EN PLEIN AIR
#Racconto scritto per il concorso "Cos'è? Si mangia?" indetto da @HistoricalFictionIT
n. parole: 1497.
Avvolta nel suo abito scuro, Berthe fissava la donna che, identica a lei, la guardava di rimando. Inclinò la testa e lo stesso fece la sconosciuta poi, quando la curiosità fu soddisfatta, Berthé mosse un passo verso di lei, subito ricambiata. A quel punto, avvenne una cosa stranissima.
La sconosciuta si divise in due parti perfettamente uguali che, andando in direzioni opposte, sparirono nel muro. Vedendo ciò, la donna fece un lieve strillo che attirò l'attenzione dei passanti. Mon Dieu, non aveva mai visto niente del genere! Che razza di invenzione era mai quella? Ritornò indietro e l'immagine si ricompose, come se fosse frutto di qualche incantesimo.
-Signorina, si decide a entrare? E 'arrivato il suo turno!- le disse una voce alle sue spalle.
Berthe sussultò e, perplessa, vide una colonna umana che la fissava torva, in attesa che facesse una mossa. Che fare? Quella cosa mobile la spaventava. Sembrava uno specchio ma forse non era così. Si era spezzato a metà e ricomposto più e più volte davanti ai suoi occhi, come vittima di qualche incantesimo.
Nessuna delle fiabe che aveva conosceva, parlava di oggetti simili...cosa diamine era quello?
Incuriosita, decise di entrare dentro, non prima però di aver mormorato qualche preghiera tra sé e sé, per farsi un po'di coraggio. Se Eugene l'avesse vista in quel frangente, avrebbe certamente sorriso della sua paura...o forse no? Una volta dentro, Berthe venne investita da una folata di vento gelido che la fece rabbrividire. Istintivamente si guardò attorno ma non vide alcuna finestra.
-Uff, hanno messo l'aria condizionata troppo bassa.- si lamentò un vecchio, tirandosi su il colletto della camicia.
-Lo fanno per custodire i quadri, papà- gli rispose una donna al suo fianco.
-Puah! Lo dici solo per rabbonirmi ma lo sanno anche i sassi che è tutta una scusa per far guadagnare le multinazionali! Ci scommetto il mio Bourdeaux che stasera avrò un febbrone da cavallo!- disse il vecchio, continuando con una sequela d'imprecazioni che fece arrossire Berthe. Non era avvezza ad un simile linguaggio ma, ora che ci pensava, non era il primo a parlare in quel modo. Molti, in quello strano edificio, si esprimevano così. Aggiustandosi il cameo che portava al petto, provò allora a ripensare a come avesse fatto a trovarsi lì.
Come ogni mattina, si era incamminata nei giardini, alla ricerca di un luogo riparato e poi...poi si era ritrovata su quella strada, davanti a quella che ormai non poteva che definire porta-specchio. Nessuna nebbia improvvisa, nessun passaggio segreto. Si era semplicemente trovata lì, senza alcuna spiegazione.
Forse è un sogno si disse e, con quella spiegazione, cominciò ad addentrarsi nello strano edificio. Tutto era completamente bianco, tranne il verde delle piante ed il blu delle poltroncine presenti. La folla di persone era immensa, mai vista in vita sua.
Sempre più smarrita, scrutava tutte quelle persone dagli abiti più improbabili e bizzarri, parlottare tra loro. Alcuni si davano arie da grandi intenditori. Altri, invece, tenevano in mano degli strani aggeggi rettangolari completamente lisci. Se li allontanavano da sé, come se volessero fissarsi allo specchio e poi facevano strane smorfie. Altri invece parlavano da soli, ora tenendo quelle strane cose, ora guardando attorno.
A Berthe sembravano tutti matti e, per un attimo, si spaventò. Che uno dei suoi detrattori l'avesse condotta con l'inganno in un ospedale psichiatrico? Poi però si dette della sciocca. I manicomi non erano in quel modo, altrimenti li avrebbe riconosciuti subito...eppure non riuscì a persuadersi del tutto, fino a quando non vide appesi al muro delle tele, poste a distanza regolare l'una dall'altra ed accompagnata da una targa.
Di fronte ad esse, se ne stava un uomo dall'aria compita. -Questa, signori, è la sala dedicata all'Impressionismo, uno dei movimenti di maggior spicco della seconda metà dell'Ottocento. L'invenzione della fotografia e l'influsso della cultura giapponese hanno influenzato moltissimo questo tipo di pittura, come potete vedere dalle angolazioni rivoluzionarie con cui gli artisti hanno saputo immortalare il paesaggio. La stanza raccoglie al suo interno tutte le artiste che hanno lasciato un segno importante per il movimento. Alcune erano mogli, sorelle di artisti. Altre hanno posato come modelle.- disse l'uomo- Ed è con grande orgoglio che la fondazione della Banca di Parigi ha deciso di valorizzare questa sezione raccogliendo al suo interno le personalità più famose.-
Berthe sbuffò, per nulla convinta. Certo, un movimento importantissimo! Si ricordava benissimo la ragione per la quale i pittori si chiamavano impressionisti. Era tutto merito di quello spiritoso di Monet il quale, dopo essere stato apostrofato con sufficienza dai dotti dell'accademia, aveva deciso, insieme a Manet, di farsi conoscere con quel nome. La derisione dei critici si sprecava e solo dopo molti anni, qualcuno aveva iniziato a riconoscere in loro del talento. Non certo a lei, ovviamente, né a sua sorella Edma che, dopo qualche anno, aveva deciso di usare le nozioni apprese dal maestro Corot nella tranquillità della propria casa.
