La Stanza
"Il ragazzino aprì gli occhi, venendo accecato dal bianco intorno a sé.
Sbatté più volte le palpebre e sgattaiolò, tastando per terra in cerca di un appiglio, fino a toccare il muro su cui poggiò la schiena e si lasciò andare.
Si guardò i palmi delle mani , so diede dei leggeri schiaffetti sulle guance.
Dov'era finito e come era arrivato fin lì? Per quanto si sforzasse si ricordare, vedeva solo il vuoto? Poi, come un richiamo naturale, volse lo sguardo si ciò che sembrava un quaderno rovinato dalla copertina rigidi di un beige sbiadito. Lì accanto, una penna. Decise di aprirlo, coprendo segni non del tutto chiari, ma provò a leggere."
Per quanto si sforzasse di mettere a fuoco quei segni scuri sulla carta bianca, i suoi occhi riuscirono solo a tradurli in singole lettere, ma il suo cervello non fu in grado di metterle insieme per formare delle parole.
Sbatté le palpebre e si stropicciò gli occhi, ma la situazione non cambiò.
L'unica cosa che riuscì a capire dalla grafica della prima pagina fu che doveva trattarsi di una sorta di indice. Con non poca perplessità passò alla successiva che consisteva in un foglio bianco con una sua breve scritta al centro che ancora una volta non riuscì a decifrare.
Quando però posò gli occhi sulla quella seguente, si trovò davanti il disegno di una ragazza o per meglio dire i disegni: due erano a figura intera e due primi piani del volto, entrambi raffigurati frontalmente e di profilo.
Erano stati fatti a matita e ripassati a china, per essere poi colorati in modo volutamente approssimativo ad acquarello.
Rimase fortemente disorientato da quel disegno di una ragazza dai capelli scuri vestita con abiti, che aveva visto solo nei film fantasy che guardava in televisione, e quella sensazione non fece che aumentare quando proseguì a sfogliare il quaderno: pagina dopo pagina si susseguivano solo quelle figure di persone sconosciute, tutt'intorno alle quali erano presenti delle note scritte a penna che non fu in grado di decifrare.
Erano tutti diversi, ma al contempo tutti uguali, solo la foggia degli abiti cambiava di tanto in tanto, dopo la breve interruzione di una pagina bianca con una breve scritta centrale.
Lo stava consultando ormai da parecchi minuti con sempre minore attenzione, ma nonostante il suo esiguo spessore quel quaderno non sembrava finire mai. Probabilmente sarebbe andato avanti ancora a lungo a spulciarlo, essendo l'unico indizio del motivo della sua presenza in quel luogo, se una voce alta e cristallina non avesse attirato la sua attenzione.
-Credimi non è un granché come lettura.- disse in tono assolutamente neutro una graziosa ragazzina dai boccoli
biondo platino.
Era più grande di lui, doveva avere circa quattordici anni e indossava un grazioso vestito verde parigi di foggia un po' antiquata, con un corpetto aderente e un'ampia gonna che arrivava fino al ginocchio, tutto bordato bordata di pizzo dello stesso colore.
Si avvicinò al bambino senza che le sue scarpe col tacco facessero alcun rumore sul pavimento bianco e si accovacciò davanti a lui per sfilargli delicatamente il quaderno dalle mani.
-Non dovresti leggerlo.- lo rimproverò bonariamente, recuperando anche la penna lasciata lì accanto.
Lui la osservava con la bocca semi aperta e gli occhi sgranati e lei gli rivolse un sorriso rassicurante.
-Sarà meglio che ti riaccompagni a casa.- decise, alzandosi in piedi.
Gli tese la mano e lui la prese prontamente, troppo frastornato da tutta quella situazione per riuscire a dire qualcosa.
La ragazza lo guidò attraverso la bianca stanza dai confini indistinguibili.
-Come ti chiami? -gli domandò la fanciulla.
Lui aprì la bocca per rispondere, ma improvvisamente si accorse di non averne idea.
Questo lo mandò nel panico per qualche secondo: come poteva non conoscere il suo nome? Tutti avevano un nome, ma qual era il suo?
Poi finalmente una parola affiorò alla sua mente, tranquillizzandolo.
-Eric.- rispose sollevato -Mi chiamo Eric.-
Lei gli rivolse una lunga occhiata e annuì lentamente, come se quell'insignificante informazione avesse per lei un grande significato.
-Eric, allora.- ripeté -E dove vivi, Eric?-
Nel frattempo avevano percorso una quindicina di metri e si erano fermati in mezzo a quel candore assoluto; la ragazza allungò la mano davanti a sé e le sue dita incontrarono una delle pareti della stanza. Il muro cedette sotto la pressione e nella superficie diafana si ritagliò il contorno scuro di una porta.
