Battaglia

Il cielo pareva inchiostrato dalla mano di uno scriba, puntellato da piccoli puntini luminosi iridescenti che brillavano sparsi qua e la nelle costellazioni. Bagliore del Mattino, la stella più fulgida, splendeva fra le mani tese del Fanciullo e della Madre, segnando la notte di un amore cristallino che da molto tempo aveva abbandonato il mondo. L'astro si stagliava a sud, verso i monti, ormai prossimo ad adagiarsi oltre l'orizzonte alto della valle. Un lucore argentato illuminava a est quell'immenso spettacolo segno che l'alba era vicina. Tirava una brezza leggera ma fresca, i lunghi steli d'erba si cullavano leggeri sotto quelle dita invisibili che cercavano invano di sfiorarli.

Quando gli occhi di Ian si furono completamente abituati alla semioscurità del mattino, si girò a guardare la grossa pianura erbosa sulla quale si era accampato con le sue unità di soldati. Davanti a lui, si aprivano file e file di tende scure e rattoppate, ognuna di diverse fattezze dall'altra. Un profondo mormorio sembrava pervadere l'assembramento eterogeneo, accresciuto di tanto in tanto da qualche eccesso di tosse o da una lama che veniva sguainata. C'erano anche risate nell'aria, nervose ma allo stesso tempo sguaiate: l'alcol scorreva e quello ne era il segno tangibile. Il crepitare delle torce e dei grossi fuochi da campo amalgamava tutti questi suoni in un brontolio che sembrava provenire dalla terra stessa. Ian ne parve percepire le vibrazioni sotto le piante dei piedi nudi come se il mondo, in qualche modo, stesse cercando di parlargli. E solo gli dei sapevano quanto gli servisse un suggerimento.

Spostò lo sguardo verso il profilo lontano delle colline dove sapeva ci fossero ad attenderli, dall'altra parte, i soldati dell'esercitò nemico. Immaginò i loro fuochi da campo a rischiarare la notte; immaginò le loro tende disposte in modo speculare a quelle dei suoi soldati. Tirò su col naso e l'aria fredda gli bruciò i polmoni. Era assurdo che si fosse giunti a questo eppure i regni avevano perso qualsiasi scampolo di logica per lanciarsi in una guerra che, ancora, per lui, non aveva il benché minimo senso. Una sensazione sgradevole di agitazione mista ad adrenalina, la stessa che l'aveva tenuto sveglio quella notte, gli si piantò nuovamente nello stomaco come un pugno. Nei rari momenti in cui l'aveva ghermito, il sonno gli aveva portato angosciosi incubi, colmi di dubbi e spade insanguinate.

Alzò di nuovo gli occhi verso il cielo, in cerca forse di una risposta che dalla terra non arrivava. Nessuna nube minacciava pioggia, le condizioni atmosferiche sembravano benedire quella battaglia affinché si compiesse nel migliore dei modi. Era forse quello un indizio? No, aveva smesso di credere ai presagi e parimenti agli indovini da molto tempo. Non c'era stato un futuro roseo ad attendere la nascita del suo terzo figlio sotto la benedizione del sole d'agosto, il mese più fausto per i bambini messi al mondo. Non c'era stato niente di cui gioire dopo la fine dell'estate. L'autunno aveva portato freddo, lame di spade e morte. E la guerra lo aveva portato lontano dalla famiglia, ai margini del suo regno a testimoniare barbarie che da tempo pensava di aver dimenticato. La causa di tutto quel dolore, di quelle battaglie, lo rendeva pensieroso. Non riusciva a capire, ancora oggi, come dopo mesi di ritirate lungo il confine nord il monarca non si decidesse a dare ai barbari ciò che tanto desideravano: dei porti sicuri a sud. Certo, avrebbe rinunciato a qualche chilometro di costa, ma cos'era in confronto alle migliaia di vite che si stavano spegnendo in quei giorni? Quel quesito lo tormentava: qualcosa pareva sfuggirgli e odiava non avere la massima comprensione sui motivi, quelli veri, che muovevano il suo esercito.

