Cenere - Parte tre
L'atmosfera dentro la torre era parsa alienante quando vi erano entrati. Polvere di cenere si era sollevata dal terreno al loro passaggio ed era aleggiata nell'aria immota come tenui fantasmi. Avevano acceso rispettivamente una lanterna e una torcia per illuminare l'oscurità ma la vista che offriva la torre era fatta solo di nerofumo alle pareti e macerie negli angoli più nascosti. Muri spogli pendevano su di loro, angosciosi, e le crepe su di essi parevano rifuggire la luce. Travi di legno mangiate dalle fiamme spuntavano qua e là come dita annerite, protese in cerca d'un aiuto che non era mai arrivato.
Il vecchio aveva visto gli occhi di Jerry illuminarsi nel buio quando gli aveva comunicato che non fosse quel primo ambiente il luogo della loro ricerca: era in basso che bisognava scendere. Suo figlio aveva sorriso alla luce della torcia che reggeva con mano sicura, i denti accesi di giallo e rosso in una smorfia avida. Avevano preso la via per le segrete tramite una grossa botola posta in un angolo di una stanza che il vecchio, maledicendosi innumerevoli volte, aveva trovato parecchi tentativi dopo. Avevano scostato una pesante effigie che ne bloccava l'apertura e Jerry aveva riconosciuto il busto di un vecchio dio dalle corone d'uva appese al capo. Il vecchio aveva seguito il suo sguardo ed era stato sul punto di incominciare a ciarlare spiegandogli ogni minuzia sulla mitologia e sui testi antichi. Aveva aperto la bocca due volte senza emettere suono però, poi aveva taciuto definitivamente quando la statua era stata spostata del tutto e il passaggio liberato. Jerry ne era stato grato.
La botola era stata più difficile. Aprirla aveva richiesto tempo e avevano dovuto usare la riserva d'olio per la lanterna affinché i cardini incominciassero ad eseguire il lavoro per cui erano stati creati. Ci erano voluti gemiti, imprecazioni e una gran quantità d'olio di gomito oltre che quello di balena per sollevarla ed aprirla. Gli squittii del ferro arrugginito avevano riempito la torre rimbalzando fra le pietre vecchie di millenni. Il vecchio aveva osservato il soffitto nero sopra di loro, ascoltando in lontananza e mettendosi un dito sporco sulle labbra. Gli aveva intimato di fare silenzio da quel punto in poi e Jerry aveva notato che gli era rimasta fuliggine sulla bocca e sul viso ma non l'aveva avvertito.
Erano scesi insieme lungo la scalinata buia che portava ai livelli sotterranei della torre. Jerry pareva non farci caso ma il vecchio aveva notato che anche lì sotto era giunta la distruzione del piano superiore. La calcina fra le pietre si era fatta scura, era saltata via, e il poco mobilio che ricordava vi si trovasse doveva essere stato fatto a pezzi o bruciato. Enormi macchie nere contro le pareti testimoniavano falò di libri: alla base di essi, alcune pagine strappate e dai margini anneriti erano sopravvissute alla fame bruciante del fuoco.
Il vecchio aveva guardato con occhio lucido quella distruzione, quasi che fosse partecipe al dolore della torre stessa, a ciò che aveva subito. Aveva rallentato il passo e il figlio aveva dovuto esortarlo non poche volte mentre lo scortava verso nuove stanze e attraverso innumerevoli corridoi bui. Non si erano più soffermati davanti a resti di ossa e spoglie di cadaveri; non avevano più indugiato su vesti dimenticate tra i detriti. Le mani del vecchio correvano spesso alla bocca a quelle visioni, come a trattenere gemiti che non volevano uscire a corrompere il silenzio della torre già profanato dal rumore tetro dei loro passi sulla superficie soffice di cenere. Dava loro la terrificante sensazione di camminare sulla pelle scricchiolante di un animale decomposto.
Poi si erano fermati alla sommità di un paio di scale che scendevano ancora più in profondità e il vecchio aveva sollevato un braccio intimando di fermarsi. Aveva dato un'occhiata intorno con occhio vigile, la luce della lanterna che teneva fra le dita adunche rimbalzava fra i muri anneriti creando ombre tenebrose. Crepe dall'aspetto poco rassicurante minavano i pilastri che li reggevano e i recessi di quelle fessure sembravano risucchiare il chiarore come spiriti maligni. Avevano rabbrividito all'unisono come se il pensiero li avesse sfiorati entrambi allo stesso momento. Era stato allora che il vecchio si era voltato verso Jerry con uno sferragliare sinistro del lume che reggeva e gli aveva parlato per la prima volta da quando avevano messo piede sotto terra.
