Altrove

Londra, 23 ottobre 1924

Richard Shadwel se ne stava alla finestra del salone della casa paterna e osservava la gente affannarsi lungo la strada che tagliava Berkcley Square. Sembravano tutti avere una gran fretta di trovare riparo prima che le dense nubi rovesciassero un torrente d'acqua sopra di loro. Le gelide raffiche di vento che accompagnavano il cielo minaccioso colpivano giovani e vecchi, uomini e donne, agguantando maliziosamente i mantelli e le redingote dei passanti, impegnati a tenersi stretti cilindri, cappellini alla moda e scialli svolazzanti. Guance e nasi luccicavano arrossati e brividi scuotevano chi era vestito con abiti leggeri. Per lo più gli abitanti della città rientravano nelle loro case, in famiglia o a più solitarie esistenze, con bramosia o rassegnazione, non curandosi delle comodità che li attendevano né di quanto fosse fragile la vita.

Su una mensola di marmo del salone, un grande orologio batté le quattro. Quattro come i giorni che mancavano al matrimonio con Lydia Kendall. Lei sarebbe forse stata un'ottima moglie, lui sicuramente un pessimo marito.
Se avesse avuto coraggio, avrebbe abbandonato subito Londra e tentato la sorte nella Londra di domani. Ma non sapeva proprio cosa aspettarsi da un posto di cui tutti parlavano con timore reverenziale. Chi vi si era avventurato, non era più tornato indietro. Ciò avrebbe dovuto fargli passare la voglia di tentare l'avventura solo per sfuggire a un matrimonio indesiderato, a cui era costretto per salvarsi dai creditori; ma non era così perché nella Londra di domani aveva un amico che ogni notte, alle tre, gli sussurrava nella testa, tanto che ormai non riusciva a distinguere di chi fossero le parole. Le sue. Dell'altro. Di entrambi.

Era cominciato tutto sei mesi prima. Tornato da una partita a dadi particolarmente sfortunata e, angustiato dall'ingente somma di denaro persa, non era riuscito a prendere sonno. All'improvviso una voce, diversa da quella della sua coscienza, aveva cominciato a sussurrare frasi, in un primo momento senza senso. Stai facendo troppo rumore. Così non riuscirò mai a controllare la zona est. Smettila di frignare. E via dicendo. La voce aveva continuato così per più di un'ora, finché gli aveva detto: «La mia ronda è finita. Se vuoi parlare mi trovi domani alla stessa ora».

Sto ammattendo, aveva pensato e si era ripromesso di parlare urgentemente con il dottor Smith, il medico del padre. La notte successiva, alle tre in punto, la voce aveva ricominciato a borbottate nella testa. Stavolta, invece dei rimproveri, c'erano state confidenze. Gli aveva raccontato di chiamarsi Qhuinn e di essere un vigilante della Londra di domani, di avere la sua stessa età, venticinque anni, e di sentirsi un po' solo in quella città di ferro e vapore.

Richard si era definitivamente convinto di essere pazzo, solo che il giorno dopo invece di chiamare il dottore, aveva aspettato le tre di notte con bramosia perché lo sconosciuto viveva le sue ansie, pensava le stesse cose, comunicava a un livello così intimo con le sue emozioni che gli era diventato indispensabile. E mano a mano che i pensieri confluivano dall'uno all'altro e viceversa, si era fatta strada la voglia di raggiungerlo? Ma come? Nessuno sembrava saperlo, nonostante avesse fatto ricerche ovunque. Alla fine, un po' timoroso per la risposta, lo aveva domandato a Qhuinn. E lui glielo aveva detto. Essendo un vigilante, lo avrebbe aspettato al confine tra Londra e Londra di domani. Lui doveva solo recarsi alla St Paul Cathedral, entrare nella Whispering Gallery e al duecentesimo gradino accostarsi al muro e pronunciare una frase in latino.

