Agosto 2019: Inganno - Un Riflesso nell'Acqua
Di tutti i sognatori che il piccolo villaggio di Abbasanta aveva visto crescere negli anni, Nenneddu era senza dubbio il più tenace. Fin da piccolo, il minuto figlio del ciabattino si era infatti distinto dai suoi coetanei come una viola in un campo di papaveri. Se d'estate gli altri bambini correvano per le strade, scalzi e trafelati, intenti a giocare a Lunamonta con le parole della filastrocca tra le labbra:
...Luna monta, due monta il bue, tre la figlia del re, quattro particolare, cinque incrociatore, sei in crocetto, sette speronette, otto gigiotto, nove il bue, dieci un piatto di ceci, undici per mezz'ora, dodici tutta l'ora, tredici fazzoletto...
Nenneddu... be', camminava sognante intorno a loro con le sue scarpe di cuoio ai piedi e il nasino all'insù, concentrato su qualcosa che solo lui sembrava in grado di vedere. Se pioveva e i bambini si radunavano in casa a giocare a su barrallicu intorno a un tavolo, tra schiamazzi e parolacce quando la trottola ruotava sulla faccia sbagliata, Nenneddu stava in un angolo con una foglia o una piuma in mano, a fantasticare su quale albero o uccello le avesse perdute e su come riportargliele.
Non era un bambino serio, anzi tutt'altro. Ma si divertiva in modo diverso ed era talmente colmo di speranza e di sogni che semplicemente la realtà non pareva sufficiente a contenerli tutti. Così, trovava la felicità nella sua fantasia, nei giochi che immaginava e nelle storie che si raccontava nella mente, giorno dopo giorno.
All'inizio, la povera mamma si preoccupava per il comportamente di quel figlio così strano. «Ti arrori, figlio mio è uno scimpru» diceva alle comari quando lo vedeva camminare con la testa per aria. «Cosa cattiva tiene quel piciocco» sospiravano loro, scuotendo i capi velati con rassegnazione.
Ma se il babbo era nei paraggi, lui si faceva sempre avanti in difesa del piccolo «A mi d'accabbasa!» rimproverava la moglie e le comari in tono seccato. «Nenneddu non è scimpru, è diverso. Specialli.» E la mamma abbassava la testa, perché anche se era lei a provvedere all'educazione e alle necessità degli altri quattro figli, il babbo aveva così a cuore il più piccolo da trattarlo come un gioiello raro, che nessuno poteva scalfire.
Così, con la nomea di tonto, speciale e diverso ad aleggiare intorno alla sua testa, Nenneddu crebbe circondato dai sogni. All'età di otto anni, il babbo lo prese con sé in bottega, per insegnargli il mestiere. Ma Nenneddu era speciale anche in quello e spesso il babbo lo sorprendeva con una suola incompleta tra le mani e il naso di nuovo all'insù, verso la finestra, perso in chissà quali fantasia. Eppure non lo sgridava mai, non apertamente. Si limitava a dargli un buffetto affettuoso e a riportare la sua attenzione al lavoro, sorvolando sul fatto che le cuciture venivano sempre tutte storte e gli toccava ripassarle la notte prima di andare a dormire. Era convinto che il figlio avrebbe rivelato la sua vera attitudine in futuro, e che fosse compito suo assicurarsi che crescesse senza essere ostacolato. «Lassaddu stai» diceva alla moglie, quando lei rimprovera il ragazzo per la sua distrazione. «Vedrai quello che farà in futuro!»
Gli anni dunque passarono ma nonostante le aspettative del babbo e tutto il suo impegno, Nenneddu non rivelò nessuna specialità particolare. Divenne un giovinotto né troppo bello né troppo brutto, né troppo alto né troppo basso. Non dimostrò di essere più intelligente dei fratelli, né tantomeno più bravo come calzolaio. Si perdeva meno nelle sue fantasie, certo, e qualche volta riusciva anche a concludere qualche cucitura tutta dritta, per la gioia del babbo, ma nemmeno come calzolaio brillava particolarmente.
Sembrava, a tutti gli effetti, un ragazzo normale, come ce n'erano tanti ad Abbasanta.
Eppure, non aveva mai smesso realmente di sognare. Crescendo, aveva solo capito che doveva evitare di mostrarsi troppo distratto a casa, soprattutto davanti alla madre. E che era bene terminare qualche lavoro di calzoleria ogni tanto e far contento il babbo, per non rischiare di essere mandato a pascolare le greggi o a tagliare la legna come succedeva ai fratelli maggiori.
