LA MANO MISTERIOSA 2

ATTENZIONE: per poter capire il racconto è necessario leggere la prima parte scritta e ideata da @MassimoDuepuntozero 

(link nel commento). 

Che ringrazio tanto per tutti i consigli (sopratutto per quello del microonde), visto che ogni personaggio è suo e grazie anche per avermi dato la possibilità di continuare il suo racconto. 

****

Romana

«Mi dispiace molto di usufruire della tua ospitalità anche oggi, Carmen» dissi come sempre a mia cugina. Se c'era qualcosa che proprio non sopportavo era chiedere aiuto agli altri, a meno che non si trattasse del mio adorato Booth.

Questa volta però non avevo avuto scelta.

«No problemo per me» rispondeva lei di rimando, ogni volta, mostrandomi un ampio sorriso. 

«Tanto anche se non mi liberano la casa entro stasera questo fine settimana parto per le vacanze».

«Vacanzo?» mi domandò, aggrottando le sopracciglia scure.

Sbuffai. Mia cugina era tanto gentile ma aveva sempre la testa tra le nuvole. «Sì, te lo avevo detto che sarei rimasta solo qualche giorno, il tempo che levassero quella schifosa infestazione di cimici da casa mia. Pensa che Booth li voleva pure mangiare!». 

«Meow meow». Il gatto si strusciò sulle mie gambe sotto al tavolo. Inclinai prontamente il viso per osservarlo. La sua risposta non mi era piaciuta per niente.

«Booth» lo rimproverai: «Non credo che i cimici facciano bene al tuo stomaco, anche se li trovi deliziosi».

Mia cugina stava versando il caffè in due enormi tazze di porcellana un po' sbeccate, decorate con graziosi fiorellini azzurri. Le mani le tremavano leggermente e qualche goccia si era spanta sulla tovaglia ricamata.

«Sei sicuro che vuoi propria andare? E la storto alla caviglio?». 

Mi ricordai di due giorni fa, quando ero caduta dalle scale mentre uscivo per andare a fare la spesa. Era il minimo che potessi fare per ricambiare la gentilezza di mia cugina. Carmen abitava al quinto piano di un condominio di cinque piani. Avevo messo male il piede ed ero scivolata. (Lo sapevo che dovevo buttare quei mocassini maledetti!).

Sta di fatto che il mio sedere si era ammaccato per tutta una rampa di scale e mi ero fermata soltanto al pianerottolo e poi ero svenuta, o almeno così mi aveva detto Carmen e mi ero svegliata all'ospedale. Dicevano che avevo battuto la testa, ma io mi sentivo bene, forse era l'euforia di poter rivedere di nuovo la pensione Stella ad avermi fatto guarire in un battibaleno. 

Solo a pensare a Misano il mio cuore faceva i salti di gioia e la vista mi si appannava di lacrime.

«Non ti devi preoccupare, sto benissimo». Le sorrisi e mi sporsi a grattare Booth tra le orecchie. 

«Guardo c'è telefilm che ta piace tanto!» cambiò argomento mia cugina, indicando il televisore su cui stava andando in onda un altro episodio di C.S.I. Scena del crimine.

Mi piaceva tanto perché io sono un'illustre antropologa forense.

«Mmmh questa puntata mi sembra di averla già vista» dissi tra me e me. Quella sera stessa avrei fatto i bagagli, Misano mi aspettava, sarei partita il giorno seguente.

****

Il sacchetto con la mano cadde per terra, scivolando dalla presa del poliziotto. Quella mano così calda sembrava proprio come se fosse stata tagliata via da poco. Un rivolo di goccioline di condensa si era già formato sull'involucro in cui l'aveva messa.

Romana sentì il cuore in gola.

«Mi dovete ascoltare... Io volevo davvero farmi soltanto una vacanza, questa pensione era...» riprovò, portando le mani ben in vista.

«Lei non ci deve spiegare un bel niente, l'abbiamo colta con le mani nelle mani» l'interruppe l'agente.

Il collega che lo accompagnava fece un passo per riafferrare il sacco con il pezzo mancante del cuoco, ma cominciò ad afflosciarsi sul pavimento, quasi fosse fatto di gelatina. Tremò mentre un sudore freddo gli imperlava la fronte e sveniva.

L'uomo che puzzava di frittura alzò gli occhi al cielo imprecando, per poi estrarre prontamente un paio di baffi finti dalla tasca dei pantaloni e appiccicarseli sotto al naso. 

«Signore» disse parlando a sé stesso: «Signore sono allergico ai gatti». 

Si tolse i baffi. La colla gli aveva già arrossato la pelle. 

