Prova 4 (traccia 4)

Samantha Elizabeth Sanders sembrava una donna perfettamente normale: un' inglese media vicina ai trentacinque anni, non troppo alta, un po' in carne e con un viso pulito incorniciato di lunghi capelli castani e curati acconciati in una crocchia un po' indisciplinata, colorato un po' di rosso sulle gote con un trucco leggero e ravvivato da due profondi occhi grigi. Più normale di così non avrebbe potuto sembrare.

Aveva vissuto tutta la vita a Londra, indossava quasi sempre vestiti semplici e comodi e, come ogni inglese medio e non che si rispetti, aveva una passione smisurata per Doctor Who. Più normale di così non avrebbe davvero potuto sembrare.

Peccato che, Samantha Elizabeth Sanders, non rientrasse nemmeno lontanamente nello standard di quella che i comuni inglesi avrebbero definito normalità.

Non che a lei dispiacesse comunque, anzi: fu con una certa soddisfazione (e con una tazza di tea accompagnata da una generosa dose di biscotti al cacao) che la sera del 22 Dicembre del  2009 si sedette nella poltrona al centro del salotto nel suo piccolo appartamento del West End e sintonizzò il televisore su BBC News, un sorriso decisamente appagato stampato sul volto.

La luce colorata diffusa dallo schermo illuminava fiocamente i mobili vecchi e leggermente impolverati sparsi per la stanza, mentre il servizio iniziava.

Una ragazza bionda vestita di un tailleur azzurrino apparve nell'inquadratura, seduta dietro un bancone con un'espressione seria stampata sul viso ricoperto dal pesante trucco di scena.

-Buonasera a tutti, gentili telespettatori.- esordì la ragazza con il classico tono affettato dei giornalisti televisivi -Sono Cassie Watson, e vi do il benvenuto a questa edizione speciale del notiziario serale di BBC News.-

Samantha sospirò soddisfatta e si accomodò meglio sulla vecchia poltrona, avvolgendo le dita attorno alla tazza di porcellana dipinta come una cabina telefonica blu, e prese un sorso di tea.

Era il suo tea preferito, il Lady Grey aromatizzato all'arancia amara, e lo sorseggiò lentamente, godendosi ogni singola goccia mentre la giovane giornalista sullo schermo cominciava a parlare dell'efferato omicidio avvenuto il giorno prima in un vicolo nelle vicinanze di Hyde Park.

La vittima si chiamava Suzanne Bourdon e, prima di essere congedata con disonore un  mese addietro con l'accusa di  aver abbandonato dei commilitoni durante una missione e averne così causato la morte, aveva fatto parte dell'U.S. Army con il grado di capitano.

Samantha si ricordava perfettamente di lei: ogni minimo dettaglio. Aveva trentatré anni, era alta un metro e settantotto, pesava sessantuno chili e tre etti, aveva i capelli corti, con un taglio ancora militare e una tinta arancione di pessima qualità che li faceva risaltare in una maniera quasi irritante sul colorito scuro della pelle e degli occhi. Aveva la pelle del viso butterata dalle cicatrici lasciate dall'acne adolescenziale e una corporatura troppo muscolosa per risultare delicata e aggraziata come, a suo parere, un corpo femminile avrebbe dovuto essere, tuttavia riusciva comunque ad apparire piuttosto attraente, forse anche grazie allo sguardo magnetico e al sorriso misterioso che compensavano, oltre che i difetti fisici, una voce dal timbro decisamente strano e vagamente fastidioso.

Girò un paio di volte il cucchiaino all'interno della tazza: illuminato dalla sola luce della televisione, il tea assumeva un colore molto simile a quello degli occhi della Bourdon, e a Samantha sfuggì un sorriso.

