Storie di Orbia 1
Non si prospettava una grande giornata.
Le due schiere avevano fatto un tale trambusto attorno agli altari, bruciando offerte e levando canti, che Marpatre aveva deciso di dare un'occhiata.
Erano un migliaio di uomini per parte, un qualche regolamento di conti tra una tribù dei Glaevvi e la città stato di Tendi.
Non sembrava una grande scontro, Marpatre poteva dirlo già da adesso, con entrambi i campi ancora mezzi addormentati nelle prime luci dell'alba.
L'immortale si manifestò su una collinetta a metà strada tra i due schieramenti, abbastanza vicino per seguire con chiarezza la battaglia, non che i suoi occhi avessero bisogno di aiuto, ma abbastanza lontano per non farsi notare.
Anche da quella distanza, Marpatre poteva vedere le due auree che si stendevano sul campo dei Tendiesi. E non gli piacevano, nessuna delle due.
Le tende coniche dei cittadini soldato erano avvolte nella bruma, ma comunque poteva scorgerne i colori scuri, inframmezzati dagli stendardi candidi, con i simboli dei contadi ricamati in nero.
Sulla tenda più grossa, sorvegliata da una dozzina di soldati dai grandi scudi rotondi e dai lunghi mantelli, svettava lo stemma di Tendi.
Il drappo color avorio, con le tre stelle nere affiancate, schioccava fiero nell'alba.
Marpatre sbadigliò.
Maestoso per quanto poteva esserlo, quel campo non aveva nulla dell'ordinata eleganza delle legioni Recree.
Ma lì c'era di mezzo il suo Sovrano, quindi era sciocco meravigliarsi della precisione che quei mortali riuscivano a raggiungere.
Sotto gli occhi dell'Agente immortale, la nube azzurrognola sul campo Tendiese si concentrò in una nebbia blu scuro, centrata sulla tenda di comando.
Un vecchio dalla barba candida ne venne fuori, avvolto in un grosso mantello bianco e con una vecchia armatura addosso, tirata a lucido per l'occasione. Di sicuro qualche poveretto ci aveva messo molto per far brillare in quel modo tutti i fregi, gli intarsi dei finti muscoli e la miriade di stelle che ne impreziosivano i pettorali.
Marpatre non aveva voglia di materializzare un'armatura. Così, si limitò alla forma di un umano un po' più alto del normale, con capelli e barba rossicci tagliati corti, avvolto in una tunica nera. Si prese la briga di far apparire una spada al fianco, tanto per non sembrare inerme.
E, soprattutto, si assicurò che comparisse la sacca con i fichi secchi che Fobra aveva preparato per lui.
Mentre aspettava che la battaglia iniziasse, Marpatre prese a masticare uno dei fichi. Avrebbe dovuto portare anche del vino.
Finalmente, anche la proprietaria della nube blu, che sicuramente lo aveva già notato da tempo, si decise a prendere forma.
Marpatre trattenne a stento un sorrisetto.
Non vista da nessuno, impalpabile, Aravra camminava accanto allo Stratega Tendiese, con le sue fattezze da umana.
Alta e magra, al punto che se fosse stata a portata d'orecchio l'avrebbe definita piatta, la Garante della Sapienza sfoggiava una corazza di bronzo lucente, sotto cui ondeggiava una lunga veste blu bordata di bianco. Il sole mattutino giocava con i ghirigori del metallo, illuminando e oscurando i fiori e le piante lavorati a sbalzo.
L'immortale, come sempre, aveva l'aspetto di una umana ventenne, anche se si ostinava a far apparire i suoi capelli color avorio, raccolti in una treccia di marmo sulla spalla sinistra.
Che gusto provasse ad avere sempre lo stesso aspetto, Marpatre non lo capiva; lui si concedeva sempre una variazione o due, quando appariva ai vari popoli. La Garante, invece, ci teneva sempre ad avere i capelli candidi.
Accanto ad Aravra, due Ombre, vestite alla stessa maniera della loro signora, le reggevano lo scudo rotondo, decorato dall'insegna del ragno, l'elmo e la lunga lancia.
