3. Cibo per gatti, ancora cibo per gatti!

Trieste, Mercoledì 30 gennaio 2019
10:47

Una giornata dal clima mite, finalmente, dopo settimane di pioggia.
I raggi del sole filtravano sottili dietro grandi nuvole bianche e un agglomerato di palazzi e grattacieli veniva sommerso da questa luce.
A poco a poco i marciapiedi si popolavano di persone e ogni tanto qualche macchina sfrecciava sull'asfalto.

Il cielo era di un colore blu, un blu meraviglioso che si contrapponeva all'animo cupo del manager del supermercato di Via Venezia. I capelli neri come carbone. Le sopracciglia simili ad ali di gabbiano spiccavano in un viso cereo. Un'espressione indifferente modellava il volto stanco. Si chiamava Mario e sbuffava sempre nelle giornate soleggiate come queste. Vedeva i caldi raggi del sole come meteoriti infuocati pronti a colpirlo senza lasciargli scampo, e aveva il desiderio di cospargere l'asfalto di una distesa di neve.

Ma soprattutto avrebbe voluto cancellare con una passata di spugna la gioia dai visi di chi, il bel tempo, lo amava.
L'unico piacere di queste mattinate così funeree era uno solo: il caffè.

Il manager, con la sua tazzina rossa di ceramica in mano, osservava con i suoi occhi neri e tenui gli schermi che davano la visione delle varie aree del supermercato. Erano a malapena le undici e non vi era nessuno di interessante. Solo quattro vecchiette dalla pelle flaccida talmente disgustosa da far venire il voltastomaco. Per assurdo avrebbe preferito essere occupato a firmare e timbrare le solite scartoffie che ogni giorno trovava sulla scrivania, piuttosto che sorvegliare i clienti. Ma purtroppo in quei mesi il suo lavoro stava diventando sempre più monotono e piatto.

Per non vomitare, Mario iniziò a bere la bevanda contenuta nella tazzina.
«Ahhh!»
Con un sorso di quel liquido caldo dalle mille sfumature castane, l'uomo poté sopportare la stucchevole felicità delle famigliole che stavano riempiendo gradualmente il supermercato.

Ad un tratto notò, nel reparto frutta e verdura, una figura femminile con indosso un cappotto rosso. Gli occhi erano coperti da una chioma nera e lucida e si intravedeva a malapena il naso. Canticchiava una musichetta e sembrava molto graziosa. Tra l'altro indossava un indumento rosso, il colore preferito del manager:

«Mhh, accattivante! Potrei far...» si interruppe strabuzzando gli occhi e posò la tazzina sul tavolo. Fece una faccia disgustata come se gli avessero messo davanti un sacco di immondizia puzzolente. La signorina stava canticchiando infatti una canzone dell'altoparlante che lui odiava tantissimo:

«I am the eye in the sky
Looking at you
I can read your mind
I am the maker of rules
Dealing with fools
I can cheat you blind... [¹]»

«Sarai pure caruccia... ma c'hai proprio certi gusti di merda sorè!» e per consolarsi finì con un solo sorso tutto il caffè. Eppure continuò a scrutarla. Una donna sui venticinque anni, alta, slanciata, ma soprattutto talmente magra che quasi non si reggeva in piedi non se la sarebbe fatta scappare!
Sarebbe stata la vittima perfetta!

Il manager aprì il cassetto della scrivania e prese un coltello dal manico rosso. Cominciò ad accarezzare la lama tagliente, provocando la fuoriuscita di zampilli di sangue dai suoi polpastrelli. Più sangue usciva, più il riso dell'uomo cresceva a dismisura. Non contento, si succhiò poi le dita con estrema voluttà e si mise ad ansimare spalancando gli occhi dal piacere malsano che stava provando.