Un cavallo nitrì in lontananza e, seguito dai latrati di un gruppo di cani, interruppe i suoi pensieri. I rumori parvero echeggiare per qualche istante sulla pianura prima di spegnersi lontano, fra i boschi che si aggrappavano strenuamente alle colline rocciose. Li osservò con occhio attento, pronto a carpire il minimo sentore di luce o di movimento. Non vide niente e stava per rimettere piede nella tenda dietro di sé quando un altro rumore attirò la sua attenzione. Era un suono leggero, furtivo: passi lenti e corti che cercavano di passare inosservati si avvicinavano da sud dove era stato predisposto il recinto per la cavalleria. Un altro destriero sbuffò nella notte, innescando un sequela di tonfi di zoccoli e nitriti nel buio. Ian sentì i suoi sensi farsi vigili, affinarsi, la mente liberarsi dagli ultimi legacci di sonno che ancora la stringevano.

Arretrò abbastanza per sentire la stoffa ruvida della tenda dietro di sé e, infilando una mano sotto la tunica, ne estrasse un piccolo coltello che scintillò leggero nella penombra. Guardò oltre i lembi aperti e con una smorfia notò la spada ancora nel fodero abbandonata sul suo giaciglio. Compianse la sua infinità stupidità per averla lasciata dentro e prese a osservare il buio con occhi attenti. Si inginocchiò vicino a un picchietto della tenda, lembi di tessuto si adagiavano sul suo corpo come carezze nella brezza fredda che spirava da est. La pelle gli si riempì di brividi quando i passi si fecero più vicini. La vide allora: una figura scura, ammantata, che si muoveva leggera fra una coppia di tende adiacenti alla sua. Aggiustò meglio il pugnale nel palmo della mano e, mentre lo sconosciuto si faceva avanti svoltando l'angolo, si preparò a sferrare il colpo.

Emettendo un grugnito soffocato, Ian balzò fuori dall'ombra della tenda e con un lungo movimento del braccio mirò alla gola. La figura parve sorpresa e riuscì a bloccare in tempo il pugnale con un braccio teso, solo per poi essere colpita da un pugno che Ian gli sferrò al ventre. Grugnì di dolore e poi urlò qualcosa con una voce che a Ian parve di riconoscere, costringendolo a fermarsi. Rimase a piedi nudi nel fango, il pugnale puntato nel buio verso l'uomo dal mantello grigio. I due si scrutarono, indugiando.

-Ahmos?- disse Ian con voce incerta tenendo sempre di fronte a se il coltello, pronto a colpire.

L'uomo rise leggermente. Con un gesto della mano si tolse il cappuccio dalla testa, rivelando una lunga chioma di capelli grigi striati di bianco e una rada barba canuta. Stava massaggiandosi con un mano il fianco ma un sorriso gli illuminava il volto, divertito.

-Stavi cercando di uccidermi?- chiese sogghignando il nuovo arrivato.

-Mi hai fatto prendere un colpo- disse Ian rinfoderando il coltello e dando una pacca sulla spalla all'uomo che si era fatto vicino. –Credevo tu fossi una spia o, peggio, un assassino.-

-Una spia? Un assassino? Ma andiamo.- Rise, poi aggiunse: –Avrei fatto tanto rumore sennò?-

Ian sorrise di rimando, i muscoli delle mani e delle braccia che tremavano ancora per la mancata azione. –Siediti- fece, prese uno degli sgabelli lasciati la sera prima di fronte alla sua tenda e glielo offrì. Ahmos si accomodò e così fece anche lui, prendendo posto di fronte all'uomo. Le torce, poco lontane, illuminarono di bagliori evanescenti le due figure facendole assomigliare a pallidi fantasmi. Nell'aria un altro cavallo nitrì lontano seguito da qualche urlo di un ubriaco.

-Che notizie mi porti?- gli chiese Ian mentre si sedeva. Lo sgabello tracciò profondi solchi nel fango quando lo trascinò tentando di avvicinarsi.

-I cavalli sono già bardati e pronti per la battaglia, ho dato ordine agli stallieri pochi minuti fa- disse Ahmos. –Ero uscito per avvertirti. Sapevo di trovarti in piedi.-

Ian grugnì un assenso e, guardandosi intorno, i suoi occhi si posarono di nuovo sulle colline, dietro le quali l'accampamento del nemico sonnecchiava come il loro prima della battaglia.

