6 |Sono esattamente dove dovevo essere|

Era lunedì pomeriggio, quando con coraggio chiesi a mia madre la macchina per uscire, giusto per prendere un po' più di confidenza con essa in vista della gara.

Dopo aver preso in considerazione diverse opzioni, tra cui anche quella di scappare in qualche altro stato, avevo capito che non potevo per nulla al mondo tirarmi indietro. Il mio piano era quello di farmi prestare la macchina per il sabato in cui si sarebbe svolta la corsa, inventandomi qualche scusa strana e pregando dio che non le recassi alcun danno.

Nella mia testa era già tutto sistemato, non mancava nulla se non riuscire a convincere Lexy ad insegnarmi qualche trucco ed a darmi qualche consiglio. Avevo messo in calcolo anche la possibilità di dover marinare scuola per qualche giorno per guidare il più possibile affinché potessi imparare più cose. Dio, speravo solo di non morire.

In quel momento mi stavo dirigendo al "The mirror" proprio per chiederle quel favore e stavo sperando con tutta me stessa che accettasse.

Parcheggiai la macchina di fronte al bar e scesi, dovevo fare il tutto velocemente perché, meno tempo rimanevo lì, meno probabilità c'erano di incontrare sapete voi chi. Varcai la soglia della porta sbattendo contro qualcuno e sentii come la forza di gravità stava avendo la meglio sul mio corpo, trascinandomi sempre più giù. Chiusi gli occhi pronta all'impatto con il suolo, ma qualcosa mi fermò. Aprii i miei occhi azzurri per incrociarli con un paio verdi, subito dopo cominciai a sentire una mano ferma sulla mia schiena e l'altra sul mio fianco sinistro. Un brivido mi attraversò il corpo, risvegliandomi.

"Tu..." gli puntai il dito contro "...Non ti azzardare a dire nulla" finii, prima di aggrapparmi al suo braccio muscoloso e tatuato per tirarmi su ricomponendomi.

Lo guardai intensamente e lui fece qualcosa che non mi sarei mai aspettata, sorrise. Semplicemente sorrise.

"Stai attenta, la prossima volta potrei non esserci io." disse, prima di ritornare serio ed uscire dalla porta principale.

"Cos'è appena successo, Diamond?" urlò Lexy da dietro il bancone.

"Cosa?" le chiesi io, avvicinandomi a lei.

"Diamond, tu hai appena sorriso!" continuò lei, sbattendo il tovagliolo con il quale stava pulendo il bancone di fronte a me.

"Non è vero" risposi io sicura.

"Si invece, ti ho vista io, proprio con i miei occhi." mi accusò. Il problema era che io non me ne ero resa conto.

"Senti, sono venuta per chiederti un favore." la buttai li'.

"Non ti farò più mojito in vita mia" rispose lei ridendo, facendo ridere anche me mentre ripensavo a cosa era successo l'ultima volta che mi ero ubriacata.

"A parte scherzi, vorrei che tu mi aiutassi per sabato." le dissi io seria, tutto d'un tratto la vidi incupirsi.

"Ah già, mi ero dimenticata che tu avessi fatto un patto col diavolo."

"Lo so, ma non posso tirarmi indietro" le risposi.

"Invece puoi farlo, non so se hai capito che rischi la vita Diamond, è una cosa seria." mi stava guardando male.

"Correrò il rischio." Confessai.

"Per cosa, per dimostrare che hai le palle? Per dimostrare che sei forte? A quale prezzo?" Disse lei, provando a farmi ragionare. Volevo dimostrare che non ero solo una stupida ragazzina, desideravo che Styles vedesse che contro tutte le aspettative ce la potevo fare, speravo di sentirmi anche io per un momento grande.

Per quello lo facevo.

"Tu perché lo hai fatto?" le chiesi, cogliendola di sorpresa. Lei non mi rispose, facendomi capire che avevo vinto la discussione. Rimanemmo in silenzio per un minuto.

"Quando vuoi cominciare?" mi chiese infine, arrendendosi.

"Anche domani" le risposi, guardando l'ora sul cellulare.

"Ma non hai scuola?" mi chiese mentre si girava a poggiare alcuni bicchieri.

"Si, ma posso marinarla" le feci l'occhiolino.

"Ah, ragazza...vieni qui domani alle dieci di mattina, abbiamo molto su cui lavorare." concluse lei. A me scappo' un piccolo grido di felicità, la salutai e me ne andai più contenta che mai.

Il giorno seguente mi comportai normalmente con mia madre per non farle sorgere alcun sospetto ed uscii di casa alle otto di mattina, fingendo di dover andare a scuola e che facesse troppo freddo per affrontare il viaggio a piedi. Girovagai per la città fino a quando decisi di fermarmi a fare colazione, aspettando che si facessero le dieci per incontrare Lexy. Il tempo passò in fretta ed io decisi così di dirigermi verso il retro del locale, non volendo arrivare in ritardo. Una volta giunta a destinazione peró, di lei non c'era nemmeno l'ombra.