Così, sognava la sera, quando si sdraiava nel suo letto nella camera condivisa con i fratelli. O al mattino presto, quando la stanza era vuota perché tutti erano già intenti nelle loro faccende, e lui aveva qualche minuto per sé prima di recarsi in bottega. Sognava per le strade, avendo cura di tenere lo sguardo basso e di non perdersi nel cielo terso e affascinante; e sognava quando passeggiava per i boschi in cerca di piccole bacche da portare a casa per cena. In tutti questi casi, immaginava di essere un cavaliere della corte di Mariano IV d'Arborea, uno di quelli delle storie che gli anziani raccontavano durante le feste ai bambini più piccoli. O un cacciatore dei boschi, che camminava silenzioso tra le ombre per avvicinare le sue prede inconsapevoli.
Si era perfino costruito un arco e una spada, che teneva nascosti in mezzo ai cespugli fuori dal paese, per paura che la mamma glieli sequestrasse. Non era il miglior arciere che i boschi avessero mai visto, e decisamente non era il miglior spadaccino, almeno a sentire i poveri tronchi costretti a fargli da manichino di addestramento. Ma, anche in quello, era senz'altro il più tenace.
Il suo sogno più grande da che ne aveva memoria, era sempre stato quello di salvare una principessa. Aveva iniziato a coltivarlo da piccolo, un giorno che passeggiava a naso in su per le strade del paese, ed era un sogno molto specifico, che aveva una principessa specifica come protagonista: Mariella, la figlia del panettiere che viveva al centro della piazza di Abbasanta.
Già allora, quando l'aveva vista per la prima volta, gli era parsa la creatura più bella di tutte: con i ricci biondi chiusi in due grosse trecce e gli occhi azzurri, Mariella pareva proprio un angelo. E i ragazzi che la torturavano, di riflesso, non potevano che essere dei diavoli.
Nenneddu aveva appena sei anni, mentre loro probabilmente avevano almeno il doppio della sua età. La perseguitavano tutti i giorni, mentre camminava con la cesta di pane tra le mani per fare le sue consegne, tirandole le trecce e facendole le boccacce. E lei si faceva così rossa di rabbia che Nenneddu sentiva sempre il bruciante desiderio di precipitarsi al suo fianco per proteggerla.
Ma loro erano troppo grandi e lui troppo piccolo, e alla fine se ne rimaneva sempre nascosto dietro l'angolo finché non erano passati, con una sottile vergogna che gli strisciava tra le costole.
Per soffocarla, aveva iniziato a sognare con ancora più ardore. Nelle sue fantasie si immaginava vestito in un'armatura scintillante, che accorreva in soccorso di Mariella con una lucida spada stretta tra le dita, e metteva in fuga i diavoli guadagnandosi così un sorriso e un bacio della sua bella.
Era un sogno così bello che Nenneddu non poteva proprio fare a meno di coltivarlo. E così se lo portò dietro anno dopo anno, mentre lui e Mariella crescevano e nella sua mente solo loro cambiavano, il resto rimaneva identico: il salvataggio, il sorriso e il bacio.
In tutti quegli anni, però, non aveva mai trovato il coraggio di rivolgerle davvero la parola. La sognava in ogni momento della giornata, bellissima e dolcissima, ma in realtà a stento conosceva il suono della sua voce.
Lei, invece, Nenneddu lo conosceva bene, almeno di fama. Tutti ad Abbasanta sapevano delle stranezze del figlio del ciabattino e anche se nessuno lo vedeva più tanto spesso camminare a naso per aria e inciampare sui suoi stessi piedi, era comunque rimasto un personaggio caratteristico, di quelli che non si dimenticano facilmente. E poi, Mariella l'aveva colto spesso a osservarla con sguardo perso, e quelle sono cose che a una giovinetta sfuggono di rado. Anche se da anni nessuno la inseguiva più per tirarle le trecce, la ragazza non passeggiava mai da sola per il paese. Erano tanti, infatti, i giovanotti che si offrivano di portarle il cesto, sperando di entrare nelle sue grazie e Mariella ne approfittava, perché era bella e sapeva di potersi permettere di giocare con loro.
Un giorno, mentre camminava per Abbasanta attorniata come un fiore in prossimità di un alveare, la giovane adocchiò Nenneddu fermo dietro un angolo in sua attesa e mossa da una certa vanità, decise di fermarsi a parlargli, seguita a breve distanza da tutto il suo codazzo.
