Sarò tua amica
Sento ancora l'odore del dopobarba rubato a tuo padre.
Volevi farmi credere che ti radevi e io commentavo che non eri bravo nel contropelo.
«Passa l'indice e vedi» ma io facevo scivolare tutta la mano per sentire su una superficie più vasta la tua pelle proibita.
Dieci anni erano pochi per amare - dicevano gli adulti - ma io non ricordavo giorno della mia vita appena sbocciata privata della certezza che saremmo rimasti insieme per sempre.
Sapevo che da grande saresti assomigliato a tuo padre, coi lineamenti aggraziati e il carattere allegro. Lui ci spronava a giocare anche quando eravamo esausti perché la giovinezza passa in fretta. Dicevano che avevate gli stessi occhi, ma i suoi azzurri non avevano l'impertinenza dei tuoi verdemare col bordo scuro all'esterno e giallo vicino la pupilla, come i miei insomma.
Gli occhi erano il segnale per riconoscerci sulla Terra.
Sono venuta al mondo tre anni dopo di te e non so cosa tu abbia combinato in mia assenza, credo nulla di buono perché da piccolino ridevi poco e il cambiamento con la mia presenza si è sentito subito – si vede dalle foto.
Raramente dovevo osservarti per conoscere ciò che ti passava per la mente perché lo sentivo anche se ora non saprei spiegare come. Allo stesso modo, tu correvi da me quando percepivi che ero inquieta. Amavamo guardare i temporali, al riparo sotto il ponte in giardino e, con la scusa di tenerci caldi, ci abbracciavamo.
Mi rubasti il primo bacio.
Era il primo bacio di entrambi, a fior di labbra, e minimizzammo la cosa perché desideravamo diventare grandi e rimanere piccoli allo stesso tempo. Volevamo crescere perché avremmo potuto fare tante cose che i grandi facevano come usare la macchina o dire parolacce – ogni tanto erano le nostre formule magiche – e desideravamo rimanere fanciulli perché gli orologi non esistevano.
Quando ci portarono al mercatino dell'antiquariato di Castiglione Olona mi regalasti di nascosto dai tuoi un gioco fatto di fili di rame intrecciato con perle di vetro azzurro che raccontava la storia dell'universo.
«All'inizio c'è il vuoto, si crea l'universo e, da esso, il mondo. La divisione tra bene e male porta ad un'esplosione... Cui fa seguito il vuoto e tutto ricomincia daccapo» mi raccontasti mostrandomi ciò che sembrava un mero soprammobile ma che cambiava forma seguendo il racconto.
«Quindi ciò che dicono a scuola è falso: la vita è un ciclo.»
«Sarai mia amica nella prossima vita?» mi domandò facendosi serio all'improvviso.
«Sì, però non comprare questi pantaloni verde fosforescente.»
«Sarai mia amica quando abiterò lontano?»
«Abiti di fronte a me.»
«I miei hanno comprato un'altra casa.»
Tacemmo, io indossai il tuo regalo come un braccialetto e trascorsi la notte chiusa nell'armadio dove il dolore pareva anestetizzato.
Ti aiutai nel trasloco mentre elencavi i benefici della nuova abitazione, della nuova vita che avresti iniziato, dei nuovi amici che avresti incontrato, delle nuove ragazze che avresti conosciuto.
Io avrei voluto ingozzarti con la parola nuovo come si fa con le oche da paté e aspettavo che ti dichiarassi.
Ero pronta: nei film, quando i due si separano, il ragazzo si dichiara, lei gli salta al collo, lui la bacia e lei alza la gambetta.
Una ragazza più grande mi aveva spiegato che non ci si bacia a labbra socchiuse e che esistono i baci alla francese. Dopo lo choc iniziale, mi convinsi che per te avrei potuto affrontare un orrore simile...
Il sacrificio non fu necessario perché tu non avevi visto i miei stessi film e quindi ignoravi la sequenza dichiarazione-collo-bacio-gambetta.
Quell'estate ebbi modo di approfondire la storia del bacio alla francese con mia cugina Monica: i miei zii avevano deciso di farle trascorrere l'estate con me. Della tua stessa età, confermò: «Ci si bacia con la lingua, cosa non facile ma ci si allena coi lollipop.»
Non potevo deluderti a costo di cariarmi i denti.
Una settimana dopo mi chiamasti per fare un giro e portai mia cugina perché non potevo lasciarla a casa. Non ci vedevamo da quindici giorni. Sembravi più bello nonostante i pantaloni azzurri fosforescenti.
Mi sorridesti – era il sorriso di sempre – le tue labbra si ammorbidirono per un istante e si tesero non appena il verdemare dell'iride riflesse Monica. Diventai trasparente, perdemmo la frequenza telepatica e ti sentii giurarle amore fino alla fine dei tuoi giorni.
La notte, sdraiata accanto a me, lei raccontava di te.
«Era il suo primo bacio: non si è esercitato.»
«Se non ti piace, puoi smettere.»
«È dolce. Non si è mai innamorato prima.»
«Sei sicura?»
«Ha detto che ha baciato una, ma così, a labbra chiuse, senza provare nulla e ha lasciato perdere.»
La settimana seguente partimmo per la montagna, dopodiché per il mare - mia cugina trovò un ragazzo in montagna e uno al mare.
Tornati a casa per l'inizio delle scuole, mia madre mi augurò la buona notte senza l'abituale sorriso: «Mirko ha una malattia rara. Ci sono solo sette casi nel mondo.»
Le chiesi se sarei potuta venire a trovarti e il giorno dopo s'informò dai tuoi genitori.
«Lo vedrai cambiato...». Non mi guardò negli occhi. «Ti accompagno in macchina.»
«Vado in bici. Da sola.»
In alcuni tratti pedalai per rimanere senza fiato, in altri rallentai raffigurandomi la scenda dove tu, vinto dalla malattia, capivi di voler stare con me, il nostro sentimento avrebbe guarito ogni male e noi saremmo diventati più famosi di Romeo e Giulietta.
Mi aprì tuo padre, le iridi tuffate in candeggina e un tic alla testa che gli faceva dire no anche senza parlare.
«Devi essere forte» il tic mise i sottotitoli. «Noi dobbiamo essere forti.»
Avevi il busto in tetania, eri quasi cieco e indossavi jeans neri.
Mi sedetti accanto a te e passai il palmo sulla guancia.
«Hai imparato a farti il contropelo.»
Alzasti la mano, accartocciata come le foglie che arrossavano i marciapiedi.
«Mi rade mio padre.»
Te la presi tra le mie per massaggiarti le dita che rimanevano della consistenza dei rami di agrifoglio.
«Non so cosa darei per vedere tua cugina un'altra volta. L'amerò per sempre.»
«Glielo dirò.»
«Ora non mi vorrebbe più.»
Nessuna dichiarazione - nessuna gamba sollevata – nessun primato soffiato a Romeo e Giulietta.
«Per me sei e sarai sempre bello.»
«Sarò nella tomba, anche se nessuno vuole dirlo.»
La pendola suonò le cinque. Il tempo, prima impercettibile, rimase l'unico dono, sebbene non ne rimanesse nulla di quello appena trascorso.
Il 4 marzo 1990 mi svegliai alle sette e andai da mia madre che stirava in cucina.
Dissi: «È morto.»
Il telefono squillò. Mia madre mi guardò, la notizia già la sapevo senza che nessuno me la dovesse dire a parole.
Io sono ancora qui. Il mondo si dividerà tra bene e male, esploderà, si ricreerà il vuoto e io sarò tua amica anche nella prossima vita.
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