Zucca, Miritama

Miritama,

TW!
(Sangue, mostri, alternative universe!)

Scritto da: Lilla

🎃

Tamaki aveva sempre avuto paura delle zucche. Temeva la loro forma rotonda, gli enormi bozzi che si creavano davanti, le facce mostruose che si intagliavano nel mezzo. Non sapeva come gli era nato quel timore, ma ricordava che aveva a che fare con la sua infanzia. Era cominciato tutto da uno scherzo che gli avevano fatto i suoi compagni di classe e da allora non era più riuscito a vedere le zucche allo stesso modo.

Ne era terrorizzato.

Lo avevano rinchiuso in un stanzino, con tutte zucche che si muovevano grazie a macchinari elettrici. Avevano bocche larghe che sembravano volerlo mangiare da un momento all'altro, braccia fatte di rami taglienti. Aveva pianto, s'era rintanato per terra, disperato. Mille scenari gli erano passate davanti agli occhi, la testa gli aveva fatto male. L'ultima cosa che ricordava erano le sue mani che tremavano. Quando s'era svegliato, sua madre lo aveva abbracciato forte. Gli aveva detto che non si sarebbe più dovuto preoccupare delle zucche, che non le avrebbe più viste. Ma quando gli era stato chiesto di parlare di ciò che era avvenuto dentro a quello stanzino, non una parola aveva lasciato la sua bocca.

Crescendo, quella paura non s'era diramata, anzi, se possibile era cresciuta con lui. S'era nutrita a ogni Halloween, era diventata gigante.

Mirio lo sapeva bene, forse era anche per questo che gli aveva proposto di passare Halloween a casa sua. A giocare a giochi da tavola, da nerd. Tamaki li amava. Aveva accettato di buon grado e verso sera aveva salutato la madre ed era andato dall'altra parte del vialetto, a casa del suo migliore amico. Mirio abitava a pochi passi da casa sua, avevano la stessa staccionata che faceva da separé fra le loro case. Sapendo delle sue paure, erano stati ben attenti a non appendere fuori - e dentro - casa decorazioni che lo avrebbero spaventato. Quindi, niente zucche. Mirio se n'era occupato personalmente.

Bussò alla porta, attese. S'era portato solo uno zainetto, qualche dolce, niente più. L'amico gli aveva detto che avrebbero passato un bel pomeriggio insieme, lui ne era felice.

La porta s'aprì, apparve una chioma bionda. Gli occhi blu di Mirio fecero capolino dalla soglia assieme al suo sorriso.

«Ciao!» esclamò, si fece da parte, lasciandogli l'accesso. «Vieni dentro.»

Tamaki s'infilò in quella casa che profumava di cannella e limone. La frequentava da quando era un bambino. S'era addormentato mille volte su quel divano rosso, aveva arrostito i marshmallow su quel fuoco. Si misero in cucina, sedettero al tavolino della signora Cherry, mangiarono caramelle a forma di scheletri, bevvero succo che sembrava sangue. Gli piaceva la casa di Togata. Si respirava un'aria di familiarità, d'amore. Era calda, piena di ricordi felici, di colori autunnali.

«Giochiamo a Monopoli?» chiese Mirio, spingendo la scatola al centro del tavolo, Tamaki annuì. Presero ad aprire il tabellone, posero le pedine, misero le carte ai lati. Tirò i dadi, presero a disfare le carte, i personaggi.

Gli piacevano i giochi da tavolo, li trovava rilassanti, precisi. Poi l'amico aveva acceso la radio, s'era messo il completo da vampiro, persino i dentini. Erano passati ai trucchi, Tamaki era diventato un piccolo fantasmino, con tanto di mantello bianco con un cappuccio con occhi, bocca e naso. Lo avevano creato con le lenzuola vecchie della signora Cherry. Mirio era tutto intento a disegnare qualcosa sul suo mantello col pennarello rosso quando lui tirò fuori quel gioco.

«Cos'è questo, Mirio?»

«Cosa? No, quello non

Ma prima che potesse finire di parlare, lui aveva già schiuso la scatola. Un bagliore dorato li avvolse, ne ebbe paura, strillò. Sentirono un pizzico alle gambe, al petto.

«Mirio, dove sei? Che succede?»

«Resta vicino a me. Dammi la mano.»

Gli porse la mano, il ragazzo gliela strinse. Qualcosa li aveva avvolti, una specie di nebbia grigia che gli tolse il respiro. Tamaki tremò, ebbe paura, chiamò Mirio.