«Buon giorno, Nenne'» lo salutò, sorprendendolo da dietro le spalle.
Colto di sorpresa, il povero ragazzo saltò sul posto, poi al vederla, il viso gli si fece tutto rosso di vergogna. «Buon giorno, Mariella» mormorò, timido e impacciato.
E Mariella, che era ben consapevole di piacere a Nenneddu, continuò, con un sorriso. «Hai visto che bella giornata? Una giornata perfetta per fare una passeggiata. La vuoi fare con me?»
«Una passeggiata?» balbettò Nenneddu, impreparato. Dietro Mariella, i ragazzi del paese ridacchiavano già, aspettandosi da un momento all'altro un'umiliazione.
Non era proprio possibile, infatti, che Mariella dicesse sul serio, non con tutti i baldi e affascinanti giovani che aveva intorno. Nessuna ragazza sana di mente avrebbe scelto Nenneddu al posto loro.
Mariella però sorrise, un sorriso così bello che a Nenneddu parve di star ancora sognando. «Eja. Ti va di passeggiare con me?»
E Nenneddu, che quella ragazza l'aveva sognata per anni, non poté che annuire e seguirla, convinto di trovarsi ancora in una delle sue fantasie. Mentre la giovane aumentava un poco il passo per staccarsi dal codazzo di pretendenti, i giovani di Abbasanta osservarono la scena a bocca aperta, increduli. Non era possibile che i due stessero davvero camminando insieme per il paese. Con stupore, alcuni di loro li seguirono per qualche passo, per assicurarsi che fosse vero. E davanti all'evidenza, tutti dovettero arrendersi alla verità che Mariella, la bella figlia del fornaio, aveva scelto di passeggiare con Nenneddu.
I due, intanto, presero a camminare vicini, con Nenneddu che non riusciva a staccare gli occhi dalla bella ragazza che aveva al suo fianco. Aveva sempre avuto lo sguardo perso nei suoi sogni e ora uno di questi, il più importante, era diventato realtà; non aveva alcuna intenzione di perdersene un secondo. Rimase zitto, dunque, timoroso che quella fantasia fattasi tangibile svanisse nel nulla.
E poco dopo, a Mariella quel silenzio pesò come un macigno. «Be', non mi dici nulla, Nenneddu? Perché non mi racconti uno dei tuoi sogni?» esclamò, spostando i ricci biondi dal collo.
Il ragazzo sgranò gli occhi. «I miei sogni?»
Ma Mariella non si scompose, e continuò a camminare guardandolo di tanto in tanto, con le lunghe ciglia chiare che mettevano in ombra i begli occhi azzurri. «Ellu, cosa sogni tutto il giorno?»
Eh, mica poteva raccontarle che sognava lei. Così, Nenneddu improvvisò. «Sogno... incredibili avventure. Battaglie, assalti, duelli. Cose così.»
Lei storse il naso e Nenneddu sentì il cuore cadere di diverse misure verso lo stomaco. «Che sogni brutti che fai. Non sogni mai cose belle?»
"Sogno te" voleva dirle lui, ma invece rispose. «A volte sogno la luna.»
Mariella sorrise. «Ecco, la luna è proprio una bella cosa da sognare. La sogno anche io, di tanto in tanto.»
«Davvero?»
«Ellu» confermò lei. «Sogno di poterla stringere tra le dita.»
A quelle parole, Nenneddu si illuminò. «Per te, posso conquistarla» esclamò, con tanta veemenza che a Mariella sfuggì una risata. «Cosa? Perché ridi?» si rabbuiò lui.
«Perché non puoi prendere la luna!» rise ancora Mariella, scrollando il capo. «Nessuno può. È impossibile.»
Agli occhi di un sognatore, si sa, nulla appare impossibile. Così, con una sicurezza che nessuno gli aveva mai visto esternare, Nenneddu la guardò negli occhi e disse. «Io posso. E la prenderò, per te.»
Mariella taque, sorpresa. "Ci crede davvero" realizzò. "Crede davvero di poter conquistare la luna! Che faccio glielo dico che non è possibile?"
Ma Nenneddu continuò a parlare, esaltato. «A tre giorni da oggi, quando sarà piena. Andrò al pozzo e la coglierò per te.»