-Questi livelli crolleranno a breve- aveva detto in un soffio, spilli di luce arancione gli danzavano nelle pupille. –Ti indicherò dov'è il tesoro ma io devo scendere più giù, di un altro livello.- Si era interrotto ed era parso pensoso, confuso. –Almeno credo- aveva concluso subito dopo.
Jerry aveva evitato di fare domande, nel suo sguardo acceso solo una debole percentuale era dovuta alla torcia che stringeva d'innanzi a se: per la maggiore era la cupidigia ad illuminarlo. –Dimmi dove- aveva detto in un sussurro. –Dimmi dove e poi cerca tutti i libri che ti pare, padre.-
-Da quella parte- aveva fatto il vecchio osservandolo con occhi seri, stanchi. –Vedi quella stanza alla fine del corridoio?- Al cenno affermativo del figlio aveva continuato: -C'è una porta nascosta dietro le cucine, le noterai facilmente, è inutile che ti spieghi come raggiungerle. Giungi lì e trova la porta.- Sbatacchiò la lanterna che parve ondeggiare nel buio tenuta da nessun braccio se non quello dell'oscurità penetrante. –E' di metallo quindi dovrai armeggiare un po' con l'olio di riserva per aprirla, ma il tesoro è là dietro. Nascosero tutto l'oro presente nella torre in quella ghiacciaia quando i soldati del nord passarono un quarto degli studenti a fil di spada. Se cerchi roba che luccica, è lì che la troverai.-
Il sorriso di Jerry si era fatto così largo che nella luce riflessa pareva un'isola di bagliori evanescenti. Aveva scansato il padre con una spallata e si era incamminato lungo il corridoio buio con la fiamma della torcia che gli danzava sulla spalla. –Grazie, padre- aveva sussurrato mentre l'ombra dietro di lui si allungava e danzava con la cenere che lasciava sollevare dietro di sé ad ogni passo.
Il vecchio lo aveva osservato allontanarsi in silenzio. Ma non aveva perso molto tempo e quando Jerry era diventato solo un alone di luce, era ripartito muovendosi con andatura malferma sul tappeto di fini macerie che era sparso sul pavimento. Aveva sceso un'altra rampa di scale e si era ritrovato nel livello più profondo della torre. Il soffitto basso era anche lì annerito in diversi punti, segno che neanche la profondità aveva arrestato la distruzione ad opera degli invasori del Nord e delle ombre. Aveva poggiato una mano sul muro assaporandone con i polpastrelli la ruvidezza della pietra, le piccole venature fredde della calcina e le crepe scure che serpeggiavano fra essa. E con la mano sul muro aveva seguito la strada fino al punto che pensava di ricordare e che ora sapeva di non aver dimenticato.
In un angolo della stanza più remota, la botola che cercava pareva un pozzo nero nella debole luce. Il vecchio ci si avvicinò sentendo il cuore che cominciava ad accelerare i battiti sotto il petto scarno, quasi tentasse di balzare fuori da un momento all'altro. Si chinò accanto ad essa e illuminò con la lanterna fumosa la superficie di legno ricoperta di cenere fina e bianca. Circolare, aveva i contorni anneriti e l'anello che la apriva pareva essersi fuso al legno stesso a causa dell'inutilizzo. Lasciò il lume sul pavimento e incominciò a passarci sopra mani febbrili per trovare i fori che cercava. Quando i polpastrelli li percepirono, un gemito di contentezza gli animò la voce. Si sputò sui palmi e cominciò a lisciare la serratura in modo che risultasse il più visibile possibile nella poca luce. Con l'unghia dell'indice grattò via le incrostazioni di ruggine fino ad aprire del tutto gli alloggi per le chiavi: gli parvero perfetti. Chiuse gli occhi e sebbene sangue vermiglio gli sgorgasse dalla punta delle dita, si lasciò sfuggire un singhiozzo di gratitudine.