Sembrava semplice, ma non lo era. Introdursi di notte nella cattedrale non era roba per lui che da bambino preferiva leggere piuttosto che arrampicarsi sugli alberi come i coetanei. Era un intellettuale, non un uomo di azione! E se poi tutto si fosse rivelato essere una stupida fantasia? Ci sarebbe rimasto troppo male. Avrebbe ucciso ogni speranza di fuggire da una vita insoddisfacente e falsa che non gli apparteneva più. Intanto il tempo scorreva veloce e a lui restavano solo poche ore per decidere. Il giorno stabilito per la fuga era infatti il 24 ottobre alle tre di notte.

Gocce di pioggia cominciarono a picchiare e a scorrere lungo i vetri in frettolosi rigagnoli, riportando i pensieri di Richard al presente. Con un temporale in arrivo in città, la strada era ormai deserta. Solo pochi passanti si affrettavano a cercare riparo. Le carrozze continuavano a correre, i cocchieri ingobbiti che fissavano la strada davanti a sé con gli occhi socchiusi per proteggersi. Chissà se anche nella Londra di domani pioveva, si chiese staccandosi dalla finestra.

***

Londra di domani, 24 ottobre 1824

Qhuinn aveva avuto fin dalla nascita un olfatto sviluppatissimo e gli odori della città in cui viveva erano travolgenti. Diesel, polvere, ferro, spezie, sale, effluvi forti e pungenti che gli facevano irritare la pelle e s'imponevano con prepotenza nelle narici. Anche gli occhi erano sensibili e in quell'angolo di mondo, anche di notte, la luce penetrava negli interstizi tra colonne e travi, risplendeva dai fanali delle macchine terrestri e volanti. Essere daltonico aiutava, anche se aveva i suoi limiti, ma se ti vestivi solo di nero e lavoravi di notte, il più delle volte non era un grosso problema. Inoltre i suoi occhi spaiati, uno verde e l'altro azzurro, erano così acuti e sensibili alle diverse tonalità di grigio che in realtà lui percepiva i "colori"... era tutta una questione di sfumature.
E poi c'erano i suoni. Tutti i tipi di timbri e ritmi, stratificati e contrastanti. Gli piaceva sentirli vibrare dentro come un battito cardiaco. Quelli che più amava erano i pensieri di Richard nella sua testa. Oggi era il grande giorno. Controllò l'orologio inserito nel braccio sinistro. Chissà che effetto avrebbe avuto su Richard constatare che era fatto di metallo. Sapeva dai racconti degli storiografi che nell'altra Londra se perdevi una parte del corpo, non la potevi sostituire.
Scacciò il pensiero molesto. Lo rendeva insicuro e non poteva permetterselo, visto che tra pochi minuti lui sarebbe arrivato.

Giunto al duecentesimo gradino della Whispering Gallery, Richard aveva seguito le istruzioni di Qhuinn, aveva appoggiato entrambe le mani sul muro interno e aveva pronunciato la frase A parte ad latus: intus revelare. Nella pietra si era aperto un varco, che lui aveva subito superato per non perdere il coraggio. Era dunque arrivato dall'altra parte.

Prese un respiro e aprì gli occhi che aveva tenuto chiusi nell'attraversare quella specie di porta. Capì di trovarsi nell'atrio di una torre dal soffitto elevatissimo. Incespicò e si mise a chinino per non cadere. Dovette reprimere però un conato di vomito. Quando toccò il pavimento, si rese conto del perché fosse così difficile mantenere l'equilibrio: il suolo era morbido e scivoloso, sembrava un essere vivente. Si alzò in piedi in fretta e furia e si pulì la mano sui pantaloni, sempre combattendo contro il senso di nausea. Si addentrò a passi cauti nel cuore dell'edificio. L'aria era calda, satura di umidità. Gli penetrò nella pelle e gli arrivò sulla lingua, lasciandogli un sapore aspro e rancido.

«Continua, tra poco il malessere finirà» gli sussurrò Qhuinn nella testa e quelle parole furono sufficienti a farlo camminare più spedito, mettendo da parte la sensazione di malessere, finché sbatté la faccia contro una superficie dura. Una porta. La spalancò e cadde in avanti, esausto e privo di forze. Un corpo solido lo prese tra le braccia e lo strinse forte al petto. Un caldo profumo, di cuoio e pulito, gli riempì le narici e soppiantò l'odore soffocante della torre. Inalò a grandi boccate, come se non ne potesse più fare a meno.

