Ghost, Bakudeku
Dedicata a xOblivion, buon compleanno!
Bakudeku,
TW!
(Alternative Universe!)
Scritto da: Lilla
🐺👻
Bakugo Katsuki odiava le feste. Le reputava stupide, senza senso, da bambini. Cos'erano se non modi per mettersi in ridicolo? La vita non concedeva tregue, lui non aveva il tempo di mettersi a saltellare allegramente attorno a un camino. I suoi fratelli lo stavano aspettando a casa, non aveva tempo da perdere.
Si accinse a risalire la collina. Le zampe pelose calpestavano di continuo il suolo. Conosceva a memoria quella zona. Ci era cresciuto, aveva mosso i primi passi tra quella radura fangosa, piena di erbacce e stecchi. Non aveva paura di una notte di Luna piena.
Si era proposto apposta per uscire. I suoi fratelli amavano il calduccio, lui anche, ma se poteva evitare che la sorella gli mettesse quella fastidiosa cremina sul viso, usciva al freddo con piacere. Tanto lei frignava ma smetteva subito.
Vide in lontananza il campo di zucche. Erano lì, arancioni, tondissime, che pendevano dalle radici come massi. Zampettò fin lì, scavalcò la staccionata, ignorando il cartello che lo vietava e balzò dentro. Era agile, non aveva mai avuto problemi a fuggire dai contadini che solitamente lo temevano. Era un cucciolo ma pur sempre un lupo, e tutti avevano paura dei lupi.
Sogghignò tra sé e sé, perso in quei pensieri. Iniziò a camminare. La terra era asciutta, non era venuto giù un goccio d'acqua in quei giorni. La notte più tenebrosa dell'anno e i suoi fratelli s'erano scordati di comprare la zucca. Sciocchi. Sempre a pensare alle erbette, alle bacche dolci, ai semini, tanto alla fine doveva rimediare sempre lui; eh ma stavolta gliel'avrebbe fatta pagare. Aveva già in mente tutto. S'era studiato il piano man mano che passeggiava.
Era semplice, tagliente, pauroso.
Raggiunse il centro del campo. Le zucche erano gigantesche. Le scrutò una dopo l'altra; doveva scegliere la migliore, quella senza buchi, senza ammacchi. Gli avrebbe fatto venire un infarto. Scartò la maggior parte delle opzioni; erano tutte troppo grosso, troppo rozze. Proseguì, girò dall'altro lato. Menomale che l'arancione era il suo colore preferito, altrimenti gli sarebbe venuta la nausea per tutto quel girare. Osservò i gambi. Sua madre gli aveva spiegato che per scegliere una zucca come si deve si deve sempre osservare la base. Com'è attaccata al terreno? Il suolo è bagnato, è asciutto, è umido? Quanto pesa la zucca? Ne vide una che sembrava avere i requisiti necessari, ma era troppo piccola. Fece una smorfia, continuò. Eccone un'altra. No, troppo arancione. Un'altra ancora. Nah, anche questa era troppo grande. Sbuffò, nessuna zucca sembrava fare al caso suo. Si sedette poco lontano, un'espressione imbronciata in volto. Come avrebbe fatto? Aveva promesso che si sarebbe vendicato ma tutto andava contro di lui quella sera. Sentì gli occhi pizzicare ma era troppo orgoglioso per piangere. Tirò su col naso, si sfregò il viso contro la zampa.
Le zucche viste tutte insieme parevano palline. Avrebbe voluto giocarci un po', farle rotolare sul terreno come faceva con le bacche marcie. Avevano una palla a casa. Uno di quei palloni da calcio che avevano fregato a un ignaro Rudolph, il figlio del contadino. Adorava giocarci, gli piaceva vedere come volteggiava, come si muoveva qua e là. Kirishima si univa a lui, giocavano a passarsela, se la rubavano, finivano per attaccarsi a terra, abbaiando, giocavano.
Sbuffò, sarebbe tornato a casa a mani vuote. Doveva pensare a un altro modo per mettere paura a quei cretini. Ma come? Ormai s'era fatto buio, faceva freddo, tra un po' avrebbe perso la cognizione dello spazio e non avrebbe più ritrovato la strada di casa. Scacciò con forza quei pensieri dalla testa. Era un lupo, avrebbe trovato la strada odorando. Si sollevò, avviandosi verso la fine della staccionata. Sarebbe tornato a casa, avrebbe preso una di quelle ciotole e-
Quella.
