Il vecchio morto di tetano

Il vecchio era morto di tetano. 

Lo era senza dubbio perché almeno dieci di noi erano riusciti a nascondersi dietro la porta per origliare la notizia bisbigliata dagli adulti. 

Noi ventun bambini tra i cinque e i tredici anni che abitavamo i due condomini che costituivano la Casa Donata, dopo aver discusso e avanzato ipotesi, eravamo giunti alla conclusione che non sapevamo né cosa volesse dire essere un morto né cosa fosse il tetano. 
Chi tra noi aveva una biblioteca fornita, scartabellava sui libri senza figure alla ricerca di qualcosa che potesse rassicurarci sul perché il signore che abitava nella villetta che confinava col nostro giardino condominiale fosse scomparso da un giorno all'altro e, al suo posto, si fosse materializzato un vecchio morto di tetano. 

Eravamo divisi in due fazioni: chi sosteneva che un morto fosse un individuo diverso e chi diceva che si trattasse dello stesso vecchio che ogni tanto ci minacciava con la falce perché gli rubavamo la frutta del giardino... Ma, in questo ultimo caso, qual era la differenza? 

Nei mesi seguenti alla notizia non cavammo un ragno dal buco né dai libri né dal reclutamento dei più grandi affinché facessero queste domande ai genitori - invece di risposte, i ragazzi erano stati gabbati con controdomande su rendimento scolastico, impegni sportivi e catechismo e, si sapeva, quando un adulto arrivava a chiederti come andavi a catechismo, era perché nascondeva un segreto di vitale importanza. 

Mentre le nostre esistenze familiari sembravano immutate, la villetta del vecchio cedeva alle lusinghe del tempo e la lotta tra le erbacce indetta nel suo giardino aveva visto come vincitori a pari merito rovi e ortiche. Un senso di impotenza, che imparammo a chiamare paura, si stava facendo largo tra l'ingenuità in cui i nostri genitori avrebbero voluto cristallizzarci. 

Quando riuscimmo a trafugare un libro di patologia, trovammo finalmente un nemico su cui riversare le nostre ansie, il tetano, perché, pur non avendo capito nulla, ora eravamo sicuri che se si trattasse di qualcosa di molto violento. 

Salgari, Dickens, Poe ci svelarono come una violenza senza giustizia portava alla sicura presenza di un fantasma. 

In quella casa, in quel giardino confinante col nostro, abitava dunque il fantasma del vecchio morto di tetano.

Solo lì avremmo trovato risposta alle nostre domande.

Il primo passo era semplice, praticare un'apertura nella rete e nasconderla agli adulti con del fogliame; il secondo, ossia trovare un esploratore che volesse avere a che fare col fantasma del vecchio morto di tetano, era più complicato perché nessuno voleva essere il primo.

La svolta avvenne quando la nonna di Andrea, Elisabetta e Claudia morì. 

La madre, pur avendolo detto senza bisbigliare, non aveva spiegato il significato del verbo morire

Erano andati fin sul(*) Veneto a trovarla e l'avevano vista - distesa in un cassettone che avrebbero tappato con un coperchio di legno scolpito, con la bocca leggermente aperta, il colore del viso grigio, i capelli azzurri per l'abitudine di innaffiarli con la fiala antigiallo che la faceva assomigliare alla fata turchina - non era cambiata con un'altra persona. 

Quando veniva a trovare la figlia a Busto Arsizio parlava uno strano dialetto, lei sbraitava in quel suo linguaggio perché non la capivamo, non era gentile né con la figlia, né col genero, né coi nipoti, né con gli amici dei nipoti, però si doveva volerle bene lo stesso. 

Nel suo resoconto, Elisabetta riferì che, da morta, la nonna era più simpatica, ma si muoveva di meno. 
La cosa ci tranquillizzò: un morto era uguale alla persona di prima, ma migliore.

Sandro, armato di coraggio, si propose da apripista. 

Era impreparato a ciò che gli sarebbe capitato. Il ragazzo, che aveva già la sua età, ossia tredici anni quando io ne avevo sette, aveva piegato le lunghe gambe all'altezza delle ginocchia ossute per passare attraverso l'apertura nelle rete, si erano sentiti un paio di urli seguiti dalla rassicurazione che si trattava dell'incontro con le ortiche.

