Un viaggio infernale
Storia 1^ classificata nella categoria Traditional Horror del Mai Dire Contest, Halloween 2022 MaidireTEAM
Grazie di 💜
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Il fischio del treno la destò improvvisamente.
La pioggia picchiettava ritmicamente sul vetro appannato e il continuo brusio del treno che l'aveva fatta addormentare la faceva sentire tranquilla.
Era stata una giornata movimentata, piena di impegni e sembrava quasi un sogno potersi finalmente rilassare, senza pensare al lavoro. L'indomani sarebbe iniziato il weekend e Lana non vedeva l'ora di trovarsi a casa, sul suo caro divano, in pigiama, con un buon bicchiere di vino bianco in mano a guardare un programma in TV.
Il paesaggio oltre il vetro appannato scorreva tranquillo, alternando case dall'aria cupa a boschetti e campi immersi nella nebbia. Tipica giornata autunnale.
Sprofondò la testa ancora di più nella voluminosa sciarpa quando sentì un brivido di freddo correrle lungo la schiena.
- Certo che il riscaldamento potrebbero anche accenderlo su questo dannato treno... - borbottò. Non correva il rischio di essere sentita da qualcuno perché il vagone nel quale si trovava era completamente vuoto, eccetto lei. Un fatto assolutamente fuori dal normale essendo un venerdì post-lavoro per tutti. Aveva appena finito questo ragionamento quando la porta che fa da tramite da un vagone all'altro si spalancò e ne uscì un uomo, avrà avuto circa la sua stessa età, sulla trentina, che si guardò attorno e quando i suoi occhi si posarono su di lei avanzò deciso e le si piazzò di fronte.
L'uomo tossì e con voce rauca, come se avesse fumato dieci sigarette di fila, le chiese: - Mi scusi, non avrà per caso visto un bambino di circa sette anni passare di qui? Capelli neri, occhi scuri?
Lana scosse la testa. Aveva praticamente sonnecchiato da quando era salita sul treno. Voleva solo tornare a pensare al weekend, non aveva tempo per bambini smarriti. Borbottò qualcosa che somigliava a un "No, mi dispiace". L'uomo sospirò sconsolato.
- Beh, grazie lo stesso. Sa, quando sono salito sul treno con mio figlio ho avuto appena il tempo di appoggiare le valigie e raccomandargli di stare seduto che si è messo a saltellare in giro dicendo che voleva andare a vedere fin dove si spingeva la coda del treno. Allora l'ho lasciato andare sperando tornasse indietro nel giro di poco ma... - non finì la frase, ma lasciò intendere il seguito. Allargò le braccia e fece un sorriso triste. Lana si sentì un po' in colpa per essere stata un tantino insensibile e cercò di rimediare. - Mi dispiace non l'ho proprio visto, ma se passasse per di qua posso sempre accompagnarlo da lei.
L'uomo le sorrise grato, con gli occhi che luccicavano quasi. Fu solo per una frazione di secondo, ma le sembrò che il suo sorriso prendesse una strana curva e i suoi occhi scuri la guardassero malignamente, o come se si prendesse gioco di lei. Sì sentì irrigidire la schiena, qualcosa le diceva che non era un bene essere su quel treno, ma tutto svanì quando l'uomo la ringraziò e continuò per la sua strada.
Lana lo guardò allontanarsi, poi spostò lo sguardo oltre il finestrino e scosse la testa, ripensando alla strana sensazione che aveva provato. "Sarà stato frutto della mia immaginazione, è tutta la stanchezza accumulata nel corso della settimana". Pensato ciò, cercò di distrarsi pensando ad altro, ma le riuscì ben poco. Il cupo paesaggio che le scorreva davanti agli occhi non era il massimo per tirarle su il morale, così sprofondò ancora di più nel sedile e cercò di schiacciare un pisolino.
Mancava ancora un bel po' alla sua fermata.
Si destò improvvisamente al suono di una porta che sbatteva. Fuori il buio aveva ormai preso il sopravvento e si distinguevano a malapena i contorni sfocati degli alberi nella fitta nebbia.
Imprecò sottovoce (per quanto tempo aveva dormito?) e passandosi una mano sugli occhi assonnati cercò di vedere chi era stato a svegliarla: rimase a bocca aperta. Era un bambino, fin qui nulla di strano, ma era la sua immagine che la lasciò spaesata: era magrissimo, e i vestiti che portava (una t-shirt sbiadita e comunissimi pantaloni) gli erano davvero troppo grandi.
"Ma non ha freddo senza una giacca?" fu il primo pensiero che le passò per la testa. Continuando ad osservarlo notò i suoi capelli neri, lunghi fin quasi alle spalle, arruffati, come se non si pettinasse da giorni, e i grandi occhi scuri circondati da nere occhiaie, che risaltavano a confronto della sua pelle diafana. Il suo secondo pensiero fu che poteva essere il bambino smarrito. Corrispondeva alla descrizione fatta dall'uomo (tranne per il fatto che non aveva accennato al suo fisico).