Gli era apparsa sotto gli occhi come una meravigliosa lucciola. Pareva una di quelle che il contadino prendeva al mercato per scambiarla con le sue. Tonda, con i rilievi più chiari, di un aranciato che gli ricordava il cielo al tramonto. Gli si sgranarono gli occhi. Prese a zampettare qua e là, felice. Si avvicinò correndo, le zampe già protese in direzione della radice. Chissà quanto sarebbero stati invidiosi i suoi fratelli quando-
La zucca venne giù con un tonfo "plop". Si abbatté sul terreno e immediatamente fu circondata da un paio di mani. Mani trasparenti. Gli si sollevarono le orecchie, il pelo si fece ispido. Che stava succedendo? L'aveva vista prima lui quella zucca, non potevano-
D'istinto sollevò lo sguardo. La figura sospesa a qualche metro dal terreno guardava la zucca con un misto di spavento e rammarico. Cercava di stringerla tra le mani, ma quelle ci passavano attraverso. Mani grosse, dita tozze cosparse di cicatrici oblunghe.
«Hey! Quella zucca è mia.» strillò.
Il ragazzo - era decisamente un ragazzo anche se pareva una femmina - spostò lo sguardo come se fosse stato appena beccato con le mani in un barattolo di marmellata. Katsuki ne intravide il viso, tondo, paffuto. Riccioli verdastri gli cadevano sulla fronte, un naso all'insù cosparso di efelidi piccine. Teneva la bocca socchiusa, aveva i denti. Fiuu, gli venne voglia di allontanarsi di corsa, ma stette fermo. Era un lupo.
Anche se quello davanti a lui era bianchissimo. Bianco come le lenzuola che sua madre voleva tanto. Bianco come i denti di Sero.
«Hey! Sto parlando con te, baka.»
Il ragazzo-biancolenzuolo lo fissava impaurito. Katsuki si avvicinò. Sentiva il cuore battere minacciosamente nel petto, ma lo ignorò. Sopra di sé era spuntata la Luna, era larghissima, pareva un occhio giallo.
«Che stai facendo? Quella è la mia zucca.» disse deciso. Indicò con la zampa la zucca arancione che il ragazzo-biancolenzuolo aveva preso. «L'ho vista prima io, perciò è mia.»
«S-scusami.»
Aveva una vocina risuonante. Si sparse nel campo facendo vibrare il terreno. Katsuki s'irrigidì. Che voleva fare? Si mise sull'attenti, le zampe ben protese, cacciò fuori gli artigli.
«Non farmi d-del male, per favore.» balbettò, sollevando le mani. Il lupo lo guardò confuso.
Non l'avrebbe attaccato?
«Volevo prendere questa zucca per decorarla. Passo s-sempre Halloween d-da solo.» spiegò il ragazzo-biancolenzuolo. Teneva la testa chinata, il tono così basso che Katsuki dovette ringraziare di avere un buon udito, altrimenti non avrebbe sentito nulla.
Con la luce della Luna riusciva a vederlo meglio. Aveva un viso pallidissimo, labbra sottili, occhi verdi. Verdi come i gambi delle zucche, ma c'era qualcosa in lui che non sembrava umano. Era troppo immobile per essere umano. Poi quelle gambe mancanti, il lenzuolo che pareva ricoprire le sue cosce, la catena che portava al collo. Improvvisamente percepì qualcosa sobbalzargli nello stomaco, realizzò. Quello era un… un…
«Sei un fantasma?» bisbigliò, piano, pianissimo. Quella parola gli faceva venire i brividi.
