泣いちゃダメ
Prompt:ATTENZIONE: Alternate-Universe. La mia canzone ispiratrice è stata "Leia". Una canzone che parla di un pittore solo, che si innamora di una sua opera e la chiama "Leia". La implora di abbracciarlo e coccolarlo perché la realtà gli ha dato solo bugie.
Entrò dall'uscio sbattendo la porta.
Si appoggiò ad essa con un viso pallido e scarno. Guardandosi attorno vide le solite cose: materiale artistico, tele su tele con dipinti meravigliosi, pennelli, tavolozze e stracci ovunque.
Nella mano destra teneva stretto un sacchetto, con dentro il solito sushi take away. Oramai non contava più nemmeno l'alimentazione, contava solo l'arte, l'arte e basta.
Erano anni che conduceva quella apparente misera vita da solo, senza contare sull'appoggio di nessuno. Possedeva soldi, ma non li spendeva, non erano la sua felicità. Non riuscivano a colmare il vuoto, affatto. Ovviamente nemmeno lui sapeva cosa causava questo vuoto e in ogni dipinto tentava di scoprirlo, ma le sue pennellate non volevano rivelargli alcun segreto.
Da un angolino tirò fuori lo sgabello che si impolverava ogni volta che lui lo metteva a posto. Con un fazzoletto pulí la seduta per poi sedersi e gustare i suoi uramaki. Mangiava solo sushi di quel tipo, gli sembravano più facili da addentare e gli toglievano meno tempo che poteva spendere per continuare i suoi dipinti. Addentato anche l'ottavo uramaki, spostó il seggiolino in modo da mettersi davanti alla tela. Restò a fissarla per un bel po', ma quel giorno sembrava proprio non ispirargli nulla. Il bianco della tela restava bianco, non si colorava dopo poco come al solito. Il giovane allora decise di non sforzare ancora gli occhi, non era certo il caso.
Questi ultimi solcati dalle occhiaie lo obbligarono a distendersi, a riposare, a riposare in un modo in cui non faceva da molto tempo; dormire.
Giunto nel mondo dei sogni, si ricordò il perché non riuscisse a chiudere occhio. Faceva sempre lo stesso identico sogno: una ragazza minuta, dai capelli terribilmente lisci e castani, che ricadevano sul suo corpo ricoperto solo di luce. Dei fiori si diramavano tra le sue splendide curve, mentre lei lo guardava senza imbarazzo. Lo guardava sorridendo, un sorriso quasi angelico. Anzi, decisamente angelico.
Tutto ciò lo faceva tremare, perché non era abituato ad una vista del genere, o a provare una tale sensazione di calore. Ma con sua sorpresa il momento non era né perverso, né a luci rosse. Era dolce, innocente e tenero nella sua luce fioca che auto-produceva.
Yato volle avvicinarsi. Volle toccare con mano ciò che i suoi sogni bramavano, ma il tatto non sentì nulla di consistente.
Sentì il suo battito accelerato, il sudore sulla pelle, il respiro che mancava...era di nuovo sveglio. Un qualcosa nella sua testa gli ordinò di alzarsi e andare a guardare quella tela bianca.
Ma la tela non era più bianca.
Era diventata color cremisi, e gocciolava ancora. Ma chi aveva fatto questo lavoro?
Annusando l'aria notò che la vernice fresca sulla tela non emetteva il solito odore pungente. Prelevandone un po' con il dito per poi assaporarlo si accorse di una terribile, terribile verità.
Era sangue.
Ma chi potrebbe mai essersi infiltrato nel suo appartamento solo per dipingere quella distesa di sangue?
Passarono i giorni. Ogni volta che Yato si addormentava per poi risvegliarsi, una nuova pennellata compariva sul dipinto. Delle pennellate strane, inutili, senza un senso. Sembravano sempre molto gocciolanti, ma non erano bagnate. Forse erano opera dell'autore?
Ma d'un tratto, quella mattina di primavera, il disegno apparve chiaro.
Era la ragazza dei suoi sogni, i suoi occhi color ametista erano inconfondibili.
Ma cosa voleva significare? Perché il pittore voleva dare quell'effetto "gocciolante"?
Di colpo gli venne un lampo di genio. Corse a prendere la fiamma ossidrica, e così facendo sciolse tutta la tempera.
Sulla tela comparve un messaggio.
"I loved you"
Io ti ho amato.
E davanti allo sguardo incredulo del pittore dagli occhi cerulei, si materializzò colei che lui uccise con la sua indifferenza durante gli anni di adolescenza. Era una presenza incorporea, ma lui riusciva a vederla comunque.
«...Io invece, ti amo ancora» sussurró lui, riservandole quello splendido sorriso che mai nessuno era riuscito a far spuntare.
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