Jehn'naroh


Il piccolo troll si guardò le dita. Erano tozze, blu, e sporche.

Sporche di terra e del sangue uscito dal naso del coetaneo con cui aveva litigato.

"Sei un debole. A otto anni non sai manco trasformarti in Berserker. Pateto si starà vergognando di te a quest'ora dal regno dei morti!" gli aveva strillato da lontano il malcapitato.

"Nun sai dire di meglio, scimunito?" gli aveva urlato Jehn, attraversando il campo senza neanche vederlo.

"E mammeta è 'na brutta e grassa pu...".

SBAM!

Il piccolo feroce Gurubashi non gli diede il tempo neanche di completare l'insulto.

Era praticamente volato verso di lui col pugno rialzato e colpendolo in pieno grugno. 

Da lì era partita la rissa, incoraggiata dagli altri compagni e fermata dall'allenatore in tempo.

Aveva punito il giovane Gurubashi mettendolo immediatamente in castigo, isolato da tutti i suoi compagni, finché non sarebbe arrivata sua madre a prenderlo.

Era da più di due ore che era rimasto in punizione, seduto a sbollentare una rabbia che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.

D'un tratto, i suoi occhi abbassati e depressi videro comparire nella loro visuale due enormi piedi, tozzi, con le unghie rosse, appuntite, e sporchi di fango.

Lentamente alzò lo sguardo incattivito.

Dopo le gambe, grosse come prosciutti, l'abbondante pancia, sorretta a forza da un perizoma e da un cinturone di guerra, i seni larghi come cocomeri, ben fasciati dentro una fascia sudata, finalmente le sue pupille riconobbero il volto, zannuto e rabbioso, di sua madre.

La Grande Madre della Guerra Hahmun.

La gigantessa troll grugnì con aria sprezzante, continuando a tenere lo sguardo abbassato su quell'esserino uscito da lei pochi anni prima.

Sì era rovinata il fisico per far uscire fuori quel testone!

"Jehnnà... di nuovo ritrovo la tua brutta faccia qui...".

Il figlio si limitò soltanto a fissarla con un cipiglio malvagio sul volto.

"Comm'aggià fà cu'ttè? eh?" muggì Hahmun, con le manone sui fianchi.

Ancora una volta, il ragazzo non rispose.

"Alzati. Su! Che a casa j'a avè o riest..." Ringhiò la madre, prendendolo per un polso e tirandolo su violentemente.

Ma proprio non riusciva a resistere dal volerlo punire adesso, di fronte al suo allenatore e agli altri.

Gli diede un bel calcio nel sedere, che lo fece ruzzolare fino a sbattere col muso per terra.

"Disgraziato!" lo rimproverò la madre, afferrandolo per il braccio.

Jehn si rialzò indolenzito e si fece scappare un urlo quando la madre gli tirò un orecchio.

"Taci! Che mi fai fare brutta figura! Avanti, cammina!" sbraitò la Madre della Guerra, trascinandolo dietro con il suo orecchio tra le mani.

Era già stato molto imbarazzante davanti al suo allenatore essere presi a calci nel sedere in quel modo, ma camminare con l'orecchio tirato, passando davanti a tutta quegli altri Gurubashi che guardavano, era davvero umiliante.


Finalmente, giunsero a casa.

Hahmun sbattè la porta dietro di sé e fece sedere forzatamente il figlio sulla sedia davanti a lei.

Annaspando nervosamente, la madre non attaccò subito con la sgridata.

Per il semplice motivo che, stavolta, si era resa conto che la solita lavata di capo per quel degenerato non bastava.

" O' guaglione è fuori controllo, Hahmun. Nun sta legando cogli altri cumparielli, nun nutre più alcun rispetto per nisciun, manco ppe me! L'unico momento in cui lo vedo cogli altri è quando si pigliano a botte! Aggia pruvat tutt cos', ma nun riesco a calmarlo nemmeno io!- gli aveva detto l'allenatore, un attimo prima di prenderselo- è n'animale! Se nun ci parli tu, e se nun si decide a darsi 'na calmata... mi vedo costretto ad allontanarlo.".

Che l'allenatore fosse un incapace nel suo lavoro, la madre lo sapeva benissimo.

Ma addirittura sentir dire da lui che suo figlio non rispettasse più alcuna autorità ai suoi simile?

