Non è amore
Apro gli occhi. Un forte odore di morte mischiato a candeggina e disinfettante mi avvolge. Mi occorre qualche minuto per capire dove sono: camera mortuaria del Sant'Orsola. Non sono morta? Com'è possibile?
Provo a muovermi, il corpo sembra rispondere ai comandi del cervello. Poso gli occhi sul punto in cui Marco aveva affondato il coltello più volte fino a togliermi la vita o perlomeno era quello l'obiettivo. È quasi del tutto rimarginata, rimane solo una lunga linea rosea che va dal seno fino al fianco.
Marco non ha mai accettato la rottura del nostro rapporto. Avevo preferito difendere la mia vita, la mia dignità, il mio essere donna ma soprattutto la mia libertà. Libertà che non aveva mai condiviso e che cercava sempre di limitare. Per lui ero una proprietà e come tale dovevo fare tutto quello che voleva lui.
Mi sono fidata di lui, avevo accetto la sua gelosia ma non è bastato. Per quanto mi sforzassi, ogni cosa che facevo era sbagliata. Lui gridava ed io lo ignoravo, lasciavo che le sue parole si disperdessero nel vento. Me ne andavo nel mio luogo segreto: una casa sull'albero che avevo riempito di libri che Marco odiava. I libri mi permettevano di evadere da quella prigione fatta di limiti e gelosie.
Convivevamo da due anni, ero rimasta incinta e avevo deciso di trasferirmi da lui. Da quel giorno, era diventato più geloso di prima. Mi aveva allontanato da tutti i miei amici anche da Luca e Flavio.
Sopportavo silenziosamente ogni sua restrizione per evitare di discutere ma lui trovava sempre qualcosa che non andava bene.
Era il mio compleanno, avevo deciso di vedere Flavio e Luca. Marco mi aveva seguito e scoperto. Appena ritornai a casa, mi diede uno schiaffo. Fortunatamente Martina era dalla nonna. Per un solo istante ebbi paura ma non avrei sopportato oltre, lo dovevo a mia figlia. Cercando di non farmi vedere, misi la mano in tasca, dove solitamente tenevo il cellulare, premetti il tasto di chiamata rapida e andai verso l'ingresso. Lui iniziò a strattonarmi facendomi sbattere contro il muro. Tra una spinta e l'altra riuscii a raggiungere la porta. La aprii. Mi tirò per i capelli e mi fece sbattere la testa contro il pavimento. Il rumore dell'impatto risuonò in tutta la stanza.
In quel momento entrò Luca, la mia salvezza. Mi prese tra le braccia e mi portò via da quell'inferno.
Il ricordo di quell'episodio mi fa rabbrividire. Quella volta Luca era riuscito a salvarmi invece una settimana dopo, era arrivato poco prima che espirassi.
Ma allora com'è possibile che sia ancora viva? Questa domanda continua a risuonare nella mia testa.
Sento un rumore di passi. Un suono che conosco molto bene, è Marco.
Rimango immobile e trattengo il respiro. La porta si apre. Lo sento avvicinarsi e poco dopo il suo alito caldo mi sfiora il viso, le sue mani iniziano a percorrere il mio corpo mentre le sue labbra accarezzano lievemente il seno nudo. Lo odio. Odio quello che mi ha fatto. Le mie mani gli cingono il collo. Il suo viso diventa pallido e poi viola. Cerca di liberarsi, ci riesce. Cadiamo dal lettino. Mi tira per i capelli ma con un calcio riesco a liberarmi. Prendo il bisturi che avevo intravisto nel cestino.
Marco mi raggiunge, mi blocca con il suo peso. Per un istante esito poi affondo la lama nella sua gola. Una volta, un'altra fino ad arrivare a dieci. Dieci come le coltellate che mi ha inflitto lui. Sono ricoperta di sangue, scosto il corpo di quel lurido verme. Non ho nessun rimorso e finalmente sento rompersi le catene con cui mi teneva imprigionata, sono libera.