Il ragazzo sollevò il viso. Annuì. Katsuki si fece istintivamente indietro. Aveva un terrore cieco dei fantasmi. Tutta colpa dei suoi sciocchi fratelli, di quelle storie sul sangue, sui demoni, sulle case stregate e-
«Ti prego, non scappare.» biascicò il ragazzo, si era avvicinato. Ma non camminava, fluttuava. «Non voglio farti del male. Voglio solo…»
Katsuki deglutì. Si guardò le zampe, passò a guardare la zucca. Sua madre diceva sempre che gli sconosciuti erano pericolosi, ma che andavano anche capiti. Alcuni non erano cattivi. Quel fantasma sembrava avere la sua stessa età. Aveva un viso innocente, niente a che vedere con le fantasie che gli avevano creato Mina e gli altri.
Allungò una zampa, il fantasma lo guardò senza far nulla.
«Dimostrami che non sei cattivo.» mormorò.
«Come? Non c'è modo che tu mi creda, lo so già.»
Sembrava affranto. Disse quelle parole con la testa chinata. Aveva dei capelli che parevano foglie. Tutti increspati, tutti lunghi davanti. Katsuki odiava il disordine. Avrebbe voluto prenderlo e pettinarglieli come faceva Best Jeanist con lui ogni volta che veniva a portargli le provviste.
«Hai detto che passi Halloween da solo. Perché?»
Il fantasma parve sorpreso da quella domanda. Si sedette - piegò quelle che dovevano essere gambe, ma che era solo un lenzuolo, a mo' d'indiano - e iniziò a parlare.
«Festeggio da solo ogni anno. Mia madre lavora in un castello, io passo le mie giornate da solo. Quest'anno avremmo dovuto fare una piccola festa, solo io e lei, ma l'hanno chiamata a lavoro ed è dovuta andare. Sono rimasto a casa, però non mi andava di restare lì da solo. Sono uscito, ho trovato questo campo e ho cercato una zucca, pensavo che magari avrei potuto intrattenermi, intagliandola.»
Katsuki restò colpito da quelle parole. Non seppe perché ma gli corsero dentro come fossero bacche marcie. Voleva… voleva dirgli che anche lui quand'era piccolo si sentiva solo, che passava tutti i suoi compleanni e le feste con i suoi genitori e basta, che loro non volevano giocare e lui si annoiava. Poi aveva incontrato i suoi amici, i suoi fratelli. Uno a uno li aveva riuniti a casa, si erano raccontati le loro storie, avevano giocato insieme. Non aveva più passato un giorno senza sentirsi in compagnia. Ma comprendeva. Sapeva cosa si agitava nella testa quando passavi le tue giornate chiuso in casa, solo tu e la tua immaginazione. A volte quella giocava brutti scherzi, ti faceva sentire… triste.
«Vuoi ancora dimostrarmi che non sei cattivo?» gli chiese, sollevando il viso e puntandolo sul suo.
Il fantasma lo guardò con gli occhi spalancati. Annuì. «Certo.»
«Ho una proposta per te.» gli disse. «Siccome entrambi vogliamo la zucca e tu sei solo, che ne dici di venire a casa mia? Ci sono anche i miei fratelli e potremmo… non lo so… potremo stare lì.»
Non era mai stato bravo a parlare, a dire cose gentili. Quando Mina era caduta sbucciandosi il ginocchio, lui le aveva leccato via il sangue, le aveva portato bacche per stare meglio, ma non aveva mai detto che gli dispiaceva. Era fatto così, non sapeva dire certe cose a voce alta. Il fantasma però, lo stava guardando come se gli avesse appena proposto di bere nettare degli dei. Aveva in viso un sorriso che gli andava da un orecchio all'altro, un brivido luccicante negli occhi verdi.
«Dici davvero?»
«Sì-» provò ad aggiungere il nome, ma si fermò di colpo, ricordandosi che non glielo aveva chiesto. «Come ti chiami?»
Il fantasma sorrise ancora, stavolta più morbidamente. «Izuku*. Izuku Midoriya, tu?»
«Izuku? Ma che nome è? Chi è che chiama il proprio figlio verde?»
Il ragazzo s'imbarazzò. «Mia mamma, be', insomma… le piaceva. Le piacciono le foglie.»
Katsuki scrollò le spalle. «Mi sembri proprio uno scemo. Ti chiamerò Deku. Io sono Katsuki.»
«Deku? Sembra un po' offensivo, Kacchan.»
Il lupetto sgranò gli occhi. «Come mi hai chiamato?!»