Questo la preoccupava non poco.

La Madre della Guerra Hahmun, pugno di ferro in battaglia e madre integerrima e violenta, come avete potuto vedere voi stessi, era nel profondo pur sempre una madre.

E come tale, ci teneva a suo figlio più di quanto i suoi modi violenti dimostrassero.

Non voleva che suo figlio si isolasse e si comportasse come un animale.

Anche i troll, come gli umani, sono degli animali sociali, e hanno bisogno, in guerra più che mai nella vita di tutti giorni, di essere legati ai loro cumpà.

Decise di dare il tempo, a sè stessa e a lui di riprendersi, prima di parlare.

Mentre il ragazzo si massaggiava l'orecchio dolorante, ringhiando sommessamente come un cucciolo di iena, la donnona attraversò la stanza, spostando la sua massa grassa tra una gambona e l'altra.

Si levò l'elmo da battaglia che portava sempre in testa, e si aggiustò i corti capelli bianchi sudati sulla nuca.

Suo figlio li portava uguali, solo con un taglio più corto che palesava la strana forma a nocciolina della testa.

La troll ritornò, dopo aver riposato le sue armi e il suo scudo.

Trascinando una sedia davanti a quella su cui sedeva scompostamente il ragazzo, vi si sedette.

Lui la fissava con aria di sfida.

Lei ricambiò lo sguardo scuotendo leggermente la testa, con aria rassegnata.

"Beh? Nun hai niente da dire?" muggì la madre, rivolta al figlio.

"Ha accumenciato lui." mugugnò Jehn, stringendosi le braccia al petto.

"E tu perchè hai continuato?" propose la madre.

"Ti stava insultando, dicendo che sei una gran putta..."

La madre lo fermò dal dire la parolaccia con un bel ceffone sulla nuca.

"Che t'aggia dit riguardo all' usare certi termini, Jehn'naroh?" rimproverò la Signora 'Naroh.

" Di nun ripetere le stesse parolacce che usano i miei cumpà..." rispose il ragazzo, massaggiandosi la nuca.

Era una cosa di cui la madre lo rimproverava sempre, ma che lui puntualmente non rispettava.

Che ci poteva fare? Gli piaceva un sacco dire le parolacce, come a tutti i bambini!

" Comunque, se ci fossi stata io, nun avrebbe mai avuto e' palle di dirlo. L'ha detto solo per provocarti. E tu 'o saje.".

"Peggio per lui! L'allenatore nun doveva intervenire!- sbraitò Jehn, sbattendo il pugno sul tavolo- Meritava chesto e molto altro, chillo st...".

L'occhiataccia della madre lo fece correggere.

"...stupido idiota... figlio di n'ata... stupida idiota comme lui." concluse lui, insoddisfatto dei termini subliminali che era costretto ad usare di fronte alla mamma.

" Sta sulle palle a tutti, mammà! Anche a quelli che dicono di essere amici suoi! - si sfogò il ragazzo, iniziando a giocherellare col coltello che stava sulla tavola imbandita per la cena- Si permette di parlare solo perchè può diventare... ".

Berserker.

Era questa la parola che il ragazzo non riusciva a dire senza lasciarsi prendere da una tremenda tristezza.

E' un stato di pura rabbia funesta, che ti fa ingigantire e ti rende un agile e spietato assassino.

Nessuno riesce a battere con facilità un troll in questo puro stato di furia omicida.

Nonostante tutti gli sforzi, la buona volontà non bastava: ad otto anni, il piccolo Gurubashi ancora non sapeva trasformarsi in berserker.

Per un troll è strano non riuscire ancora ad esserlo a quell'età, visto che si manifesta già a cinque anni.

I Troll arrivano presto all'età dello sviluppo, e inutile dire che una comunità che viveva per la guerra come quella, arrivarci significava tantissimo.

"Può cosa? - lo provocò Hahmun, riducendo gli occhi a due fessure infuocate- può addeventà berserker?".

Il figlio smise di muovere il coltello tra le sue dita e alzò gli occhi su sua madre.

"Jehnnà, devi smetterla di pensare a chesta storia. Ti stai rovinando a' reputazione in 'sto villaggio."

"Reputazione?- esclamò il figlio, con gli occhi illuminati dalla luce di un sospetto che si è concretizzato- QUINDI PURE PPE TE E' IMPORTANTE 'A REPUTAZIONE E L'ONORE?".