«Che succede?»

«Quando cadiamo, nasconditi subito.»

Il ragazzo sbarrò gli occhi, non capì.

«Che? Perché? Mirio ma che succede?»

Ma non ci fu tempo di rispondere, la nebbia si diramò, il buio avvolse i loro corpi, li fece ruzzolare come sacchi vuoti. Tamaki spalancò le braccia, guardò sotto di sé. Un campo, un campo arancione. Gli si sgranarono gli occhi. Ma che diavolo stava succedendo? Com'era possibile che fino a qualche minuto prima fossero seduti al tavolo della cucina di casa di Mirio e ora si ritrovassero sospesi nel cielo? La caduta fu violenta. Si strinse su sé stesso, provando inutilmente a proteggersi la testa, le ossa, ma sbatté col costato sul terreno duro e il fiato gli lasciò i polmoni. La pressione lo schiacciò a terra. Ci vedeva doppio. Lasciò uscire un rantolo, la gola bruciò come se gliel'avessero scavata con un coltello. Ci volle qualche minuto prima che riuscisse a muoversi. Quando il fiato gli riempì di nuovo i polmoni fu come se gli avessero tenuto la testa sott'acqua per troppo tempo.

Si mosse a scatti, pareva che qualcuno gli stesse pestando lo stomaco. Gattonò, chiamò il nome di Mirio. Non c'era. Lo cercò tra quelle piante, muovendosi a tendoni.

«Mirio.»

Nessuna risposta.

Aggirò qualche pianta e le vide. Grosse, tonde, infinite. Le zucche. Il cuore gli finì in gola, lo stomaco si contorse. Che diavolo... come diavolo... cadde in ginocchio, la paura gli s'incastrò sotto pelle come uno scarafaggio. Come poteva muoversi, come poteva fuggire? Spostò lo sguardo, per poco non ebbe un mancamento. Era circondato da zucche. Zucche in ogni dove, zucche che pendevano dalle radici, che se ne stavano lì, maligne, pronte ad animarsi. Cercò di respirare, sentiva il petto che stava per scoppiargli, si portò un palmo contro il torace.

«Aiuto, aiuto, aiuto...» biascicò, ma le parole gli lasciavano le labbra e morivano su quella stessa terra. Arretrò, le unghie entrarono nel terreno, si sporcarono. Ebbe un fremito, cercò Mirio con gli occhi, ma riusciva solo a scorgere zucche, zucche arancioni. Dappertutto.

Riuscì a sollevarsi, le mani quasi si staccarono dal corpo. Mosse le gambe, funzionavano ancora, il petto gli faceva malissimo. Pensò di essersi rotto qualche costola durante l'impatto. Corse. Corse in mezzo a quella distesa, corse, spinse con le mani. Ma più avanzava più non vedeva altro che zucche, più correva più il petto sembrava esplodergli.

Poi si ricordò delle parole di Mirio.

"Appena cadiamo, nasconditi subito."

Che voleva dire? Anche lui si era nascosto? Ma dove? Dove? Perché non l'aveva aiutato? Cercò un nascondiglio. Mirio non parlava mai al vento, forse voleva proteggerlo da qualcosa. Da qualcuno. Ma ormai era troppo tardi. Andò a sbattere, la faccia si spiaccicò contro qualcosa d'imponente. L'impatto gli levò ogni facoltà mentale per qualche secondo, poi si staccò, guardò in alto. Cos'era? Mise a fuoco. Un corpo lunghissimo, braccia che sembravano inumane, nere, senza dita, solo una punta affilata. Sembrava un insetto stecco, quelli che lui e Mirio trovavano nel giardino e mettevano nei barattoli per biologia. Il viso. Salì, lo vide. Il maledetto viso, una zucca.

Un mostro di zucca.

Gli venne un capogiro. Aveva quel ghigno orrendo in volto, quegli occhi tagliati, i denti finti. Tremò, si voltò, fece per scappare ma nello stesso istante in cui provò a sollevare il piede il mostro lo afferrò dalle spalle e lo sollevò. Se lo portò alla bocca, Tamaki sentì un liquido caldo lungo la gamaba, piagnucolò, scalciò. Si sentì patetico, miserabile. Poteva morire in quel modo? La sorte sembrava prendersi gioco di lui. Strilò, strillò con tutte le sue forze. Il mostro lo lasciò cadere, si sentì un tonfo, un latrato. Chiuse gli occhi, precipitò. Immaginò di essere ingoiato, la saliva che lo sommergeva, il calore dello stomaco, ma quando aprì gli occhi non c'era nulla di questo.