«Kacchan. Non è così che ti chiami?»
Scosse la testa con vigore. «Io mi chiamo Katsuki. Katsuki Bakugo. Non Kacchan.»
Non gli piaceva il suono dolce di quelle sillabe. Gli pareva miele in bocca. Aveva mangiato miele da piccolo, lo zucchero gli aveva fatto venire mal di pancia e da allora non ne aveva più voluto sapere. Aveva paura che Izuku gli avrebbe fatto lo lo stesso effetto.
«Non chiamarmi così.» disse, abbassando lo sguardo.
«E perché no? Tu mi hai chiamato Deku. Se smetti di farlo anch'io ti chiamerò col tuo nome.» gli disse. Sentiva i suoi grandi occhi addosso. Erano inquietanti, ma carini. «Anche se Kacchan è più bello.»
Il lupo sbuffò. Raccattò la zucca con le mani, facendola strisciare con l'aiuto del petto e della testa. Ignorò il fantasma e si diresse verso la staccionata. Quello lo seguì, affrettandosi a raggiungerlo.
«Hey! Che fai, Kacchan?»
«Non urlare, Deku! Ci sentirà il contadino e dopo saranno ca-»
«Chi va là?» una voce rauca si fece largo tra le foglie. Drizzò le orecchie. Izuku si guardò attorno, spaventato e andò a nascondersi dietro il lupo.
«Andiamo, baka. Aiutami.»
Fecero rotolare la zucca più velocemente. La staccionata aveva fori lunghi, avrebbero potuto farcela passare in mezzo, si misero a scalciare. Katsuki aveva le zampe sudate, il pelo appiccicoso di terra. Izuku il respiro corto, gli occhi schiusi come fari. I passi del contadino erano sempre più vicini, sentivano il suo bastone sbattere contro il terreno. Katsuki tremò. Lasciò andare la zucca e prese Izuku dal polso. Non pensò al fatto che avrebbe potuto acciuffare il nulla. Lo prese e quando sentì la sua pelle fredda, si sorprese. Il suo stupore durò giusto qualche secondo, si riscosse immediatamente, sfrecciò oltre la staccionata tirando con sé Izuku.
Cadde sulla schiena. I rovi lo graffiarono un po', ma quello che lo sorprese di nuovo, fu sentire il peso del ragazzo addosso a sé. Era sempre bianco, pallidissimo da vederci il cielo attraverso, ma pesava. Era freddo, sembrava un corpo vero contro il suo.
Anche Izuku ne era sorpreso.
«Scusami, ti ho fatto male?» gli chiese, massaggiandosi la testa che aveva urtato il suo viso durante la caduta. «È la prima volta che mi succede.» si giustificò.
Katsuki però, non rispose. Lo premette con le zampe contro di sé e gli fece cenno di fare silenzio. Erano tra l'erba alta. Quella zona non veniva falciata dal contadino perché non era sua proprietà. Katsuki lo sapeva. Sentì i passi dell'uomo, il suo bastone che sfiorava l'erba, la strattonava di lato. Tenne Izuku stretto a sé, il fantasma stava trattenendo il respiro.
«Dev'essere stato il vento.» disse, ad un certo punto, l'uomo. «Meglio tornare dentro.»
Altri passi. La suola di quegli stivali di gomma che sfregava contro il terreno erboso. Katsuki sentii il cuore ruggire in petto, si rese conto che sembrava amplificato perché il fantasmino gli stava premuto contro. Quindi anche i fantasmi avevano un cuore? Ripensò alle storie che gli avevano raccontato i suoi fratelli, tutte quelle sciocchezze sul fatto che i fantasmi sono creature mostruose, cattive e violente, ma quell'Izuku sembrava un cucciolo. Un cucciolo di lupo. Katsuki gli leccò istintivamente la guancia. Izuku sobbalzò. Si voltò a guardarlo, ma non disse nulla. Erano così vicini che potevano sentire il respiro dell'uno sulla pelle dell'altro. Katsuki si concentrò sui suoi occhi. Erano grandissimi, di una forma rotonda, quasi come la Luna. Aveva ciglia lunghe ma dritte, il naso piccolissimo, la bocca che sapeva di cioccolata. E quelle piccole, piccole efelidi. Su qualcun altro le avrebbe trovate disgustose, ma su Izuku sembravano completare qualcosa. Era come una mappa quel viso. Un cielo, con le tappe, le stelle, i sentieri. Gli occhi erano due lune piene.
