Rimani

«Ti prego rimani con me». 

Doveva essere un sussurro, ma la mia voce sfuggì in un grido rubato dalle mie labbra, piegate in una smorfia di disappunto. Una supplica nel mezzo di quei colori vivaci e luci accecanti, mentre vengo trascinato lontano dal banchetto, dai vestiti eleganti, dalla musica.

«Ti prego, resta».

Ora il suono delle mie parole sembra così lontano, come un fantasma che si perde nel vento; fluttuando come uno sbuffo di nuvola che viene portato chissà dove, e mi accorgo di aver soltanto pensato quelle parole. Serrò le labbra, facendo sparire la voglia di gridarle per la biblioteca. Il forte profumo di gelsomino della gonna di mia madre smette di pizzicarmi le narici, mentre continuo a rimanere accovacciato nel baule.

Lei mi ha abbandonato qui, mormorandomi tre ordini: non farti trovare, non fare rumore e non uscire finché non ti formicolano i piedi.

In quel nascondiglio ci sto a malapena. Il mio corpo resta tutto aggrovigliato come un serpente nel suo nido oscuro. L'unica fonte di luce è quella piccola linea tra il coperchio e la parete del baule. Cerco di paragonarla all'orizzonte del mare quando sorge l'alba o arriva il tramonto, alla striscia di acqua che si tinge d'oro dove il cielo riesce a toccarla.

Il mio cuore non smette di battere impazzito. Il mio respiro è pesante. La mia testa è piena di dubbi.

Che cosa sta succedendo? Dov'è mio padre? Perché mia madre aveva quello sguardo preoccupato?

Ogni volta che sento dei passi mi raggomitolo su me stesso, sperando appartengano a mia madre che è tornata indietro a dirmi che va tutto bene.

Invece non è così.

Non so quanto tempo sia passato. Anche se i miei piedi e le mie gambe hanno iniziato a formicolare ho paura di uscire.

Resisto finché l'aria si fa densa dei miei respiri impauriti. Solo allora decido di uscire allo scoperto.

Il castello è avvolto in un silenzio tombale. La cera delle candele nella biblioteca è quasi del tutto consumata. Afferrò un candelabro dorato e mi metto alla ricerca della mia famiglia, ma la mia strada viene subito sbarrata da un corpo, all'entrata dell'arco a volta che conduce agli scaffali di libri e al piccolo atrio dove studio. 

Ojall, il mio maestro, è sul pavimento, con il volto rivolto verso il soffitto, la fronte bagnata dal sudore e gli occhi spalancati, lo sguardo perso nel vuoto. Non sta dormendo. Una macchia rossa si allarga sulla sua tunica azzurra, sotto la folta barba grigia che tanto prendevo in giro, al centro del petto che è fermo come un sasso sulla sponda del fiume.

Che cosa è successo?

Continuo ad avanzare lungo il corridoio e mai come adesso la mia casa assomiglia a un freddo e sporco labirinto. Sui muri ci sono tracce di fuliggine scura e strisce cremisi. Raccolgo una spada, abbandonata proprio come me. L'elsa quasi mi scivola di mano per il peso dell'arma. Mi ero sempre allenato con dei bastoni, mai con spade vere.

La lama è leggermente smussata di lato, come se si fosse abbattuta con violenza contro una corazza molto spessa.

Salgo la scalinata, cercando di non fare troppo rumore, mentre lacrime amare cominciamo a pungermi gli occhi.

So cosa troverò alla sala del trono, eppure devo vedere, devo raggiungerla.

Mi passo la manica sul viso per asciugare la triste consapevolezza che si fa strada nel mio animo.

Il ritmo del mio cuore incalza come un'eco nelle mie orecchie.

La porta è spalancata. Le risate e la musica della festa sono sparite. Alcuni corpi sono distesi, accatastati, come se facessero parte del mobilio, i vestiti rovinati, le pozzanghere di sangue che si seccano tra le pieghe del mosaico sul pavimento. Un arazzo con lo stemma della mia famiglia, un sole blu che sorge dalla punta di una montagna, è stato bruciato per metà.

Comincio a correre per arrivare alla fine del salone, dove si trova il trono di mio padre. Lui non c'è ma la sua corona d'argento è in bilico sugli scalini che conducono al palchetto sopraelevato.

Mi avvicino e posando il candelabro, mi siedo sugli scalini per raccoglierla e stringerla al petto.

Vorrei che mio padre fosse qui.

Vorrei che mia madre fosse rimasta.

Un fruscio mi desta dai miei desideri, alzo lo sguardo mentre le mie dita impaurite volano sulla spada al mio fianco.

Chiunque avesse compiuto quella strage doveva ancora essere al castello.

Forse sono uscito troppo presto dal mio nascondiglio.

Forse ho deluso mia madre e adesso mi troveranno.

I passi si fanno più insistenti, qualcuno sta correndo. Mi sollevo, attento a non far cadere la corona, e all'entrata del grande salone compare mia sorella. Ha ancora il vestito verde scuro del suo compleanno, i capelli neri terribilmente spettinati, gli occhi stanchi e arrossati e il fiatone. Il suo petto si alza e si abbassa, mentre si sostiene con la mano a uno dei battenti della porta.

Abbasso l'arma e urlo frustrato: «Che cosa è successo, Arylind?».

Lei mi guarda come se mi avesse notato solo a causa della mia voce.

«La profezia del traditore si è avverata» sussurra triste: «Sono entrati al castello stanotte».

Arylind è molto più grande di me, ma adesso sembra più piccola e fragile, stretta nelle spalle, spaventata come una preda braccata dai suoi inseguitori. La raggiungo e lei sembra incapace di staccarsi dal legno, ci affonda le unghie sporche. Sta tremando.

«Nostra madre è...» sussulta, ma io comprendo lo stesso.

La sua mano si allunga a sfiorare il bordo della corona che tengo ancora stretta a me.

«Karlen devi tenerla con te» mi dice, trovando un attimo di lucidità: «Questa corona è l'ultimo segno del potere. Se viene perduta sarà perduto tutto quanto. Dobbiamo scappare, il traditore ci cercherà per eliminarci».

Annuisco, anche se ho soltanto undici anni, mai mi sarei aspettato di dover prendere sulle spalle un peso così grande. Nel momento in cui acconsento sento la magia segreta dell'argento scorrere sotto la mia pelle. Arylind mi stringe, schiacciando fra di noi l'ultimo ricordo di nostro padre. Chiudo gli occhi sapendo che avremmo dovuto riconquistarci la nostra casa e dimenticare il dolore del giorno in cui l'avevamo persa.


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Traccia per la prova "Ritorno a casa" della libreria del Cappellaio Matto.

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