Ossessione.
Stava accadendo di nuovo: il mio corpo che si paralizzava progressivamente nel sonno. Era mostruoso e terrorizzante. Era come un'onda che iniziava dalla punta dei piedi, un formicolio sinistro che montava velocemente infettando ogni singola cellula del mio essere. Nel momento in cui raggiungeva le labbra, tentavo sistematicamente di urlare, ma la bocca si deformava in una smorfia muta e raccapricciante e a quel punto l'altro me usciva.
La cosa orribile è che non avevo potere su questa versione di me, mi guardavo dall'alto, il mio corpo scomposto sulle lenzuola sudate e tutto ciò che potevo fare era volare verso ciò che più anelavo, verso lei, che era la mia ossessione e il mio tormento. Passavo attraverso le pareti dei palazzi senza sforzo, senza neanche dover pensare di farlo; sfrecciavo invisibile tra le strade semi deserte della città. La pioggia non mi bagnava, mi attraversava e d'improvviso, come sempre, mi trovavo lì a osservarla dormire. Sapevo che era sbagliato, ma a niente serviva chiudere gli occhi, perché vedevo ugualmente come se i miei bulbi oculari fossero dei semplici orpelli. Giuro, tentavo di tornare indietro, ma non potevo. La bestia era più forte della mia razionalità e così notte dopo notte: impotente e pervaso dal disgusto verso me stesso.
Cercavo di convincermi che potessi vegliare, che potessi essere una sorta di angelo oscuro per lei, ma in definitiva in che modo avrei potuto agire - pur volendolo- se non riuscivo a compiere la benché minima azione volontaria?
Ma ecco un raggio di sole, la mia salvezza, la mia croce. Il laccio che mi teneva unito al me addormentato si tese e tornai dolorosamente nel mio corpo.
Fino a notte.
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