-Non roderti l'animo, amico mio- fece Ahmos seguendo il suo sguardo e cercando di intuire le sue paure. –Seppur non ci siano sporgenze rocciose rialzate, quei boschetti di betulle e pini a nord est potrebbero fare al caso nostro. Anche quei radi alberi a sud ovest...-

-Non è la tattica di questa schermaglia che mi preoccupa, Ahmos- lo interruppe Ian, gli occhi scuri ancora piantati sulle colline ombrose nella luce appena accennata del mattino. Rimase in silenzio per un po' poi disse: –Per cosa stiamo combattendo?-

Ahmos lo guardò per qualche secondo grattandosi la barba bianca. –Il re vuole mantenere i territori che confinano col mare, lo sai.-

-Ma perché centinaia di uomini stanno morendo per una manciata di chilometri di costa? Potresti spiegarmene la ragione?- 

-Ho sentito che stia impazzendo, il nostro caro vecchio re- rispose Ahmos. –Soprattutto vecchio. Dicono che non abbia più idea di quel che sta facendo sul trono.-

-Allora perché siamo qui? Perché rimaniamo a servire un re pazzo?-

L'uomo non rispose, il dubbio rodeva anche lui.

-Ho udito delle voci- continuò Ian, la voce ridotta a un sussurro flebile. –Delle voci che se fossero vere, segnerebbero la fine di noi e forse di tutto il regno.-

-Non pensarci neanche- disse Ahmos di slancio, deciso. –Non sono che calunnie, allearsi con loro... Sai bene che è impossibile. Le persone sono solo spaventate, ecco tutto.-

Ian lo guardò, gli occhi tradirono una certa stanchezza, non del corpo ma dell'animo. –Solo spaventate?-

-Solo spaventate.- ripeté come un'eco Ahmos continuando a scrutare l'amico negli occhi. Non pareva molto convinto ma Ian non infierì facendoglielo notare.

-C'è qualcosa che non vogliono dirci.-

Ahmos lo guardò e sogghignò sollevando un labbro. –Non ci hanno mai detto niente, Ian- rispose. –Eravamo solo più giovani un tempo e meno predisposti al pensiero.-

-Quindi convieni con me che tutto questo è assurdo, che ci sono altre ragioni.- Ian non staccò gli occhi da quelli dell'amico. Li vide farsi scuri per un attimo, come se s'interrogasse, poi tornarono seri restituendogli la solita espressione greve.

-Siamo soldati del re- fece Ahmos, la voce che non aveva inflessione alcuna.

-Siamo uomini...-

-Siamo sudditi del re, Ian- lo interruppe continuando ad osservarlo.

Ian sospirò e volse gli occhi al fango che gli impiastricciava i piedi. Ahmos aveva ragione, interrogarsi sulle forze che muovevano il mondo non era suo compito. Era per quello che esistevano i consiglieri, i re, i maestri. Lui era un semplice capitano d'armata, dopotutto, e Ahmos il suo luogotenente. Era stato ordinato loro di combattere e così andava fatto. Non c'era spazio per spiegazioni a un comando così semplice e forse lui chiedeva troppo perfino da se stesso. Si stropicciò gli occhi, poi li sollevò a rincontrare quelli dell'amico che erano rimasti perplessi e puntati con preoccupazione su di lui.

-Abbiamo combattuto troppe battaglie insieme, Ahmos, credo che questa sarà l'ultima per me- gli disse dopo attimi di silenzio. –Il colore cremisi del sangue sta incominciando a rendersi rivoltante quando lo vedo scorrere sulle mie mani. E questo, per un soldato, non è accettabile.-

Ahmos si passò una mano sugli occhi e, allungando l'altra verso l'amico, gli strinse una spalla come a sostenerlo. Si scrutarono ancora negli occhi accesi dalla luce arancione delle torce. Ian vide che l'altro era animato dallo stesso pensiero, annidato da qualche parte nel profondo del suo essere.

-Sarà l'ultima per entrambi, amico mio- rispose. -Sarà l'ultima.-

**

Lo stallone su cui Ian sedeva nitrì piano quando gli diede un colpetto di talloni per metterlo al passo. Gli passò una mano sul collo per ringraziarlo e si spostò agilmente sul pianoro di terra ormai diventata fango a causa dell'enorme mole di persone che l'aveva calpestata. Di fronte a lui, tutto l'esercito aspettava impaziente l'ordine della marcia. Un forte brusio sovrastava ogni altro rumore, interrotto ogni tanto da un urlo di qualche luogotenente che richiamava all'ordine il suo drappello di soldati. Quell'assembramento di uomini rivestiti d'acciaio rifletteva il sole in tremendi bagliori che gli ferivano gli occhi. Fu costretto a lasciare le briglie più di una volta per proteggersi dai raggi con una mano.

-Capitano!- udì gridare dalla sua destra e tirando le redini fece voltare il cavallo.

