martina
"Martina, tell me the same things" le disse la professoressa con la voce metallica e spezzata che trasmetteva il computer, e a Martina parve di non capire.
Non voleva ripetere, non voleva parlare e in quei giorni anche respirare le era diventato pesante e la faceva soffrire. Magari era solo un periodo, ma poteva dirlo che era un periodo di merda o i suoi genitori sarebbero venuti a farle la morale perché le parolacce non si dicono, in discoteca non si va e di casa non si scappa? Impossibile, era chiusa a chiave nella sua stanza, non sarebbero venuti o, perlomeno, non di persona. Poi, certamente, c'erano le loro urla scure che scrosciavano fuori dalla bocca e passavano sotto la porta di legno, allagando la sua camera d'insulti e dichiarazioni di delusione nei suoi confronti finché lei non affogava nelle sue stesse lacrime, che poi scomparivano nelle loro parole come quelle occhiaie di merda nascoste sotto l'intruglio arancione che si metteva tutte le mattine prima di accedere a meet.
Ripensandoci, i suoi occhi giallo acido scivolarono velocemente sulle chiazze violacee, ben visibili sulla sua immagine nel monitor. Porca puttana, erano proprio belle, le odiava così tanto. Le odiava perché se fossero state brutte non ci avrebbe pensato due volte a coprirle, proprio come copriva tutto quello che vedeva di brutto in lei...ma no, loro erano belle, bellissime. Erano fatte a regola d'arte, macchie vere sulla sua pelle finta e trattata, colore irregolare su una tela che tentava di essere tutto fuorché del bianco malaticcio che era. L'idea di cancellare l'unica traccia d'amore che potesse portare con sé senza che qualcuno gliela prendesse in un qualsiasi modo non riusciva a contemplarla, le faceva troppo male, poiché esse erano tutta la bellezza che lei non sarebbe mai stata. Rivedendosi così sorridente e calda si accorse di essere andata troppo oltre con la questione, di aver riposto troppo significato in qualcosa che se ne sarebbe andato.
E ancora non spicciava parola.
Poteva sentire gli sguardi dei suoi compagni perforarle l'anima e la paura ribollirle in gola. Udiva un leggero ronzio risuonare nell'aria. Non ci fece caso, era troppo tardi ormai, doveva tornare a rifugiarsi nei pensieri.
Anche attraverso lo schermo percepiva qualcuno odiarla. Perché la odiavano? Non riusciva a capirlo nonostante glielo avessero gridato in faccia in tutti i modi possibili. Era brutta. Cioè, no, non era brutta, ma in confronto al ragazzo con cui stava sì. Aveva i capelli stopposi, era vero. Neanche la sua linea era perfetta, anzi, la pancetta ce l'aveva e le cosce grosse pure. Nonostante quello si ritrovava con una seconda scarsa. Era anche piena di smagliature, anche se quelle le piacevano. Sembrava che canzonarla per quelle cose rallegrasse le giornate degli altri, ma a lei andava bene così. Più la insultavano, più il suo ragazzo la amava. E lei, in tutta onestà, si aggrappava a quell'amore con le unghie e con i denti.
Sì, magari quella era Martina. Poteva darsi che quella fosse Martina. C'erano alte probabilità che la ragazza fosse effettivamente Martina. Ma lei che ne sapeva? Passava così tanto tempo nella sua testa che guardarsi allo specchio la metteva a disagio, le pareva che quel corpo non si adattasse a lei, che fosse il corpo di qualcun altro. Gli voleva molto bene, ma si sentiva in colpa. Magari quei suoi lineamenti delicati erano nati per essere altro, e lei stava rovinando tutto. Si sentiva solo la sua testa, la testa a cui nessuno pensava quando si chiedevano come facesse un ragazzo tanto perfetto ad amarla.
La testa di cui si era privata, sì, anche quello. Alla fine certe cose hanno bisogno di qualcuno senza una testa, lei stessa ne aveva bisogno.
