O come Orco
Sono cresciuta imparando che in molti casi gli altri non tengono conto dei tuoi desideri. Ritrovarmi quella cupa costruzione grigia davanti agli occhi mi provocò un nodo allo stomaco. Le pareti della mia cella, il luogo in cui ero cresciuta, le mura dell'orfanotrofio.
Se fosse stata "viva" avrei potuto dirle che chi non muore si rivede, ma era solo una rovina.
La fuliggine dell'incendio, che ne aveva mangiato il tetto, incrostava i mattoni. Mi ricordai quando i bambini mi facevano i dispetti, imbrattandomi i vestiti e la pelle di vernice, quando si inventavano bugie per farmi saltare la cena.
«Sei pronta, Rune?» mi chiese Tyra.
No. Non lo ero e lei non sapeva cosa quel posto avesse significato per me. Per lei eravamo soltanto alla periferia di Oslo, in una notte particolarmente fredda, illuminata da strisce dorate e verdi di aurora boreale. Per lei era soltanto l'ennesimo edificio infestato da sgomberare.
Avanzai verso l'entrata. Un'altalena mezza arrugginita cigolava nel cortile.
Il cuore mi batteva così forte.
Tum. Tum. Tum.
Ero un fascio di nervi.
Chi era morto in quell'incendio? Gli spiriti di qualcuno che mi aveva conosciuta mi avrebbero riconosciuto a loro volta? Avrebbero tentato di farmi del male o avrebbero lasciato che io e Tyra li traghettassimo verso l'aldilà?
La luce dell'aurora penetrava dai fori nel tetto.
All'entrata il corridoio si biforcava. Tyra mi ordinò di andare a sinistra, mentre lei sarebbe andata a destra. Non ci volevo andare a sinistra, ricordavo che per di là si trovavano le camere degli orfani, ma avevo la gola secca e non avevo ribattuto.
Salii una scalinata con passi felpati, desiderando di essere corsa dietro a Tyra.
Calmati, Rune. Dannazione.
Scansai le macerie ammassate nel corridoio. Non c'erano più i corpi, erano stati portati via dai vigili del fuoco, ma segni di chiazze annerite disegnavano dove erano stati. Potevo sentire il chiacchiericcio delle loro anime ancora sorprese dalla morte; aleggiava nell'aria insieme alla cenere.
Ero quasi giunta alla mia vecchia stanza, quando notai una porta integra. Conduceva ad uno sgabuzzino dove si tenevano le scope. Ricordavo che lì dentro un bambino più grande mi aveva rubato il mio primo bacio.
Davanti alla porta era abbandonato un pupazzo orribile. Assomigliava agli orchi delle fiabe, di quelli che mangiano i bambini, con grandi occhi neri, zanne e un muso da cinghiale.
Era un giocattolo strano, faceva quasi paura. Lo raccolsi e lo pulii dalla polvere.
L'anta del ripostiglio si aprì da sola e qualcosa mi guardò nel buio.
Sbattei la porta, indietreggiando, ma il demone la scardinò.
«Valchiria» rantolò.
Lasciai cadere il pupazzo per estrarre un sigillo di Salomone, ma la mia paura ingigantì il demone che tirò un pugno alle pareti facendole oscillare.
Il pavimento si crepò e caddi di sotto. Il mio corpo ruzzolò sulla pietra dura e fredda.
L'edificio sembrò accartocciarsi.
Udii un urlo, il mio nome. Era Tyra.
Volevo rialzarmi ma i miei muscoli sembravano farina.
Tossii sangue.
Il pupazzo dell'orco mi guardava con un ghigno divertito sul muso.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top