Come anticipato prima, Mario odiava le persone che lo circondavano. Avevano una sporca illusione di felicità che si manifestava, in tutta la sua pochezza, sui volti delle persone false e vuote che incontrava ogni giorno. Il manager voleva distruggerle a tutti i costi e vederli marcire all'inferno. Negli ultimi anni si era dedicato all'uccisione di alcune delle donne che mettevano piede nel supermercato, le sue vittime preferite.

Il manager adorava condurre le donne dai venti ai quarant'anni, che indossavano giacche o cappotti di suo gradimento, nello stanzino di controllo. Una volta lì, l'uomo iniziava a chiacchierare con loro del più e del meno con un sorriso stampato sul viso. Quando si stufava - ben presto - ordinava loro di togliersi la giacca e appenderla al piccolo chiodo alla parete dietro la sua postazione. Puntualmente loro non riuscivano ad appendere la giacca al chiodo e quindi le uccideva, mozzando loro la testa senza pietà. Questa testa poi veniva lavata accuratamente con detersivi profumati e messa nella cameretta segreta della casa dell'uomo.

Peccato che tutte le teste erano ben centosettantasette! Quindi tra non molto avrebbe dovuto buttare quelle delle clienti più insignificanti, per dare spazio ad altre come quella della signorina vista nel reparto frutta e verdura.

L'uomo smise di succhiarsi le dita ormai pulite e si concentrò sulla visione dello schermo.
Sentì un brivido sulla schiena. Sul suo volto una smorfia perversa simile ad un sorriso soddisfatto.
Cosa stava aspettando?
No, no, no! Non alle casse!
Mario uscì dalla stanza correndo. Urlò poi con il respiro affannato:
«Signorina! Signorina venga per favore!»
Non gli rispose, le urla dei bambini che si rincorrevano come degli assatanati avevano sovrastato il suo.

Ma non si arrese e urlò più forte:
«SIGNORINAAAA!»
Un uomo dietro di lei si accorse che stava chiamando proprio la signorina con il cappotto rosso. Le toccò la spalla destra e lei si voltò.
«Finalmente!» esclamò Mario.
Prese il cestino con la merce e si avvicinò verso di lui:
«Mi dica, cosa posso fare in suo aiuto?»
Il volto emaciato e angelico, esaltato dai grandi occhi verdi e dai fluenti capelli neri. Le dita smaltate di rosso. Il fisico a clessidra. L'espressione del viso dolce, simile a quella di una bambina appena vede le caramelle.
Il manager appena la vide ebbe un po' di rimorso e deglutì.
Che però, ahimè, svanì subito:

«Signorina, prima di pagare venga con me per favore!» e con un sorriso a trentadue denti mise in mostra il cartellino attaccato alla tasca della camicia, con la scritta "manager".
La signorina arrossì e guardò Mario con le pupille dilatate:
«Ehm... ok va bene» sorrise, mostrando la dentatura composta da dentini piccoli ma ordinati.
«Metta il carrello qui» le indicò un angolino lontano dal cerchio di bimbi sfrenati.
Lei a grandi passi lo trascinò lì, senza proteste.
«Fatto, signor manager»
Si toccò l'angolo sinistro della bocca con l'indice in attesa di una reazione da parte del manager. Questa non ci fu, e si incamminarono verso la camera senza proferire parola.

Quando arrivarono di fronte alla porta l'uomo tirò fuori la chiave dalla tasca dei pantaloni e la inserì nella serratura. Dopo un paio di giri spalancò la porta, facendo entrare la donna nello stanzino. Entrò anche lui e spense subito gli schermi, per non far distrarre la signorina. Si sedette sulla sedia e, con le mani dietro la nuca, appoggiò le gambe sulla scrivania; sempre più soddisfatto di aver portato una donna così raffinata e gracile.