Uno scarno sacerdote correva veloce nella sua direzione sventolando in aria un piccolo orpello nero che probabilmente doveva trattarsi del sole a tredici raggi. Al collo una lunga collana di legno sbatacchiava qua e la sull'abito immacolato. Si inerpicò per il piccolo dislivello che li separava fermandosi di tanto in tanto per tenere alta la tunica intorno ai fianchi affinché non si sporcasse di terra.

-Capitano- disse di nuovo quando fu vicino a lui, la voce rotta e il fiato corto a causa lunga corsa. -Non si sarà certo dimenticato della benedizione prima della battaglia...-

Ian spostò lo sguardo sul suo esercito e rise ironico. -Oh, no di certo, padre Gaius. Aspettavo che sua signoria si facesse vedere sul campo.-

-Gli uomini degli Dei non combattono- disse il sacerdote, socchiudendo gli occhi e gonfiando il petto in segno di superiorità. La collana con minuscoli soli intagliati che portava al collo parve illuminarsi di luce propria. Ian la osservò divertito riportando l'attenzione sull'ometto basso che la indossava.

-Caro fratello, non siete forse voi a dire che siamo tutti uguali sotto i raggi del Sole?- ribatté chinandosi sulla sella per avvicinare il proprio volto a quello del sacerdote.

-Lei sta peccando di insolenza, capitano- disse con voce tagliente padre Gaius guardandolo dritto negli occhi. Si scrutarono per qualche secondo, poi il religioso riprese a parlare, il suo tono parve beffardo: –Che il dio Sole cancelli i vostri timori e i vostri peccati e che guidi la vostra mano e l'acciaio della vostra spada.-

-Così sia- disse Ian fra i denti, un sorriso tirato gli animava le labbra come un fantasma.

Gaius girò sui tacchi e si allontanò verso le fila dell'esercito dove molta gente avrebbe certo risposto al suo appello di benedizione. La veste gli volava intorno gonfiandosi nella brezza fredda: candida com'era, pareva catturare la luce stessa del sole. Ian lo osservò imporre le mani ad una decina di soldati che si erano riuniti intorno a lui e si grattò la barba pensieroso. Aveva smesso di credere da un po' all'antitesi tra bene e male e, in quel momento, più che la benedizione di Gaius avrebbe preferito quella di suo padre e dei suoi avi. Osservò il cielo quasi a cercarli, a cercare una risposta alla vaga sensazione di paura che gli trafiggeva il petto come una scheggia piantata sotto pelle. Non c'erano nubi nell'azzurro, neanche gli uccelli mangia carogne avevano deciso che era ancora tempo per sollevarsi in volo e pregustarsi il pasto: nessuno rispose alle sue domande. Sospirò, sovrappensiero.

Un rumore di zoccoli in avvicinamento gli fece distogliere lo sguardo dalle cime dei picchi che racchiudevano la valle. Il cavallo arrivò vicino a lui e impennò leggermente mentre Ahmos tirava le redini per calmarlo. Lo osservò inarcando un sopracciglio intanto che cercava di far accostare l'animale.

-Problemi col sacerdote?- gli chiese appena fu abbastanza vicino. La sua corazza riluceva nei raggi e Ian la guardò infastidito, quasi egli stesso fosse ignaro di spargere bagliori tramite la sua allo stesso modo. A quel pensiero parve quasi vergognarsi e si accarezzò un pettorale modellato, pensoso.

-Niente d'importante- rispose infastidito all'amico. -Il solito battibecco.-

Ahmos rise di gusto. –Figurati che ha minacciato di non benedirmi, poco fa. Come se la cosa mi importasse.-

Ian ghignò nervosamente e diede solo una pacca sulla spalla dell'amico, senza replicare come di consuetudine. Quello parve accorgersene e lo squadrò con occhio critico, ma non disse nulla.

-Hai disposto la cavalleria?- gli chiese Ian dopo che il silenzio li aveva avvolti entrambi.

-Si- rispose prontamente quello, serio. -Attendono solo il mio ordine.-

-Bene- disse Ian e si girò a guardare la fanteria. Un lungo serpentone di uomini avvolti in armature di metallo luccicante si estendeva di fronte ai suoi occhi. Il sole, da poco alzatosi sull'orizzonte, sfavillava anche sulle loro spade sguainate e sulle lance. I dubbi che lo attanagliavano sembrarono farsi più concreti mentre quei bagliori gli ferivano gli occhi. Temette che fosse il dio Sole ad annebbiargli la mente e si diede dello stupido per quel pensiero. Sperò che Ahmos non lo avesse udito sogghignare in solitudine e con un colpetto alle redini fece spostare lo stallone.