Esco dall'obitorio. Sicuramente è notte, lo capisco dai corridoi silenziosi. Devo trovare qualcosa da indossare. Incrocio il volto cadaverico dell'infermiera di turno.
«Tu... tu eri morta... ti ho portato io nell'obitorio.»
«Lo pensavo anche io.»
Si avvicina lentamente, rispecchiando il timore che traspare dai suoi occhi. Rimango ferma e mi lascio scrutare. Avvicina una mano poi la ritrae. «Posso?»
Le faccio un cenno con la testa e sorrido. Si fa coraggio e mi stringe il braccio e appena sento il suo tocco, entrambe capiamo che non è un incubo ma la realtà.
«Come... com'è possibile?» balbetta in un sussurro.
«È quello che mi chiedo anche io... » dico imbarazzata.
Sto gelando, cerco di riscaldarmi le braccia sfregando le mani. Non vedo l'ora di tornare da mia figlia. L'infermiera si dilegua sconvolta ma dopo qualche minuto torna con una divisa.
La ringrazio tacitamente e corro verso il bagno. Guardo il mio riflesso allo specchio e fatico a riconoscermi: ho il torace ricoperto di sangue e qualche schizzo sul volto. Prendo una salvietta e mi ripulisco con cura. Indosso la divisa e mi dirigo verso l'uscita dell'ospedale.
«Melanie!» un urlo strozzato dalle lacrime. Quella voce, l'avrei riconosciuta tra mille, era di Luca.
Mi rifugio tra le sue braccia.
«Oddio...sei davvero tu! Com'è possibile?» mi chiede stringendomi a sé.
«Non lo so». All'improvviso un flash, la dea della vita mi aveva dato una seconda possibilità. «Portami a casa» dico sciogliendomi dall'abbraccio.
«Andiamo.»
Il tragitto in macchina è silenzioso, ognuno è immerso nei propri pensieri.
Ferma la macchina. «Non tornare più da lui, promettimelo» sussurra mentre stringe il volante come a voler trattenere la rabbia.
«Non lo farò.»
Lo sento sospirare di sollievo, non aveva mai accettato la mia relazione con Marco.
«Lo devi a Martina.»
«Lo so. Vuoi salire con me?»
Mi accenna un sorriso e scende, lo seguo.
Suono, mia mamma mi apre tra le lacrime. Ci abbracciamo, per un attimo mi rendo conto di quante volte non le abbia detto quanto sia importante per me.
«Martina?»
«Sta dormendo in camera.»
Le sorrido e vado da mia figlia mentre Luca mi segue silenziosamente.
Entro nella stanza cercando di non svegliarla, dorme tranquillamente, è immersa nella sua innocenza di bambina.
Mi avvicino, le do un bacio sulla fronte sussurrandole di perdonarmi per aver ucciso suo padre. Prendo da terra il suo peluche preferito, un ornitorinco, e lo sistemo accanto a lei.
Incrocio lo sguardo di Luca, lui si avvicina e mi avvolge in un abbraccio.
«Ho avuto paura» mi sussurra stringendomi a sé come se avesse timore che possa sparire improvvisamente.
Mi lascio cullare dalle sue braccia.
«Rimani» dico sciogliendomi dall'abbraccio.
Ci sdraiamo sul letto.
Alla fine non ho nessuna colpa. Quello di Marco non era amore. L'amore non ti prende a schiaffi, non ti rompe costole, non ruba sogni o spegne sorrisi. L'amore ti sostiene, ti prende per mano e ti aiuta a realizzare gli obiettivi, ti riempie il cuore di gioia, ti rende libera e lui non lo aveva fatto, mi aveva tenuto prigioniera in una gabbia dorata.
Con quei pensieri mi lascio avvolgere dalle braccia di Luca, consapevole che la notte cancellerà quanto accaduto.
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