Si ritrovarono in cima a un paio di bianchi gradini che si continuavano nel pavimento di un lungo corridoio ampio circa due metri. Al contrario dell'ambiente precedente, qui solo il suolo brillava di quel bianco accecante, reso quasi luminescente dal contrasto con le pareti di un nero così buio e assoluto da sembrare che oltre quelle mura si aprisse un baratro spaventoso su un cosmo vuoto.
Su quello sfondo scuro si stagliavano sette porte, sei delle quali perfettamente identiche, tre a destra e tre a sinistra, distanziate una dall'altra di circa cinque-sei metri, e una più grande che troneggiava davanti a loro in fondo a quello stranissimo corridoio.
-Allora?- lo incalzò lei.
-Io... ah... ehm...- biascicò lui attonito -Vivo... a Winnipeg.-
-Winnipeg in Canada?- insistette lei.
Il bambino annuì.
La fanciulla gli rivolse allora un'occhiata più attenta, come se i suoi magnetici occhi di un verde chiarissimo stessero analizzando ogni centimetro del suo corpo, dai suoi biondi capelli scompigliati, al suo pigiamino celeste con disegni di cagnolini sulla maglietta, ai suoi piedini scalzi.
-Capisco.- disse infine.
Gli lasciò la mano per sfogliare rapidamente le pagine del quaderno.
-Tu come ti chiami?- le chiese Eric, prendendo coraggio.
- Beatrix.- rispose lei distrattamente.
-Vivi qui?- domandò ancor lui.
-Non proprio, ma quasi.- dichiarò lei vaga.
Il bambino si guardò attorno attonito, con una mano stringendo il tessuto morbido della gonna della ragazza.
-E dove è qui?- chiese ancora in un sussurro.
Lei chiuse il quaderno e gli fece una carezza suoi capelli.
-Non preoccuparti.- lo rassicurò -Siamo solo di passaggio.-
Lo prese nuovamente per mano, conducendolo fino all'ultima porta sulla sinistra; ora che vi si trovava di fronte, Eric notò che sopra vi era affissa una traghetta di ottone che a lui risultò del tutto indecifrabile.
-Eccoci qui.- commentò Beatrix.
La spinse piano e si fece da parte per farlo entrare.
Varcata la soglia il bambino si ritrovò nella sua cameretta rischiarata dal tenue chiarore della lucina da notte azzurra sul comodino accanto al letto.
Si voltò per chiedere alla strana fanciulla qualche informazione, ma alle sue spalle non c'era che lo scaffale dove teneva i suoi libri e i giocattoli che preferiva.
Stordito e frastornato, tornò a infilarsi sotto le coperte, tirandola fin sopra la testa, e in pochi minuti si addormentò profondamente.
***
Nei giorni successivi Eric visitò spesso quella stanza bianca e quel corridoio dalle pareti nere, ma non incontrò più la fanciulla di nome Beatrix, né rivide più lo strano quaderno. Troppo spaventato da quello che doveva essere un sogno troppo vivido e da quel luogo tanto assurdo, ogni volta ripeteva il percorso che la ragazza gli aveva mostrato e se ne ritrovava nella sua camera, dove riusciva a dormire sereno per il resto della notte.
Fu solo dopo quasi tre mesi dalla sua prima visita alla stanza bianca, che qualcosa improvvisamente cambiò in lui. O meglio cambiò lui.
Poco dopo essersi addormentato, si ridestò come di consueto avvolto dal candore, vi era ormai abituato, ma quella volta percepì sotto le sue dita la ruvida copertina del quaderno. Certo ne fu sorpreso, ma qualcosa di più profondo lo turbava, qualcosa che non sapeva spiegarsi.
Lo aprì quasi per noia: era sempre uguale a come lo ricordava, con le scritte incomprensibili e tutti quei disegni di persona misteriosa. Lo sfogliò un po' distrattamente, poi, come guidato da una strana curiosità, passò direttamente all'ultima pagina.
Immediatamente lanciò il quaderno a terra spaventato.
Rimase a guardarlo da lontano, atterrito, per interi minuti che gli sembrarono ore, fino a che non trovò il coraggio di avvicinarsi carponi e guardare di nuovo: sulla pagina bianca era raffigurato un bambino di circa otto anni, con i capelli biondi e gli occhi scuri, con addosso un pigiamino celeste con disegni di ciambelle e ghiaccioli.
Abbassò lo sguardo sulla manica della maglietta: ciambelle e ghiaccioli.
Prese il quaderno fra le mani tremanti e i suoi occhi composero in automatico la parola scritta in cima alla pagina: Etienne. Era il suo nome.
Un momento, ma lui non si chiamava in un altro modo? Era sicuro che non fosse sempre stato quello il suo nome, eppure... eppure ora era certo di chiamarsi così.
