22 |Senza di lei|
Harry's POV
Erano passati due giorni da quando io avevo deciso di comportarmi come un coglione con lei e cacciarla fuori, da una casa che tra l'altro non era nemmeno mia.
Erano due giorni che non dormivo più, da quando Blake mi aveva detto di averla con se.
Avevo preferito non credergli, pensando che stesse solo provando a giocare con la mia mente, ma quando avevo sentito la sua voce, così spezzata, tutte le mie certezze erano crollate.
Da allora avevo cominciato a rimpiangere ogni singolo giorno che avevo passato senza di lei.
Io e i ragazzi stavamo provando ad intercettare le varie chiamate, grazie all'aiuto di Steve, che fin da bambino se la cavava abbastanza bene con computer e robe varie.
'Nessun risultato' era la cosa che continuavo a leggere sul display del computer.
“Ragazzi, chissà se sta bene...” sentii dire a Lexy, che stava ormai piangendo in continuazione. Non la biasimavo, lo avevo fatto anche io, però non di fronte a loro. Ero stato uno stupido a trattarla così, ma ero stato ancora più stupido a nasconderle tutto l'amore che provavo per lei.
Dopo che l'avevo sbattuta fuori di casa, Lexy si era precipitata da me e mi aveva raccontato come lei si fosse presa cura di me, anche quando non lo meritavo, anche se avevo appena fatto sesso con un'altra.
Ed io mi ero sentito una merda, ero uscito fuori a cercarla ma non l'avevo trovata.
Per ricevere la sera stessa un messaggio di Blake che mi annunciava di averla catturata.
Pensai a quanto spaventata si sentisse, pensai alle ferite che probabilmente quel bastardo le aveva inflitto e cominciai a desiderare di morire.
“È forte...” sussurrai io, ricordandomi di quanto carattere avesse dimostrato ogni volta, della sua perseveranza e del suo coraggio.
Vidi Lexy avvicinarsi a me e darmi uno schiaffo.
“È solo colpa tua! Sei solo uno stronzo! Non meriti nemmeno un briciolo dell'amore che questa ragazza prova per te. Fottuto egoista, vaffanculo a te e pure a Karen.” urlò lei, mentre mi spintonava con tutta la forza che aveva in corpo.
Vidi Aydan prenderla per le spalle e portarla sul balcone del mio appartamento. Inutile dire che non me ne fregasse più un emerito cazzo di nessuno.
Ero così arrabbiato che non mi importava più nemmeno di Karen.
Infondo era solo colpa sua. Era colpa sua se una ragazza innocente stava soffrendo, perché a lei non sono bastato solo io.
Forse, dopo cinque anni stavo cominciando a realizzare di non aver mai conosciuto Karen e di essermi innamorato solo di un’idea. Non me ne fregava niente, di nessuno, a parte di Diamond.
“Harry! Devi vedere questo” disse Steve, girando il monitor verso di me.
“Non ci posso credere!” risposi io, non riuscendo a credere a quello a cui i miei occhi stavano assistendo.
“Lo abbiamo trovato” urlò Steve, attirando l'attenzione di Aydan e Lexy. Li vidi rientrare di corsa dentro.
“Dove?” chiese Lexy.
“Al vecchio faro” risposi io.
“Impossibile, abbiamo già controllato” concluse Aydan, poi sbuffò.
“Ci deve essere sfuggito qualcosa” rispose Steve. Poi lo vidi alzarsi dalla sedia ed avviarsi verso l'armadio. Sapevo cosa stesse cercando, infatti lo vidi ritornarsene due secondi dopo con tre pistole, che poggiò sul tavolino del salotto. Le controllò e le caricò sotto lo sguardo di tutti noi.
“Dove...” cominciò a dire Lexy, io alzai la mano per farle capire che non doveva fare domande.
Mi ero preparato, in caso che una cosa simile dovesse succedere.
E noi ragazzi sapevamo come usarle, perché anche se non ne andavo fiero, le avevamo già utilizzate in passato, ma senza uccidere nessuno.
Erano solo per auto-difesa, ed i ragazzi dopo averle utilizzate avevano deciso di lasciarle in custodia a me. Guardai Lexy voltarsi verso Aydan mentre lui le alzò le spalle come risposta.
“Forza, andiamo a recuperare Diamond” concluse Steve, dopo aver passato una pistola ad ognuno di noi.
Uscimmo dall'appartamento e ci separammo in due gruppi. Io salii nella mia macchina insieme a Steve e Lexy nella sua con Aydan. Prima di mettere in moto lo vidi fissarmi. Mi girai verso di lui.
“Che c'è?” gli chiesi mentre mi mettevo la cintura.