Le iridi blu di Mirio lo osservavano. Stretto in mano aveva un bastone, sembrava un ramo. Sbarrò gli occhi, vide che era insaguinato sulla testa.

«Oddio, ti ha fatto del male?»

Mirio scosse la testa, si spostò i capelli. «Alzati, Tamaki, non abbiamo molto tempo.»

Obbedì. Capì di non aver sentito l'impatto col terreno solo grazie alle piante. Mirio gli porse la mano, camminarono velocemente. Il mostro stava ruggendo, alcuni uccelli volarono via dagli alberi circostanti. Sentì lo stomaco contorcersi. Doveva vomitare. Si aggrappò a Mirio, rimandò giù il conato, gli girava la testa.

«Dobbiamo colpirlo quando non ci vede.» stava dicendo il biondo. «Ho questo bastone, ne possiamo trovare uno anche per te e-»

«Che sta succedendo?» lo interruppe.

Erano nascosti alla vista del mostro grazie alle piante più alte. Una zucca gli sfiorava la gamba, ebbe un altro conato. Strinse la mano di Mirio così forte che il biondo storse le labbra.

«Che intendi?» biascicò, aveva gli occhi spalancati. «Hai aperto quel gioco, ti avevo detto di non... diavolo. Quello è un gioco maledetto. Mia madre ci giocava da bambina, crescendo s'è dimenticata. Un Halloween lo ha ritrovato. Ci abbiamo giocato, ci ha annoiati, papà lo stava per mettere da parte, ma all'improvviso ci siamo ritrovati catapultati qui. L'unico modo per uscire è sconfiggere quel mostro.»

Tamaki deglutì, la saliva sembrava esplosivo. Gli scoppiò in pancia, gli organi sanguinarono. «Cosa? Stai scherzando?»

Era diventato pallido come un calzino. Si aggrappò ad una radice, ansimò. Non poteva essere la realtà, non poteva certo essere-

No, doveva essere un sogno. Era senza dubbio un sogno.

Aveva il fiatone. Cercò di contare, le cose che vedeva, quelle che sentiva, quelle che poteva toccare. Non riusciva a guardare nulla, tutto s'era fatta sfocato e gli pareva vorticare attorno a sé.

La mano di Mirio si strinse alla sua.

«Tamaki. Tamaki, respira con me.»

La presa del suo braccio, quelle dita tozze, la mano calda. «Tamaki, ti prego. Se ci raggiungesse ora, noi potremmo-»

«Sto bene.»

Mosse un passo, si rimise al suo fianco. Le figure erano tutte sfocate, tutte frastagliate. Quell'arancione gli era entrato in testa come veleno e lo sentiva premere e graffiare. Camminò. Mirio non sembrava convinto, ma fece strada. Dovettero stare attenti a non far scricchiolare neppure una foglia o un rametto. Per i primi minuti andò bene, poi pestò un ramo, quello si ruppe, i loro respiri s'arrestarono. Ci fu silenzio. Attimi durante i quali i loro cuori pomparono così velocemente da sembrare in preda a un infarto. Poi il mostro si mosse, ruggì.

I due si guardarono. Mirio aveva perso sangue, aveva tutta la fronte sporca di rosso.

«Corri. Corri, Tamaki.»

Gli prese la mano, avanzarono nella notte, i rami gli graffiarono le mani, le braccia, gli strappò le felpe. Tamaki sentiva il fiato lasciargli la gola, gli bruciava la milza. Rallentò, la mano sudata scivolò da quella di Mirio, cadde, ruzzolò sulla terra, sbatté il viso.

Sentì i passi dell'amico, quelli pesanti del mostro-zucca. Sussultò, provò a mettersi in piedi, ma perdeva sangue dalla bocca, se la sentiva tutta impastricciata, tremò. Lo spinse via.

«Vai, vattene via, Mirio.»

Il mostro li avrebbe raggiunti. Almeno il biondo doveva scappare, ma non voleva. Tamaki desiderò essere invisibile, poter essere forte. Chiuse gli occhi, tutte quelle zucche gli stavano facendo venire mal di testa. Ne era terrorizzato.

«Vattene, Mirio, vattene!»