Non sapeva perché esattamente avesse scelto proprio quella donna per iniziare: l'aveva intravvista  in un pub, con una birra decisamente troppo calda in mano e una canzone degli Aerosmith decisamente troppo vecchia che le rimbalzava nella testa e non aveva nemmeno la più pallida idea del perché, ma le era piaciuta. Probabilmente aveva soltanto pensato che una sana notte di sesso senza impegno con una sconosciuta (sempre che la sconosciuta in questione fosse lesbica, e a occhio lo era) sarebbe stata un ottima distrazione da quella birra indecente e da quella canzone che continuava a ronzarle nel cervello. Le si era avvicinata con la semplice intenzione di parlarle e cercare di capire se avesse una possibilità, e nel giro di nemmeno mezz'ora si erano ritrovate a pomiciare in un vicolo fuori dal pub. L'idea le era passata per la mente mentre l'ex soldato abbandonava le sue labbra per succhiarle le palpebre chiuse e le sue mani le si infiltravano sotto il piumino.

Gli occhi... Che modo interessante per uccidere... Incredibile che nella sua lunga carriera di medico legale non avesse mai eseguito un'autopsia su qualcuno morto per una qualsiasi ragione legata in qualche modo agli occhi.

Non seppe, almeno non sul momento, cosa le fosse scattato nella testa, ma all'improvviso sentì quasi un bisogno fisico di fare in modo che fosse Suzanne la prima a finire su un tavolo da autopsia con gli occhi strappati via dalle orbite.

Inizialmente aveva allontanato quel pensiero e aveva spinto il bacino contro quello della Bourdon, strusciandosi sui suoi jeans consunti, ma la lingua della donna costantemente sui suoi occhi e sui suoi zigomi aveva continuato a riportarglielo indietro ogni volta che lo aveva spedito a marcire in qualche angolo buio della mente, finché alla fine non aveva ceduto.

Era stato come se qualcosa nella sua testa –non una voce, soltanto qualcosa – avesse detto che doveva farlo: tutto era così noioso... Sarebbe stato più divertente dopo. Quello sarebbe stato diverso.

Le sue mani aveva lasciato i fianchi dell'altra e avevano cominciato a risalire lungo la sua t-shirt, sfiorando i lembi della giacca di pelle e soffermandosi un attimo di troppo sul seno, giusto per non destare sospetti. Quando le sue dita avevano raggiunto le guance di Suzanne, Samantha aveva aperto gli occhi, trovandosi davanti quelli spalancati e lucidi di desiderio dell'altra donna. Le sue unghie, lunghe e laccate di rosso scuro, erano a pochi millimetri dalle ciglia e, con la sua conoscenza dell'anatomia umana, le era bastato un unico movimento deciso per affondare le dita nelle orbite ed estrarre i bulbi oculari. Suzanne era stata troppo sorpresa persino per urlare, ed era morta dissanguata nel giro di pochissimo.

La cosa veramente fastidiosa era stato ripulire la scena subito dopo: Samantha aveva dovuto spogliarla e portarsi via i vestiti ricoperti dalle sue impronte, che aveva bruciato in un campo poche ore dopo, e aveva dovuto sciacquarle la bocca con una bottiglietta d'acqua che aveva in borsa per eliminare le tracce del proprio DNA. Aveva appuntato nella propria testa di non uccidere mai più qualcuno dopo averci pomiciato, prima di andarsene.

Aveva agito indisturbata, prendendosi i proprio tempi, perché era martedì ed erano quasi le tre di notte e in giro non c'era nessuno.

Quello che l'aveva leggermente stupita, a posteriori, era stato il rendersi conto di non sentire assolutamente niente nei confronti di quello che aveva fatto, se non una certa soddisfazione nel vedere la polizia e, come stava dicendo il quel momento la giornalista bionda Scotland Yard (Scotland Yard!), brancolare nel buio.