La donna cercò di criptare la sua frase.

" PURE PPE' TE E' IMPORTANTE QUELLO CHE PENSANO GLI ALTRI? ANCHE DEL FATTO CHE C'HAI UN FIGLIO DEBOLE!" .

Hahmun scosse la testa, comprendendo il pensiero malsano che si era fatto quel testone di suo figlio.

" ASPETTA UN MOMENTO! Nun sto parlando di chesto, Jehn... di chello che pensano gli altri nun me ne fotte proprio! Che ca... volo c'entrano adesso gli altri?".

"E allora perchè parli di reputazione, se nun te ne fotte niente?"

"JEHNNA'!".

"Tu puoi dire a' parola fottere e io no?" chiese (giustamente) il giovane troll, in difesa al fatto che avesse detto il verbaccio con la effe.

Un altro ceffone risuonò dietro la sua nuca, accompagnato dal suo frontone che sbatte sul tavolo.

"Pecché mi è sfuggito, testone che nun sei altro! Nun devi imitarmi!" si giustificò la madre.

Inspirò profondamente tra quelle narici intasate di muco per mantenere la calma.

Era riuscita a fermare in tempo la prima brutta parola ma non la seconda.

Era irresistibile persino per lei!

"Io aggia parlat e' reputazione, ma nel senso che tu stai bruciando ogni possibilità di farti dei cumpagni, Jehn'naroh! Nun puoi immaginare quanto sia importante creare dei forti legami con i tuoi coetanei. Diventerete voi i padroni della tribù, i conservatori delle nostre tradizioni.".

Il piccolo troll alzò la testa dal tavolo con un grugnito, e alzò di nuovo lo sguardo sulla madre.

Più che arrabbiato, adesso sembrava essere cinico alle sue parole.

"Mammà? Sul serio tu ci credi?- chiese lui- ... A che mi servono dei cumpà?".

"Sì che ci credo, nun sarei a' Madre 'ra Guerra accà sennò ! E vojo che ci creda pure tu e che inizi a cagnà atteggiamento, Jehnnà!".

"Fottiti." pensò il ragazzo, stringendo ancora di più la presa sul coltello.

"Apri bene le orecchie e fatti entrare in chillo tuo grosso, snocciolato, e brutto testone chesto...- la donnona si alzò, guardando dritto negli occhi suo figlio coi quei seri occhi porcini- se continui accussì, quando sarete grandi, tu e gli altri, nun ci penseranno due volte ad isolarti e a cacciarti fuori dalla tribù! Pecchè nisciuno vuole stare vicino a 'nu troll violento e attaccabrighe comme a te. Nisciuno ti vorrà come partner! E tu rimarrai solo.".

A Jehn bruciavano le palpebre per quanto si sforzasse di non far uscire le lacrime dagli occhi.

Alla fine, pure sua madre pensava che fosse un caso senza speranza.

Durante la rissa,tutti erano dalla parte del ragazzo che era stato colpito,solo perché primo ad essere entrato in Berserker e quindi considerato il più grande.

E quindi, in una tribù in cui regnava incontrastata la mentalità del branco, quello che era considerato il capo.

Che, sempre nella stramaledetta mentalità del branco, era libero di prendersela con l'ultimo arrivato, quello debole, quello che non riusciva a passare.

Persino sua madre, ai suoi occhi, adesso difendeva più quel bastardo che aveva osato offenderla che lui.

"E vabbuò. Resto solo. Che fà?" concluse lui, abbassando lo sguardo sul suo coltello.

"Che fà? Tsk. Anche senza di me diresti che fà? . - lo provocò la madre, sporgendo la sua brutta faccia verso di lui- che fai senz'e me, eh? eh? Che fai senz'e me?".

La presa sulla lama tornò a stringersi.

"Schiatteresti in poco tempo là fuori, senza di me. Testone."sibiló lei.

Era strano vedere sopra quel naso porcino due occhi da serpente.

La bile risalì nel ragazzo.

Non ne poteva più dei suoi compagni, degli adulti, di quella stupida tribù in cui era costretto a vivere.

E soprattutto , non ne poteva più di vedere quella quasi assente, grassa e brutta donna davanti agli occhi.

