua voce la distoglie da quei pensieri. Lo osserva di spalle, muta e un poco intimorita. Ha le spalle larghe, solide; le fanno venire voglia di abbandondarcisi sopra. Fatica ad allontanare le immagini che le affollano la mente, e quando lui parla inizialmente non lo capisce. «Come...?» domanda, arrossendo.

«Ho chiesto se vuoi dei vestiti asciutti. Prendi freddo, così.» Si è fermato all'imboccatura della stanza, dietro riesce a intuire il perfetto ordine con il quale convive.

«Be'...» inizia. Vorrebbe dire di no, la sola idea di indossare qualcosa di suo le fa infiammare le guance. Ma poi un brivido le risale lungo la spina dorsale. «Sì, direi che è il caso» si arrende.

Lui sorride ed entra in camera. Non la guarda, i suoi occhi vagano senza posarsi mai davvero su di lei. È a disagio anche lui, capisce. Non sa bene come comportarsi. Però finge bene. Le porge prima un asciugamano, con il quale lei si asciuga il viso e gli occhiali. Poi apre uno dei cassetti ed estrae una camicia e un paio di pantaloni da ginnastica. «Questi dovrebbero andarti bene» dice, passandoglieli. «Aspetta che ti cerco delle calze.»

Ferma al centro della stanza, lei lo osserva mentre fruga tra i cassetti; le ciocche di capelli gli vanno continuamente sul viso e lui le scosta con irritazione. Per un momento, lei immagina di inginocchiarsi al suo fianco e di spostargliele, delicatamente.

Quando lui si rialza, quella fantasia è già svanita.

«Ecco, tieni» le dice, avvicinandosi. Quando le porge il paio di morbidi calzini bianchi le sfiora la mano. Sorride, imbarazzato. Ha fermato lo sguardo sul suo viso, ma non sugli occhi, quelli no. Non incrocia mai il suo sguardo. Sembra osservarle il mento, appena sotto le labbra. È meno intimo che guardarla negli occhi, eppure la fa fremere comunque.

Involontariamente lei contrae le labbra, le sente pizzicare come se lui le avesse accarezzate. «Ti ringrazio. Posso usare il bagno?» dice, ma lui continua ad osservarla e lei abbassa il capo, sopraffatta. Tutti i buoni propositi sembrano svaniti, davanti a quello sguardo. È persa, realizza. Però lui la guarda in un modo che le fa sperare che non sia poi così male, perdersi. Magari anche lui...

Con la coda dell'occhio lo osserva, e solo ora nota che ha bagnato parte del pavimento della camera e sicuramente anche tutto l'ingresso. Le viene da ridere, per quanto è assurda quella situazione. Se adesso andasse in bagno potrebbe quasi battere un record: tre stanze su sei allagate, un successo.

«Cambiati pure qui» dice lui, seguendo il suo sguardo e frainteso la sua esitazione. «Io vado a prepararti qualcosa di caldo.»

Fa per andarsene, per lasciarle spazio e privacy, ma poi si ferma a un passo da lei. Sembra voler dire qualcosa, ed è così vicino che lei riesce a leggere il suo timore nelle piccole contrazioni delle fronte, nel fremere irrequieto delle ciglia. «Io...» inizia, e poi si interrompe, impacciato. Il suo respiro, a un soffio dal suo, è caldo e tormentato. Sta per aggiungere altro, ma invece scuote il capo e sospira appena. In un attimo è già tornato a sorridere lievemente come fa sempre. «Vieni pure di là quando hai fatto.»

Lei è senza parole, non l'ha mai visto così. Possibile che anche lui...?

È già arrivato alla porta, quando finalmente lei riesce a ritrovare la voce. «Aspetta.» Il cuore le batte così forte che fatica a sentire le sue stesse parole. E forse è meglio così, visto che le successive vengono fuori senza alcun controllo. «Resta.»

Appena un sussurro, ma lui lo sente. Si volta e la guarda, questa volta sì, negli occhi. «Sei sicura?» sussurra e quando lei annuisce lui avanza fino a fondere il respiro con il suo.

«Davvero?» mormora, con la voce arrochita dalla speranza. E lei è già annegata nell'azzurro dei suoi occhi, persa tra le spire di quel desiderio sconosciuto. Invece che rispondere, annulla la poca distanza rimasta e cerca le sue labbra. Tutto quello che si concede è un solo istante di dubbio, prima che lui ricambi il bacio e la stringa tra le braccia.

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