A nord, la pianura che la sera prima era parsa scura e ombrosa era ora piena dei bagliori dell'esercitò nemico che, nelle prime ore del mattino, favorito dall'ombra, doveva esser riuscito a marciare attraverso una delle gole che congiungevano le valli. Seppur era stato in disappunto con le vedette che non avevano avvistato con abbastanza solerzia i movimenti delle compagini avversarie durante le ore prima dell'alba, notò con piacere che l'esercito radunato di fronte a loro era in netta minoranza rispetto alla schiera di uomini che mormoravano dietro di sé.

La sgradevole sensazione di turbamento gli si piantò nuovamente nello stomaco. Non aveva mai combattuto, fino ad allora, in condizione di netta superiorità e questo lo metteva leggermente a disagio. Si grattò la barba, nuovamente pensieroso, mentre in un incavo del gomito teneva stretto l'elmo. Osservò i boschi che dipingevano le alture di verde scintillare smeraldine nella luce mattutina. A detta dei perlustratori non c'erano riserve del nemico nascoste sotto le fronde e lui vi credeva. Tuttavia quella sensazione di timore non passava. Avrebbe dovuto accettare da buon peccatore la benedizione di Gaius invece di disprezzarla? Il dubbio incominciò a insinuarsi nel poco spazio che lasciava il turbamento all'interno del suo stomaco. Il pomello della sella scintillò sotto la luce del sole e gli mise lesto una mano sopra, ne aveva fin sopra i capelli di scintillii e bagliori.

-Dannazione- imprecò a denti stretti, la mascella contratta gli faceva dolere i denti.

Ahmos, portatosi alla sua sinistra, parlò cercando di sciogliere i suoi dubbi: -Ho già mandato sparuti gruppi di uomini sulle colline che circondano la valle, non sembrano esserci scorte nascoste nei boschi, non può trattarsi di una trappola.-

-Me lo hanno già comunicato- rispose piccato e se ne pentì subito dopo, l'amico non meritava quel trattamento.

Ahmos non parlò per un po'. Entrambi tenevano gli occhi puntati verso l'esercito nemico, il sole che nasceva poco dietro le loro spalle accendendo la valle ricopriva lo schieramento di riflessi. Cosa ti tormenta, allora, amico mio? Avrebbe voluto dire ma non lo fece e il silenzio si espanse fra loro come una nebbia grigia.

-Bene- fece in seguito cercando di rassicurarlo. Poi, sentendo che l'amico non rispondeva e nemmeno si voltava verso di lui, aggiunse: –Rilassati, andrà bene.-

Ian non distolse lo sguardo dai bagliori ipnotici della luce, la sensazione che qualcosa di imprevisto stava per accadere non lo abbandonò. -Hai ragione – mentì ad Ahmos. –Prepariamoci ad avanzare.-

Quello lo guardò conoscendo bene le sue emozioni, eppure non parlò ancora una volta. Girò il cavallo da guerra pezzato sul quale montava e si diresse verso la sua compagnia di fanteria.

Ian si voltò invece verso i soldati. Sapeva di dover parlare a tutti loro eppure le parole gli morivano in gola prima ancora che potesse pronunciarle. Tentò più volte ma dalla sua bocca non uscì nient'altro che un fiacco fiotto di silenzio. Guardò Ahmos, ormai lontano, che lo scrutava con occhio attento e preoccupato. Guardò i suoi sottoposti che impassibili aspettavano il suo discorso incitatore. Sembrò trarre forza dall'amico e da quegli uomini carichi di aspettativa e sentì la tensione che gli attanagliava le membra sciogliersi un poco.

-Non fatevi ingannare dalla nostra superiorità di numero- disse allora, urlando forte e ascoltando i luogotenenti ripetere come un'eco le sue parole alle compagnie lontane.

-Combattete per il vostro popolo- continuò. – Combattete come se questa fosse l'ultima battaglia, la battaglia che decide una guerra. Combattete per le vostre famiglie e per la civiltà che quei barbari del nord vogliono rubarci. Avanzate verso di loro per vendicare il sangue dei vostri compagni caduti nelle scorse battaglie e per quello che verseranno ancora se non li fermeremo oggi. Per il re del sud e per la gloria! Combatterete per me?-urlò infine, concludendo la sua orazione pensando a quanto fosse stata misera.