"Basta. Io la faccio finita.- pensó il ragazzo, facendo diventare le nocche bianche per quanto stringesse la presa sul coltello- la faccio finita... con te!".

Scattò.

Sì alzò dal suo posto e sollevò il braccio con la lama diretta sul collo della donna.

Ma lei lo intercettó in tempo.

Bloccò il polso del figlio un millimetro prima che la punta toccasse la sua giugulare.

L'espressione della troll rivolta verso il figlio era sconcertata.

Ma lo sgomento in lei durò solo un secondo: con una velocità impressionante, fu addosso al giovane troll.

Torcendo il suo braccio lo costrinse a girarsi e a sbattere il busto sul tavolo.

Il piccolo selvaggio si agitó ancora in preda alla furia matricida, ma lei gli aveva bloccato la testa con l'altra mano.

In confronto alla troll grassa e mastodontica, il piccolo troll assassino pareva uno scricciolo.

Con una sola delle sue mani infatti, la madre riusciva a prendere l'intera testa del figlio, come se afferrasse una boccia.

E proprio come boccia, aveva tutta l'intenzione di sbatterla da qualche parte per punirlo dell'affronto.

"PICCOLO STRONZETTO INGRATO! VOLEVI AMMAZZARMI? - tuonó lei col suo vocione- AROPP' TUTTO CHELL' CHE FACCIO PPE TE! AROPP I SACRIFICI CHE FACCIO PPE TE?".

"LASCIAMI! LASCIAMI! GIURO CHE TI AMMAZZO DONNA!" strilló Jehn, continuando a dimenarsi.

La madre lo zittì sbattendogli la testa contro il tavolo.

Più tardi gli sarebbe uscito un bel livido viola su quel suo frontone.

"QUALE TI AMMAZZO? QUALE TI AMMAZZO? NUN L'HAI ANCORA CAPITO I RUOLI QUI? IO SONG'A MADRE! IO T'AGGIA CREATO... E IO T'ACCIR! TE SCHIATT'A CAPA!! ". Urlò lei, furiosa per il fatto che quel testone avesse ancora il coraggio di minacciarla.

Fissò gli occhi arrossati del figlio, che la guardavano con puro odio, mentre respirava a denti stretti fino al punto di sbavare.

Aveva ragione il maestro.

Il ragazzo stava proprio perdendo il controllo.

Strinse la presa sul braccio teso, fino a che non sentì dalla gola del piccolo un rantolo di dolore.

"Chiedi scusa a mammeta." sibiló lei.

Jehn non proferì parola.

Lei stritoló ancor di più il braccio, e gli occhi arrossati del piccolo si chiusero dal dolore.

"Chiedimi. Scusa. O ti spezzo il braccio." ripeté, cambiando l'oggetto della frase.

"Mi... Mi dispiace." mormorò Jehn, non sopportando più le fitte al gomito.

"Nun t'aggia sentut.".

"Mi dispiace! Mi dispiace!" ripeté lui, più forte.

Convinta che il figlio si fosse davvero arreso, allentó un pó la presa sul braccio.

Ma non si rendeva conto, forse, di quanto suo figlio fosse scostumato.

Infatti, fregandosene altamente della posizione svantaggiosa in cui si trovava, il piccolo Jehn aggiunse beffardo: "Mi dispiace che per colpa mia sei diventata 'na brutta, tonta e chiatta scrofa!".

E scoppiò in una risata sguaiata.

"E puzzi comme 'na scro...".

CRAC! Il gomito si spezzò.

Potete immaginare il dolore, e la vastità dell'urlo che fece il povero ragazzo.

Tanto che lo sentirono tutti gli abitanti della tribù.

Jehn'naroh era un bambino Gurubashi di otto anni,timido e introverso, figlio di un grande guerriero berserker, Tzan'ghoy o' Scassa Pelate.

Il ragazzo stava crescendo nutrito della fama del padre ma senza la sua presenza, essendo egli morto in battaglia quando era ancora in fasce.

Ma quel che sapeva di lui era più che sufficiente per motivarlo a partecipare alle lezioni di guerra per imparare a diventare un guerriero come lui.

Era una soddisfazione per l'allenatore vederlo impegnarsi così tanto, sul campo di allenamento, giorno e notte.

Nonostante non sia il più alto dei suoi allievi, era certamente il più competitivo e entusiasta.