C'era solo la foresta accanto a loro.
Il suo cuore continuava a battere come un tamburo e capì che c'entrava poco la fuga dal contadino. Aveva rischiato la vita mille volte, ma non era mai stato così accaldato. Cacciò la lingua, la fece scorrere sul volto del ragazzino su di lui. Izuku chiuse gli occhi, si lasciò accarezzare.
«Sai di terra.» gli bisbigliò all'orecchio. «E di cioccolato. Quale cazzo di fantasma mangia cioccolata?»
Izuku mise su un'espressione corrucciata. «Non si dicono queste parole.»
Il lupo non nascose un ghigno. Gli piaceva provocarlo, vedere quelle guance gonfiarsi, quella bocca schiudersi. Giocare con Izuku era un altro tipo di divertimento. Non era come con Mina quando andavano a giocare al ruscello e si bagnavano come pulcini, ma neppure come quando faceva la lotta con Eijirou o mangiava bacche con Denki. No, giocare con Izuku era come quando sua madre e suo padre stavano nella cuccia e si scambiavano sguardi e carezze sul viso.
«Stupido Deku, tu vuoi-»
Il tonfo della porta che si chiudeva li fece sobbalzare. Izuku scattò a sedere, Katsuki grugnì. Il contadino doveva essere rientrato.
«Che stavi dicendo, Kacchan?»
«Niente. Rimettiamoci in cammino.»
Izuku provò a ribattere, ma lui si mise in moto e non gli restò che seguirlo. Camminarono tra gli alberi e i cespugli. Se ne stava in silenzio, il cuore che gli batteva ancora fortissimo, la gola secca. Izuku parlottava a voce bassa, biascicando parole sulla sua casa, sul camino caldo, sulla cioccolata, - sì, amava la cioccolata, anche se Katsuki non aveva idea di dove la prendesse - su sua madre. Lo ascoltò in silenzio, facendogli strada. Aveva lasciato la zucca, ma quella sorpresa sarebbe stata decisamente più divertente.
Proseguirono. Sorrise nell'immaginare il viso che avrebbero fatto i suoi fratelli. Izuku stava cianciando riguardo la Luna, le pietre, alcune ciliegie che crescevano solo a Maggio. Immaginò Mina che avrebbe avuto da ridire, ma che una volta accettata la cosa, sarebbe stata felicissima. Immaginò la reazione sorpresa di Denki, quella impaurita di Sero, quella contenta di Eijirou, ma poi arrivarono all'entrata e non ci fu più tempo. Si voltò verso il fantasmino che finalmente aveva chiuso la bocca. Lo stava fissando. Riconobbe un po' di timore nei suoi occhi, sentì il cuore stringersi. Abbozzò un sorrisetto.
«Aspetta qui. Entro prima io e poi-»
«Katsuki-baka! Ma dove diavolo sei-» la voce di lei lo interruppe. Aveva spalancato l'entrata, la luce che proveniva da dentro lo accecò. «Ma che? Oh mamma lupa!»
Cacciò un lungo ululato e si rifugiò ai piedi del fratello. Katsuki sbuffò. Prima che potesse aggiungere altro, Eijioru, Denki e Sero si affacciarono, richiamati dall'ululato di Mina. Sero diede giusto un'occhiata e svenne. Denki dovette sorreggerlo con le zampe corte e il ciuffo biondo a forma di saetta sparato in aria. Eijirou esultò.
«Lo sapevo che ci avresti portato una fantastica sorpresa! Sei il migliore Baku-bro!»
Katsuki sospirò, fece per parlare ma Izuku si fece avanti e Mina rischiò di morire.
«S-scusate, non volevo spaventare nessuno. Katsuki mi ha invitato qui e-»
«Aiuto!»