Ma non perse tempo. Si frugò sotto il mantello e sotto la veste solo per togliersi poi dal collo una cordicina di cuoio da cui pendevano due chiavi piccole ma che parevano solide. Una lucida e di un tenue color antracite che riluceva metallico nel chiarore della lanterna; l'altra rugginosa e aranciata dall'ossidazione che ne aveva mangiucchiato la superficie. Se le portò alla bocca, le baciò e poi se le mise sulla fronte giungendo le mani e pregando. Aveva promesso e ce l'aveva fatta, nonostante tutto era giunto a compiere la promessa. Una lacrima gli scappò sulla guancia tracciando una striscia pulita fra lo sporco.
Posizionò la chiave lucida sulla superficie ruvida del legno e tenne l'altra per sé, sul suo palmo aperto, lasciando che la luce della lanterna la illuminasse. Socchiuse gli occhi e bollenti gocce gli ruscellarono sul viso aggiungendo strisce bianche a quella maschera nera che gli colorava il volto. La chiave di Roselin. La chiave che aveva custodito lei, ora poggiata sulla sua mano come un dono dai morti. Recava ancora tracce di terra nel piccolo anello ad un'estremità che tentò di togliere alacremente. Lo facevano sentire sporco, colpevole. E forse lo era. L'aveva disseppellita mentre Jerewy dormiva. Era stato facile farsi credere addormentato e sgattaiolare sotto il faggio in cui erano sepolte le vesti della sua Rose. La chiave era ancora adagiata sul tessuto che aveva avvolto la sua pelle prima della fine. Ormai decomposto dal tempo, si era frantumato sotto le sue dita quando aveva raccolto la chiave con mani tremanti e terrore negli occhi. Aveva ricoperto la fossa, le foglie gialle, nella notte, erano parse occhi che lo scrutavano, accusatori. Subito dopo era tornato al campo legandosi la chiave al collo insieme a quella da lui custodita. Suo figlio dormiva profondamente baciato dagli argentei raggi della luna morente e dall'altrettanto spento cremisi delle braci.
Aveva pianto molto quella sera al ricordo della moglie ed erano seguiti incubi in cui ombre scure l'afferravano e lui non poteva far niente per fermarle. Rose urlava disperata il suo nome ma ciò che lui poteva fare era rimanere a guardare mentre esse la prendevano. Lacrime continuarono a scendergli sul viso mentre usciva da quei ricordi e riponeva la chiave arrugginita accanto alla prima. Non si asciugò le guance però, lasciò le gocce scivolargli fra la barba canuta e solleticargli i ricordi affinchè rimanessero vividi ancora per un po' nella sua mente; affinchè gli facessero compagnia in quel momento difficile.
Prese la chiave lucida e la inserì con dita tremanti nella serratura più in alto. Dovette aiutarsi con due mani affinchè riuscisse a farla scorrere: il meccanismo interno pareva malandato e ossidato ma con l'applicazione giusta di forza riuscì a udire lo scatto che segnava l'apertura. Una piccola parte del suo cuore gioì ma consapevole che la parte più dura stava ancora per giungere. La seconda chiave fu infatti più ardua. Inserirla nel foro fu di per se un'impresa: si era infatti gonfiata e ingobbita in innumerevoli punti e ciò l'aveva resa, di fatto, quasi inutilizzabile.
Fu la lanterna a venirgli in aiuto. Fece scivolare un po' dell'olio rimasto all'interno della toppa, il resto lo spalmò sulla chiave che divenne istantaneamente di un colorito bruno e rossiccio nella luce ondeggiante della fiamma. La osservò con occhio indagatore vedendola scintillare untuosa e ritenne che, se non ce l'avesse fatta in quel modo, allora non avrebbe saputo cos'altro fare. Accantonò quel timore risoluto e con trepida speranza offrì la chiave al foro nero che si apriva nel legno. Armeggiò per qualche secondo e, quando riuscì finalmente a inserirla, pregò che i cilindri della serratura rispondessero. Pregò fra i denti serrati e l'ambiente angusto si riempì di sussurri, mormorii.
Lo schiocco dell'apertura al primo tentativo lo lasciò senza fiato. Sentì il cuore capitombolargli nello stomaco, poi risalire in alto trasportato verso la gola da qualche strana corrente ascensionale che gli sconquassava e riscaldava le membra. Un gemito acuto gli scappò dalle labbra appestando l'aria e perdendosi negli echi spettrali che si udivano dagli altri antri oscuri della torre. Il pensiero gli corse a Jerry, lontano, nei pressi delle cucine e si augurò che non l'avesse sentito. Ma non era il momento di pensare a suo figlio, non era il luogo per pensare a ciò che aveva ordito. Si bloccò un attimo con la mano sull'anello corroso dall'azione devastante del tempo. Solo per un secondo però, non indugiò oltre e tirò con forza il cerchio di ferro bruno.