Potete immaginare quante fossero alte le aspettative del figlio del più grande guerriero della tribù.

E quanto fosse stata grande la delusione per Jehn'naroh quando, dopo che si era fatto visitare dal dottore della tribù, quest'ultimo gli avesse detto addirittura di rinunciare a diventare un guerriero berserker.

Il dolore straziante che provocò al ragazzo sentire quelle parole fu immenso.

Specie quando lo scoprirono i suoi compagni di scuola e iniziarono a bullizzarlo.

Lo definivano un debole, gli tiravano le orecchie per strada, e i più grandi si misero pure regolarmente a picchiarlo quando il loro tutore non li vedeva.

Fu così che Il piccolo timido Gurubashi passò, senza rendersene neanche conto, a combattere per difesa a provocare addirittura egli stesso le risse per farsi rispettare.

I figli di quella piccola tribù Gurubashi iniziarono a tornare a casa con segni di morsi, graffi e lividoni ricorrenti, per causa sua.

Il bullizzato, senza amici né una guida che lo educasse, in poco tempo si guadagnò la nomea di troll bullo e prepotente.

E Jehn non riusciva a fare niente per cambiare.

La cosa non faceva affatto piacere a sua madre, che alla fine fu costretta ad intervenne come abbiamo appena visto.

Ma non vi preoccupate. 

Dopo il violento atto, lo portò subito dal dottore del villaggio.

"Guagliù due mesi t'ha fà. E tutto per esserti seduto sul tuo braccio." disse il dottore, ridendo indelicatamente di fronte al broncio del bambino a cui aveva appena ingessato il braccio.

Lanció uno sguardo alla madre, che stava lì nell'angolo della sala del dottore con le braccione incrociate sul prosperoso petto, con lo stesso identico viso imbronciato del suo giovane paziente.

Sapeva benissimo che quella che aveva detto il ragazzo era una bugia.

Non avrebbe creduto nessuno che il piccolo Gurubashi si fosse seduto sul suo stesso braccio.

Non era abbastanza pesante da spezzarselo.

Soltanto la mano violenta della Grande Madre poteva essersi permessa di fare una cosa del genere.

Maltrattare in questo modo i propri figli,in una tribù Gurubashi come quella in cui era nato e sarebbe cresciuto Jehn, non era visto come un atto di violenza, anzi.

Era considerato un metodo educativo esemplare.

Il cucciolo di Gurubashi aveva mentito al dottore sui motivi della rottura del braccio non per paura della madre, ma perché gli Infastidiva essere stato sconfitto da quella culona.

Sfidava tutti quelli che lo prendevano in giro perché non sapeva andare in Berserker e vinceva sempre, nei modi più violenti e scorretti.

Ma con la madre niente. Perdeva sempre, e lei finiva per sottometterlo.


Di nuovo i due Gurubashi si incamminarono per tornare a casa. 

Camminarono per un pó in silenzio.

Il piccolo troll camminava a passo più svelto per distanziarsi il più possibile dalla violenta megera.

"Non camminare così veloce, finirai per cadere e romperti anche 'na gamba!" sbraitó Hahmun con un pizzico di calma e forse anche di apprensione nella voce.

Senza parlare, Jehn diminuì la velocità, continuando però a restare distanziato.

Poiché a quanto pare, insieme al braccio, il dottore aveva gessato pure le corde vocali del figlio, fu la donnona a provare a spezzare la tensione tra di loro.

"Beh, visto che per causa tua nun ho potuto cucinare, dovremmo comprare qualcosa da mangiare per strada..." disse lei, sospirando.

Jehn non rispose, continuando a guardare le cacche di dinosauro a terra col muso imbronciato.

"Di che hai voglia, stasera? Carne? Pesce?" chiese la madre con aria distratta.

Silenzio.

" Ti odio. " scandì a chiare lettere il Gurubashi senza neanche guardarla.

Lei lo ignoró.

"Mh, forse Tanz'il ha ancora qualche fetta di cinghiale che può prepararci! Anche se a chest'ora... avrà sì e no i tagli peggiori...tutti sottili e freddi bleah... " rifletté la madre ad alta voce.

Sì comportava proprio come se non fosse successo assolutamente niente di grave.

" Pazza psicopatica." aggiunse il figlio, a voce più alta.