-Ancora non si conoscono di preciso le circostanze e il movente che hanno spinto l'assassino a uccidere la vittima. Si pensa alle conseguenze di una relazione amorosa finita male, oppure a una vendetta da parte dei familiari dei soldati dell'U.S. Army deceduti un mese fa in Iraq per cause che a quanto pare avrebbero incluso un abbandono nel campo nemico da parte del capitano Bourdon.- disse la giovane donna sullo schermo in tono drammatico -La forze della polizia inglese e Scotland Yard stanno facendo di tutto per arrestare il killer prima che possa colpire ancora, nel frattempo alcuni dei più noti psicologi criminali del paese stanno cooperando per tracciarne un possibile profilo psicolo...-

Samantha spense la tv e posò la tazza-TARDIS sul pavimento, prima di scoppiare a ridere: una vendetta dei familiari dei soldati morti? Ma sul serio? Come minimo, Suzanne era finita a Londra proprio per evitare cose del genere.

Dio, quanto poteva essere stupida la polizia? Se quelle erano le premesse, di sicuro non l' avrebbero mai presa.

Non che a lei interessasse comunque. Che la prendessero o no faceva poca differenza alla fin fine... Ma la vendetta familiare come movente... Era assolutamente ridicolo, persino da parte della polizia.

[***]

Samantha Elizabeth Sanders sembrava una donna perfettamente normale: un' inglese media sulla quarantina, con una brillante carriera da medico legale e un appartamento nella City. I suoi capelli castani cominciavano appena a striarsi di grigio e un paio di occhiali da vista avevano cominciato ad apparire sempre più spesso sul suo naso leggermente spruzzato di lentiggini.

Lavorava con impegno e grande professionalità ed era rispettata e stimata da tutti i suoi colleghi. Più normale di così non avrebbe davvero potuto sembrare.

Peccato che, come si è detto precedentemente, Samantha Elizabeth Sanders fosse tutto meno che normale.

Dovette trattenere un accesso di riso quando, la mattina del 17 Aprile del 2014, si ritrovò a dover eseguire un'autopsia sul corpo di David Eccleston.

Si trattava di un insegnante di lettere di quarantanove anni, bianco, alto un metro e novantatré e con un peso che si aggirava attorno ai novantasette chili.

Il cadavere era ricoperto di lividi e aveva un viso smorto, ancora sfigurato da una smorfia di terrore e con gli occhi azzurro ghiaccio ancora spalancati.

Samantha si chiese perché diavolo avessero ordinato l'autopsia, dato che la causa della morte era piuttosto ovvia. Se anche non fosse stata lei a ucciderlo, avrebbe potuto dire già dopo un unico sguardo che a mandarlo al Creatore era stato lo scalpo: la pelle era stata asportata dal cranio con un precisione chirurgica e, a quanto dicevano i rapporti della polizia, sulla scena del delitto non erano stati rinvenuti né la parte di cuoio capelluto mancante né l'arma del delitto (un bisturi, tanto per la cronaca). In effetti dubitava che qualcuno li avrebbe mai ritrovati, dato che li aveva gettati entrambi nel Tamigi.

Si concesse un sorriso mentre apriva la zip del sacco del cadavere e si mise a compilare le scartoffie di routine fischiettando il tema della sigla di Doctor Who. La radio stava trasmettendo un servizio radiofonico sul Caso dello Scalpo, come i media lo avevano già soprannominato e Samantha lo ascoltò ridacchiando: la polizia brancolava nel buio, esattamente come l'altra volta. Credevano che il movente dell'omicidio fossero i debiti di gioco del povero Dave. Incredibile. Davvero, non l'avrebbero mai presa.

Dopo tutta la fatica che aveva fatto per riuscire a sedare quel bastardo enorme però, tutta quell'incapacità di individuarla da parte della polizia dava una certa soddisfazione.