Lo stridore del ferro gli artigliò le orecchie e gli ferì i timpani con forza. Sentì il rumore capitombolare per le stanze vuote della torre ma non se ne curò; non si curò nemmeno della nebbia sottile che si era sollevata a causa della cenere caduta dalla botola. La sua attenzione era rivolta all'apertura circolare e profonda poche spanne che si apriva d'innanzi a lui, poco sotto le sue ginocchia. Prese la lanterna e il sorriso di un bambino, speranzoso e felice, apparve a illuminargli il viso ancora umido di pianto. Calò il lume nella cavità e la curva delle sue labbra si appiattì all'istante.
Ciuffi di polvere misti a una cenere finissima erano adagiati fra le pietre bianche del basamento più basso della torre. Gli volarono fra le dita mentre la mano libera dalla lanterna si muoveva febbrile tastando ogni interstizio fra le rocce. Di bocca incominciarono a sfuggirli negazioni soffocate e un sudore gelido gli calò come una mano sulle spalle. L'avevano presa, o l'avevano preso, la sua memoria non era più lucida come un tempo ma sapeva di essere nel posto giusto. Un libro? No, Jerry parlava di libri ma lui sapeva che non era di un tomo che si trattava. Scoprì i denti in una smorfia intensa di rabbia mista a sgomento: la mano che aveva rovistato in ogni centimetro della cavità emerse vuota e coperta di polvere scura sui polpastrelli sanguinanti.
-Non c'è più.-
Una voce alle sue spalle lo fece trasalire e la lanterna che teneva stretta nella mano cadde nell'apertura sotto la botola finendo per non rompersi solo grazie al manto soffice che la ricopriva. Il vecchio si voltò di scatto e nella luce ondeggiante la stanza gli parve vuota. Almeno finchè la voce non parlò nuovamente ed egli la udì rimbombargli nelle viscere: toni alti e bassi si mescolavano in un bramito terrificante.
-E' stato preso, molto tempo fa. Prima che tu potessi tornare a impossessartene.-
Il vecchio scrutò la sala con occhi sgranati e gli parve completamente vuota, all'infuori del pulviscolo che aleggiava pallido nell'aria. La voce parlò un'altra volta ancora e adesso era proprio dietro di lui, sentì le parole sussurrate al suo orecchio riempirlo di un terrore innominabile e viscido: -Te lo sei dimenticato, non è così, vecchio?-
Poi percepì una forza bloccare i suoi urli sul nascere tramutandoli in mugugni soffocati dietro quella che gli parve una coltre di tenebra. Sentiva le labbra intorpidite, fredde, le guance compresse contro i denti gli dolevano terribilmente. Quando tentò di liberarsi portandosi le mani al volto, una catena solida sebbene fatta di ombre gli si serrò ai polsi e li tenne bassi vicini alle sue ginocchia. Urlò di terrore ancora una volta ma le note della sua paura si persero nell'infinita vastità di nero che gli copriva la bocca. Conosceva quel tocco gelido, alieno; conosceva quella sensazione di terrore ignoto e prima ancora che l'ombra si facesse d'innanzi a lui, il vecchio aveva già sgranato gli occhi di terrore nell'oscurità che era sembrata avvolgere la sala.
-Ti ricordi di me, umano. Bene.- La voce che trasportava quella parole parve non arrivare dall'ombra buia che aleggiava di fronte a lui, sembrò provenire dalle mura, dal pavimento, dalla torre stessa. Il vecchio si sarebbe tappato le orecchie se avesse potuto mentre la sentiva insinuarsi dentro di sé trasportando sussurri, gemiti.
-Ho visto la tua anima, vecchio- fece avvicinandosi col mantello di tenebra che sfiorava il terreno senza toccarlo, impalpabile come fumo. –E' stata mia fin da subito.- Rise sommessamente e polvere fina scese dal soffitto in una pioggia sottile. –Sei venuto, infine. Debole, fiacco, come avevo previsto. Eppure qui, nel luogo che cercavi.-
Si mosse e scomparve alla sua vista, quando parlò nuovamente notò che gli si era accostata alla schiena e sussurrava a un palmo da suo orecchio. Il vecchio esalò respiri soffocati dalle narici mentre lembi d'oscurità gli toccavano la carne in gelide carezze.