" Che ne dici di granchi, stasera? Andiamo da Ahna che ce ne facciamo dare qualcuno. Riesce sempre a pescarli in più, chissà come mai...".

Il ragazzo non ne poté più di essere ignorato e si girò.

"MI HAI SPEZZATO UN BRACCIO, DONNA! TI SEMBRA IL MODO DI PUNIRMI?".

Restó lì fermo, inpuntato, ad affrontare faccia a faccia sua madre.

La troll a quel punto smise di parlare di fesserie e si mise a squadrare quell'esserino ad occhi socchiusi.

"Quando hai deciso di chiamarmi donna, muccuso?".

"Pecchè nun sei 'na donna? - chiese sarcastico Jehn- ah, chiesto spiega molte cose allora...".

Jehn sghignazzó, guardandola con aria di sfida.

"Che faccia da schiaffi. - pensò Hahmun- Proprio come quella di suo padre.".

Pigió il suo grosso indice contro il livido che si era formato sopra la testa del piccolo per provocargli dolore.

Subito il troll smise di ridere e si scostò da lei urlando dal dolore.

Coprendosi l'occhio, guardò la donnona rimettendo il musone.

" È dispregiativo. Nemmeno pateto mi chiamava accussì.".

"Ma io nun sono lui." rispose Jehn.

Rimettere in mezzo al discorso la figura del suo eroe gli fece venire di nuovo il bruciore agli occhi.

Tiró su col naso.

Sì rese conto di essere stanco, persino per arrabbiarsi.

Stanco di tutto.

Non c'è la faceva più a trattenere le lacrime, lì in mezzo alla strada.

Con la scusa di coprirsi il livido, usò la mano per coprirsi pure l'altro occhio.

"E non lo sarò mai."disse, con voce alterata dal pianto.

"We! Oh!" lo chiamò la madre con un colpetto sulla spalla.

Jehn alzò lo sguardo fissando con occhi lucidi e arrossati la troll che si era chinata di fronte a lui.

Non c'era più quel velo di cattiveria in essi. Solo tanta tensione che aveva bisogno di uscire.

"Accidenti..." grugnì la madre.

Presa la mano libera del figlio, lo fece entrare in casa in fretta.

Odiava lo sguardo dei vicini pettegoli che controllavano ogni loro mossa.

" Che cosa ti ho detto riguardo alle lacrime?" chiese la madre, infastidita dal fatto di aver a che fare con un bambino e giustificare ogni, beh, comportamento lecito di un bambino.

"Che se non è per i propri cumpà in battaglia... sigh....Meglio nasconderle fino a quando nun si è da soli in casa!" mormorò lui, scoppiando a piangere.

Sì lasciò andare sulla sedia, libero finalmente di potersi sfogare.

Si mise così, a piangere come una fontana, alzando la testa al cielo e tirando ogni tanto rumorosamente col naso il muco che cominciò a scivolare dalle sue narici.

La madre si limitò ad osservarlo in piedi.

Sapeva che avrebbe reagito così, era solo questione di tempo.

"Nun ce la faccio più a vivere accussì !- sbraitò Jehn disperato, in mezzo alle lacrime- ogni volta che esco fuori casa mi devo... sigh... mi devo aspettare... sigh... sempre di essere aggredito! Sto sempre a fare a scazzottate!".

"Sei in mezzo ai troll, che ti aspetti? A noi piace fare a scazzottate!" disse Hahmun, allungando un fazzoletto al ragazzo.

Con quegli occhi arrossati, la faccia bagnata dalle lacrime e il muso coperto di muco, era inguardabile.

"Si, pure a me! Ma...- si prese una pausa per soffiarsi rumorosamente il naso- ... mi ritrovo a farlo solo per difendermi da quegli idioti, nun per divertimento.".

Finì per pulirsi il muso e rese il fazzoletto alla madre.

Da bianco candido, il fazzoletto era diventato verde e bagnaticcio.

"Tienitelo ancora. Finisci di sfogarti." disse la madre, facendo una smorfia di disgusto.

Il piccolo Gurubashi riprese fiato, tenendo la testa bassa.

Non aveva il coraggio di guardare in faccia la madre.

Un guerriero troll, figlio di genitori guerrieri troll... che piange. Che umiliazione!