Adescare quel cretino era stato relativamente semplice: le era bastato fare l'autostop su una strada nella periferia di Londra durante una notte piovosa e, una volta salita in macchina, farsi portare in una palazzina abbandonata, ma in buone condizioni che aveva individuato in una strada abbastanza fuori mano fingendo di abitare lì. Aveva invitato l'uomo di sopra con la scusa di offrirgli un caffè per ringraziarlo e, dopo quasi un quarto d'ora di zuffa durante il quale aveva ringraziato Dio per tutti gli anni di lezioni di Capoeira che si era auto inflitta quando era più giovane, era riuscita a piantargli una siringa di morfina in un braccio e a stenderlo a dovere per poter procedere.

Poi era successo tutto in cinque minuti, e in un attimo si era trovata a ripulire l'appartamento che aveva visto consumarsi il delitto dal sangue. Una volta finito aveva caricato Dave nella sua macchina (non senza una notevole dose di fatica e di imprecazioni piuttosto colorite) e l'aveva portato fino a un campo dall'altra parte di Londra, dove l'aveva abbandonato prima di farsi due chilometri a piedi fino alla fermata della metro.

A differenza della prima volta, aveva pianificato tutto alla perfezione, a eccezione della scelta della vittima che era stata del tutto casuale... e la polizia credeva si trattasse di un regolamento di conti per i presunti debiti di gioco della vittima. Assurdo, davvero assurdo.

Se le cose continuavano così, non l'avrebbero mai presa.

Samantha impugnò il bisturi continuando a fischiettare e cominciò a incidere una lunga linea lungo il torace.

Stava eseguendo un'autopsia su una delle sue stesse vittime: faceva fatica a crederci e non riusciva a decidere se la cosa fosse più ironica o più ridicola. Di sicuro era incredibile.

Tra l'altro, stava eseguendo un'autopsia su una delle sue vittime della quale la causa della morte era del tutto ovvia. Quello era decisamente ridicolo, e se la polizia inglese era tale da ordinare un' idiozia del genere... Be', non che le interessasse, ma non l'avrebbero mai presa.

[***]

Samantha Elizabeth Sanders non sembrava più nemmeno lontanamente una donna normale, quando il 27 ottobre del 2017 apparve davanti al giudice di un tribunale dello Stato del Kansas per omicidio plurimo.

Indossava un tailleur grigio che era appartenuto agli anni d'oro della sua esistenza e che ormai pendeva e floscio e sformato sul suo corpo magro e provato dai lunghi mesi di prigione dai quali veniva. Il suo volto stanco e goffamente truccato dimostrava ben di più dei suoi quarantatré anni e i suoi capelli grigi e cortissimi erano palesemente in disordine, tuttavia un'espressione determinata e dominata da una nota arrogante trovava ancora il coraggio di campeggiare sui suoi scarni lineamenti tipicamente inglesi, illuminando di una strana luce il pallore quasi mortale della sua pelle. Nel complesso dava l'impressione di una condannata a morte ancora convinta di poter dimostrare la propria innocenza.

Peccato che la sua innocenza non fosse nemmeno lontanamente dimostrabile, nemmeno volendolo disperatamente: Samantha era stata incarcerata sei mesi prima per l'omicidio di un'avvocato trentunenne, Vanessa Singer, trovata morta per l'assunzione in dosi pesanti di un veleno estratto da una particolare rana della foresta pluviale.

Ancora non si spiegava esattamente come avessero fatto a incastrarla: evidentemente i poliziotti americani erano più svegli di quelli inglesi, tuttavia non aveva perso tempo e aveva confessato. In fondo che senso aveva negare? Non le era mai interessato di essere presa. Aveva confessato anche l'assassinio di Suzanne Bourdon e di David Eccleston, perché tanto che senso aveva tenere nascosti i suoi trascorsi? L'avrebbero condannata a morte comunque, con ogni probabilità, quindi tanto valeva, no? Tanto a lei mica interessava.

Il processo fu breve e lei si dichiarò colpevole di tutti i crimini che le venivano imputati. Fu condannata a morte per iniezione letale, dato che era l'unico tipo di condanna a morte che fosse legale in Kansas.