Nella noia dell'aspettarla presi il mio telefono ed aprii Instagram, ero concentrata a vedere un video quando ad un tratto la portiera di destra si aprì.

"Lex..." mi girai per rimproverarla, ma di lei non c'era traccia.

"Che ci fai tu qui?" chiesi arrabbiata.

"Ciao anche a te, Diamond" rispose occhi verdi, prima di entrare nel piccolo abitacolo e chiudere la portiera dietro di sé.

"Non dovresti essere qui" gli dissi con rimprovero, non potevo credere che Lexy me l'avesse fatto un'altra volta.

"Ed invece, sono esattamente dove devo essere. Adesso parti, andiamo in un posto." Disse lui guardandomi serio mentre con la mano destra si tirava la cintura e se la metteva.

"Scusa? Non so nemmeno il tuo fottuto nome e tu vuoi fare non so cosa." gli dissi, ormai totalmente alterata. "Harry, e adesso parti" disse con tono autoritario, io lo guardai. Non dissi più nulla. Accesi il motore della macchina e partii seguendo le sue indicazioni. Lo vidi provare ad accendere la radio, ma io gli detti uno schiaffetto sulla mano. Non so da dove mi era uscito quel gesto cosi' spontaneo. Ritrassi la mano senza pensarci troppo, quasi spaventata da quello che avevo fatto.

Cosa mi stava facendo quel ragazzo? Sorridevo senza saperlo ed era riuscito perfino ad ammutolirmi.

"Adesso gira a sinistra, e poi vai dritta per un po' " suggerì, senza fare commenti strani o inopportuni. Dopo più di venti minuti di viaggio, finalmente cominciai ad intravedere una grande struttura di fronte a me, la quale sembrava essere una vecchia fabbrica abbandonata.

"Entra dentro" ordino'.

"Cos'è questo posto?" chiesi piuttosto incuriosita.

"Qui è dove provo sempre prima delle gare" rispose, prima di farmi parcheggiare l'auto nel bel mezzo dell'edificio.

"Cosa fai?" gli chiesi, mentre lui scendeva dalla macchina.

"Fumo una sigaretta, poi possiamo cominciare" mi rispose. Scesi anche io, e dallo zaino tirai fuori il mio pacchetto di sigarette. Mi guardò tra lo stupore e la curiosità.

"Fumi?"

"Solo quando sono agitata" risposi, poi accesi la sigaretta ed aspirai profondamente. Io lo stavo guardando e lui stava guardando me, ed in quel momento non potei fare a meno di sentire come nell'aria aleggiasse un certo imbarazzo. Finii la mia sigaretta subito dopo di lui e subito dopo aver buttato il mozzicone a terra, lo vidi camminare verso una porta e varcarla, lasciandomi sola come una scema.

Stavo per cominciare a camminare verso la direzione dove era scomparso, però fermai i miei passi quando lo vidi ritornare da me con in mano dei coni che normalmente si utilizzano per segnalare i lavori in corso.

"Cominciamo con l'insegnarti ad utilizzare bene gli spazi" urlò lui, perché troppo lontano per poterlo sentire se avesse parlato con un tono di voce normale. Salii nella macchina e partii cominciando a fare slalom tra i vari coni, inutile dire che essendo la prima volta ero stata una frana, buttandone giù cinque su sette.

"Cavolo" urlai sbattendo la mano contro il volante, facendo partire involontariamente il clacson e spaventando sia me che Harry.

Lo vidi avvicinarsi verso di me e farmi cenno di abbassare il finestrino. "Un'altra volta, prova a rilassarti" mi consiglió. Sbuffai ma misi comunque in moto la macchina nuovamente e riprovai. Quella volta, dopo aver seguito il suo suggerimento ne buttai solo uno giù. Scesi dalla macchina e mi applaudii da sola, fiera di aver raggiunto quel obbiettivo. Smisi di essere contenta quando osservai la sua espressione seria, cosí lo guardai attentamente, provando a capire cosa si celasse dietro a quella persona così enigmatica e quasi sempre triste. Fu lui a prender la parola.

"Perché mi guardi così?" chiese.

"Perché siamo passati dal versarti mojito in testa, a questo" risposi, indicandogli la macchina e poi noi due.

"Non è cambiato assolutamente nulla, solo non voglio che tu muoia. Mi faresti un mucchio di problemi"

colpita e affondata.

"E come?" chiesi sussurrando.

"Perché io ho creato questo gioco" Mi ammutolì, di nuovo. Ero delusa, incapace di capire come lui avesse potuto creare tutto ciò, incapace di capirne il motivo. Ero piena di domande. Eppure non ne feci nemmeno una, almeno quella sera.

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