Aprile 2019 - Freddo - I bambini grandi sono coraggiosi

Esistono molti tipi di freddo, e non tutti possono essere combattuti con facilità.

La maggior parte di noi ha conosciuto il gelo più comune, quello che ti viene a trovare all'inizio dell'anno e ti costringe a mettere su strati di vestiti per impedirgli di mordere via il poco calore che hai in corpo. Qualcuno, tra i più fortunati, avrà vissuto anche un tipo di freddo più morbido, che associa alle giornate d'estate, in cui decidi di immergerti nell'acqua troppo presto e il gelo ti sorprende le caviglie e ti stritola fuori il respiro dai polmoni.

Ma esiste un freddo capace di arrivare in qualunque stagione, che viene a trovarti quando meno te l'aspetti e non importa quanti vestiti hai indosso o quanto sei rimasto fuori dall'acqua con la testa rivolta verso il sole; non c'è nulla che possa allontanarlo.

È questo il freddo che Giovanni pensa di sentire ora.

Seduto sul sedile posteriore dell'auto, ha indosso tanti di quei vestiti da sembrare un grande marshmallow azzurro; si è rintanato in quel carapace di stoffa quasi un'ora fa, eppure non riesce a smettere di tremare. È un tremore che viene da dentro, da quella parte molle e sconosciuta che sente fremere sotto le ossa. Si estende come una lama, scava nelle profondità delle sue viscere e poi dilaga giù per le gambe, impedendogli di stare fermo.

Fuori, dietro il finestrino reso opaco dal suo stesso respiro, distingue a malapena le sagome dei nonni, fermi con degli sconosciuti sulla veranda stinta. Vorrebbe capire cosa stanno facendo, lì in piedi con le mani giunte, ma ogni volta che prova a convincere le gambe a muoversi, queste si rifiutano e tremano più vistosamente. Così si limita ad attendere lì dentro, la fronte così sudata che i capelli gli si sono tutti appiccicati e, nonostante tutto, con un tremore incontrollabile che lo squarcia da dentro.

Passano diversi minuti, durante i quali il suono dei suoi denti che battono è l'unica cosa che riesce a sentire. Poi la portiera accanto a lui si apre e la voce della nonna lo sorprende, morbida e levigata. «Gio» lo richiama, e per un momento la lama che scava dentro di lui sembra quasi ritrarsi. Alza lo sguardo e la nonna sorride. Ma è un sorriso teso, nel quale Giovanni non riesce a trovare davvero conforto. Le rughe le scavano la pelle e oggi sembrano essercene più del solito. Come se ne fossero comparse di nuove, in seguito agli ultimi eventi.

«Tesoro, non puoi rimanere tutta la sera qui dentro» mormora ancora lei, chinandosi al suo fianco. I lunghi capelli striati di grigio le sfuggono dalla coda e Giovanni non riesce a fare a meno di osservarli. Le è sempre piaciuta la chioma della nonna, così simile a quella della sua mamma eppure più antica, quasi magica con tutte quelle sfumature di fumo. Lei posa la mano nodosa sulla sua e, per un istante, Giovanni pensa che smetterà di tremare sotto quel tocco familiare. Ma il tepore che la nonna emana fatica a raggiungerlo. È come se intorno a lui si fosse alzata una barriera impenetrabile, un guscio che invece di tenerlo al caldo, impedisce al gelo di andarsene.

Giovanni abbassa gli occhi e riprende a tremare e la mano della nonna si sposta, dal sedile fino alla fronte. La tasta, timorosa che abbia la febbre. Dev'essersi accorta che non riesce a smettere di tremare. «Gio» sussurra, avvicinando il volto al suo. L'odore della naftalina lo avvolge, ed è quasi piacevole. Sa di casa, e di sicurezza. Giovanni sa che la nonna usa dei sacchetti di quei cristalli trasparenti per conservare i vestiti nell'armadio, e il suo guardaroba è sempre avvolto da quell'odore pungente. Il suo, e quello del nonno.

Non sa perché, ma gli viene da pensare a quando era più piccolo, e si infilava nel loro armadio seguendo chissà quale avventura. Una volta ha trovato uno di quei sacchetti e ha cercato di assaggiarlo, e lei è arrivata a strapparglielo dalle mani poco prima che lo rompesse. Da allora li hanno sempre nascosti con più cura, nelle tasche dei cappotti o sotto i colletti delle giacche, appesi con una spilla da balia, e per Giovanni è diventata una sfida trovarli, anche se non ha più cercato di mangiarli. Pensare a qualche anno fa lo aiutare a rallentare i tremori. Forse perché allora il mondo intorno a lui era pregno di calore, lo stesso che fino a poco fa sentiva filtrare via dal suo corpo e disperdersi nell'abitacolo.

Con una dolcezza che le appartiene da sempre, la nonna lo scosta al centro del sedile per farsi spazio. Si siede al suo fianco e lo accarezza, e per un momento lui ha la tentazione di lasciarsi andare, di farsi avvolgere dalle sue braccia e cercare rifugio nel suo maglione sbiadito.

Poi però quella lama familiare riprende a scavare e Giovanni si irrigidisce. Sa che se si abbandona adesso ogni barriera che lo separa dal dirupo cederà e lui inizierà a piangere, e non lo può permettere.