«Ah, Bramanti sei il solito lavativo. Prendi uno strofinaccio, una sedia e tira giù quel gatto, subito!» sbraitò incollerito. «SU - BI - TO!». 

Si rimise i baffi. 

«S... Sss... Sì, Signore!» balbettò, per poi strappare di mano la pistola al suo collega, che ormai era un fantoccio disteso a terra. 

Romana guardò allibita il litigio interiore dell'uomo che evidentemente soffriva di qualche disturbo della personalità. Indietreggiò lentamente verso il bancone dove il cadavere del cuoco era ancora appoggiato. 

Il pazzo lo notò e le puntò contro l'arma.

La donna deglutì e riportò i palmi delicati in vista davanti alla faccia.

Booth soffiò, drizzando la coda, appeso a testa in giù e artigliato al soffitto. 

«Non si muova signorina o farà compagnia al nostro caro chef». 

Romana posò lo sguardo sul cuoco morto e si ricordò che la mano era ancora calda quando l'aveva trovata... Il sangue poi era troppo rosso, sembrava fresco. La giacca bianca lo assorbiva come una spugna. Se fosse morto da tempo il corpo avrebbe dovuto puzzare come Dio comanda, o almeno essere in decomposizione... e se la pensione era fallita da due anni, cosa ci faceva il cuoco lì?

E pensare che lei voleva soltanto farsi una vacanza a Misano.

«Che cosa è davvero successo qui dentro?» domandò, cercando una possibile via di fuga. Ogni mensola e ripiano era carico di vaschette di gelato accuratamente posate una sull'altra come fossero pezzi di un tetris. Il lavandino era coperto da una pila di piatti incrostati, le pentole posate sul pavimento invece erano linde, senza nemmeno un alone.

L'uomo rise, puntando le mani su uno sgabello per aiutarsi a salire e prendere il gatto. «Non sono mica uno stupido, sa? Mentre i cattivi si perdono nella spiegazione del loro piano succede sempre qualcosa che li mette nei guai, quindi non glielo dirò».  

«Aha! Quindi non siete un agente di polizia e non siete qui per arrestarmi». Un pizzico di sollievo si fece strada nell'animo di Romana. 

Booth si mise a correre sul soffitto, mentre Romana adocchiò una via libera per fuggire: la finestra.

«Sta' fermo, o ti sparo!» disse l'uomo al gatto che in tutta risposta gli soffiò ancora. «Bang, bang, bang!» continuò a dire l'uomo, fingendo di sparare.

Romana si sporse verso la finestra mentre Booth distraeva quell'assassino, ma la sua concentrazione fu attirata da un orologio digitale che segnava le 13.26 del giorno ventinove Luglio 2019.

«Impossibile, siamo nel 2017!» farfugliò agitata. Si rivolse al suo aggressore: «Mi scusi ma che giorno è oggi?».

L'uomo le puntò contro la pistola. Il distintivo della polizia brillò sulla sua camicia nera e sudata. «Bang!» disse, mimando uno sparo: «Bang, bang, bang, oggi è lunedì!».

Romana alzò gli occhi al soffitto: «O mio dio, Booth, siamo finiti nel futuro!». 

 ****

Carmen

Me era molto felice che mai cugino Romana fosse venita ad abitare a casa mai. Era successa circa due anni fa. Me era così felice che non voleva più che Romana andasse vai.

«Hanna chiamata sta mattino, hanna detto che casa tua ancora camici, ma stanno lavoranda per sistemare il problemo» dicevo sempre a mai cugina e lei credeva alle mie parola. Lei si fidava di ma.

Io avevo tenuta il calendario di Frato Indovina del 2017 e lo avevo appesa in camero suo e impostato data del televisora, così lei sarebbe rimasta con me per sempra.

Romana aveva perso la senna, ma a me importava che lei fossa qua con ma. Pensava che era un'antropelega firenza, ma non lo era. Lavorava in uno studio dentistica che poi venne chiuso perché lei pensava di essere ancora in ferio.

Aveva presa tutti i camici di mio padro che aveva trovato in soffitto e anche il microscopia e altri arnesa.

Era tutto colpa mio. Io l'avevo spinto giù dalle scale, pensando che lei si rompessa una gambe e rimanesse ancora qualche giorne a casa mio, invece aveva sbattuta la testa e la sua memorio si era fermata alla settimana del primo agosto 2017, quando era venuto a stare a casa mia per l'infestazione di camici e poca prima di partire per la sua vacanzo a Misana.