Gli uomini però agitarono le lame e ritmicamente le percossero sugli scudi, producendo dei tonfi che si propagarono nella terra come tamburi di guerra. Quella visione gli infuse nuove forze e sentì il morale farsi già più alto: l'adrenalina per la battaglia imminente stava già incominciando a scorrere nel suo corpo, corroborante. Cavalcò lungo la linea degli uomini dando ordini ai luogotenenti; si fermò più a lungo nei pressi della compagnia di Ahmos, dando disposizione di partire sulla destra portando poi il drappello dei suoi soldati al centro. Dal canto suo avrebbe portato la cavalleria all'esterno, a est, sfruttando poi il varco creato dalla fanteria di Ahmos per spingere l'esercito nemico con una carica contro le colline ad ovest e costringerlo alla resa.

Passarono non pochi minuti prima che gli ordini furono recepiti da tutto l'esercito e, quando l'enorme massa di uomini e cavalli incominciò a muoversi, anche i soldati piccoli come formiche dall'altro lato della valle si misero in moto, segnando, di fatto, l'inizio della battaglia.

***

Lo scontro era stato terrificante come sempre. Il cozzare degli uomini sulla prima linea dell'esercitò nemico provocava suoni sordi che superavano, in paura, le urla e il tintinnare del ferro contro ferro conseguenti. Se la morte avesse avuto voce, quello sarebbe stato il suo urlo cupo di battaglia.

Anche dalla collina sulla quale aveva spostato la cavalleria quel suono era giunto chiaro alle orecchie di Ian. Proprio sotto di lui, sulla piana in cui avveniva la battaglia, seguiva con lo sguardo la compagnia di Ahmos che, come aveva dato disposizione, stava portandosi sulla destra per sferrare una carica laterale al fianco nemico. Così facendo, c'era una grossa probabilità di aprire un varco per i cavalieri i quali, pazientemente, attendevano dietro di lui. Un boschetto di betulle li nascondeva appena alla vista dei nemici e Ian sperava che la manovra si compiesse nel modo più rapido possibile affinché potesse finalmente scendere in campo e risolvere una volta per tutte quell'ennesima, inutile, battaglia.

Seguì con lo sguardo la fanteria guidata dall'amico farsi sempre più piccola via via che si allontanava e poi la vide fermarsi qualche istante come per riprendere fiato quando si era fatta abbastanza vicina al fianco destro dell'esercitò nemico. Udì grida belluine sollevarsi nell'aria e poi osservò la compagnia slanciarsi in avanti quasi avesse saltato, le piccole picche puntate in fuori pronte a sfondare le prime linee. L'impatto fu violento e gran parte della compagnia nemica sulla quale si era abbattuta la carica venne travolta, schiacciata da una parte dagli uomini di Ahmos e di fronte dal resto dell'esercito del regno del sud con cui già lottava da qualche minuto. Ian li osservò arricciando la bocca in una smorfia che non sapeva se gioire o esser triste: rimase informe sulle labbra a scoprire i denti. Benedì l'elmo che gli copriva il viso in modo tale che nessuno potesse vederla e lui non potesse vergognarsene.

Aspettò qualche secondo ancora, poi, quando vide che la corsa della compagnia di Ahmos si era arrestata, si liberò della smorfia che gli deturpava il viso e incitò i cavalieri dietro di sé con lunghe grida di battaglia. Risposero tutti all'unisono, piegando i corpi in avanti e superandolo sfrecciarono oltre l'ombra sicura degli alberi, esponendosi alla vista dei nemici. Quando buona parte defluì lungo il declivio che portava alla piana, si lanciò anch'egli con un urlo dando di speroni allo stallone che non fece attendere il suo nitrito.

Sentiva i muscoli del cavallo contrarsi e allungarsi a ritmo spasmodico e ben presto superò alcuni dei cavalieri che lo avevano preceduto. Discesero il fianco della collina e rallentando si disposero in formazione estraendo quasi ad un sol uomo chi lunghe lance e chi grosse spade ad una mano. Aspettò che tutti i soldati si fossero messi in posizione, poi, estraendo anch'egli la spada, la calò verso i nemici e, con un ennesimo urlo rabbioso, tutta la sua compagnia cavalcò verso la battaglia calpestando l'erba verde della pianura.