Il biondo però non si mosse. Si aggrappò al suo braccio, lo issò sulla schiena. Protestò, gli disse di non pensare a lui, di fuggire, di-

Mirio prese a camminare, gli strinse le braccia al collo, cercando di non precipitare. La Luna sopra di loro era diventata una palla incandescente. Volse la testa, scorse con la coda dell'occhio il mostro-zucca, il suo corpo gigante, le braccia scheletriche. Tremò, strillò al biondo di andare più veloce. Li avrebbe afferrrati, se li sarebbe mangiati come due caramelle. Un altro conato gli risalì la gola, Mirio inciampò su una radice. Caddero a terra, Tamaki volò qualche metro più avanti. Il mostro emise un verso ruggente.

«Scappa!»

Tamaki si sollevò, si mise seduto, spinse le mani indietro, la terra gli bagnò l'orlo della felpa, il cotone bucato lasciava entrare rivoli di freddo, gli gelava il petto. Si rannicchiò. Il mostro-zucca agguantò Mirio infilando quegli spuntoni nei suoi pantaloni, il sangue colò lungo la scarpa, trattenne il respiro.

«Vattene via!» strillò.

Sgranò gli occhi, il mostro sollevò l'amico da terra. Lo fece volteggiare nell'aria come un palloncino. Mirio ora era sospeso a mezz'aria.

«Tamaki... vai via! Corri... vai!»

Il mostro emise un vero mostruoso, a metà tra un grugnito e un urlo. Si portò i palmi alle orecchie, spinse cercando di non far entrare il suono. Lo sguardo gli cadde sul bastone che aveva usato Mirio. Era a pochi passi dalla sua gamba. Poteva colpire quell'essere alla gamba, farlo cadere.

Doveva, doveva salvare Mirio.

Non riflette ancora. Si sarebbe fermato se solo si fosse messo ad analizzare quello che gli stava avvenendo sotto gli occhi. Raccolse il bastone, caricò a testa bassa. Il mostro non lo sentì arrivare, era concentrato sulla sua preda, stava già assapporando l'idea di quel pasto.

«Hey, maledetto, guarda qui!» strillò. E subito spinse giù il bastone. Il colpo lo fece piegare in avanti, quasi perse l'equilibrio. Il mostro cacciò un latrato bestiale, Tamaki lo vide cadere in ginocchio, l'amico riuscì a svincolarsi da quella presa, cadde, lanciò via il bastone.

«Mirio!»

Lo raggiunse, si assicurò che stesse bene. Non aveva sangue addosso a parte quello delle ferite precedenti. Gli accarezzò il viso, gli sussurrò dolci parole.

«Sei stato coraggioso, raggio di Sole.» soffiò, rimettendosi in piedi grazie al suo aiuto.

«Raggio di Sole?»

Arrossì di colpo. La situazione non era delle migliori, ma quel nomignolo gli aveva scaldato il sangue più dell'adrenalina. Sorrise, gli pizzicavano gli occhi e le dita. Alcune spine gli si erano conficcate nel palmo.

«Uccidiamo quel mostro.» mormorò. Aiutò l'altro a rimettersi in piedi, camminarono fino ad arrivare alla zucca rantolante di dolore, completamente supina.

Raccolse il bastone ormai diviso a metà, ne prese un lato per sé e diede l'altro a Mirio. Attese che gli dicesse quello che voleva fare, ma il biondo sembrava stanco. Sanguinante. Sbarrò gli occhi; come aveva fatto a non accorgersi del taglio che gli attraversava un lato della fronte?

«Mirio, stai-»

«Uccidilo, Tamaki. Uccidilo.»

«Ma tu stai sanguinando-»

Il ruggito del mostro-zucca interruppe ogni altra sua parola. Vennero attraversati da quel singulto, tremò. Si voltò lentamente, ma lo aveva già letto negli occhi blu di Mirio. Ce l'aveva dietro. Il mostro s'era rialzato. Tremò, mandò giù la saliva. Il bastone che teneva in mano gli sembrava pesare tonnellate.

«Mi dispiace, i-io...»

Lasciò cadere il bastone, l'amico strillò. Non poteva. Non poteva affrontarlo, era terrorizzato. Lasciò che l'afferrasse, gridò all'amico di scappare. Non avrebbero potuto fare altrimenti. Anche nei film migliori c'era sempre una vittima. Non gli importava, pensò sorridendo. Una lacrima ruzzolò lungo la sua guancia, gli bagnò la bocca spezzata in un gemito. Così era in quel modo la morte. Una baraonda, un fremito. Avrebbe chiuso gli occhi, il mostro se lo sarebbe pappato in un secondo. Sperava almeno che fosse indolore.