Richard scostò il volto dal petto dell'altro per poterne conoscere finalmente le fattezze. Lo sguardo verde e azzurro di Qhuinn lo stava trafiggendo e, quando se ne accorse, nel petto sentì un brivido. Dio... era quello forse l'amore, pensò. Era il profilo marcato di quella mascella volitiva, le sopracciglia scure e nette con due tagli, e degli anellini metallici su tutto il lobo di un orecchio e nel carnoso labbro inferiore. Erano quei folti capelli neri e lucidi a punta, la carnagione dorata e quel fisico muscoloso coperto da vestiti neri in pelle e inserti di metallo. Era di certo il motivo per cui non aveva mai provato mai interesse né per Lydia né per nessun'altra. Era la ragione per cui aveva attraversato un mondo e sfidato le regole della fisica per abbracciare l'ignoto.

«Sei strano... », gli sussurrò Qhuinn, «eppure ho visto altri provenire dalla tua Londra. Erano diversi da te».
Richard non sapeva cosa rispondere, sapeva che qualche disperato aveva tentato la sorte lì, ma non ne aveva mai conosciuto uno. Una mano di metallo gli sfiorò i capelli ramati. Lui si abbandonò al tocco, ignorando la stranezza dell'arto.

«Andiamo! Il mio turno sta per finire, non puoi farti trovare qui da un altro vigilante, ti porterebbe all'Ufficio Registro Stranieri e per te sarebbe impossibile tornare indietro.»
Lui dunque non lo voleva lì per sempre, pensò con sgomento. L'altro gli lesse nel pensiero. «Voglio che tu sia libero di scegliere se restare o meno... con me.»
Si sentì rassicurato da quelle parole. Passandosi una mano sul ricciolo che gli era caduto sulla fronte ampia, Richard si erse in tutta la sua statura, che era di molto inferiore a quella di Qhuinn, e lo seguì.

Si trovavano in una specie di tunnel, illuminato a giorno, e solo dopo aver camminato per circa dieci minuti ne uscirono. La Londra di domani gli ricordava solo nella forma degli edifici la vecchia Londra, per il resto le strade, le luci e gli oggetti che scorgeva erano sconvolgenti. C'erano carrozze senza cavalli fatte di metallo che si muovevano da sole, viaggiando su quelli che sembravano i binari di una ferrovia. Le insegne appese agli edifici producevano luci colorate che si accendevano e spegnevano come per magia. C'erano perfino carri volanti. Gli passavano sulla testa spaventandolo a morte. Solo la mano di Qhuinn che lo sorreggeva gli impedì di svenire. Non ci volle molto prima di arrivare davanti a un palazzetto in mattoni rossi che si rivelò essere la casa del ragazzo. Questi spinse il bottone di uno strano orologio da tasca che era incorporato nel braccio di metallo e il portone si aprì. Che strana cosa avere un braccio artificiale, pensò Richard. Non lo disturbava per niente perché era parte di Qhuinn.

Ora che si trovavano al sicuro dentro casa sua, Qhuinn poté sorridere cogliendo lo stupore di Richard ogni volta che scorgeva un oggetto che non conosceva. La casa era in stile vittoriano, come quelle a cui lui era abituato, ma era dotata di utensili che nell' altra Londra non esistevano. Una tecnologia così avanzata, secondo gli storiografi della sua città, era sconosciuta. In mezzo a quegli oggetti, con la giacca, una sorta di frac-redingote, a doppiopetto, a vita alta, corta davanti e lunga dietro, la formidabile cravatta, il cui nodo gli faceva venire il mal di testa, e il cappello a cilindro, Richard sembrava un essere alieno. Eppure non si era mai sentito vicino a nessuno altro come a lui. Osservò i lineamenti delicati. Gli occhi dovevano essere chiari e i capelli scuri ma non troppo a giudicare dalla carnagione lunare chiazzata di efelidi.