Anche gli altri appunti si ricomposero sulla carta: poteva leggere il suo nome, la sua data di nascita, la sua altezza e altre piccole informazioni.
Quando sfogliò rapidamente le altre pagine, si accorse che lo stesso era accaduto per tutte le altre scritte attorno ai disegni: era forse il quaderno di una spia?
Decise di farsi coraggio: si mise in piedi e uscì nel corridoio, dove, con estrema cautela, aprì una
dopo l'altra le sei porte uguali.
Il risultato fu lo stesso per tutte: dall'altra parte trovò un muro nero e impenetrabile come quello delle pareti, eccezion fatta per la porta in fondo a sinistra, che portava alla sua stanza, e per quella in fondo a destra che portava a un'altra stanza completamente bianca.
Per ultima toccò alla grande porta in cui terminava il corridoio: a differenza delle altre, che aveva solo dovuto spingere per aprire, questa era dotata di un pomello di ottone che dovette girare.
Quel luogo bizzarro in cui, suo malgrado, si era ritrovato più volte negli ultimi mesi, non l'aveva affatto preparato a quello che si ritrovò davanti: scenari urbani si mischiava alla più selvaggia vegetazione e ancora agli interni di ambientazioni futuristiche totalmente fantastiche, in una stridente cacofonia di forme e colori. Ogni elemento era mescolato e intersecato con gli altri seguendo le leggi di un'assurda geometria non euclidea dai volumi impossibili e dalle prospettive inconcepibili.
Gli occhi di Etienne si spalancarono in uno sguardo di stupore e paura e la sua bocca si aprì nel tentativo di un grido di terrore, ma dalla sua gola non uscì alcun suono.
Indietreggiò nel tentativo di allontanarsi da quell'inumano paesaggio inconcepibilmente deforme, ma urtò contro qualcosa, che si rivelò essere qualcuno, quando gli appoggiò una mano sulla spalla. Si ritrasse istintivamente, voltandosi di scatto, e il suo sguardo incontrò l'esile figura e il dolce viso a cuore di Beatrix, con i suoi grandi occhi magnetici che lo scrutavano con espressione impenetrabile.
- Beatrix... - bisbigliò sorpreso.
-Ah, quel quaderno.- sopirò lei, togliendoglielo dalle mani prima che lui avesse il tempo di reagire.
-Ci sono io nel quaderno!- esclamò lui con una nota di disperazione nella voce.
Lei annuì con l'espressione di chi ha appena udito una frase ovvia.
-Ci siamo tutti.- asserì con calma, sfogliando le pagine -Anche io.-
Tenendo aperto il quaderno con le dita sottili, mostrò al bambino il disegno che la raffigurava.
Etienne sfiorò con la punta delle dita la superficie del foglio con sguardo attonito.
-C'è scritto che mi chiamo Etienne.- mormorò lui -E io so di chiamarmi così, ma prima ero...-
-Eric, è uno dei nomi provvisori che usa più spesso.- spiego lei, chiudendo il quaderno -Deve averlo cambiato.-
-Chi deve averlo cambiato?- domandò lui sgomento.
-L'autore.- rispose Beatrix con serietà assoluta -Noi non siamo reali, siamo solo i personaggi delle sue storie.-
Per un istante un cieco terrore paralizzò il bambino, ma poi la consapevolezza della sua natura si diffuse dalla sua mente al suo corpo, colmandolo di una strana calma. Ora tutto aveva senso: il libro con tutti i personaggi divisi in base alla storia a cui appartenevano, la stanza bianca in cui si ritrovava quando non c'era altro da raccontare, il fatto che in tutte le sue visite a quel luogo assurdo non gli fosse mai venuto in mente di chiedere dei suoi genitori.
-E le porte buie?- chiese di getto.
-Sono la via d'accesso alle altre storie.- spiegò lei -Non puoi entrare nelle storie degli altri.-
Aveva senso.
-E la porta bianca?- insistette, mentre sempre più domande affollavano la sua mente.
-È pronta per una storia che ancora non c'è, a lui piace la simmetria.- commentò Beatrix, per poi guardarsi attorno -Questo posto invece è nostro. L'autore l'ha creato perché possiamo avere altre storie oltre a quelle che lui tesse per noi.-
-È matto?- si informò Etienne perplesso.
-Solo in pochino.- ammise lei.
Gli tese la mano e lui la prese prontamente, lasciandosi guidare in quel delirio di paesaggi nato dalla fusione di migliaia di mondi diversi.
-Noi siamo nella stessa storia?- indagò il bambino curioso, ora che la paura l'aveva abbandonato.
-No, ma qui non ha alcuna importanza.-
(2110 parole comprese le 111 del testo fisso)
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