-E' stato facile- disse in un sussurro l'ombra. –Avevi già paura di dimenticare, non è così, Arvin?-
Sgranò gli occhi a sentire il suo nome e i suoi gemiti si fecero più intensi. Percepiva un dito della creatura scivolargli sul collo e tracciare volute sarcastiche.
Quella rise ancora una volta, divertita. –Prendere tua moglie, oh, è stato ancora più semplice. Te lo ricordi? No, certo che no, non bene almeno. Ho corrotto come si deve questa bella testolina.-
Il dito premette più a fondo sulla gola quando il vecchio tentò di muoversi. Il dolore esplose per un secondo nella sua testa e gli parve di svenire poco prima che la creatura interrompesse il contatto.
-Ti ha supplicato, oh, se lo ha fatto. La rivedi nei tuoi sogni, non è così? La sua mano candida nella notte che si alza su un tappeto d'oscurità, di ombre. E tu che fai, Arvin? La guardi cadere, continui a cavalcare. Non è così?-
Lacrime di rabbia e di vergogna scesero sul viso del vecchio inondandogli le guance e finendo risucchiate nella tenebra che gli imbavagliava la bocca. Gli occhi sgranati verso il soffitto nero mandarono tremendi bagliori di colpevolezza: il peccato vorticava intorno a essi in frammenti gelidi di tormento. I ricordi fluirono e defluirono dalla sua mente senza che egli riuscisse ad imbrigliarli, a farli suoi. Vide il fiume di memorie scorrergli dinnanzi agli occhi, farsi nero, corrotto, poi ridiventare lucente e colmo di pesci, reminiscenze che continuavano a sfuggirgli.
-Non mi credi forse? Lo sai che è andata così, qui dentro- e il vecchio sentì un dolore tremendo trafiggergli il petto mentre l'ombra lo sfiorava all'altezza del cuore. –Qui dentro, sai per certo come siano andate le cose.-
Il dolore divenne lancinante e Arvin piegò la testa all'indietro. Urla mute uscivano dalla sua bocca sigillata e gli occhi gli si annebbiarono mentre i pesci, nel fiume dei suoi ricordi, saltavano sulle rive solo per incominciargli ad azzannare le membra. Sprazzi di passato presero a riverberagli nella mente, morsi di dolore che gli spolparono le ultime forze rimaste. Vide il libro portato via dalla torre, le pagine bruciate dai ragazzi, il bacio che aveva suggellato la protezione delle chiavi: il loro fardello diviso con Rose per rendere le cose difficili ad un eventuale ladro. Il bacio era umido, dolce, sapeva di cannella e di margherite... Il viaggio in seguito, la missione, la morte, la promessa e poi l'oggetto della ricerca: il libro... Cercava... Un libro?
L'ombra aveva allontanato la mano con una risata beffarda che era riverberata nella sua testa col boato di mille frane. Si spostò sul terreno veleggiando tra la polvere che la sua veste impalpabile sollevava.
-Un libro? Mio caro amico pelle e ossa, il libro con le informazioni giuste lo hai preso tu e lo hai perfino perduto. C'era qualcos'altro nella botola, qualcosa che colui il quale ha potere su di me cercava disperatamente. E' stato davvero fortuito trovarti per questa via vent'anni fa. Lui stava perdendo le speranza, sai? Gliene mancavano pochi. Grazie a te è stato tutto più facile.- Sollevò artigli d'ombra che parvero inconsistenti alla luce traballante della lanterna ma che fecero esplodere scintille incandescenti di dolore quando gli strinse il mento fra le mani. –Almeno all'inizio. Ho fatto in modo che tornassi indietro, che tornassi a prendere l'altro frammento mentre le mie sorelle si occupavano di quello dimenticato tra le macerie di questa torre. Credevi davvero che una botola seminascosta e una serratura a doppia chiave avrebbero potuto fermarci? Dove c'è ombra, noi imperiamo, Arvin. E qui- pose un dito di gelido fumo nero sulla fronte del vecchio, poi continuò sussurrando direttamente fra i suoi pensieri: -Qui, ho visto un mare di oscurità.-
Il dolore squarciò il tessuto della realtà come un artiglio. Arvin lo percepì scivolargli dentro la mente lasciando graffi sanguinolenti e lancinanti. La grinfia affondò fino a farlo cadere carponi sulle rive del fiume scuro dei suoi ricordi. Parve ripopolarsi in fretta di pesci azzannatori: li vide lanciarsi fuori dall'acqua e morderlo nel terrificante tentativo di trascinarlo con loro. Lottò strenuamente ma perse presto e gli oblii dimenticati si diradarono un'altra volta ancora, avvolgendolo come una tormenta di schegge di vetro: vide il libro aperto, le informazioni sull'artefatto, il frammento che conosceva e aveva nascosto, vide... Un bagliore, pareva non ricordare, non voleva, non doveva questa volta, l'ombra lo bramava, aveva bisogno dell'informazione, per questo lo aveva lasciato andare via illeso uccidendo Rose, perché lui sapeva dov'era l'altro eppure allo stesso tempo non ricordava... La promessa, lui aveva promesso, ma cosa? A chi?