Avevo capita che se tu le parlavi lei ti ascoltava. Le avevo fatta credere che fossero sempre gli stessi due giorni, e lei era rimasto con ma per due anni, fino a quande lei è partito per quella stupido vacanzo e io non sono riuscito a fermarlo.

Povero Romana. Si arrabbierò con me se scoprissa che io le mentivo.

Dovevo trovare una soluziona. Dovevo seguirlo e riportarlo a casa con ma.

«Romana, sto arrivanda!» urlai, mentre correva in bicicletta noleggiato versa la pensiona Stella.

****

Il finto agente svenuto cominciò a tamburellare le dita sul pavimento, attirando l'attenzione del compare puzzolente e piano piano il suo viso riprese colore. 

Il sacchetto contente la mano mozzata era rimasto a terra davanti a lui. Lo guardò con una smorfia ricordando che soltanto qualche minuto prima aveva dovuto cuocere il moncone al microonde. 

«Ah Bramanti! Per fortuna che c'è lei!» si girò verso di lui, smettendo di agitare le mani verso il gatto color miele. 

«Che cosa è successo?» rantolò, posando i palmi per aiutarsi ad alzarsi. 

«Si muova! Arresti quella donna! È una ladra di mani!». 

«Arrestarla?» chiese confuso. 

«Sì! Chissà cosa voleva farci con la nostra preziosa mano».

Nonostante Romana volesse fuggire da quei due pazzi, la vista di quel poveruomo, confuso, sudato e probabilmente con un grosso bernoccolo in procinto di spuntargli sulla fronte, la fece desistere. Raggiunse il malcapitato e dopo aver frugato nella sua grande borsa che poteva far invidia a Mary Poppins, gli offrì delle caramelle alla liquirizia. 

«Ne prenda una, alieno del futuro». Gli sorrise, posandogli una mano sulla spalla. 

«Ma io vi ho puntato contro una pistola» le ricordò il signor Bramanti. 

Romana sbatté le palpebre due volte: «Essere gentili non fa mai male, magari nel futuro sarò ricordata per questo gesto, un giorno o magari due... O magari... Non è che sono già famosa? Avete mai sentito parlare di me?». 

«L'arresti! L'arresti!» l'interruppe l'uomo che puzzava di frittura e Booth gli soffiò di nuovo. 

Il suo collega e Romana non parvero sentirlo. 

«Mi chiamo Massimo» si presentò, sorridendo a sua volta sotto ai baffi, e nonostante Romana sapeva di poter essere in presenza di due potenziali assassini, afferrò la mano che Massimo le stava porgendo.

***

Signor Bramanti

Adoravo Misano Adriatico. Era un posto calmo e il mare era pulito.

Avevo sempre vissuto lì e non avrei mai pensato di trasferirmi, finché un giorno era arrivato lui! Mario Rossi. Sembrava un nome puramente inventato... Oh, quanto avrei voluto che lo fosse! 

Era un mio vecchio compagno di scuola, bisognoso di aiuto perché era finito in circolo vizioso di droghe che gli avevano fatto perdere il lavoro, la moglie e la sanità mentale.

Il mio animo infinitamente gentile fu la mia rovina. Non solo lo accolsi in casa mia, ma quando mi disse che aveva deciso di coltivare pomodori in soffitta avrei dovuto capire fin da subito che non era vero. 

Insomma... I pomodori non si coltivano in soffitta. Anche la bolletta della luce parlava chiaro. Ma io fui cieco, finché la polizia lo rintracciò, scoprì le piantagioni e tentò di arrestarci. Eravamo scappati in fretta e furia e molte delle mie cose personali le avevo lasciate in una casa dove non potevo più fare ritorno e che avevo costruito con le fatiche di una vita. 

Avevamo trovato rifugio in una vecchia pensione. La pensione Stella, che si trovava a nord di Misano, in una strada fuori mano, e stava lentamente decadendo in rovina dopo la tragica scomparsa dei suoi proprietari: una coppia innamoratissima, la cui figlia era una famosa dentista che si era trasferita altrove. Si vociferava che nel suo studio fossero stati anche Mattarella e papa Francesco per varie pulizie dentali, per cui non poteva continuare la loro attività turistica. 

Gli impiegati più affezionati avevano provato a prenderne le redini, e all'inizio sembrava andare tutto a gonfie vele ma lì dentro accadevano fatti strani e inspiegabili, così finì per essere dimenticata. Dopotutto Misano voleva mantenere la sua facciata di paesetto banale e tranquillo, altrimenti le famiglie non sarebbero più andate in vacanza sulle sue spiagge. 

