C'era una volta...
C'era una volta una principessa che viveva in un castello incantato. Era bella, buona e gentile e tutti vivevano in pace e armonia. Poi la principessa impazzì e diede inizio al massacro.
Tutto era cominciato in una notte tetra, senza luna. La principessa, Melisendre, era tornata da un lungo viaggio e non vedeva l'ora di incontrare il suo amato, Jeime, con cui avrebbe condiviso una notte di passione. Già si immaginava le labbra socchiuse di lui che lasciavano dietro sé una scia umida mentre percorrevano il suo corpo, procurandole piacevoli brividi che arrivavano dritti al basso ventre. A quei pensieri impuri, le gote della principessa si colorarono di rosso.
Salì in fretta le scale, accorciando la distanza che la divideva dall'uomo che amava e con cui si sarebbe sposata.
Davanti alla porta, si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Sentì un brivido percorrerle la schiena nel poggiare la mano affusolata sul pomello. Dei rumori simili a gemiti, provenienti dall'interno della stanza, le impedirono di muoversi per qualche istante. Sospirò per farsi coraggio e l'aprì.
Socchiuse le labbra per la sorpresa, un'espressione fredda e distaccata si dipinse sul suo volto divenuto pallido. Nessuna lacrima rigò il suo viso.
La scena che vide le raggelò il sangue e la sconvolse nel profondo. Una donna dal seno prosperoso e perfetto era sopra Jeime mentre lui le stringeva la folta chioma rossa. Rimase immobile e impassibile ma, appena i due la notarono, si mise a urlare facendo accorrere le guardie cui ordinò di portare i due nelle celle sotterranee. Provava solo rabbia verso i due traditori.
Il giorno successivo, all'ora del crepuscolo, ordinò al boia di corte di tagliare la testa alla bella donna mentre una guardia obbligava Jeime a osservare la scena. Gli sguardi dei due amanti si incrociarono come se, attraverso quel tacito parlarsi, volessero perdonarsi per quanto stava accadendo mentre i loro volti erano rigati dalle lacrime.
Appena la testa della giovane rotolò ai suoi piedi, la principessa disse alla guardia di provvedere alla castrazione di Jeime che da quel giorno venne soprannominato "L'Eunuco".
Ogni giorno, poco prima del tramonto, la principessa Melisendre permetteva a un uomo, sempre diverso, di entrare nella propria camera. Lei li accoglieva vestita solo da una camicia da notte bianca, quasi trasparente che lasciava intravedere le sue forme sode. Il gioco era sempre lo stesso: lasciava che l'uomo la prendesse, possedendo il suo corpo. Qualche minuto dopo, con una menzogna, spingeva il malcapitato nel ripostiglio in fondo alla camera, dove aveva fatto costruire una botola sotterranea che portava alla cella di Jeime.
Loro non sapevano. Nessuno sapeva che una volta entrati nel ripostiglio, non c'era nessuna via d'uscita. L'assenza di luce rendeva inevitabile la caduta dell'uomo di turno all'interno della botola aperta. Quell'apertura dava accesso a un tunnel dalle pareti umide e ammuffite, colme di lame affilate che avrebbero ridotto le vittime in brandelli.
Jeime rabbrividiva nel sentire le urla e il suono dei corpi che venivano lacerati ma quei rumori erano niente in confronto all'essere obbligati a cibarsi di essi e a berne il sangue che grondava dal soffitto. Nonostante fossero passati anni, gli faceva ancora impressione vedere entrare falangi, mani senza dita, dita, braccia, teste, pezzi di gamba, piedi. Inizialmente, piuttosto che mangiarle, aveva preferito sopportare i crampi della fame ma poi l'istinto di sopravvivenza prese il sopravvento e decise di nutrirsene. Solitamente partiva dalle interiora, la parte per lui più gustosa, per poi passare agli altri pezzi.
Quella notte, la vittima era un contadino di bell'aspetto, tradito dalla moglie che era scappata con un famoso Conte portando con sé anche i figli, gli faceva pena: durante l'amplesso non smetteva di frignare e parlare di quanto gli mancasse la famiglia.
