Tutta colpa del caffè

Sapevo fin dall'inizio che quella non sarebbe stata una delle solite passeggiate normali, in cui porto Asky ad innaffiare con la sua calda pipì le foglie rossastre del parco.

Me lo sentivo. Mentre in una mano stringevo il guinzaglio rosso e nell'altra un bicchiere di cartone col mio caldo caffè, che sorseggiavo ogni tanto sia per scaldarmi dal vento autunnale, sia per svegliarmi dal torpore del mattino.

Il parco è ancora deserto. Dopotutto è presto. C'è solo un ragazzo che si sta sbracciando verso la mia direzione.

Non so per quale motivo ma mi inchiodo sul posto e mi affretto a controllare sotto la suola delle scarpe. Magari ho calpestato la cacca di qualche altro quadrupede.

Asky si lagna e comincia a tirare la corda, strattonandomi. Lui non è per nulla contento di quella sosta improvvisa.

«Da quanto tempo...» dice il ragazzo appena mi raggiunge, procurandosi un'occhiata confusa sia da me che dal mio labrador.

«Veramente io non ti conosco» lo correggo, mentre il suo sorriso sparisce, ma una leggera fossetta gli rimane nell'angolo alto della bocca. «Scusami ti ho scambiata per qualcun'altra».

Lo osservo, mentre Asky si affretta ad annusargli le scarpe. I capelli castani, la barba curata, gli occhi neri e profondi, e un insolito tatuaggio a forma di sole sul dorso della mano sinistra. Mi sembra di averlo già visto, ma non è possibile. Forse va di moda.

Devo dire qualcosa. Ci stiamo fissando imbambolati.

Asky mi strattona di nuovo e per poco non vado a sbattere contro quello sconosciuto. Ma mentre mi freno, puntando i piedi per terra, il bicchiere mi sfugge di mano e il suo liquido amarognolo finisce dritto a macchiare il giubbotto di pelle del ragazzo.

«Scusami» dico mortificata, prima di fulminare Asky con uno sguardo che lo fa finalmente sedere e stare calmo.

«Non preoccuparti».

«Te lo pulisco... io...». Io sto facendo una pessima figura. Svelta aggancio il guinzaglio ad una panchina ed estraggo dalla tracolla un fazzoletto con cui mi metto a tamponargli la macchia.

«So che sembra strano. Ma ti ho vista e ho cercato una scusa per venirti a parlare» se ne esce tutto d'un fiato, mettendo la sua mano sulla mia.

«E perché?».

«Beh ecco, ti vedo tutte le mattine attraversare il parco».

La mia mano sembra così piccola avvolta nella sua. La sua pelle mi scalda come fosse un guanto.

Dovremmo presentarci ma nessuno di noi lo fa. «Non voglio sembrare uno stalker. Io mi alleno tutte le mattine». Indica un campetto da basket al limitare del vialetto. «Ti vedo passeggiare col cane e rimango come... incantato». Sceglie con cura le parole. «E non voglio spaventarti ma... ogni volta che ti vedo penso che vorrei fare l'amore con te».

Deglutisco. «Ma se non ci conosciamo nemmeno» constato, disorientata.

«Vero, però potremmo conoscerci. Hai paura che qualcuno che non conosci ti trovi talmente bella?».

«Io non credo nel colpo di fulmine, scusa».

«Eppure hai le mani sul mio petto» sottolinea, facendomi notare quanto ci eravamo avvicinati.

«A causa del caffè» protesto, eppure mi accorgo che nel riflesso dei suoi occhi sto sorridendo e sento che non ho la minima voglia di allontanarmi.

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