Avevamo trovato il corpo di un cuoco dentro un congelatore, nascosto sotto a diverse confezioni di pesce da friggere, e molte valigie ed effetti personali di ospiti lasciati a marcire nelle stanze al piano di sopra. Come se tutti fossero scappati all'improvviso o fossero spariti. 

C'era di tutto: collezioni di francobolli, libri, vecchie riviste, gioielli, denaro, mutande e vestiti di tutti i tipi, costumi da bagno, giocattoli, persino due divise da poliziotto. 

Del cuoco non sapevo nulla. Non ne aveva parlato nessun giornale della sua scomparsa, mi ero documentato a fondo. L'unica cosa che poteva essermi utile era un tatuaggio sul suo polpaccio con scritto "Carmen". Doveva aver sofferto molto dal momento che gli era stata mozzata una mano e me ne chiedevo il perché. 

La mia vita era cambiata per sempre e molto probabilmente sarei invecchiato nascosto tra quelle mura insieme a Mario. Preferivo non pensarci, quindi mi interrogavo sul cuoco.

Perché era senza mano? Una distrazione a lavoro? Una scommessa? Un omicidio? 

Ogni ipotesi mi tartassava. 

«Mettila nel microonde» sussurrò quel giorno Mario, mentre la spostavo per prendere una confezione di fritto misto da scongelare e cuocere. 

«Perché?» mi accigliai. 

«Come perché? Magari la facciamo al forno, sono stanco di frittura». 

«Non ti lascerò mangiare un cadavere». 

«Ma tanto a lui non serve più!» indicò il cuoco morto che avevamo appoggiato al bancone della cucina. 

Sospirai. Era un inferno. Misano era diventata l'inferno. La mia voglia di non lasciare la città nonostante quello che era accaduto mi aveva fatto diventare prigioniero di quella pensione. Sarei morto a Misano. Lì dentro.

«Dai, dai, dai, ti prego» disse Mario e non potei dirgli di no, altrimenti mi avrebbe rotto le scatole per tutto il giorno. 

Sarei morto a Misano, ma almeno sarei morto felice. Feci un bel respiro. I cadaveri pur sempre mi stomacavano, e anche se quel cuoco era un pretesto per non cedere alla noia, chiusi gli occhi e misi quel pezzo di carne ben conservata nel microonde, sperando che Mario non se la mangiasse sul serio. 

Ma quando andai in bagno e dopo un poco feci ritorno nella cucina, la mano non era più lì e anche Mario era sparito. Decisi di non cercarlo per risparmiarmi la scena. 

Pensai più volte di andare alla polizia per far mettere Mario dietro le sbarre e sperare di non essere accusato come suo complice. Ma avevo paura, l'erba era pur sempre in casa mia.  E Mario era pur sempre mio amico e so che avrei convissuto con i sensi di colpa se lo avessi consegnato alla legge. 

Se non altro Mario almeno era pulito da due anni, visto che nella pensione avevamo trovato di tutto, ma neanche un grammo di droga. 

****

«Al diavolo! Bang!». 

Il dito di Mario finì per sbaglio sul grilletto della pistola e siccome non era una pistola finta, ma vera, il rumore dello sparo riempì la cucina della pensione. Rimbombò sulle pareti, sulle pentole, facendo tintinnare i bicchieri e i mestoli appesi ai ganci. 

Il cuore di Romana perse un battito, un rivolo di sudore le colò lungo il collo e accanto a lei percepì anche quel finto poliziotto irrigidirsi. Il colpo le mozzò il respiro.

Il proiettile si conficcò nel muro poco sopra l'acconciatura raccolta dell'antropologa. 

Booth saltò giù dal soffitto e andò a nascondersi dietro le gambe del cuoco. 

«Sei impazzito?» gridò Romana visibilmente agitata. 

«Non è impazzito. Lui è proprio pazzo» le rispose Massimo. 

«Che cosa dobbiamo fare per fermarlo?». 

«Mi creda ci ho provato e non si può. Bisognerebbe ucciderlo ma io non me la sento». 

Il volto di Bramanti era sbiancato di nuovo. 

Mario si era messo a girovagare per la cucina senza una meta apparente, ballando al ritmo della musichetta pop che proveniva dalla sala principale. Qualcuno doveva aver alzato il volume della radio, perché adesso si sentiva fino a lì.

«Chiamerò la polizia. Quella vera. Io collaboro spesso con loro, vedrà che arriveranno in un minuto». 

Romana aveva cominciato a frugare nella borsa in cerca del telefono Brondi di Carmen che a tutti i costi aveva voluto portasse con sé. 

«No. Non lo faccia» la implorò Massimo prendendole il polso fra le mani tremanti. 