L'ombra aveva ritirato l'artiglio di tenebra dalla sua testa e nei suoi pensieri era parso un coltello rigirato in una ferita appena inflitta. Non rideva adesso, per un attimo, fra sprazzi ardenti di dolore conditi dai suoi urli muti, gli parve stranamente inquieta. Ma il cruccio passò presto e tornò a sbeffeggiarlo: -Promessa- sussurrò da qualche parte di fronte al suo viso. –A chi hai promesso, Arvin? Sarebbe un peccato se ti dicessi che la tanto cara e dolce promessa che ti sei sempre premurato di mantenere fosse stata fatta a me? Che il vincolo che tanto ti lega ai frammenti sia stato enfatizzato da me fino a renderlo l'ossessione di una promessa incombente?-
Il vecchio strinse i pugni, inerme di fronte alla verità che cominciava ad affogarlo, a schiacciarlo sotto il suo peso. Tentò di liberarsi ma i rivoli di solido buio che gli incatenavano i polsi non parevano indebolirsi.
-Credevi di aver promesso a un vecchio amico? Alla tua adorata, cortese, moglie morta? No, Arvin, la tua memoria è mia, ho fatto ciò che volevo con...- L'ombra s'interruppe e nell'oscurità della sala il vecchio udì fruscii allontanarsi solo per poi tornare in fretta verso di lui volando su una brezza gelida. –Ma forse...- gemette divertita la voce ora dentro il suo orecchio. –Tu hai già promesso qualcosa a qualcuno, vero, Arvin?-
La voce di Jerry arrivò attutita dalla distanza eppure, seppur il tono fosse flebile, il vecchio udì la rabbia accesa nella sua voce capitombolare dalla soglia scura al di sopra delle scale. Il suo volto terreo si animò di paura a quel suono, divenne ancora più pallido, e gli urli contro la nube di ombra che gli chiudeva la bocca si fecero più intensi. Si dimenò ma le mani costrette vicino ai ginocchi gridarono di dolore quando tentò di sollevarle.
-Padre!- urlava la voce di suo figlio carica d'odio. –Mi avete ingannato! Avevate promesso!-
Arvin sgranò gli occhi nel buio mentre l'ombra alle sue spalle rideva di una risata gutturale che assomigliò al brontolio di una gigantesca bestia nascosta, pericolosa. Urlò a Jerewy di scappare con tutto il fiato che aveva nei polmoni, tentò perfino di cavarsi fuori dal naso quelle parole che strenuamente gli rimanevano intrappolate in gola. Ma non ci riuscì e i passi pesanti del figlio incominciarono ad echeggiare sempre più vicini alla sala accompagnando il suo tono iroso con tonfi soffocati.
-Non c'è nessun tesoro, padre! Che voi siate maledetto! Dannato, voi, con le vostre promesse!- diceva, e Arvin, all'udire quelle parole, cominciò di nuovo a piangere sebbene sentisse ormai gli occhi prosciugati da tutte le lacrime che quel giorno aveva versato. Scesero però, concentrate di sale, mentre l'ombra parlava ancora a poca distanza dal suo collo per non farsi udire da altri all'infuori dell'orecchio a cui si rivolgeva: sentì brividi freddi sorvolargli sulla schiena e incominciò a tremare a quelle parole. Arvin capì in fretta.