La signorina a quanto pare non era dello stesso parere. Rimase vicino alla porta come un cucciolo impaurito, fissando le putride ascelle di Mario ricoperte di pelacci neri. L' uomo allora si sedette composto per tranquillizzarla:
«Venga qui, si accomodi!» la donna, a passetti piccoli, si avvicinò verso la sedia e si accomodò.
«Sa, penso che lei sia molto graziosa!» la signorina alzò lo sguardo da terra e gli sorrise.
«Come si chiama?»
«Minerva, e lei?»
«Mario»
La guardò ancora una volta sempre più sorridente e abbassò la testa.

Aprì il cassetto della scrivania e si mise a cercare il coltello più adatto, senza far rumore, aspettando che Minerva gli chiedesse cosa stesse facendo. Invece rimase a guardare le telecamere spente e non gli chiese nulla, taciturna com'era. Come se sapesse già che Mario stava decidendo se utilizzare un coltellino piccolo, per sottoporla ad una lenta e sanguinosa agonia. Oppure un coltello di media grandezza, per mozzarle a metà la testa e poi continuare con un'agonia meno lenta e dolorosa. O ancora un grande coltello dalla lama tagliente, per mozzare tutta la testa in un solo colpo senza alcuna sofferenza per la vittima.

Fu una decisione ardua. Insomma, il coltello medio non l'avrebbe mai utilizzato per quella esile donnina, per una vittima simile sarebbe stato troppo anonimo, troppo insulso. Difatti - considerando che non aveva instaurato una conversazione con lui come le vittime donne precedenti- per fargliela pagare sarebbe stato meglio sottoporla ad una lenta e dolorosa agonia. Sarebbe stata una goduria vedere le gocce pesanti di sangue cadere sul pavimento a poco a poco che le tagliava il collo. Però poi che rottura di cazzo pulire tutto il sangue caduto a terra per una gatta morta simile. Mhh... no.

Quello di cui aveva bisogno era un delitto che, in apparenza, non sembrasse tale. Voleva una semplice scomparsa, una sparizione che non comportasse alcun rischio. Desiderava una morte sinistra ma priva dell'accompagnamento consueto di terrore e grida.
Quindi scelse l'ultimo tipo di coltello per sbrigarsi subito e per avere il tempo di uccidere una seconda donna in quella giornata.

Nascose il coltello sotto il grande tavolo e con un terrificante sorriso si rivolse verso Minerva, dandole del tu:
«Lo so che senti caldo, lo so, lo so! Non senti le goccioline di sudore scendere lungo la tua schie...»
«No, in verità sto benissimo!» rispose Minerva con estrema serenità. Ciò fece aggrottare le folte sopracciglia di Mario:
«Ma come!? Non è forse troppo pesante questo cappottino rosso?»
La signorina gli rispose tanto spensierata:
«Assolutamente no signor Mario!»

L' uomo fece un respiro profondo: Minerva già lo stava infastidendo con quel visino dolce e quella carnagione bianca. Quelle fottute guance... quelle guance avrebbe voluto staccargliele a morsi per punizione!

In passato alcune donne avevano addirittura pianto con rumorosi singulti, vedendo il sorriso tremendo del manager. Avevano pianto con un pianto che originava dal turbamento della propria anima davanti a un qualcosa di terribile e misterioso come quello.

Mario si sentì preso in giro per questo e sussultò:
«Togliti il cappotto e appendilo al chiodo sulla parete dietro di me! SUBITO!»
La ragazza si alzò e acconsentì all' mposizione con tranquillità, una tranquillità che avrebbe provocato un esaurimento nervoso a qualsiasi assassino.

Il manager stava già tirando fuori il coltello affilato da sotto la scrivania. Lo tirò fuori e si alzò con calma, senza fare alcun rumore.
Spostò la sedia verso il muro.
Fece un passo avanti, verso la signorina.
La donna si era tolta il cappotto.
Un passo più pesante, dal sapore di morte.
La tensione stava aumentando.
Lei aveva il cappotto in mano.
Alzò il coltello.
La signorina stava trovando l'etichetta del cappotto. Ancora un altro passetto più piccolo e l'avrebbe uccisa se non avesse trov... Ecco! Trovata l'etichetta! L'uomo stava per poggiare sul collo della signorina il grande coltello ma...