«Non lascerò che questo pazzo uccida me o il mio gatto» gli inveì contro Romana.

«Meow meow».

Mario stava ancora sculettando allegramente con la pistola in mano, quando in cucina entrò una donna grassoccia con degli eleganti boccoli rosso fuoco e un vestito largo a fiori pieno di fronzoli, che la faceva somigliare a una bomboniera. 

«Carmen! Che ci fai qui?». Romana si alzò dal pavimento dove era rannicchiata e balzò al collo della cugina. 

«Io sona venuto a salvarte» le rispose Carmen abbracciandola. «Io devo chiedere scuso a ta».

La donna estrasse dalla sua tracolla un giornale nuovo e lo porse a Romana: «Leggo!». 

Romana aggrottò le sopracciglia e lesse il titolo dell'articolo in prima pagina: "Caldo record anche a Misano. Non mettete ghiaccioli nelle parti intime. È pericoloso!". 

«Carmen...».

«Leggo la dato!». 

«Lunedì.. Ventinove Luglio... Lo so che siamo nel futuro, anche se non so esattamente come è potuto accadere». 

Carmen scosse la testa e le posò le mani sulle spalle. Guardò la cugina negli occhi preparandosi a rivelare tutto quanto. Stava scegliendo le parole giuste quando il suo sguardo si posò sul corpo del cuoco. 

«Alfonsi!» lo chiamò come se potesse risponderle. «Io credeva che ta aveva lasciato me per quello tedesca, credeva che ta scappato in Germanica».

«Lo conosce?» s'informò incuriosito il signor Bramante.

«Lui era mia amanta, prima che nio litigassimo» rispose Carmen portandosi una mano sul cuore, sussultando mentre guardava il suo amato di una vita e il gatto di sua cugina che si strofinava sui risvolti dei suoi pantaloni sale e pepe. «Alfonsi sta dormendo?» chiese anche se sapeva già la risposta, ma la paura o la speranza di sbagliarsi la bloccarono.

«No, lui è morto» le rispose categorico il signor Bramanti: «Anche se non so ancora il motivo».

Romana abbracciò di nuovo sua cugina, i cui occhi si riempivano di lacrime mute. «Non ti preoccupare, scopriremo chi è stato e lo vendicheremo. Per questo ci sono io, Romana l'antropologa forense!».

«Ta non sei un'atropelega firenza!» protestò la cugina con voce sempre più affranta.

Romana in tutta risposta le fece un gran sorriso: «Ma certo che lo sono!». 

Mario sparò un altro colpo di pistola, questa volta verso la finestra che si ruppe in mille pezzi. L'aria salmastra del mare entrò nella cucina e si mescolò all'odore di fritto.

Tutti quanti sussultarono e Booth si aggrappò con gli artigli alla gamba del povero Alfonso, quasi fosse un mobile su cui rifarsi le unghie.

«Dannazione, toglieteli quella pistola!» s'arrabbiò la donna che si credeva un'antropologa. 

«Spero che nessuno abbia sentito il rumore degli spari» disse tra sé e sé Massimo, prima di alzarsi e raggiungere Mario per farlo smettere. Gli tolse l'arma, dicendogli che il fritto di mare era pronto in tavola, e poi si girò verso le due donne: «Signora Romana, dovete scusarci, quando vi abbiamo accolto pensavo che foste...». Non terminò la frase perché implicava rivelare che erano due ricercati, o almeno che lo era Mario.

Romana raccolse il sacchetto dove aveva depositato la mano di Alfonso. «Non vi preoccupate, Massimo. Avete detto fritto di mare? Avevo proprio fame, perché non mangiamo e poi cerchiamo di scoprire il mistero?».

«Penso che sia una buona idea» le rispose l'uomo mettendo la pericolosa pistola all'interno di una pentola vuota e abbandonata.

Carmen si stava asciugando gli occhi con un fazzolettino, sua cugina continuava a rincuorarla con affettuose pacche sulle spalle e nessuno, a parte Booth, si accorse che stranamente era sparita anche l'altra mano del cadavere.

Che fine aveva fatto? Era sicurissimo che prima fosse lì, e anche Massimo poteva confermare che soltanto una mano era stata tagliata al cuoco della pensione Stella.

Un'altra mano, viva e vegeta questa volta, scura come un'ombra, passò in fretta dietro l'angolo del bancone.

Uno scintillio di lama venne riflesso negli occhi felini del gatto che piegò il muso interessato. Booth girò verso la sua padrona e quei rumorosi tizi che lo avevano tanto spaventato, ma per qualche motivo decise di stare zitto. Dopotutto sicuramente la sua antropologa era già abbastanza provata così.

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