Sollevò le gambe da terra fino a chiudersi le ginocchia al petto, stringendole con entrambe le faccia, e affondando la testa dentro esse.

La stessa posa che faceva tutte le volte che tornava a casa, la sera, coricandosi a letto stanco.

Era l'unico momento della giornata in cui poteva rilassarsi e stare bene, perchè quella tremenda palla di rabbia - così chiamava quel brutto peso che portava al centro del suo petto- smetteva di dargli fastidio.

" Voglio solo essere lasciato in pace- mormorò- voglio solo togliermi questo peso, e questo mal di testa. Si svegliano sempre ogni volta che metto un solo piede fuori casa.".

Sentiva dentro di sè di star per crollare in una nuova ondata di pianto.

"Ogni tanto vorrei smettere di pensare di essere il migliore guerriero. Nun m'importa più manco che nun sono un berserker. Voglio solo giocare con loro." confessò con voce tremante.

La madre sospirò.

Tutta la ferocia del mostro di prima era svanita.

Adesso la madre vedeva solo un piccolo troll di soli otto anni, insicuro, timoroso di deludere lei e un padre che non aveva mai visto.

E soprattutto solo. Che anche se non voleva ammetterlo, aveva paura di crescere e restare solo.

Nel profondo del suo animo Hahmun ne fu risollevata,perché significava che suo figlio era ancora buono.

Gli accarezzò la nuca, passando il pollicione sui capelli corti.

Jehn, non abituato al contatto fisico, alzò di scatto la testa sussultando spaventato.

Così facendo, i loro sguardi si incrociarono.

Sui lati degli occhi stavano ripartendo due grossi lacrimoni, che scivolarono lentamente sulle guance blu.

Un sorriso comparire tra le labbra carnose della forzuta madre.

"Nun ti ho mai impedito di divertirti e farti degli amici, Jehnnà !" disse, scompigliandogli la chioma.

Non poteva certo viziarlo con abbracci e baci.

Ma passare ogni tanto una mano in testa non poteva certo fargli male.

"Lo so. Sono loro che mi evitano. Persino Ewa mi evita adesso. L'ho trattata male e adesso nun vuole cchiù vedermi.".

Sospirò, guardando di nuovo a terra.

"E pensare che era l'unica del gruppo che sembrava nun avere paura di me..." .

La madre gli diede una capocciata, leggera stavolta, dietro la nuca.

"Oh! Non autocommiserarti! T'a sij sfugat, e vabbuò. Ma nun fare o' mollaccione!".

Con la manona gli pulì le guance e il muco, non le importava di sporcarsi.

"Nun ti ho mai mai sentito nominare di chesta Ewa. Nun è 'a figlia di Surawa, 'o medico vudù del villaggio?".

Jehn annuì, soffiandosi il naso.

"Cos'è? Ta sij fatta 'a fidanzatina?" chiese la madre, ridendo come un' ebete.

" MA SEI SCEMA?! MA FIGURATI! Che schifo...- sbraitò Jehn, facendosi rosso - è 'na femmena che voleva solo essere amica mia... ma tuo figlio ha rovinato tutto pecchè è un' idiota.".

"ho-ho! E che è successo! Allora fanno bene le mazzate! hahahahaha!- scoppiò a ridere, grugnendo come un maiale- mio figlio ha appena ammesso di essere un'idiota!".

Riprese fiato, guardando la sua violenta creaturina che non la smetteva di tenerle il broncio.

Tutto sommato le faceva tenerezza.

" In parte è pure colpa mia. - disse - nun ti sto accussì appresso per via del mio compito di proteggere il villaggio.".

Si alzò, poichè iniziavano a indolenzire le ginocchia.

Era rimasta in piedi a combattere tutto il giorno.

"Ma, indovina un pò? Mi hanno dato due summane di congedo per i turni straordinari ch'aggia fatto. Le mie povere gambe meritavano un pò di riposo!- si disse con aria saggia- e anche tu hai bisogno di staccare dai tuoi cumparielli e dagli allenamenti. E visto che devi stare a riposo forzato per via del braccio, quale momento migliore?".

"Due mesi e mi ridurrò a 'na ricotta." rispose il figlio sconsolato, non più così tanto teso come prima, grazie al pianto che si era fatto.