Soltanto quando, poche ore dopo, si ritrovò nella propria cella, si concesse di pensare alla sua ultima vittima. Nemmeno si ricordava perché si fosse trasferita negli States: era stato soltanto un anno prima, ma sembrava passata una vita. Si era inserita bene, perché con la sua normalità perfetta e la sua brillante carriera poteva integrarsi praticamente ovunque: aveva trovato lavoro come coroner nel giro di un mese, aveva affittato una casa, aveva fatto amicizia con i vicini durante una di quelle grigliate all'aperto che si vedono sempre nei film e aveva addirittura adottato un gattino nero, che aveva chiamato Mr. Dalek perché i suoi occhioni arancioni sembravano perennemente dire STER-MI-NARE!.

Non aveva idea del perché avesse fatto tutto quello, ma per i primi sei mesi era stata davvero bene. Poi era arrivata Vanessa.

Non aveva idea nemmeno del perché avesse scelto lei. Era  una ragazza normale, figlia dei due anziani che le abitavano di fronte, che si stava buttando nel mondo degli avvocati penalisti. Non aveva un aspetto particolare: la sua statura era perfettamente nella media, aveva normalissimi capelli biondi e occhi scuri protetti da lenti spesse come fondi di bottiglia e non era né particolarmente bella, né particolarmente brutta, antipatica, intelligente o stupida. Era talmente normale che le ricordava se stessa, e forse era per quello che l'aveva scelta e che poi le aveva svuotato una siringa di veleno di Phyllobates Terribilis direttamente nella carotide, mentre erano su un autobus. Probabilmente era stata filmata, ecco come avevano fatto a incastrarla.

Il prete arrivò all'improvviso. Samantha nemmeno se ne accorse, finché non si mise a parlare. La sua concentrazione era diminuita notevolmente stando in carcere.

-Buonasera, figliola.- aveva esordito l'uomo accomodandosi sull'unica sedia della cella, esattamente davanti a lei –Mi è stato detto che hai richiesto la mia presenza.-

-Sì padre, ho intenzione di confessare.-

-Confessare cosa, figliola?-

-Mi chiami Samantha, per favore. Con ogni probabilità sono più vecchia di lei.-

Il giovane sacerdote alzò un sopracciglio: con ogni probabilità non gli capitavano spesso richieste del genere. Poteva avere al massimo trent'anni. Samantha si ritrovò a pensare che era strano che un ragazzo del genere facesse il prete: sebbene non fosse il suo genere, doveva ammettere che era decisamente un bel ragazzo. Alto, capelli scuri e occhi azzurri... Un'espressione gentile... Un sorriso triste.

-D'accordo, Samantha.- disse leggermente interdetto sistemandosi gli occhiali sul ponte del naso –Di cosa avevi bisogno di parlare?-

-Non di quello che ho fatto.- borbottò Samantha stropicciandosi gli occhi –In fondo quello già lo sa, dico bene? Ho chiesto di farla chiamare perché vorrei parlarle dei motivi per cui ho fatto quello che ho fatto.-

-Certo, sono qui per instaurare un collegamento fra te e il Signore. Lui ti ascolterà e ti perdonerà.-

La donna represse un sorriso disilluso: se non l'aveva perdonata l'uomo, figurarsi se l'avrebbe fatto Dio.

-Le è mai capitato, padre, di rendersi conto che il mondo è tutto uguale e che è tutto maledettamente noioso?- cominciò.

Aveva pensato accuratamente a cosa dire e a come dirlo e fu con incredibile facilità che le parole fluirono fuori dalle sue labbra mangiucchiate.

-Certo che no. Il mondo fa parte di ciò che il Signore ha creato, e non è mai monotono o noioso.-

-Lei sa che non è così.- sbuffò Samantha –Il mondo è sbagliato ed è sbagliato tutto allo stesso modo. Lei lo sa cosa vuol dire fare il medico legale per anni e vedere centinaia e centinaia di persone uccise tutte con gli stessi metodi stupidi e noiosi? Questo sgozzato, questo con una pallottola in testa, quella strangolata... Le assicuro che sottoporsi per anni a una cosa simile farebbe crescere il disgusto per  l'esistenza in chiunque.-

-Sei religiosa, Samantha?- chiese il prete, un'ombra di dubbio che gli si insinuava sul viso.