I bambini grandi non piangono. I bambini grandi sono coraggiosi.

Glielo diceva sempre il suo papà e anche se adesso non è qui per ricordarglielo, lui non vuole comunque deluderlo. Così lascia che la nonna lo accarezzi ma non si getta tra le sue braccia. Lei sembra capire e non insiste, ma prende a muovere una mano su e giù lungo la sua schiena.

In qualche modo, quel movimento aiuta. La pelle sotto gli strati di vestiti si riscalda, non abbastanza da placare i tremiti, ma il tanto sufficiente perché Giovanni senta la barriera allargarsi. Prende un respiro più profondo e il suono insistente del suo cuore che batte scema appena. La nonna lo sostituisce con la sua voce. «Tesoro, perché non vieni dentro? So che non è facile, ma non puoi rimanere qui dentro tutta la sera. Non vuoi salutarli, prima...»

Non conclude la frase, ma Giovanni non ne ha bisogno. Sa bene cosa avrebbe voluto dire: "prima che chiudano le bare, prima che li portino via, dove non potremo più vederli."

Il tremito riprende più forte.

Ora la nonna sembra davvero preoccupata. Quando qualcosa la tormenta, la ruga che ha sulla fronte si tende, dando l'idea che un alberello cresca dalle sue sopracciglia. Di solito lui e il nonno si divertono a prenderla in giro per quella cosa, ma oggi Giovanni non riesce proprio a riderci su.

Invece, si rannicchia ancor di più in sé stesso, scrollando appena il capo.

Non parla, perché teme che anche questo romperà gli argini e lo farà piangere.

La nonna sospira, continuando ad accarezzarlo.

Poi d'un tratto si alza, e per un momento Giovanni ha quasi paura che lo abbandonerà lì, su quel sedile sporco, a tremare incessantemente per un freddo che non è in grado di combattere da solo.

Vorrebbe urlare, dirle che ha bisogno di quell'abbraccio, anche se fa di tutto per far credere che non sia così. Ma dalle labbra non esce nulla, e i passi della nonna che si allontanano sono tutto quello che riceve in risposta.

Il freddo si fa più intenso, ora fatica a sentire le dita dei piedi dentro gli scarponcini, e le mani sono così gelate che sudano sul piumino. La lama si fa largo dentro di lui, striscia implacabile nelle sue vene, congelando quello che trova sul suo cammino. Giovanni chiude gli occhi e trema, trema tanto che pensa che potrebbe muovere l'intero abitacolo.

E poi anche la portiera alla sua destra si apre, e da entrambi i lati il nonno e la nonna entrano nella macchina, per sedersi accanto a lui.

Questa volta è il nonno a parlare, con la sua voce roca e densa di fumo. «Giovanni, guardami» sussurra e lui alza istintivamente il viso. Il nonno non sorride, ma d'altronde lo fa di rado. Però lo guarda, così intensamente che Giovanni si perde in quegli occhi azzurri. «Non sei solo, Giovanni. Io e la nonna siamo qui per te. Non ce ne andremo, non ti lasceremo solo. Te lo prometto.»

Giovanni sente la lama arrestarsi, il freddo ritrarsi leggermente. Il nonno continua. «So che è dura, e solo che adesso vorresti averli qui. Ma non devi mai dimenticare che loro ci sono, anche se non puoi vederli. Sono qui, accanto a te, e non se ne andranno mai.»

«Io...» Quella parola sfugge, e la barriera si incrina. La nonna riprende ad accarezzarlo, il nonno annuisce. Entrambi attendono che lui parli. Giovanni scuote ancora la testa. «Mi... mi mancano così tanto» mormora, e il tremore si allevia un poco, il tanto sufficiente a fargli muovere un po' le gambe.

La nonna gli accarezza i capelli. «Lo sappiamo, tesoro, mancano tanto anche a noi.»

«Come... come faccio a vivere tutta la vita senza di loro?» È un gemito, più che una vera domanda, e Giovanni sente gli occhi bruciare, le lacrime premere al margine degli occhi. Tenta di respingerle, di rimandarle indietro dove dovrebbero stare, ma loro non vogliono saperne.

Il nonno si accorge di quella lotta interiore. La legge nel suo sguardo, nel miagolio confuso delle sue parole. Lo prende dolcemente per le spalle, stira le labbra in un'espressione più accogliente e mormora, così piano che Giovanni deve tendere le orecchie per udirlo. «Un giorno alla volta, figlio mio. Vivremo un giorno alla volta, insieme.» Rafforza la presa, e Giovanni sente il calore che fluisce dalle mani del nonno alle sue spalle, da quelle della nonna al collo e al viso.

È lei a parlare, adesso. Lo stringe a sua volta, con dolcezza. «Lasciale andare, Giovanni. Lascia andare le lacrime. Se le trattieni, non faranno che farti del male.»

Lui tira su con il naso, e il respiro gli si mozza. E poi viene giù tutto insieme, un torrente inarrestabile di lacrime e muco, scossoni e singhiozzi. I nonni lo stringono più forte e lui si rannicchia a loro, al sicuro tra quei maglioni che sanno di naftalina, in una bolla di calore che, pian piano, frantuma la lama dentro di lui in mille schegge inoffensive.

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