Minerva si voltò.

Il manager rimase lì impalato con il coltello in mano, fissando le grandi pupille della donna.

La paura gli avvolse la mente come una nube. I centomila miliardi di cellule che lo componevano si strinsero una all'altra irrigidendolo tutto. Lo stomaco si strizzò, i polmoni si accartocciarono come sacchetti del pane stretti in un pugno, il cuore prese a battere all'impazzata.
Oh cazzo e adesso che faccio?

Eppure dopo centosettantasette femminicidi avrebbe pur dovuto apprendere l'arte dell' uccidere...
La donna si avvicinò all'orecchio del manager e sussurrò con una voce stridula da bambina:
«Signor Mario! Guardi come sono stata brava!»
Mario guardò la parete dietro di lei e spalancò gli occhi dallo stupore: Minerva aveva appeso il cappotto rosso al chiodo.
«Che... che cosa? Ma... ma... Non mi era mai capitato nella mia vita... Non... non è... possib» ma poi venne interrotto da una falciata sicura e schietta.

«SIIIII! Sono stata proprio tanto tanto brava!» esclamò Minerva saltellando e sbattendo le mani.
La signorina gli aveva sfilato il coltello dalla mano e gli aveva mozzato la testa, in pochissimo tempo, con molta professionalità. Fece un sorrisetto dolce e stucchevole da bambina e si mise a leccare il sangue rimasto sul coltello con estremo piacere. Pulì la testa, tolse da essa i capelli con lo stesso coltello con cui aveva ucciso il signor Mario pochi minuti prima, la profumò e la mise nella borsa.

Aprì la porta e guardò verso destra e sinistra con attenzione. Non vi era nessuno nelle vicinanze. Chiuse la porta con cautela e avanzò in direzione del punto dove aveva lasciato il carrello. Mentre era nello stanzino con Mario il supermercato si era svuotato. Alle casse vi era un cassiere grasso con le palpebre semichiuse, Minerva non l'aveva mai visto quel giorno e tirò un sospiro di sollievo. Pagò infatti i prodotti con calma e fece risuonare i tacchi come nacchere quando uscì fuori dal supermercato. Prese la Peugeot nel parcheggio e raggiunse la sua villa, dove l'aspettavano i suoi dieci gatti.
Aprì la porta:
«Amori miei! Guardate cosa vi ha portato oggi la mammina!» cacciò fuori dalla borsa la testa e chiuse la porta. La sventolò verso i gatti che corsero all'istante.

La signorina, tolto il cappotto e tolti i tacchi, con indosso dei guanti in lattice, cavò gli occhi del cranio dell'uomo e prelevò dalla sua bocca tutti i denti con delle pinze resistenti. Poi fece la testa a pezzettini piccoli piccoli, separando la parte ossea della carne.

«Vi piace proprio la testolina che vi ha portato oggi la mammina eh!»
I gatti ammiravano le sue operazioni con le pupille dilatate. Mise tutto in un angolino nascosto della cucina, tranne la carne intrisa di sangue scuro e il cervello, che frullò con un particolare mixer. Dopo aver mescolato ulteriormente la pappetta, infilò un dito dentro il frullatore e se lo leccò:
«Mhh... proprio tanto tanto buona! Questa volta mi sono superata, non è vero?»
Due persiani bianchi dagli occhi azzurri le si erano appesi alle gambe, allora lei si affrettò a versare il contenuto nelle ciotole dei gatti.
Poi cominciò a canticchiare:

«No use to complain
If you're caught out in the rain
Your mother's quite insane
Cat food, cat food, cat food again! [²]»

[¹]
Eye in the Sky, The Alan Parsons Project

[²]
Cat Food, King Crimson

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top