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Camminavo, camminavo e camminavo per le stanze, in silenzio, braccia incrociate dietro la schiena e sguardo fisso sul pavimento. I miei occhi vedevano sempre le stesse cose: il tappeto sotto il calorifero, la borsa azzurra che la mamma stava preparando per le terme, il pavimento color mattone del corridoio. Camminavo per togliermi un po' di rabbia, ma era come se la rabbia mi seguisse e ogni volta che mi fermavo anche solo per un secondo entrava dentro di me e mi assillava con quel pensiero, quella ragazza dai capelli castani e il corpetto nero e la calzamaglia... più ci pensavo più mi arrabbiavo. Ma dopo un periodo breve la rabbia venne sostituita dalla stanchezza e cominciai a calmarmi. Entrai in cucina ma decisi di non avvicinarmi ai fornelli. Quindi mi sedetti sul divano esattamente come prima. Mio padre rientrò in casa e andò in cucina. Dopo essermi accertata che non sarebbe entrato in bagno, mi diressi verso quella stanza.
La finestra era aperta e il sole delle nove e un quarto splendeva nel cielo, rischiarando l'intera casa. Un leggero venticello faceva svolazzare la tenda. Seduta sul water cercai di pensare a cosa fare in quell'ora in cui mamma era dalla parrucchiera: avrei potuto finire la mia storia, disegnare o leggere. Il libro che mi aveva regalato zia Tizia non l'avevo ancora finito, ero a metà della seconda storia. E col pensiero che presto sarei guarita e sarei anche andata in vacanza, guardai la mia faccia tonda nello specchio e, per la prima volta in quella giornata, sorrisi.

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