"Meglio se fai 'na pausa da quel tipo di addestramento. Ne hai bisogno di uno speciale. Uno c'a mamma toia." rispose a sua volta lei, girandosi per riordinare la tavola.

Il piccolo Gurubashi le rivolse uno sguardo stupito.

"Ti insegnerò il rispetto. Solo così potrai conquistare a' fiducia dei tuoi cumpà, e potrai farti degli amici anche tu con cui giocare. Devi imparare a portarlo. Sempre. Soprattutto verso te stesso. Devi imparare a rispondere alle offese con le parole, nun con le mani. Ho visto uomini cchiù gruoss'e me nun cadere mai coi pugni e calci,ma crollare di fronte alle peggiori parole.E anche a come usare la tua forza per coccosa 'e buono in'da vita, nun solo per offendere, ma per difendere.".

Il piccolo era sgomento.

"Ma... ma io starò col gesso ppè due mesi. Tu starai a casa ppè due summane ! Sono poche due summane !".

Hammun sorrise, piacevolmente contenta per il modo con cui suo figlio le si era rivolta.

La sua voce adesso non era più prepotente, ma sommessa, quasi supplichevole.

Era proprio come quella di un bambino desideroso di stare con la sua mamma il più tempo possibile, non sporadicamente come aveva sempre fatto.

"E allora le due summane 'e faccio addeventà due mesi. Ch' me ne fotte!" ridacchiò beffarda Hahmun, rovistando tra le provviste.

Jehn non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito.

"Ma Mamma! Hanno bisogno di te là fuori!".

La donna si girò guardando in faccia il ragazzo.

"Jehnnà, se ne faranno 'na ragione! io ho dato fin troppo per quel che mi riguarda a chilli scurnacchiati ingrati! Per colpa loro c'ho nu figlio sbandato. Mo nun posso pensà 'a guerra. Mo 'a cosa cchiù importante sij tu! C'ho dei giorni di libertà, e li voglio usare per stare cu'tte!".

Jehn'naroh aprì la bocca in una o di stupore.

Improvvisamente, si rese conto che quella fu la cosa che più desiderava.

La Madre della Guerra gli afferrò la testa e fece fronte e fronte con suo figlio.

"Tu diventerai il più potente dei guerrieri. Più di tutti i tuoi compagni. Più di quanto tu creda.- le sussurrò la donnona, sorridendo al figlio del grande Scassapelate - Ce l'hai nel sangue. Te lo dimostrerò, anzi. Ce lo dimostrerai. Per i Gurubashi!" Sbraitò lei.

il piccolo rise.

"Per i Gurubashi!" ripetè Jehn urlando.

"Bene! Inizieremo da domani! Ora si magna!" annunciò la madre, dandogli dei colpi di incoraggiamento alle scapole.

Si alzò, e prima di mettersi ai fornelli, si diede un attimo per ammirarlo a distanza, mentre si rimetteva composto sulla sedia, tranquillizzato.

Tra quelle sue zanne ricurve era comparso addirittura un sorriso .

Eh sì. Stavano crescendo proprio come quelle di suo padre.

Chissà quanto sarebbero diventate lunghe.

"Allora... cosa ti va per cena?" gli chiese.

Il Gurubashi ci rifletté.

"Voglio a' parmigiana." mormorò Jehn. La richiesta risuonò quasi come una supplica.

La mamma rise. Era il suo piatto preferito.

"Te la preparo per domani, testone. Stasera dovremo accontentarci di verdure cotte.".

E si diresse sul fuoco per scaldare la pentola.

Il ragazzo fece un verso di disgusto, e incrociò le braccia sul tavolo, rassegnato.

"E invita pure 'a fidanzatina toia." aggiunse lei, allungando le labbra come per dare un bacio.

"Mamma! Sei sorda? - sbraitò lui- Ewa nun è 'a mia fidanzata! E poi te l'ho detto, nun vuole parlarmi cchiù.".

"Vuoi vedere che domani s'appresenterà alla porta appena saprà che ti sei fatto male?" scommise la donnona, aggiungendo le spezie allo stufato.

"No. Non si presenterà mai... E' molto orgogliosa. ".

Lei volse la testa verso di lui, con aria sorniona.

"Vabbuò. Poi se succederà, mi ringrazierai per averti spezzato il braccio..." disse lei, cominciando a servire la cena nei piatti. 

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