“C’è che se anche dopo questa storia non ti rendi conto che siete fatti per stare insieme, scusami amico, ma sei proprio coglione” Sospirai. Io lo avevo sempre saputo, solo che non avevo voluto accettarlo. Nutrivo sensi di colpa nei confronti di Karen, per questo avevo deciso di tirarmi indietro. Ma il suo rapimento mi aveva fatto aprire gli occhi.
Dovevo vivere la mia vita, perché io quella sera sono sopravvissuto. E negli ultimi cinque anni della mia vita, avevo vissuto come se fossi morto anche io su quel dannato ponte. Ero vivo, ed avevo cominciato a capirlo solo dopo aver visto Diamond per la prima volta, perché quella sera, quando era entrata nel locale, il mio cuore aveva cominciato a battere più veloce del solito.
Guidai per circa una mezz’ora prima di cominciare ad intravedere il faro, eppure ci eravamo già stati il giorno prima. Parcheggiammo le auto e dopo aver nascosto le pistole, cominciammo a cercare. Nessuno sapeva cosa stavamo cercando ma non potevamo starcene fermi senza fare nulla. Cominciai a camminare verso lo scoglio dove eravamo quasi morti io e Diamond durante la gara, mesi prima. Potei notare come c'erano ancora dei chiodi che luccicavano ogni volta che puntavo la luce della torcia a terra. Cominciai a pensare a come ci fossero arrivati lì, perché prima di gareggiare ero passato a piedi per quel tratto e non avevo visto nulla del genere. Camminai intorno alla zona, fino a quando sentii un suono diverso. Era come se sotto al mio peso ci fosse il vuoto più totale.
“Steve, senti qui” gli sussurrai, richiamando la sua attenzione e facendolo avvicinare.
Cominciò a camminare anche lui dove ero appena passato.
“C’è sicuramente qualcosa qui “ disse, dandomi ragione. Illuminai la zona circostante con la torcia e potei cominciare a vedere i bordi di una botola. Alzai il coperchio e di fronte a noi ci si presentò un piccolo corridoio verticale. Mi arrampicai sulle piccole scale e cominciai a scendere tenendo la torcia tra i denti. Scendemmo per circa quattro metri, secondo i miei calcoli. Poi potemmo poggiare i piedi a terra.
Appena toccammo il suolo, una piccola luce si accese ed illuminò un piccolo corridoio, quella volta orizzontale. Era lungo una decina di metri e mi fece capire che stavamo camminando letteralmente dentro la scogliera. Seguimmo il percorso che portava di fonte a due porte, entrambe di metallo. Non si sentiva alcun rumore provenire da nessuna delle due.
Mi fermai sul posto e tirai fuori la mia pistola, sentii Steve fare lo stesso. Aprimmo la porta a destra, cominciando a sentire un tanfo orribile, come se ci fosse qualcosa di morto lì dentro.
Ed accendendo l'interruttore della luce potei notare come ci fosse qualcosa di morto, sul serio. O meglio dire qualcuno.
Il corpo di Vanessa era legato ad una sedia e la sua testa presentava un buco da proiettile.
Chiusi gli occhi, non volendo più vedere una cosa simile, ed abbandonai la stanza. Steve entrò subito dopo di me e lo vidi uscire mormorando un “Che schifo”.
Ci posizionammo entrambi di fronte alla secondo porta, la aprii con un calcio ed accesi la luce. Ed ecco che la vidi. Diamond era anche lei legata alla sedia proprio come lo era anche Vanessa. Misi la pistola da dove l'avevo tirata fuori e corsi verso di lei.
Cominciai a piangere senza nemmeno rendermene conto e provai a slegarla. Dovetti metterci tutta la mia forza perché era stata legata in modo da non potersi muovere nemmeno di un centimetro. Vidi Steve pressargli due dita sul collo, per sentirne i segni vitali. Lo guardai supplicandolo con gli occhi.
“Respira a malapena, però respira” gli sentii mormorare. Però quello che mi disse non mi fece tirare nessun sospiro di sollievo. Cominciai a notare il suo viso, pieno di lividi ed il suo labbro spaccato. Potei vedere come del sangue stesse scendendo dalla sua gamba ed anche dalla testa, la presi a mo’ di sposa e la tirammo fuori da quel buco, grazie ad una corda che ci era stata lanciata dai due sopra.
La sua vita in quel momento dipendeva letteralmente da me, ed io cominciai a sentire tutta la pressione. Guidai il più veloce possibile verso casa dell'amico di mio nonno. Era un chirurgo in pensione e molteplici volte mi aveva aiutato con le mie ferite post gara o post rissa. Lo avevo chiamato per strada e mi aveva risposto positivamente. Parcheggiai sul vialetto di casa sua e lo vidi avvicinarsi di corsa verso la macchina. Ed allora pensai che forse ero riuscito a salvare almeno lei.
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