Era cambiata? Sì, boh, forse. Non sapeva neanche se sperarlo o meno.
E comunque se avesse letto prima cos'erano i succhiotti su Wikipedia non se li sarebbe fatti fare. Chissà come stava sua cugina. Poteva darsi che anche i suoi compagni avessero cugini a cui volevano bene? Oppure dei genitori odiosi e l'acqua nel naso. "La brillantina sui capelli è proprio brutta, seriamente, come fa a piacere a qualcuno? Piuttosto preferirei cavalcare una mucca. Com'è cavalcare una chiesa? Esiste un taglio di capelli a forma di chiesa? Santo dio, che figata sarebbe. Aspetta, no, santo il cazzo, che quello è figo, dio no...almeno credo. Non dirò mai queste cose ad anima viva, anche se forse il mio ragazzo le vorrebbe sapere. Gli piace quello che penso, ma non glielo dico più. Boh, sarà che davvero non penso troppo. La musica pensa per me. Sta roba mi piace."
Il tempo pareva fermo, non sentiva nulla se non il ronzio. Si accorse che quella che era un'eternità nei suoi pensieri, fuori da essi era poco più di una manciata di secondi. Era una cosa assolutamente incredibile, una di quelle realizzazioni che ti danno modo di respirare anche se non trovi l'aria, non la vedi e non la puoi toccare, che poi è una cosa che fai sempre e non ti sembra di fare mai.
In questo modo se una persona vivesse di solo pensieri e funzioni base avrebbe modo di vivere in eterno, poiché gli ottant'anni che le spetterebbero verrebbero stirati fino a ricoprire l'infinito e l'essenza si riempirebbe di realizzazioni finché non rimarrebbe neanche il cosmo da esplorare. Una vita dedicata a sé stessi per tutti e ai tutti che non ti notano perché tanto ormai ti sei elevato.
Ma poi? Beh, sì, saresti tu e soltanto tu, ma non basta. Realizzeresti tante di quelle cose senza realizzare te stesso. E allora la testa ti va in pappa, ma se succede a chi chiedi aiuto? Lo spazio infinito te lo dedicheresti tutto e magari in quel momento la tua più fantascientifica realizzazione sarebbe che v'è alla fine un motivo per il quale la vita è un segmento e non una semiretta.
C'era troppo casino nella sua testa, un casino che venne interrotto dalla voce della professoressa.
"Bene, otto" disse lei, sotto lo sguardo confuso di Martina, che si limitò a schiacciare leggermente le sue due labbra carnose tra di loro, sentendo il gloss fare un rumore appiccicaticcio. Non le servì neanche pensare per capire. Aveva imparato tutto a memoria il giorno prima, aveva ripetuto ogni cosa senza sbatter ciglio, alienandosi, nel mentre, nella sua testa, proprio come un automa. Sì, un automa.
Come già detto, alla fine certe cose hanno bisogno di qualcuno senza una testa, e andava benissimo così. Poteva vivere senza una testa, e sarebbe stata sicuramente un esistenza felice, quella. A volte basta rinunciare a qualcosa, magari a sé stessi. Sì, andava bene.
Martina aveva finito la sua interrogazione, si era persa in sé stessa e aveva deciso di voler perdere sé stessa. E, davvero, andava tutto benissimo così.
Non era triste, non era atterrita e non era più lei. Non sapeva chi fosse, non lo aveva mai saputo e se n'era accorta da tempo. Non riconosceva la stanza chiassosa in cui si trovava, non capiva perché fuori piovesse, né perché davanti ai suoi occhi tutto si stesse deformando, arrivando a creare un miscuglio di visi a toppe e di punti di luce troppo bui per ritenersi fari in quella confusione piena di lacrime. Ma era okay.
Basta ricordarsi di respirare.
se è confusionario fatevi due domande
e anche se ho scritto che lo è
o forse è meglio non pensarci e basta?
non saprei
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