-Povero, piccolo Jerry, ingannato dal padre e dalla sua memoria fallace.- L'ombra rise ancora. –Che peccato, che orrendo peccato.-
La luce di una torcia incominciò a bagnare le mura spoglie che racchiudevano la scalinata. L'arancione diede loro una parvenza malata, nauseabonda. Quando Jerry incominciò a scendere e vide il padre avvolto da un tenue manto di tenebra, non si fece domande: la rabbia gli ottenebrava la mente. Gli puntò il bastone infiammato contro e urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.
-Avete mentito! Avete mentito a me, ai miei fratelli, a nostra madre. A vostra moglie! Voi, lurido...-
L'ombra lo prese mentre scendeva l'ultimo scalino. Gli occhi gli si fecero grandi mentre l'oscurità lo corrompeva dall'interno: guardava fisso il padre nel frattempo e bagliori di fuoco gli danzavano sul viso che aveva perso tutto il suo colore. Arvin urlò o almeno tentò di farlo anche se sapeva che non sarebbe servito a nulla. La mano del figlio rimase tesa nel vuoto per un tempo che gli parve infinito, poi incominciò a sbiadire come inchiostro diluito in troppa acqua. Si frantumò in milioni di frammenti di polvere e lasciò cadere la torcia che rotolò al suolo con tonfi sordi. Il vecchio non la guardò. Gli occhi sgranati fissavano quelli del figlio da cui la vita scivolava via lentamente. Ai suoi si sovrapposero quelli di Rose, alla faccia capitò lo stesso. Arvin aveva sussurrato lei prima di andarsene, o forse no, era solo nei suoi ricordi confusi magari...
-Padre...- disse invece Jerry prima che da sotto le labbra l'oscurità scaturisse fuori come un fiotto di sangue e cancellasse le sue parole in un gemito di dolore indistinto, quasi timido. La testa scomparve in un ammasso putrido di carne cancerosa, poi divenne anch'essa fumo nero, mangiata dal nulla di cui le ombre erano portatrici. La udì fagocitare tutto come se da qualche parte un'enorme bocca stesse masticando degli avanzi sotto un tavolo; poi gli parlò nuovamente e questa volta la voce risuonava dal suolo. La udì vibrare nelle gambe piegate, nelle ginocchia.
-Neanche lui aveva idea di dove fosse l'altro frammento, Arvin. Che peccato, davvero. Quanti cari ancora vuoi venirmi a offrire prima che cambi idea e mi riveli il luogo dov'è nascosto?- Parlava come se avesse qualcosa in mezzo ai denti e il vecchio fu sconquassato da conati di vomito che gli riverberarono nell'esofago e nel ventre. Si sentiva ricolmo di un nido di serpi velenose che pareva lo stessero mordendo dall'interno. Gli parve di avvertire che la creatura si allontanasse disgustata, la tenebra di fronte al viso si diradò debolmente e la torcia sul pavimento brillò con più vigore a qualche metro da lui.
–Mio caro amico, sei il primo di cui ci stiamo servendo per questa causa, dovresti esserne fiero. Non espellere la tua bile su di me, da bravo. Ho bisogno di quell'informazione, Arvin. Tenerla sepolta nel fortino che hai creato all'interno della tua mente non ti aiuterà. Per niente.-
Gli si fece vicino da tergo, la percepì chiaramente alle sue spalle e gli prese la fronte tirandogliela indietro e facendo in modo che sollevasse lo sguardo sopra di sé. –Guardami, vecchio.- fece con tono glaciale. –Guardami.-
Arvin avvertì le sue pupille ingrandirsi di terrore mentre si posavano sulla faccia glabra e putrescente dell'ombra. Brani di una pelle che pareva incorporea sembravano staccarsi e riformarsi ai lati dei buchi oscuri che aveva al posto delle orbite. Recessi abissali in cui il vecchio vide danzare nubi di terrori innominabili, antichi incubi sepolti. Solo quando parlò ancora vide la voragine scura da cui scaturirono le parole aprirsi con uno squarcio. Se nell'universo esistessero cose più buie delle notti nere, quelle sono solo lontanamente paragonabili alla cupa bocca dell'ombra. Il nulla che riempì la vista del vecchio mentre sgranava gli occhi nel buio, gli fece male da capo a piedi, trafiggendolo come milioni di morsi avvelenati.
