la Maschera

Lo psicologo era stanco, sedeva praticamente sdraiato sulla poltrona marrone della sua elegante e pregiata scrivania in legno di mogano. Davanti a questa scrivania, carica dell'ego dello psicologo, sedeva un uomo sulla cinquantina tutto tremante, impaurito, che sobbalzava ad ogni rumore e, voltandosi in continuazione verso i punti più bui della stanza, li fissava con insistenza, quasi come se si aspettasse che da quei punti dovesse uscire qualche mostro.

Era stato chiesto allo psicologo di tracciare un profilo psicologico su un uomo che aveva massacrato moglie e figlia, non si aspettava certo di trovarsi davanti un uomo che aveva paura della sua stessa ombra, era stato in prigione per la prima volta ed era stato messo in isolamento per evitare che gli altri detenuti cercassero di ucciderlo, ma non poteva certo essersi ridotto così in soli due giorni.

Capendo che sarebbe stato inutile parlargli senza prima calmarlo chiese, con tutta la gentilezza e comprensione che il tardo orario gli permetteva, <signor Henrick, se lo desidera posso alzare l'illuminazione> l'uomo non rispose ma fece cenno di sì con la testa. Lo psicologo azionò una leva e la luce dell'ufficio aumentò facendo rilassare, anche se di poco, l'uomo.

Lo psicologo si raddrizzò sulla poltrona osservando soddisfatto il suo ufficio, troppo costoso per le sue tasche ma non per quelle di sua moglie, prese dal portapenne un elegante stilografica placcata in oro con pregiate incisioni, aprì un taccuino <signor Henrick, c'è qualcosa che la turba?> A quella domanda l'uomo tirò su le gambe e appoggiò i piedi sulla sedia accovacciandosi e dondolando lievemente. Lo psicologo, nascondendo il disappunto su come si era messo l'uomo, si tolse gli occhiali e li appoggiò sulla scrivania <sa perché è qui?> Domandò poi con falsa gentilezza, un attento orecchio avrebbe potuto sentire in quella voce un tono infastidito e stanco, erano le sei del pomeriggio, fuori era già buio e questo era l'ultimo di una sfilza di appuntamenti. Quindi lo psicologo non vedeva l'ora di tornare a casa dalla moglie.

L'uomo cominciò a bisbigliare ma a voce talmente bassa che non si capiva cosa dicesse. Lo psicologo attese qualche istante poi <si ricorda perché ora è qui?> L'uomo annuì <per colpa sua> riuscì a dire <di chi?> <Io non pensavo... non credevo... era solo un disegno..> disse l'uomo agitando una mano in modo frenetico. Lo psicologo sapeva che la figlia dell'uomo aveva fatto molti disegni inquietanti visto lo shock che aveva subito qualche anno prima assistendo ad un omicidio, riteneva normale che cercasse di dare un volto alle sue paure, era il primo passo per poterle affrontare per lei.
<Quale disegno? Vostra figlia ne ha fatti tanti> l'uomo scosse la testa <quello era diverso... fu per colpa sua che accadde> <mi vuole raccontare cos'è accaduto?> L'uomo si guardò attorno come se non si fidasse neppure dei muri <signor Henrick, sono qui per aiutarla, ma se non parla non posso fare nulla> lo intimò lo psicologo cercando di mantenere la calma, aveva davanti a sé un assassino sanguinario ma, per qualche motivo, era anche un codardo spaventato da tutto che, mentre parlava, doveva fermarsi spesso per evitare di piangere.

<Una mattina... uscendo in giardino... lo abbiamo trovato distrutto... il terreno era pieno di profondi solchi... i cespugli erano stati strappati e sparsi ovunque... mia figlia da quel giorno diventò sempre più cupa... poi... abbiamo trovato la porta aperta... a pezzi e piena di enormi graffi... mia figlia... a quel punto cominciò a gridare spaventata..."è arrivata, è arrivata la Maschera"... io e mia... mia moglie cercammo di calmarla e farci spiegare... lei ci mostrò uno dei suoi disegni... ma era diverso dagli altri... Eleonore disse che era da un po' che cercava di entrare... e ora che c'era riuscita... non ci avrebbe mai più lasciati> <e da allora hanno avuto inizio gli... attachi?> Chiese lo psicologo ricordandosi dei rapporti della polizia su alcuni strani attacchi notturni, nella casa dell'uomo, a carico di ignoti, nessuna traccia, nessun indizio e nessun testimone.