L'altra aura, intanto, sembrava essersi dileguata nel nulla. Non era un buon segno, perché o la sua volubile proprietaria si era stufata di aspettare, il che voleva dire guai, oppure aveva trovato qualcosa di più importante a cui rivolgere la sua attenzione, il che significava noie.
Marpatre fece appena in tempo a tirar fuori un altro fico, quando la voce suadente si sparse per il mondo.
«Possente Signore della Strage, invitto Principe dei Militi! Oh, più sanguigno tra i numi e tra quanti il tuo crudele Sovrano non reclama...»
«Che vuoi, Lasan?» chiese Marpatre, già stufo di tutto quel ciarlare di titoli.
La Garante dell'Amore si mise di fronte a lui, permettendo al sole di modellarne le forme. Per l'occasione non si era risparmiata nulla.
Alta e dalle forme suadenti, la veste candida e semi trasparente faceva ben poco per nasconderne le lunghe gambe e il seno sodo, evidenziato da un'alta cintura intarsiata di gemme verdi.
Laza, immortale Agente della Passione, scosse i lunghi capelli dorati, che per un attimo splendettero più del sole appena sorto.
«Marpatre, signore di lame, sono qui per domandare il tuo ausilio» iniziò Lasan, sorridendo con i suoi denti perfetti, d'un candore abbagliante.
Fece qualche passo verso di lui, i piedi nudi che danzavano sull'erba carica di rugiada, gli occhi marini fissi su quelli del Garante della Guerra.
«Si era capito» sbuffò Marpatre, mentre l'altra passava un dito lungo il suo braccio. «Riesci anche a dirmi per cosa? Magari prima che la battaglia finisca».
Lasan ridacchiò, accoccolandosi sull'erba vicino a lui, le lunghe gambe mollemente adagiate sul prato, e la testa reclinata sulle sue ginocchia.
La voglia di afferrarla e scagliarla lontano, come fosse una lancia, era tanta, ma Marpatre si sforzò di sopprimerla.
Era passato solo un secolo da quel litigio con l'Agente della Natura, e il suo Sovrano era stato categorico. Per almeno trecento anni, non avrebbe dovuto creare problemi. Intanto, molti se ne approfittavano, la Garante della Malattia per prima, con i suoi dispetti.
Ma anche Laza apprezzava molto la sua forzata educazione.
«Nella schiera dei Tendiesi dagli alti schinieri, a me molto graditi, c'è un ragazzo che mi ha fatto voto» Laza prese ad accarezzargli la gamba destra. «Ha invocato il mio aiuto perché sopravviva a questa battaglia, e coprendosi di gloria possa chiedere in sposa la ragazza che ama»
«E io che c'entro?» domandò Marpatre. Teneva gli occhi fissi sul campo dei Glaevvi, ma anche senza vederla poteva benissimo sentire lo sguardo di una certa Garante su di lui. Uno sguardo davvero irritato.
Al peggio, Marpatre avrebbe usato la testa di Laza come scudo, se l'altra avesse provato a scagliargli contro qualcosa.
Il pensiero gli strappò un sorriso.
«Se tu prestassi la tua forza a questo ragazzo, allora lui potrebbe facilmente ottenere la fama che cerca» disse Lasan, atteggiando il visino in atteggiamento da supplice.
Più che una supplice, a Marpatre ricordava le prostitute dei porti, pronte a fare gli occhi dolci a qualsiasi marinaio passasse loro davanti.
«Ha fatto voto a te, Laza, se l'hai raccolto sei tu a doverlo assistere» disse lui piano. «Se hai paura per lui, impugna un'arma e stagli accanto in battaglia; oppure domanda ad Aravra, mi pare parteggi apertamente per i Tendiesi»
«Ma lui è devoto a me, non a lei; a me ha bruciato offerte e cantato inni, non ad Aravra» Laza alzò il capo, la gelosia che grondava dai suoi occhi. «Non permetterò a un'altra di avere un mio fedele!»
Guardando a terra, Marpatre si domandò se non fosse meglio tornare a casa, oppure andare a guardare un altro fatto d'armi dall'altro capo del mondo.
«Lasan, io non vedo motivo per assistere questo ragazzo» disse lui, con tutta la calma che riuscì a tirar fuori. «L'hai detto anche tu, ha fatto voti e offerte a te, non ad altri; perché dovrei scendere in campo per lui?»