Io non mi arrendo si disse Berthe, mentre il malumore cresceva, man mano che i ricordi andavano avanti.
Sicura delle sue capacità, aveva esposto alcune delle sue opere, insieme agli altri ma nessuna era stata venduta. Qualcuno aveva giudicato i suoi quadri un maldestro tentativo d'imitare il celebre Manet e quel pensiero la irritava. Pur riconoscendo il talento del cognato, voleva essere riconosciuta come pittrice ma il suo pennello era generalmente ignorato e tutti glissavano sui suoi quadri all'aria aperta, preferendo le tele di Edouard. Ripensando a questi, non poteva fare a meno di provare un velo di abbattimento. Berthe, siete una pittrice straordinaria al pari di tutti gli altri. Non dovete arrendervi solo per via di qualche rozzo, villano individuo che non capisce la vostra arte. Vedrete che un giorno qualcuno apprezzerà il vostro talento. le andava dicendo.
Berthe si rannicchiò, mentre un nodo si stringeva attorno alla gola. Le veniva da urlare a quel pensiero. Edouard era troppo ottimista...oppure faceva finta di non vedere. I suoi quadri non piacevano e quando ciò succedeva, i pochi ammiratori perdevano subito interesse quando sapevano che erano stati dipinti da una donna. Non di rado, quando si presentava per mostrarsi al pubblico, riceveva parole ingiuriose che scatenavano l'indignazione dei suoi amici artisti. Spesso in quelle occasioni, non erano rare le risse, soprattutto se era presente Emile Zola o Degas.
Più volte li aveva dovuti dissuadere dall'evitare simili scontri ma era quasi impossibile. Emile era un amante della giustizia e considerava oltraggiosa quella situazione. Dégas, invece, non tollerava che la maleducazione e la mancanza di rispetto nei confronti dei suoi colleghi.
Quei ricordi riempivano di mestizia il cuore di Berthe. Aveva l'appoggio degli altri pittori i quali non mancavano di darle nuovi consigli di disegno e pittura. Aveva l'affetto di suo marito e sapeva di poter contare sulla sua famiglia. Malgrado il loro appoggio, le sembrava di essere in gabbia, a volte.
Voleva avere gli stessi riconoscimenti di Claude Monet e di Renoir i quali erano ben noti al di fuori della loro cerchia anche da chi non era appassionato di pittura. Anche il suo nome era noto...ma non sempre in modo benevolo. I pettegolezzi sulla sedicente relazione tra lei e suo cognato Manet non si erano ancora diradati. Edouard era una fonte di continua ispirazione per lei ma non avrebbe mai pensato a lui in modo sconveniente. No, assolutamente no.
La calca di persone, intanto, passava su ogni quadro, conversando tra loro, borbottando ed usando ancora quegli strani aggeggi elettronici. -Come potete vedere, le pennellate riproducono il gioco di luce e viene meno ogni legge della prospettiva.- andava dicendo la guida, sciorinando una serie di dati tecnici che Berthe non riusciva a seguire.
Perché tutte quelle persone? E che bisogno c'era di una simile presentazione? Non era forse una mostra nella quale si sperava di vendere quelle tele? Quando la fiumana di persone si dileguò, pronta per passare in un'altra sala, Berthe si concesse di girare per la stanza. Quadri impressionisti erano appesi alla parete...ma non fu quello a colpire la donna, bensì il fatto che ogni dipinto le sembrasse familiare.
Lo stupore crebbe quando vide il suo nome: Berthe Morisot, pittrice impressionista. Corse allora a vedere ogni tela e riconobbe in ciascuna la sua mano. Quella sala ospitava tutte le sue opere, come se fosse una mostra personale e tutti coloro che avevano visto i suoi quadri non sembravano perplessi né, tantomeno, schifati.
Su ogni volto campeggiava l'ammirazione e quel pensiero emozionò profondamente Berthe che, presa dall'entusiasmo, allungò la mano su una delle sue tele.
Una mostra tutta sua.
Un sala tutta per lei.
L'ammirazione del pubblico.
Il cuore si gonfiò di una gioia incontenibile e, senza riflettere, accorciò la distanza che la separava dal quadro. Fu a quel punto, però, che un suono stridulo e martellante si diffuse intorno, rimbombando nell'aria e Berthe, presa del terrore, fece la sola cosa che poteva fare in quel momento: scappare.
E così si dette alla fuga.
No sia mai che venga arrestata! Si disse, mentre correva verso l'uscita come se avesse qualche mostro alle calcagna.
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