L'uomo fece cenno di sì <sì… porte, muri, finestre… pieni di graffi… le nostre foto a terra con i nostri volti sfigurati… mia moglie aveva sempre più paura… così una sera… una sera decisi di restare sveglio per controllare… un padre protegge la sua famiglia no?.. quella sera sentii degli strani rumori… presi la torcia e andai a controllare… il disegno di mia figlia… era reale> <mi può descrivere il disegno?> <... un’ombra dal volto bianco… che sembrava una maschera… due buchi al posto degli occhi… un sorriso contorto e deforme dal colore del sangue, graffiava con rabbia le porte, i muri… tutto… dalla paura mi cadde la torcia… l’essere se ne accorse, si girò… nell’oscurità vedevo solo il suo volto che sembrava fluttuare per aria… poi… non… non ricordo più niente… mi risvegliai il giorno dopo… sporco di sangue…> l’uomo non riuscì a trattenersi ulteriormente e si mise a piangere disperato continuando a ripetere “perché? Perché proprio a loro?”

Lo psicologo osservò l’uomo che, continuando a piangere e dondolare, finì col cadere dalla sedia, lo psicologo si alzò per controllare come stesse e lo trovò a continuare il pianto raggomitolato a terra, decise di chiamare l’infermiera per farlo portare via.

Mentre l’uomo usciva accompagnato dall’infermiera e due agenti che lo avrebbero riportato alla sua cella, lo psicologo prese la sua cartella clinica e scrisse: "il soggetto soffre di personalità multipla omicida".

Lo psicologo a quel punto tornò a casa, ma arrivato là non poté fare a meno che andare nel suo studio a cercare le foto dei disegni della figlia dell’uomo. Quando trovò l’essere descritto dall’uomo riconobbe che era diverso dagli altri disegni e dava uno strano senso di inquietudine ma dato che i disegni non prendono di certo vita e che sui corpi e sull’arma c’erano le impronte del signor Henrick, è ovvio che sia stato lui, era questo ciò che lo psicologo pensò. Un po’ per cacciare l’espressione spaventosa del disegno della piccola, un po’ perché lo pensava davvero.

Alcuni giorni dopo l’uomo fu processato e venne richiuso in un ospedale di cura dove, pochi giorni dopo, morì: nonostante l’assenza di qualsiasi oggetto affilato,  l’uomo aveva la gola tagliata.

Nella mano stringeva un foglio sporcato di sangue dalla sua stessa mano, era un messaggio, un disegno di quell’essere, in quegli ultimi giorni di vita non aveva fatto altro che disegnarlo, poi sotto c’era una scritta: “è stato lui”.

Venne chiamato lo psicologo per un parere. Ma neppure lui seppe dare neanche a se stesso una valida spiegazione, così liquidò tutto con un: “era pazzo, avrà trovato un modo” e se ne tornò a casa.

Non ci è dato sapere cosa successe appena varcò quella soglia, l’unica cosa certa è come la tragedia si concluse.

La moglie, o meglio quello che ne restava, venne ritrovata in salotto, subito dopo la porta distrutta, in una pozza del suo stesso sangue. Il salotto era pieno di graffi, mobili, pareti, tutto. Su una parete, scritta col sangue della donna, c’era una frase: “e lei come ha fatto?”

Una domanda sicuramente, anche se non se ne capiva il motivo, rivolta allo psicologo che venne ritrovato in una stanza completamente illuminata, accovacciato in un angolo, dondolando ossessivamente, sobbalzando ad ogni rumore e scrutando i punti più bui della stanza, come se si aspettasse che ne venisse fuori un mostro.

L’unica cosa che disse fu… “la maschera”.

Dopo attenti esami e indagini accurate non venne scoperto nulla, lo psicologo venne richiuso in un ospedale psichiatrico dove, poco tempo dopo, si uccise, sbattendo la testa sul muro fino a romperla, unico messaggio una scritta sul muro fatta col suo sangue: “se resto la maschera mi prenderà”.

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