«Al pozzo? Ma quella...» cominciò Mariella e poi si fermò, guardandolo negli occhi. Si vide riflessa nel suo sguardo, uno sguardo che non lasciava alcun dubbio. Nenneddu era innamorato. Lusingata, Mariella non se la sentì proprio di contraddirlo. "Lasciamo che provi" pensò, con una punta di tenerezza. "Vedrà che non è possibile e forse tornerà un po' con i piedi per terra." «Anda be'i» disse quindi. «Se mi porti la luna, prometto di darti un bacio.»
E lui non le diede neanche il tempo di pentirsi per quella promessa. Sorrise e corse via, per andare a prepararsi per la sua missione impossibile.
***
Nelle mattine seguenti, Nenneddu portò a termine tutti i lavori che il babbo gli aveva affidato. Mentre cuciva, la mente fantasticava tutti i dettagli della sua missione. Aveva già visto la luna specchiarsi nell'acqua e sapeva che sarebbe stata troppo grande per tenerla in mano. Aveva bisogno di una borsa. Così, nel tempo libero raccattò gli avanzi di cuoio della calzoleria e li cucì insieme, fino a creare un grosso sacco abbastanza grande da contenere la sua preda.
Al tramonto del terzo giorno, attese con ansia che la luna sorgesse, quasi temesse che conoscendo i suoi piani lei decidesse di non presentarsi. Ma poi, il disco argentato apparve nel cielo e Nenneddu sorrise: era pronto.
Dopo cena, quando la casa si era ormai fatta silenziosa, afferrò la sua borsa di cuoio e tornò nel bosco a raccogliere le sue armi. Poi si incamminò fuori dal paese, silenzioso come un'ombra. Gli ci vollero alcune ore per raggiungere il pozzo e, a metà strada, quasi temette di non riuscire ad arrivare in tempo.
Quando infine le pietre familiari comparvero davanti ai suoi occhi, la luna era alta nel cielo, proprio lì dove sapeva che sarebbe dovuta essere e Nenneddu si precipitò verso il pozzo, la sacca che dondolava alle sue spalle; affacciandosi oltre il bordo, la vide riflessa nell'acqua e la gioia lo investì. Avrebbe reso Mariella felice.
Scendere fino al pozzo non fu semplice e Nenneddu rischiò più volte di scivolare sulle pietre rese viscide dall'umidità. Ma quando arrivò in fondo, la luna ondeggiava sull'acqua, invitandolo a stendere la mano per raccoglierla. E lui lo fece ma... toccò solo acqua, così fredda da strappargli un brivido.
«Com'è possibile?» chiese a voce alta, guardando il riflesso della luna che pareva quasi ridere di lui. «Perché non ti fai prendere, luna? È per una buona causa!»
La luna non rispose e Nenneddu si sentì d'un tratto confuso. L'aveva sognato così tanto, quel momento, che gli era sembrato davvero reale. Perché ora non andava come aveva immaginato?
Una piccola lacrima argentata sfuggì dai suoi occhi e lui si rannicchiò sul bordo del pozzo, triste come mai si era sentito prima. Lui aveva sognato e sperato con tutto se stesso, perché non era abbastanza?
In un moto di stizza, afferrò un sassolino e lo tirò nell'acqua. Il riflesso della luna tremolò e si frammentò e all'improvviso Nenneddu capì. «Non sei mai stata qui» mormorò, alzando il naso verso il cielo. «Era tutto un inganno, sei sempre stata solo lassù!»
Questa volta la luna parve occhieggiare, brillando in cielo come il più bello dei tesori irraggiungibili. «E ora come faccio?» gemette il ragazzo, abbassando il capo. «Lei mi ha promesso un bacio in cambio della luna...»
«E allora portargliela, ragazzo!»
Nenneddu alzò la testa di scatto. «Chi ha parlato?» domandò, adocchiando la penombra del pozzo. Non vide nessuno ma qualche istante dopo la voce riparlò. «Sono qui, sciocchino!» ridacchiò qualcuno e questa volta Nenneddu intravide una piccola figurina sul soffitto del pozzo.
«Sei qui per prenderti gioco di me?» domandò, un po' risentito.
«Prendermi gioco di te? E per chi mi hai preso?» La voce si fece più vicina finché dalle ombre non spuntò fuori una creaturina alta sì e no quanto una borraccia di zucca, con lunghi capelli corvini e due simpatiche alucce frementi. «Non sono mica così antipatica, io!»
Nenneddù sgranò gli occhi, sopreso. «Chi sei?»