-Questo non è importante padre. Che cosa sa a proposito delle mie malefatte?-

-So che hai ucciso tre persone.-

-Nient'altro?-

-Be'...- borbottò il prete grattandosi la nuca –So che le hai uccise in modi insoliti e che nessuno è ancora riuscito a capire perché tu lo abbia fatto o che cosa le vittime avessero in comune.-

-Che cosa le vittime avessero...- Samantha smise di parlare  e scoppiò a ridere.

Era così ridicolo, diavolo: così ridicolo...

-Sa, è buffo...- biascicò asciugandosi gli occhi –La polizia, gli psicanalisti, tutti quei cretini là fuori che analizzano cadaveri e spulciano la vita di tre idioti morti per trovare un punto di contatto... Non avevano niente in comune padre: assolutamente niente! Nemmeno li conoscevo, a parte l'ultima.-

-E allora perché...?- il ragazzo si agitò sulla sedia, infilando due dita della mano sinistra nel colletto della camicia per allargarlo.

Un prete mancino: questa era bella.

-Perché è tutto talmente noioso... Le vittime non avevano niente in comune. Io avevo bisogno di qualcosa di diverso. Ho bisogno di qualcosa di diverso. Tutto il resto è uguale, e io ho bisogno di cambiare ogni volta o rischio di impazzire. Non capisce?-

Il prete (che si chiamava Peter, per la cronaca) la guardò negli occhi per qualche secondo. Quella donna non rischiava di impazzire: era già completamente pazza. Eppure c'era una certa logica nel suo ragionamento: rifiutava di prendere abitudini perché si annoiava.

-Perché li hai uccisi, se quelle persone non ti avevano fatto nulla? Nemmeno li conoscevi, cosa ti ha fatto pensare che meritassero la morte?- chiese strofinando le mani sudate sul tessuto nero dei pantaloni.

Lo sguardo di quella donna lo metteva a disagio. Lo spaventava, quasi.

-Niente. Lei meglio di me dovrebbe sapere che non spetta all'uomo sulla Terra giudicare, ma a Dio nell'alto dei Cieli.-

Samantha sorrise ironica.

-Ma se non avevi un motivo per farlo, perché l'hai fatto?-

-Non lo so. Impulsi, credo. La prenda come un'ispirazione divina.-

Il prete tacque per un po', poi si alzò e se ne andò. Samantha sorrise tra sé e sé, guardandolo allontanarsi con passo incerto, poi estrasse il chiodo che aveva estratto dal banco degli imputati quella mattina durante il processo.

Lo fissò per alcuni secondi: era lungo circa tre centimetri ed era ricoperto di ruggine. Era appuntito però. Appuntito quanto bastava.

Lo mise in bocca e contò mentalmente fino a quattro prima di inghiottirlo: lei non sarebbe morta in modo banale. E di sicuro non per una maledetta iniezione. Lei non sarebbe morta in modo noioso.








ANGOLINO NERO PER UN'ANIMA NERA
Ovvero
SPAZIO DELLA DISAGIATA CHE HA SCRITTO QUESTA ROBA
Dunque, io mi sto ancora sentendo in colpa per non aver fatto il prompt di Doctor Who, anche perché avevo una bella idea, ma sorvoliamo. Tanto per precisare: no, non sono una serial Killer e questa storia non è autobiografica. Spero che vi sia piaciuta e di riuscire ad arrivare almeno tra i primi tre, in ogni caso ci tengo a dire che è stato un onore e un piacere partecipare a questo concorso, mi sono divertita un sacco.
Comunque vada, alla prossima.
Con affetto,

Cursed_Soldier

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