Passi, gatti selvatici scapparono con le tipiche urla di neonati indemoniati, altri passi.

Leggeri, veloci, inconsistenti.

Qualcosa si muoveva tra gli arbusti.

Sandro urlò.

Noi, al sicuro, ci domandammo come mai l'avessimo mandato da solo - io fui contenta di non essere entrata per prima, ma non lo dissi per non sembrare vigliacca. 

Le parole lasciami andare ripetute tre volte, in un tono di voce che non sembrava quello di Sandro tredicenne ma seienne, ci fecero sgranare gli occhi - mi sentivo in colpa perché ero felice di non essere entrata - e zittire - il cuore scuoteva i timpani più delle urla.

Ricomparve.

Dapprima vedemmo solo gli arbusti muoversi, poi una mano attraverso la rete e infine la sua figura. Grondava sudore, sulle gambe graffi e bolle, il viso contratto in una smorfia terrorizzata. Quando riuscì di nuovo a parlare ci disse che lo aveva visto, era stato rincorso, afferrato per la spalla destra. 

Non ci raccontò mai cosa gli avesse detto - non poteva, sarebbe morto di tetano.

Troppi misteri.

Mi avvicinai alla rete, io ero più bassa, dovetti contorcermi di meno, superai l'ostacolo, i rovi e le ortiche fecero il loro dovere, i gatti selvatici scapparono, lui mi aspettava. 

Lo potevo vedere solo con la coda dell'occhio, se giravo il viso per fissarlo, scompariva. Non avevo paura, ero curiosa. 

Volevo conoscere cosa volesse dire essere morti, volevo incontrare il tetano, volevo parlare con un fantasma. Sentivo i richiami degli altri, non rispondevo perché temevo che lui si spaventasse e fuggisse senza rispondere alle domande. Ne sentivo la presenza, le dita intrecciate alle mie, la voce compariva nella mia testa. 

Era una voce senza parole, il senso di essa fuggiva come un sogno al risveglio, le immagini di persone che non conoscevo si accavallavano come quando mio padre decideva di intrattenerci proiettando migliaia di diapositive su uno schermo di tela. Il cuore era calmo, il respiro regolare, la temperatura corporea nella norma.

Quando uscii, nemmeno io riuscii a raccontare cosa mi avesse detto il fantasma.

Tutti entrarono a turno, tutti si graffiarono le gambe, tutti videro il fantasma del vecchio morto di tetano, tutti non riuscirono a dire cosa il vecchio avesse rivelato. 

Forse ci aveva detto la stessa cosa, forse no, non ha importanza, però sapevamo che quella impresa sarebbe tornata, rete rovi ortiche gatti fantasma tetano sarebbero stati lì ad attenderci, mascherati diversamente per non farci accorgere che si trattava solo di un gioco.

Anni dopo, casa giardino fantasma vennero venduti in blocco a un'impresa edile calabrese che costruì un parallelepipedo di cemento senza finestre, lo suddivise in monolocali con una porta che dava su un lungo balcone, vi ammassò un numero imprecisato di persone che si guadagnavano da vivere in modi illegali. 

Al giardino caotico venne preferita una colata di cemento, alla rete metallica un alto confine ancora in cemento - la recinzione non era difficile da scavalcare, ma trovammo più igienico non farlo poiché degli abitanti avevano un'etica differente dalla nostra. 
Una volta assistemmo a una sparatoria, una cosa seria con proiettili veri che uscivano da pistole vere tenute in mano da poliziotti veri e fuorilegge veri. 
Ci fu anche un morto vero ma senza fantasma, gli adulti bisbigliavano timorosi che noi sentissimo, ma a quel tempo noi eravamo stati ben eruditi dal nostro vicino riguardo ai fatti della vita. 

Dopo quell'evento, anche il vecchio morto di tetano si stancò di quella desolazione e abbandonò il luogo e noi. 

Da allora non l'ho più visto, mi auguro che continui a essere morto di tetano, che stia bene e che abbia trovato altri bambini da istruire sui fatti che gli adulti bisbigliano quando sono in loro presenza.


(*) Non riesco a usare una preposizione diversa quando mi riferisco a questa regione perché se i miei amici, che erano originari di quella regione, non ne usavano altre, vuol ben dire che è giusto così.

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