Sotto un mare di stelle

«Nigel, non è mozzafiato ogni volta?» mi chiede Rebecca, fissando il cielo stellato che si riflette sul mare di Wolf1061. «Sì, sì» le rispondo incurante, peccato sia velenoso. Dovevamo finire di aggiustare la nave spaziale SomnusIII e lei continuava a bighellonare. Stavo facendo tutto da solo. «Beck» la chiamo «Ti ricordo che dobbiamo terminare il lavoro, altrimenti ce ne restiamo qui». Sto stringendo un bullone con la chiave inglese quando la sento sospirare. Si massaggia le tempie «Quanto sei irritante, ho perso cinque minuti». Scatta una foto dall'oblò con lo smartphone e mi raggiunge.

Trovavo così strano che lei ogni volta si emozionasse con poco, come una bambina. Siamo dei meccanici di navi spaziali, conosciamo le rotte stellari meglio delle nostre tasche, abbiamo viaggiato con i migliori equipaggi ed eravamo stati di passaggio per quella pozza d'acqua su Venere un sacco di volte. Non avremmo dovuto fermarci lì, ma la nave aveva accusato degli strani rumori al motore. Ah, questi nuovi marchingegni. La tecnologia diventava sempre più complicata da riparare.

Ad un certo punto uno scossone mi fa atterrare con le chiappe per terra.

«Beck accidenti! Che cavolo hai toccato?».

Lei mi guarda con occhi sbarrati e scuote la testa. Un altro scossone e lei mi finisce sopra. Ci fissiamo increduli.

Una spia rossa si accende, rimaniamo nel buio spezzato solo da quel bagliore tenue, con l'astronave che trema e sembra voglia attorcigliarsi su di noi. Ci stavano attaccando? Il mio cuore perde un battito. Eppure siamo nello spazio sicuro.

Ci alziamo e cercando di restare in equilibrio, contatto con un citofono interno la sala comandi. Mi risponde la voce di Thomas. «Il bimbo del capitano si è intrufolato nella nave, sta toccando tutti i pulsanti, quel marmocchio dispettoso! Ora lo hanno preso, dovrebbe stabilizzarsi. Puoi mandare su Beck? Lei ci sa fare coi bambini».

Il mio respiro comincia a calmarsi. Nulla di così grave. Riferisco a Rebecca cosa è successo e mentre la luce si riaccende, riprendo ad aggiustare quell'anomalia da solo.

Mi asciugo con la manica della tuta le gocce di sudore che mi colano dalla fronte. Dovrei aver finito. Ammiro il motore, gli ingranaggi che girano perfettamente. Mi sento così soddisfatto.

Sto per avvisare la sala comandi che possiamo ripartire, quando sento un ronzio. Possibile che quel motore fosse così capriccioso? Ma quando mi chino a controllare, capisco che proviene da fuori. Mi avvicinò all'oblò e sbircio quella pozzanghera maleodorante, a causa di alghe aliene. Le stelle sembrano incastonate come bottoni nel tessuto nero. La luce del sole sfavilla, facendo luccicare la superficie liquida... che si muove. Delle onde increspano l'acqua. Aguzzo la vista e sembra che qualcosa di scuro e amorfo stia emergendo. Vedo dei tentacoli. Vedo tante teste che risalgono la costa. Sembrano uomini ricoperti di squame e non hanno un'espressione amichevole.

Il ricevitore quasi mi cade dalle mani. «Partite!» grido nella cornetta  «Ci attaccheranno».

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