«Tamaki!» le grida strazianti di Mirio gli fecero venire i singhiozzi.

Voleva davvero morire? Voleva che tutto finisse così?

«Tamaki, ascoltami» era ferito, sconsolato, afflitto, ma non aveva perso la speranza. Sorrideva, Tamaki riusciva a scorgerlo, gli vide quelle belle labbra all'insù. «Cosa dice un uovo che sta per morire?»

«Mirio, n-no

«S-sono fritto.»

Piangeva e sorrideva. Gemeva e si stampava in faccia un sorriso. Il suo eroe. Gli si spezzò il cuore, un sorriso si frammentò anche sulla sua bocca. Il mostro lo tirava sempre più su.

«E cosa fa una mosca davanti a un cancello? Scavalca.»

«Mirio...»

«Cosa dice una margherita annoiata? Che pizza!»

«M-Mirio...»

«Cosa dice una goccia di sangue che cade sul pavimento? Oggi non mi sento in vena!»

Non riuscì più a trattenersi, la risata gli lasciò le labbra, si riversò dentro tutto il campo, strillò così forte che fu come se qualcosa dentro di sé si fosse risvegliato da un sonno profondo. Improvvisamente capì che non voleva morire. Voleva sopravvivere, voleva ancora giocare con Mirio, intagliare zucche, prenderlo per mano.
Voleva vivere. Voleva vivere. Voleva vivere. Si tastò le tasche, il mostro lo stava portando verso la bocca, Mirio strillava. Lo sentì. Gli sfuggì un sorriso, le lacrime gli entravano in bocca senza freni. Lo prese, lo fece schioccare tra le mani e attese. Fu solo quando fu a pochi centimetri dalla sua enorme bocca, con la paura che scavava nell'intestino come una talpa che attirò la sua attenzione.

«Hey, mostro!» strillò. La zucca volse il capo, fece un verso acuto. «Beccati questo, stronzo!»

Fece partire la fiamma, l'accostò al suo volto, attese che prendesse fuoco. Così fu. La zucca strillò, portò l'altra mano a cercare di spegnere l'incendio, ma non ci potè fare nulla. Quella era divampata ormai, gli assalì la bocca. Il mostro-zucca strillò, si spinse a terra, Tamaki saltò. Cadde, si ritrovò accanto a Mirio. Il mostro continuava a esalare gemiti addolorati, urla che li fecero rabbrividire. Si spinse ancora più vicino a Mirio, gli prese la mano.

«Stai bene?» sussurrò.

Mirio sbarrò gli occhi, lo strinse tra le braccia, lui ne restò sorpreso ma ricambiò. Profumava del solito odore, di casa, di famiglia, di affetto. Lo strinse più forte mentre la zucca si trasformava in cenere.

Chiusero gli occhi.

«Credevo che saremmo morti.» soffiò. Mirio gli accarezzò i capelli.

«Siamo salvi, ora.»

Annuì, lo strinse ancora, pulì il sangue che cadeva dalla fronte di lui con la sua manica. Gli baciò la fronte. Le loro mani s'intrecciarono mentre quel bagliore dorato li avvolgeva di nuovo. Mirio se lo premette al petto. Si tennero così avvinghiati da sentire male alle ossa. Il pizzicore raggiunse i loro petti, un brivido li assalì. Si sentirono trascinare come fossero stati fatti di carta.

Quando riaprirono gli occhi erano di nuovo nel salotto di casa di Mirio. Il quadro con il vaso di fiori sulla testa del biondo, i giochi da tavola sparsi sulla tovaglia, i dolci aperti e tagliuzzati. Tamaki si guardò le mani, erano intatte, sollevò lo sguardo, anche la testa di Togata era illesa.

Un respiro gli proruppe dalle labbra, corse da lui. Si avvolsero le braccia l'un l'altro,  cercò la sua bocca, l'assaggiò. Lui sapeva di caramelle al miele, alla Coca-Cola, di patatine al bacon. Sorrisero, si guardarono.

«Niente più zucche.» biascicò, come se fosse una cosa ovvia.

Tamaki sorprese entrambi scuotendo la testa.

«Voglio cucinarne una.»

La risata di Mirio riempì la stanza. Osservò il suo viso contorcersi, farsi più chiaro, con gli occhi carini, la bocca schiusa. Sorrise anche lui, lo baciò ancora.

«Buon Halloween, Mirio.»

«Buon Halloween, Amajiki.»

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