-Dov'è l'altro frammento dell'artefatto, vecchio?- fece, e la sua voce era assordante, irosa, gli feriva le orecchie con artigli invisibili. La voragine nera al posto della bocca si abbassò fino a risucchiargli il viso e sentì che, concentrata così com'era a estorcergli l'informazione, l'ombra stava indebolendo i legacci d'oscurità che lo intrappolavano. Quando parlò ancora, ciò che doveva fare gli fu immensamente chiaro nella sua testa.
–Colui che ha potere su di me lo richiede, il suo è un bruciante desiderio. Ho giurato che il mio piano avrebbe avuto successo e ho visto dentro di te la possibilità che accadesse. Manca un solo artefatto affinchè il mio padrone abbia completo controllo sulle mie sorelle sparse per i tre regni. Solo uno, Arvin. Ha le sue precauzioni e non ricadrà nell'errore dei tuoi amici barbari su a nord. No, abbiamo trovato il metodo...- Sospese quelle parole vibranti nell'aria quasi temesse di aver detto troppo, poi riprese e la sua voce era di nuovo una furia gelida: -Cosa puoi tu, viscido essere, contro questo disegno? Ho fatto in modo che tornassi a me confondendoti la mente e mistificando i tuoi pensieri ma preservando quell'unica informazione che mi nascondevi. Ho ucciso chi hai amato, tutti quanti, perciò parla, uomo, poichè non ha più nessuno a cui tornare e affinchè altri sacrifici vani non si compiano sotto il tuo nome. Dimmi- urlò, concentrando tutte le sue forze contro la debole scatola nella mentre di Arvin in cui l'ubicazione del frammento si trovava. Arvin sentì le dita delle mani cominciare a formicolargli. –DOVE SI TROVA?-
Il vecchio gridò il suo disappunto nel bavaglio nero sempre meno deciso che lo avvolgeva e, chinandosi in avanti, fletté la schiena lottando contro la forza dell'ombra. Riuscì a districarsi e sentì la carne del viso bruciargli come se lembi di pelle gli si fossero strappati dalle ossa. Non perse tempo a riflettere sul dolore sempre più acuto che lo avvolgeva e, mentre l'ombra lo trafiggeva sulle reni con artigli impalpabili, gettò un braccio scarno nell'apertura circolare della botola e ne emerse reggendo la debole luce della lanterna. La sollevò in alto, poi la abbattè furiosamente al suolo in un fragore di vetri infranti e schegge taglienti. La debole fiamma si spense ma non gli importò.
L'olio bollente invece si allargò in una chiazza scura sul pavimento, imbevendo la cenere e la polvere nel suo rigurgito viscido. Il vecchio lo vide impregnargli la veste, colare fra le fughe del pavimento in una corsa contro il tempo che la parte del suo essere impiegata nella lotta contro il dolore inflittogli dall'ombra sperava che vincesse. Gli occhi di Arvin si riempirono di lacrime mentre si posavano sui vestiti di Jerry, vuoti e insanguinati, gettati alla rinfusa accanto alla torcia prima che l'olio la raggiungesse e che prendesse fuoco avvampando nel buio.
Quando arrivò a lambirgli la tunica, il vecchio sentì la creatura attaccarlo sulle spalle con ira furibonda e repentina: aveva capito il suo intento. Le fiamme lo circondarono presto ed egli sentì il morso freddo degli artigli dell'ombra diradarsi solo per lasciare il posto a quello ardente del fuoco. Urlarono entrambi, scottati, e Arvin scattò in piedi sentendo che non c'era più nessuna forza a costringerlo a terra. Sollevò le mani e guardò il soffitto della torre che lo aveva accolto per anni mentre le memorie corrotte dall'ombra tornavano a fargli visita nella mente. Il fiume era di nuovo placido dentro di lui e, sebbene il fuoco gli stesse divorandole membra e l'ombra urlasse maledicendolo in una lingua sconosciuta, si sentì in pace. Con se stesso, con Rose, con Jerry, sentì il fuoco purificare il suo corpo e, prima che perdesse conoscenza, seppe che l'informazione sul frammento di artefatto, quell'artefatto che avrebbe dato pieno controllo sulle ombre, sarebbe stata al sicuro. L'informazione sarebbe morta con lui. Aprì la scatola nella sua mente e invece di urlare di dolore per le piaghe che gli si aprivano sul viso, sorrise: non l'avrebbero mai preso, non ci sarebbero più stati Padroni dell'Ombra.
FINE
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