«Di che colore hai gli occhi e i capelli?», si trovò a chiedere. L'altro sembrò sorpreso dalla domanda, poi capì. «Non distingui i colori... Azzurri e i capelli sono rossi.»
«Grazie.»
Ci fu un momento di imbarazzo, poi Qhuinn gli disse: «Sarà meglio toglierti quei vestiti. Vediamo se posso procurarti qualcosa della tua taglia».

La vita nella Londra di domani con Qhuinn si era rivelata meglio delle sue più rosee aspettative. Erano passati dieci giorni e ormai doveva decidere se rimanere e ufficializzare la sua posizione, attualmente era clandestino, oppure tornarsene dall'altra parte. Strano. Non riusciva neanche più a chiamarla casa, perché in fondo non lo era mai stata. A Londra c'era una fidanzata abbandonata, una schiera di creditori e dei parenti per cui era sempre stato un peso. La scelta avrebbe dovuto essere semplice, ma se fosse rimasto, avrebbe dovuto mettere in chiaro il rapporto con Qhuinn. Quest'ultimo però non sembrava volere altro che una virile amicizia da lui.
Di solito avevano pensieri comuni su tutto, riuscivano a capirsi senza parlare. Tranne su quel punto. Se avesse avuto coraggio, lo avrebbe affrontato e messo con le spalle al muro. Non lo aveva, nonostante avesse scoperto che i rapporti sentimentali tra persone dello stesso sesso erano tollerate in quella città. Si era spesso domandato, anche in passato, se lui fosse pronto per una relazione del genere. Non aveva ancora trovato la risposta. Così non gli restava che macerarsi nel dubbio e prendere un considerazione l'idea di tornarsene a Londra. Vigliacco!, pensò.

Il rumore del portone che si apriva, gli annunciò che l'oggetto dei suoi pensieri era tornato dalla ronda. Seguì attentamente con l'udito ogni suo movimento. Faceva più rumore del solito. Segnale che era nervoso. Un energico bussare alla porta poco dopo lo fece trasalire. Qhuinn entrò nella stanza visibilmente nervoso. L'accappatoio era stato lasciato aperto e mostrava gli anellini di metallo che lui portava anche ai capezzoli. Gli si seccò la bocca.

L'altro non sembrò fare caso al suo turbamento. «Ti hanno notato. Domani devi andare via.»
Richard sbiancò. «Vuoi che vada via?»
«Non possiamo più aspettare.»
«Se volessi restare... »
Qhuinn sbuffò. «Non c'è più tempo per le tue indecisioni.»

Lo stava perdendo, doveva tentare. «Tu vuoi che resti?» chiese titubante.

Qhuinn parve finalmente capire. «Vuoi restare qui con me per sempre... » sussurrò illuminandosi. Lo guardò come se fosse la cosa più bella del mondo. Richard non era mai stato guardato così. Il desiderio nei suoi occhi era il più bel complimento mai ricevuto.
Qhuinn non perse tempo, attaccò il letto balzandogli addosso. Trovò la bocca vellutata e ne prese possesso. Gli strappò via i vestiti... i bottoni della patta volarono per aria atterrando sul pavimento come tante monetine, la magliette finì a brandelli. E poi ecco, pelle contro pelle, senza più nulla a separare i loro corpi nudi.

«Credo di essermi innamorato fin dalla prima volta che ti ho parlato nella testa.»

Quelle voce così familiare fece piazza pulita di tutti gli anni in cui aveva vissuto nascosto e represso per paura di essere giudicato, dei suoi dubbi e vizi, offrendogli una "fune di accettazione" a cui aggrapparsi. Qhuinn era una mano in carne e ossa che lo guidava fuori dal grigiore del passato e verso un futuro che non richiedeva menzogne o scuse, perché quello che era lui, quello che erano entrambi, era al tempo stesso straordinario... e per nulla fuori dall'ordinario. L'amore, in fin dei conti, è universale.





OS partecipante al Contest della Pasticceria creativa "Un puzzle per daltonici".

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