«Sono la guardiana del pozzo, ovviamente» ribatté la creaturina, svolazzandogli intorno. «Ho sentito le tue parole e ho deciso di aiutarti.»
«Ti ringrazio» sospirò il sognatore, abbassando di nuovo lo sguardo. «Ma non puoi aiutarmi. A meno che non riesci a convincere la luna a scendere qua giù.»
«Impossibile» ridacchiò la jana con voce cristallina. «Però posso farti un dono che ti aiuterà a ottenere un bacio dalla tua Mariella.»
«Come sai che si chiama Mariella? Io non l'ho detto» esclamò Nenneddu, davvero stupito.
La jana alzò le spalle, assumendo uno sguardo birichino. «Semplice, me l'ha detto la luna.»
«La luna?»
«Certo! Io e lei parliamo sempre, quando viene a trovarmi nel pozzo. Mi ha detto che stavi arrivando» rispose la jana, posandosi sulla sua spalla. «Ti trova simpatico, sai? Le piacciono i sognatori.»
«Dici davvero?» chiese Nenneddu, spostando una ciocca di capelli per porterla guardare negli occhi. «Mi aiuterai davvero?»
La piccola jana annuì. «Sicuro. Stai simpatico anche a me» Indicò la luna, che scintillava ancora nell'acqua del pozzo. «Avanti, prendila pure.»
Nenneddu arricciò le labbra. «Mi stai prendendo in giro, lo sapevo. Non fa a prenderla, è solo un riflesso!»
«No che non lo è, o almeno non solo. Devi guardare oltre l'inganno, per vedere la verità. Su, prova. Metti la mano dentro l'acqua e tocca il fondo. Dai!» E gli tirò un poco i capelli, abbastanza forte da convincerlo a provare.
Nenneddu immerse la mano, trattenendo il fiato per il freddo. La luna si increspò e il ragazzo fece per protestare, offeso; quando le dita sfiorarono qualcosa sul fondo del pozzo. La strinse e tirò fuori e voltando il palmo della mano vide una piccola perla a forma di luna.
«Hai visto? È un regalo dalla luna in persona. Una delle sue figlie, per portarla alla tua Mariella.»
Gli occhi di Nenneddu si illuminarono. «Io... è bellissima» mormorò, ammirando la liscia superficie argentea. Guardò la piccola jana, commosso e felice. «Grazie.»
«Figurati» rispose lei, con un sorriso. «Su, ora vai. Mariella ti aspetta, non farla preoccupare. Vedi? Il sole sta per sorgere, la luna ha terminato il suo tempo.»
In effetti, il riflesso cominciava a scivolare via dall'acqua, dove Nenneddu non poteva vederlo. Con un balzo, il ragazzo fu in piedi. Mise la perla al sicuro e poi salutò la jana con una piccola carezza. «Tornerò a trovarti presto» promise.
«Ci conto» ridacchiò lei. E svanì nel buio, rapida com'era venuta.
A Nenneddu non rimase che raccogliere il sacco, ormai inutile, e ripercorrere la strada all'indietro, con il cuore che batteva forte all'idea di quello che avrebbe detto Mariella. La luna intanto sbiadiva nel cielo e i primi bagliori dell'alba tingevano di rosa la campagna.
Giunto al villaggio, Nenneddu corse alla casa del fornaio, troppo eccitato per aspettare che la ragazza uscisse per le sue commissioni. Bussò e bussò, finché Mariella non venne ad aprire.
«Ti ho portato la luna!» esordì, appena lei guardò fuori.
«La luna? E dove la tieni, Nenne'? Non è troppo grande per le tue tasche?» ridacchiò la ragazza.
Nenneddu scosse la testa. «Proprio no, guarda.» E tirò fuori la perla argentata, che al sole riluceva come una pietra preziosa. «Vedi? Ecco la luna, l'ho presa per te nel fondo del pozzo.»
Sorpresa, Mariella spalancò l'uscio guardò la sua mano. Mai si sarebbe aspettata di vedere Nenneddu tornare vincitore. Eppure la perla che aveva in mano brillava proprio come la luna e la ragazza ne fu colpita al punto da mormorare. «È bellissima. Hai davvero trovato la luna.»
Il cuore di Nenneddu fece un salto. «Posso avere un bacio, ora?» domandò con venerazione. E Mariella, che in un primo momento aveva pensato di imbrogliare quel sognatore sprovveduto, d'un tratto alzò gli occhi su di lui e realizzò di essere appena stata ingannata dalla luna.
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