Se ascoltare l'impatto di due prime linee era una cosa terrificante, viverlo lo era ancora di più. Ian percepì l'urto della carica come di una violenza devastante. I cavalli da guerra produssero un suono sordo, attutito soltanto dal forte rumore degli zoccoli che schiacciavano il terreno già zuppo di sangue. Il clangore di spade contro il ferro di armature e di altre lame gli riempì i timpani quando spazzarono via gli uomini rimasti sul fianco dell'esercitò nemico. La compagnia di Ahmos, come da disposizioni, si era fatta da parte subito dopo la prima incursione ed ora rimaneva centrale amalgamandosi al resto dell'esercito del sud.

Ian menò fendenti dalla cima del suo stallone e, grazie al vantaggio che l'altezza poteva offrirgli, colpì numerosi barbari. Le loro armature rozze e tenute insieme da legacci di pelle sembravano non resistere contro le lunghe spade dei suoi uomini. Arrestò la carica dopo aver affondato per circa un terzo della lunga linea su cui si combatteva la battaglia. Gridando ordini ai suoi soldati continuava a calare la lama sui nemici che cercavano di disarcionarlo con lunghe asce affilate o lance uncinate. Li combatté strenuamente, stringendo forte le ginocchia sul dorso del suo cavallo e accumulando ferite che gradualmente incominciarono a bruciare mischiandosi al sudore. Sentiva la febbre della battaglia pervaderlo eppure, nel profondo del suo essere, una sensazione vaga di errore non voleva abbandonarlo. Non aveva voce in quel frastuono per cercare di metterla a tacere e così lasciò parlare la lingua aguzza della sua spada. Che fosse cantrice di morte e bevesse il sangue che lui aveva incominciato ad odiare.

Aveva appena ucciso un cavaliere nemico quando sentì le grida. Erano delle urla di terrore molto diverse a quelle che era abituato ad ascoltare durante una battaglia: sembravano ricolme di una paura così vivida da far accapponare la pelle. Parò un fendente di una picca mentre un barbaro alla sua sinistra riuscì a eludere la sua guardia mettendo a segno un colpo sulla spalla. Avvertì la lama infilarsi fra le placche di metallo e scendere fino a baciargli la carne. Uccise l'aggressore con un unico movimento del polso e finalmente poté alzare nuovamente gli occhi mentre con la mano sinistra si tamponava la ferita da cui incominciava già a colare abbondante sangue vermiglio. Il braccio gli si intorpidì in fretta ma alzò comunque la mano a ripararsi dal sole mentre osservava i suoi uomini.

La visione lo riempì di rabbia. Il suo esercito, che ad ovest si perdeva lungo un avvallamento del terreno, stava ritornando indietro in modo disordinato, quasi in una ritirata disperata. Guardò verso il nemico e vide che soltanto un quarto circa del già misero numero di cui era formato quel mattino era ancora in vita. Fremette sulla sella, furibondo. Perché i suoi uomini voltavano la schiena a un nemico sconfitto?

Allontanò uno dei cavalieri della sua compagnia che gli si era accostato chiedendogli qualcosa sulla ferita appena inflittagli. Ian riconobbe uno dei suoi caporali e, dopo averlo rassicurato, gli ordinò di prendere il comando della cavalleria e riorganizzare una carica mentre lui si dirigeva verso l'ala dell'esercitò che stava disertando. Il cavaliere lo guardò con occhi grevi ma accettò senza riserve e tornò cavalcando furiosamente verso gli altri soldati.

Ian si districò da un drappello di nemici che aveva ingaggiato alcuni fanti vicino a lui, poi cavalcò a perdifiato verso l'avvallamento che gli nascondeva la visuale. Vide Ahmos combattere appiedato contro un barbaro dalla lunga barba bruna e, quando lo ebbe finalmente abbattuto, quello lo guardò con sconforto.

–Che succede?- gli chiese Ahmos sovrastando il frastuono della battaglia e indicando il declivio a ovest. Era ferito e un lungo taglio sulla tempia gli deturpava il viso in centinaia di rigagnoli di sangue.

-Non lo so- rispose Ian con quanto fiato aveva in corpo cercando di superare il frastuono che li circondava. –Non ho notizie dalle staffette. Sto andando a controllare di persona.-

Ahmos parò il fendente di un soldato che gli si era avvicinato da tergo e facendogli un cenno di assenso lo guardò strattonare le redini per intimare allo stallone un galoppo forsennato. Gli occhi del capitano gli erano parsi scuri quando gli aveva parlato e pregò con tutto il cuore che le cose non fossero precipitate su quel fronte della battaglia, che davvero gli uomini non fossero in rotta. Sollevò nuovamente gli occhi dopo aver abbattuto il barbaro alla ricerca dell'amico, ma era già scomparso nella marmaglia di gente che gli occludeva la visuale. Urlò ai suoi uomini degli ordini e mosse in avanti un'altra sortita, nella mente il suo augurio di buona sorte risuonò col clangore dello scudo nemico che parò il suo fendente.