«Perché una madre attende il suo ritorno a casa, e una ragazza già intesse il velo per poterlo attendere all'altare quando tornerà...»
«Ognuno di loro ha una madre» Marpatre indicò le schiere che andavano formandosi. «E molti di loro hanno a casa qualcuno che li attende, dovrei allora assistere ogni marito o promesso sposo?»
Lasan si era alzata, e lo guardava con furia. Ma la Garante dell'Amore addolcì il suo sguardo, inginocchiandosi languida tra le sue gambe.
«Potrei ricompensarti con altro...» sussurrò, leccandosi le labbra piene.
Marpatre non si trattenne, e rise forte. Così forte che un paio di sacerdoti dei Glaevvi lo sentirono, e iniziarono una delle loro danze rituali, convinti che li stesse guardando.
«Dimmi, cosa potresti darmi, che non potrei avere da una mortale o da una delle mie Ombre?»
Piccata dal commento, Laza si alzò in piedi, i capelli, ora color ossidiana, che fremevano come fruste. I suoi occhi avevano preso il colore del mare in tempesta.
«Mi paragoni a qualsiasi mortale? Tu, tu che non hai altari! Quale popolo ti venera? Non hai feste, non hai canti, nessuno che alza inni o offre voti al tuo nome!» Laza pestò un piede a terra, facendo tremare la collinetta.
Stavolta, furono alcuni indovini Tendiesi a preoccuparsi, iniziando a bruciare incensi e controllando i responsi.
«Sei sorda e cieca, Laza?» Marpatre rise. «Ogni battaglia è una mia festività; ascolta mentre i soldati marciano, e sentirai i miei inni nel battito dei loro piedi; quando si scontreranno, le loro urla saranno i miei voti, e l' incrociare di lance e spade la danza sacra in mio onore»
Laza lo fissò, il volto che ne deturpava il volto meraviglioso. I capelli ormai fremevano come serpi, le ciocche che scioccavano tutto intorno a lei.
«Se non mi aiuterai...» iniziò.
Marpatre ne aveva abbastanza. Si alzò a sua volta, e fece apparire una lancia nella mano destra.
«Se non scenderai da questa collina, Laza, il ragazzo che ti è tanto fedele sarà il primo che il mio Sovrano reclamerà oggi».
Palleggiò la lancia un paio di volte, per poi alzarla sopra la spalla. Era un tiro semplice, il ragazzo sarebbe crollato a terra in mezzo ai suoi compagni.
Per un momento, Lasan sembrò sul punto di ribattere, ma poi desistette. Non avrebbe mai fatto in tempo a salvare il ragazzo, e le era ben chiaro che non aveva speranze contro di lui in uno scontro.
Inviperita, facendo tremare la collinetta a ogni passo, la Garante dell'Amore scese e tornò tra i Tendiesi. Sbuffando, Marpatre si sedette di nuovo sul masso.
Piantata la lancia a terra, tornò alla sua sacca di fichi secchi.
Ormai, le due schiere si erano formate, e avanzavano nella pianura.
Da un lato, la massa ordinata di grandi scudi rotondi e lunghe lance dei Tendiesi, che lenta e compatta scandiva la sua marcia un passo alla volta, al suono di flauti e tamburi.
Dall'altro, i Glaevvi muovevano in avanti a gruppetti, scudi di varie fogge e colori accompagnati da un marasma di asce, mazze e qualche rara spada.
«Posso?» di nuovo, una presenza salì sulla collina.
Era in quei momenti che Marpatre capiva il bisogno mortale di bestemmiare.
«Se provi a convincermi a parteggiare per Tendi, giuro che scendo in battaglia dalla parte dei Glaevvi» disse lui.
Aravra posizionò lo sgabello che aveva portato accanto alla pietra dove sedeva il Garante della Guerra.
«Non si mangiano i fichi senza vino» disse la figura dai capelli candidi, mentre gli porgeva un otre.
«E non si beve vino senza fichi...» Marpatre scosse la testa.
Non accettò l'otre, invece le passò il sacchetto. Aravra non ringraziò, ne prese uno e iniziò a masticarlo con gusto.
Insieme, il Garante della Guerra e l'Agente della Sapienza si godettero la battaglia.
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