Il bambino si guardava intorno con aria nervosa, e quando i suoi occhi incrociarono quelli di Lana accelerò il passo cercando di arrivare dall'altra parte del vagone. Sicura del fatto che ci fosse qualcosa che non andava, appena le passò di fianco lo bloccò delicatamente per un braccio. Si stupì nel sentire quanto fosse ghiacciata la sua pelle.
- Hey scusami, va tutto bene? Ti sei perso? -. Il bambino tenne lo sguardo fisso a terra e non disse niente. Lana si mordicchiò il labbro inferiore. Le stavano venendo dei dubbi riguardo all'uomo, questo bambino era troppo magro, anzi quasi denutrito, ma non voleva arrivare a conclusioni affrettate. Oltretutto poteva non essere suo figlio. Ma tentò lo stesso. -Penso che tuo padre ti stia cercando, se vuoi posso accompagnarti da lui.
- No.
Lana restò allibita. La voce del bambino non era come se l'era immaginata. Suonava aspra e da adulto.
- Lui non è mio padre. - Aggiunse. Sollevò piano la testa e quando i loro sguardi si incontrarono fu come se il tempo si fermasse: Lana aprì la bocca per urlare ma non ne uscì alcun suono, se non un leggero mugolio. Gli occhi del bambino erano diventate profonde cavità nere che si allargavano a poco a poco, dentro cui Lana vide i suoi peggiori incubi.
Grida disumane si levavano da esse, e perforavano dolorosamente i suoi timpani. Avrebbe voluto alzarsi e scappare il più lontano possibile ma era come se fosse bloccata al sedile dal terrore. Anzi era bloccata al sedile, ma da due sottili mani sulle sue braccia che nascondevano una forza sovrannaturale e la tenevano incollata al posto. Cercò di divincolarsi da quella stretta, in preda al panico assoluto.
La bocca del bambino, che fino a quel momento era rimasta una linea retta, si stava curvando all'insù, in un ghigno non proprio innocente. E più la donna cercava di divincolarsi, più lui le conficcava le dita nelle braccia facendola lacrimare e singhiozzare di dolore. Il ghigno diventava sempre più ampio e le urla dalle cavità crescevano di intensità mescolandosi ai suoi lamenti.
- Oh no, no. Così non va bene. Devi stare ferma.
Lana si bloccò. Aveva riconosciuto quella voce. Era quella dell'uomo. Solo che era stato il bambino ad aprire bocca.
La confusione sul viso della povera donna era talmente evidente che il bambino andò avanti a parlare con un tono divertito. - Oh dai, non ci arrivi proprio? Eppure sembravi una persona intelligente.
La bocca di Lana cercò di formulare una risposta, ma aveva la lingua impastata e le uscì soltanto un: - Tu... tu cosa...?
Una risata roca uscì dalla bocca del bambino e solo allora, notò Lana con orrore, aveva dei denti davvero notevoli, lunghi e affilati. - Devo proprio raccontarti tutto io? E va bene, ma vediamo se riesci a rispondere a questa semplice domanda. Dunque, perché stai viaggiando su questo treno?
Lana era sconvolta: sia perché questo bambino-mostro le stava parlando tranquillamente come se non avesse delle cavità urlanti al posto degli occhi, sia perché non capiva dove volesse arrivare. Questa volta cercò di formulare una risposta decente. - Io... io voglio andare a casa... ti prego. - singhiozzò.
Il bambino inclinò la testa come per soppesare la sua richiesta. - Oh, a casa tu dici... capisco. Ma ci stiamo andando a casa. O meglio, nella tua nuova casa.
Il cuore di Lana, che fino a quel momento galoppava, perse un battito.
- Cosa...?
Il bambino avvicinò la sua grottesca faccia a quella della povera donna, che cercava di allontanarsi tremante. Ma il bambino la teneva ancora salda per le braccia. Appena le loro facce furono a pochi centimetri di distanza e Lana non ne poteva più sopportare la vista, lui sussurrò: - Sei stata una persona molto cattiva, orribile oserei dire. Non ricordi? Guardami negli occhi, adesso! - Le ultime parole le urlò quasi, e Lana fu costretta a guardare. Quelli che lei credeva fossero incubi irreali erano in realtà tutte le cose orribili commesse da lei.
E le urla disumane di tutte le persone a cui aveva fatto del male le stavano lacerando l'anima.
E all'improvviso ricordò tutto.
- No...ti prego, mi dispiace... ti prego! - singhiozzò. - Mi dispiace, non lo farò più...
Il ghigno del bambino stava svanendo lasciando posto a una smorfia di disgusto. - Dovresti vergognarti, non è a me che devi chiedere scusa. Ma ormai è troppo tardi, non puoi fare più niente. Tu sei già morta.
Lana tirò su col naso, le lacrime che le cadevano copiose e con espressione ebete sussurrò un "cosa...?"
Il bambino le mostrò il suo diabolico sorriso per un'ultima volta.
- Stai viaggiando in prima classe sul treno diretto all'Inferno. E io sono il Diavolo. Benvenuta a bordo.
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Grazie per essere arrivati fin qui <3
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