Ian giunse ai piedi dell'avvallamento erboso e trattenuti i finimenti per fermare il cavallo agguantò un uomo dal volto pallido e i capelli rossicci che scappava in direzione apposta. Numerosi altri soldati intorno a loro sembravano urlare di terrore e scappare. Li guardò confuso e poi strattonando l'uomo gli chiese da cosa stessero fuggendo e perché. L'uomo boccheggiò per parecchi secondi: sembrava terrorizzato e impallidì ancora di più quando notò che a parlargli era stato proprio Ian, il suo capitano.

–Si avvicinano- disse balbettando, gli occhi sgranati. Un'inquietudine viscerale e confusa gli animava le pupille di bagliori nerastri.–Le ombre, si avvicinano.-

Ian lo guardò per qualche secondo senza capire, poi le sue dita persero la presa e, lasciandolo andare, lo vide correre a perdifiato verso le retrovie mentre con occhiate furtive si guardava indietro. Osservò il suo volto confondersi con centinaia di altri che si ritiravano e voltavano le spalle alla battaglia. Vide i suoi dubbi prendere forma e farsi carne in quelle facce atterrite, ceree per la paura e per il sangue perduto.

Era vero, dunque. Le dicerie che si udivano da qualche giorno erano reali, tutto era stato confermato. Quelle cose che da millenni avevano vissuto nel mondo succhiando la vita come un tumore dal corpo dei tre regni erano venute alla luce alleandosi con i barbari del nord. La cosa lo lasciava perplesso e stupefatto al tempo stesso. A che scopo, si chiese, quegli abomini avevano stretto un accordo con degli uomini? Ma se i dubbi avevano un volto ben delineato, quelle domande non avevano ancora risposta.

I suoi soldati, il suo stesso esercito scappava intorno a lui travolgendo il cavallo che incominciò ad innervosirsi. Ian smontò dalla sella e poggiando i piedi a terra diede una pacca allo stallone che si mise a correre anch'esso verso sud, in mezzo ad una marea di uomini sporchi di sangue. Pareva una piccola macchia di nero che si confondeva tra le armature brune e logore. Si augurò che qualcuno si prendesse cura di lui, era stato un buon cavallo, dopotutto. Lo aveva promesso a suoi figlio primogenito che sognava di essere cavaliere, ma probabilmente ne avrebbe trovato uno migliore, si disse, sempre che quella non fosse la fine del mondo e di cavalieri, dopo l'apocalisse, non credeva ce ne sarebbe stato bisogno. Avvertì una fitta al cuore pensando alla sua famiglia, alla sua casa che non avrebbe più rivisto, e si mise una mano sulla corazza quasi ad assicurarsi di non cadere troppo nei sentimentalismi.

Alzò lo sguardo verso il cielo mentre gli uomini continuavano a scivolargli intorno come una marea. Il sole splendeva beffardo, sorridendo raggiante al deplorevole destino degli uomini e dei loro figli. Spostò poi gli occhi sulla sommità della collina da cui i soldati scappavano confusi e allora le vide. Parevano figure ammantate di nero, come se avessero preso la tenebra stessa e tagliandola ne avessero fatto vesti larghe e scure. La luce parve diventare più fioca in quel momento, quasi che per un attimo il dio Sole avesse avuto pietà di loro, di lui; le grida dei soldati colme di stupore e di angoscia si fecero più forti. Molti uomini lo guardavano assenti colpendolo sulle spalle nella loro fuga disperata ma Ian non se ne curava, rimaneva immobile osservando quella marea nera correre lungo il declivio che si alzava verso ovest, una selva di ombre che avanzava divorando tutto ciò che si trovava davanti.

L'ultima battaglia pensò conficcando la spada nel terreno e piantando bene i piedi a terra. La mia ultima battaglia.

Poi la marea oscura di ombre lo travolse e il dolore ben presto si tramutò in un oblio profondo mentre il cielo sopra di lui cominciava perdere il suo colore e ingrigirsi. Il sole lo guardò beffardo per un'ultima volta prima di spegnersi per sempre.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top