Melisendre, al calar del sole, dopo aver sentito le urla del traditore che teneva imprigionato, si alzava dal letto e andava sul balcone.
L'uomo è un essere così volubile, l'unica cosa che gli interessa è appagare il bisogno primitivo di unirsi a un altro corpo, si ritrovò a pensare mentre osservava le stelle.
Una sera di luna piena, subito dopo il tramonto mentre era affacciata al balcone, vide arrivare a corte una carrozza trainata da quattro meravigliosi destrieri neri. La servitù la informò che si trattava del conte Ferdinando De Riseis. Diede ordine di farlo accomodare nella sala dei banchetti, e di servirgli un pasto caldo mentre lei si cambiava.
Dopo essersi vestita e incipriata il viso, scese le scale pensando che quella sera, le vittime sarebbero state due.
Appena entrò nella sala e vide il Conte mangiare, il suo spirito venne scosso.
«La ringrazio» disse con tono profondo e pacato, alzandosi e avvicinandosi alla principessa. Fece un inchino e le baciò lievemente il dorso della mano.
«Si figuri, immagino che avrà percorso molte miglia. Da dove viene?»
«Dal principato di Vien.»
«Cosa la porta qui al Sud?»
«Faccende di famiglie, ho saputo della disgrazia del principato di Mon, volevo acquistare le loro proprietà.»
«Ricordo, mi dispiace per la loro disgrazia. Non posso non sentirmi responsabile.»
«Non si deve angustiare, non è sua la colpa.»
«In verità ho molte colpe, ma questa è un'altra storia.»
Il Conte De Riseis pensò che quella donna, dalla bellezza abbagliante e dalla pelle diafana, era logorata da un dolore profondo che la tormentava da tempo, lo si poteva scorgere dagli occhi privi di entusiasmo.
Nel regno correvano voci di uomini scomparsi misteriosamente dopo essere stati visti per l'ultima volta in quel castello, Ferdinando non aveva paura perché era rimasto affascinato dalla bellezza della principessa e si sentì legato a lei da qualcosa di sconosciuto e magico. Esitante, accarezzò la guancia di Melisendre.
Melisendre si sentì vulnerabile, come se quella lieve carezza volesse scoprire il suo lato oscuro.
Ferdinando, su invito della principessa, decise di prolungare la sua permanenza a palazzo.
I giorni passarono e più la bella Melisendre trascorreva il tempo insieme a Ferdinando, più dimenticava Jeime e il terribile rituale che soleva praticare ogni notte, prima del crepuscolo.
Ormai erano settimane che a corte non giungeva nessun uomo e il legame tra Melisendre e Ferdinando era sempre più intenso e indissolubile.
Durante una piacevole giornata di sole mentre passeggiavano lungo il fiume, il Conte De Riseis pensò che non ci fosse momento più adeguato per confessare a Melisendre ciò che il suo cuore celava. Le parole del Conte turbarono nel profondo la principessa che, di fronte a quella dichiarazione, fuggì velocemente.
Arrivata a palazzo con respiro affannato, ordinò di uccidere Jeime e sotterrare il cadavere nella cappella di famiglia così che nessuno sospettasse nulla.
Ferdinando la raggiunse e la avvolse in un caloroso abbraccio. Melisendre, lo trascinò nella sua camera e dopo diverso tempo tornò ad amare. Finalmente il cuore della principessa era sulla via della guarigione per tornare pure come lo era stato un tempo.
In quel giorno, mentre il Conte dormiva profondamente, Melisendre andò sul balcone e si lasciò meravigliare dal bellissimo tramonto. Capì che il destino aveva portato il Conte Di Riseis fino a palazzo per porre fine alle sofferenze che il rituale aveva portato in tutto il regno.
Si avvicinò alle sedie che teneva sul balcone per godersi i paesaggi circostanti mentre una leggera brezza, le sfiorava il viso candido.
Sedette a osservare gli ultimi bagliori rossastri che sparivano all'orizzonte. Presto, molto presto, il buio avrebbe cancellato ogni segno di quanto era accaduto.
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