«Mina!» strillò Katsuki, scrollandosela di dosso. La ragazza gli gettò un'occhiataccia e andò a rifugiarsi tra le braccia di Eijioru. «Ho conosciuto Deku mentre provavo a prendere una zucca. Non è cattivo, non ci farà del male. Ve lo posso assicurare. Vuole solo passare del tempo con noi, è una regola della Bakusquad, no? Entriamo e vi spiego tutto.»
Fare ricorso alle regole della Bakusquad era davvero un bel tiro. Si complimentò con sé stesso per quell'idea. La Bakusquad aveva regole ferree e nessuno si sarebbe sognato di infrangerle, le avevano messe apposta per salvaguardare il loro gruppo.
I ragazzi si fecero da parte e rientrarono tutti dentro. Izuku lo seguì, un po' esitante.
Dentro alla Tana's Dynamight si stava bene. C'era il fuoco acceso, le cucce erano calde e asciutte, il cibo profumava. Katsuki si fiondò sulla zuppa che aveva preparato Eijirou e la bevve tutta. Ne offrì una ciotola a Izuku. Il ragazzo la bevve tutta, seguendo il suo esempio.
«Bene, sediamoci vicino al fuoco.» disse subito dopo, avvicinandosi ai suoi fratelli. Prese posto nella sua cuccetta e gli altri fecero lo stesso. Fece cenno a Izuku di mettersi assieme a lui, il fantasma lo fece ma rischiò di far cadere la sua ciotola mezza piena proprio sul tappeto. Mina sollevò la zampa, aiutandolo. Solo dopo che lo ebbe aiutato sembrò rendersi conto di quello che aveva fatto.
Ritrasse velocemente la mano, ma Izuku sgranò gli occhi, mortificato, abbassò la testa, la ringraziò con enfasi. Il cuore della ragazza si sciolse.
«Scusami, siamo solo un po'… impauriti. Vuoi parlarci di te?»
Gli occhi del fantasma si incendiarono. «Certo!» esclamò, per poi chinare subito la testa. «Ma solo se avete voglia di starmi a sentire.»
«Ma certo Deku-bro!»
«Ehm, in realtà il mio nome è Izuku, però Katsuki-» stava dicendo, ma Eijirou pareva così gentile con quel sorriso sulle labbra che smise. «Grazie.»
«Eijirou ha ragione, raccontaci tutto!» disse Denki, mettendo su il suo solito sorriso radioso. Sero che si era ripreso da poco, si alzò, scusandosi con Izuku. Disse che era solo sorpreso di vedere un fantasma dal vivo.
Prese a parlare. I ragazzi lo interrompevano di tanto in tanto per chiedergli qualcosa, per fare qualche apprezzamento. Izuku sembrava felice. Katsuki l'osservava senza dire nulla. Aveva raccontato ai suoi fratelli del loro incontro, ma aveva tralasciato la parte in cui erano finiti l'uno sull'altro e i loro corpi si erano toccati. Con le fiamme del fuoco sul viso, Izuku sembrava ancora più carino. Non importava che fosse quasi trasparente, trovava il suo viso perfetto. Lo scrutò di sottecchi, e quando lo vedeva ridere per qualche battuta dei suoi fratelli, il suo cuore faceva una capriola.
A un certo punto, Izuku si voltò verso di lui. Gli altri stavano parlando tra di loro.
«Perché mi guardi? Ho qualcosa sul viso?» gli domandò, impacciato. Si passò una delle sue mani grosse sul volto, ma Katsuki non rispose.
«Kacchan?»
«Vuoi restare qui con noi? Festeggiare le feste con noi, essere… uno di noi?»
Gli occhi verdi di Izuku brillarono. «Davvero?»
«Sì.»
«Lo vorrei tanto, Kacchan.» disse e senza rifletterci gli circondò il collo con le braccia. Il muso di Katsuki finì contro la sua spalla, un brivido gli corse lungo la schiena. Ogni volta che si guardava, una scossa gli scuoteva il corpo.
«Allora così sia.»
E da allora ogni Halloween, ogni Natale e altre feste, Izuku le passò riunito alla Tana's Dynamight con quelli che erano diventati i suoi fratelli. E per quanto riguardava Katsuki, be' era un po' di più che un amico. Era il suo Halloween.
*Izuku in giapponese ha tanti significati. Uno di questi è proprio verde.*
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