Il principe dalle mani morbide
Il vento parlava facendo sbatacchiare fra loro gli esili rami degli alberi.
«Sei dunque tu il principe di cui tutti parlano?» sussurrava.
Principe però non lo ascoltava. Non voleva dargli retta: gli era stato detto che camminare sgretola i pensieri, ma allora come mai lui continuava a tormentarsi?
Al settimo: «Sei dunque tu il principe di cui tutti parlano?» si spazientì, arrendendosi.
«Sì, sono io» rispose stanco al vento.
«E le tue mani sono davvero di seta come dicono?».
Principe non si meravigliò di quella curiosità, dopotutto non era mai stato in quella zona del bosco. Era giunto sin lì con la speranza che scoprire nuove cose lo avrebbe finalmente distratto dai suoi pensieri.
I venti sono girovaghi e pellegrini: non si sa mai se ci debba presentare oppure se abbiano già avuto il piacere di scompigliarti i capelli. Quel vento gli era sconosciuto.
«Certo. Sono il principe dalle mani morbide».
«Mi piacerebbe molto ricevere una tua carezza».
Riceveva quelle richieste tutti i giorni e avrebbe potuto accontentarlo, se solo non fosse stato così gelido. «Sono spiacente: le mie mani sono morbide ma assai delicate, per questo motivo non tolgo mai i guanti quando esco dal castello. Ogni cosa potrebbe ferirmi, o rovinarmi la pelle, anche tu».
«Oh» si stupì il vento: «Ma io non ho intenzione di ferirti».
«Però sei particolarmente freddo oggi. Non voglio rischiare, cerca di metterti nei miei panni».
«Capisco» mormorò dispiaciuto. Si incastrò tra i ramoscelli di biancospino, facendoli ondeggiare come la gonna di una danzatrice. «E se accarezzassi questo ragnetto, quaggiù, sul ramo? Poi lui potrebbe descrivermi la sensazione che ha provato; mi accontenterò di questo e mi terrò a distanza».
Principe si chinò ad osservare la bestiola pelosa. Avrebbe dato soltanto un piccolo tocco, con la punta dell'indice, giusto per non arrecare al vento troppo dispiacere. Si sfilò il guanto destro, ma non appena avvicinò il polpastrello al ragnetto ci ripensò. Lo stava aspettando, fermo sull'intreccio argentato della ragnatela, ricambiando il suo sguardo con quegli occhi neri e acquosi.
«Ha più paura lui di te. Forza! Pensa di accarezzare un gatto» lo incoraggiò il vento.
Principe sfiorò il ragno socchiudendo le palpebre.
«Non lo trovi strano? Ciò che ci fa più paura a volte è molto piccolo, più piccolo di noi».
«L'uomo avrà sempre paura di ciò che non conosce» rispose Principe, rinfilandosi il guanto: «Mascheriamo le paure con le favole quando vorremmo sentirci invincibili... Ti svelo un segreto, ma solo se mi prometti di mantenerlo».
«Al vento piacciono i segreti, siamo ottimi custodi». Gli si avvicinò così tanto che il mantello di Principe si gonfiò. «Ti ascolto».
«Anch'io vorrei avere un potere che non ho. Posso accarezzare questo ragno, i miei sudditi, e renderli felici con il mio tocco, ma non la persona che più desidero».
«E perché?».
«Perché la sua pelle è più gelida di te, più del ghiaccio e della neve. Soltanto un tocco e mi si screpolerebbero le mani, perderei il titolo, la mia fama e l'eredità del mio reame».
«Stai forse parlando della dama Brividì?» lo incalzò.
«Sì. Eravamo fidanzati, finché...» la voce di Principe tremò: «Finché le si è scaldato completamente il cuore e il suo corpo ha iniziato a raffreddarsi».
«Mani fredde e cuore caldo, che terribile sortilegio» commentò il vento e osservò gli occhi di Principe farsi lucidi, le spalle che s'irrigidivano, i pugni che si stringevano impotenti lungo i fianchi. «Forse potresti ancora tentare. Le ferite della carne pur sempre si rimarginano, sono quelle del cuore che non lo fanno».
«Non posso permettermelo» sospirò esausto. Se lo era chiesto più volte: poteva davvero sacrificare tutto? «Ho un dovere verso il mio popolo, un'identità».
Il vento roteò attorno a lui. «E quindi l'hai lasciata andare?».
«Sì, e averla perduta mi tormenta ogni giorno».
«Tu la ami ancora?».
«Sempre» una lacrima gli scivolò lungo guancia, ma fu pronto ad asciugarla con il dorso del guanto in una dolorosa abitudine. «Ma non ha senso amarsi senza potersi toccare».
«Perché ti ostini a ferire il tuo cuore, invece delle tue mani? A volte impariamo ad amare i cambiamenti, così come copriamo le paure con le favole» gli sussurrò il vento.
Seguendo il suo suggerimento, Principe cavalcò fino al castello di Brividì. Un corvo era appollaiato al davanzale della sua stanza quando bussò tre volte, e la porta si spalancò concedendogli di vedere la sua amata.
«Guarda!» stava dicendo, proiettando l'ombra delle sue mani, ammantate di brina, sul muro.
«Non assomigliano a te?». Muoveva le dita come fossero ali. «Tu lo sai perché un corvo è come uno scrittoio?» domandò corrucciata.
«Non saprei» gracchiò il corvo.
«Hmm» si prese il mento fra due dita: «Questo fenomeno è certamente da studiare».
Principe tossicchiò, attirando la sua attenzione. Lei si girò verso di lui inebetito sulla soglia a contemplarla. Gli erano mancati i suoi sguardi.
«Pensavo che mi avessi detto addio».
«Lo pensavo anch'io» mormorò e in pochi passi la raggiunse.
«Non posso essere chi sono, non senza di te» le sussurrò, posando le labbra su quella fronte glaciale: «Non senza il mio rifugio dalla realtà».
«E le tue mani? Principe, non voglio farti questo» lo implorò Brividì, sottraendosi al suo tocco.
La bocca di Principe era già frastagliata da piccole crepe cremisi.
Lui scosse la testa. «Non posso smettere di amarti, e se non posso farlo imparerò ad amare anche le tue mani fredde» le prese le mani con le sue, stringendole. «Mi basta che il tuo cuore sia caldo e vivo. Non preoccuparti, il mio corpo si abituerà».
«Il mio cuore è sempre rimasto con te». Brividì si allungò verso di lui. «Mi sei mancato» sussurrò sulla sua bocca, prima di baciarlo.
Principe non aveva i guanti e quel contatto gli fece male, ma lo avrebbe sopportato pur di amare ancora quel corpo. Avrebbe sopportato di rendere ruvida la sua fragile pelle e smesso di essere il principe dalle mani morbide.
Lo aveva compreso, anche se il suo cuore già lo sapeva.
Gli era soltanto servita la spinta del vento.
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Storia scritta per la prova "Tea Party" della Libreria del Cappellaio Matto.
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