crown

Era un giorno estivo.
Mi fa ancora strano quando lo dico, ho sempre desiderato morire in inverno, magari in un giorno di pioggia.
Eppure no, quel giorno era pieno di sole, un sole accecante che ti prende e ti ubriaca dei suoi raggi.
Un sole vivo, vivo e luminoso.

Credo faccia più male morire con il sole, morire quando tutti possono vedere benissimo il tuo viso squarciato, o magari il foro di un proiettile, o ancora il tuo corpo pieno di ematomi.
Credo faccia più male a tutti, al succube della bestia e alla bestia del succube, ai parenti, agli amici, anche agli ipocriti di merda.
Fa sempre brutto vedere il sangue sgorgare dalla bocca di qualcuno che ami.
Devo ammettere, anche se non c'entra niente, che certe volte la follia supera l'amore, e che il carnefice amato dalla vittima ha un fascino particolare, ti fa capire quanto questo mondo sia nelle mani di psicopatici del cazzo che ti pugnalano durante un abbraccio...
Chiedo perdono per le cose che ho detto, a volte mi metto a galleggiare nel mio schifo e divago.

Insomma, era un giorno estivo quello in cui sono morta.
Dovevo semplicemente incontrare il mio migliore amico, come ogni giorno.
Come ogni giorno sarei andata a casa sua e avremmo iniziato a camminare insieme verso la stazione.
Come ogni giorno avremmo fatto sesso nei bagni della stazione, senza coprire i gemiti, dopo saremmo usciti e avremmo preso un gelato.
Era una routine figa, certe cose ti tengono attiva ogni giorno eppure, come tutte le routine, era ripetitiva, così avevo deciso di fare qualcosa di diverso dal solito quel giorno.
Uscii di casa, fuori c'era ancora l'odore della pioggia del giorno prima, l'unica cosa che quel sole non avesse portato via della mia amata tempesta.
Lungo il tragitto schiacciai qualche lumaca, solo quelle che mi capitavano davanti.
Non ero crudele, non sono crudele, semplicemente mi aiuto a vivere senza preoccupazioni.
Trovai Christopher già sotto, così lo salutai con un cenno del capo.
"Presi i preservativi?" gli domandai senza guardarlo
"Sì" mi rispose.
Iniziava a fare ancora più caldo.
Stavo bruciando viva, lui sopportava in silenzio.
Dopo un po' vidi un'altra lumaca e mi fermai a guardarla.
"Hai visto che carina?" iniziai ad accarezzarla, senza che lei potesse fare nulla.
"Bella" mormorò lui, avvicinandosi.
"Vuoi vedere che le faccio?" risi rialzandomi e dando una forte pedata all'esserino, schiacciandolo più e più volte, compiacendomi nel vedere che ormai non era altro che una poltiglia marrone.
"Cogliona del cazzo" mi gridò, girando il viso per non vedere l'animaletto spappolato a terra.
"Senza di me saresti ancora vergine, fai silenzio" gli intimai riprendendo a camminare.
"Ti diverte tanto questa cosa? Sei feccia umana, una poveretta che fa finta di essere diversa, psicopatica" mi derise lui, buttandomi a terra con uno spintone, senza farlo neanche troppo di proposito.
"Sei tu quella che ha più bisogno di me, meglio vergini che soli con la propria malattia mentale, mh? Ed io ho avuto anche pietà, mi sono anche affezionato alle tue tette pensando fossi buona. Ma neanche le tette coprono il cuore di merda che ti ritrovi, sai solo arrenderti e fare la puttana psicopatica, quella senza alcuno scopo nella vita" sputò acido.
Rimanemmo a guardarci per un po'.
Nonostante tutto sorridevo, quasi godendo del suo dominarmi in modo così rude, del suo insultarmi senza pietà. Eppure lui sembrava scioccato dalle cose appena dette, animato di una foga che non voleva riconoscersi.
Non mi voleva fare questo? No, semplicemente lo aveva desiderato per troppo. Tutti desiderano essere, almeno una volta nella vita, dei mostri disumani, ma pare così lontano dall'immaginario di tutti il riuscirci.
"Per quanto te lo sei tenuto dentro?" gli chiesi, restando a terra, stesa, facendogli cenno di mettersi sopra di me.
Ho sempre saputo dei suoi pensieri sul mio conto, tutti più che veri, solo che fin dall'inizio è stato troppo timido, troppo ossessionato dal sesso per dirmeli in faccia.
In fondo all'inizio era uno sfigatello qualunque. All'inizio.
Ora mi ritrovavo davanti a qualcuno per cui la gente avrebbe fatto a gara, davanti a un ragazzo con fascino e simpatia, davanti a un essere migliore di me. Avevo quasi paura di rovinarlo, di trascinarlo nel baratro con me.
La paura si era eclissata da un po', quando avevo capito che era esattamente ciò che volevo.
"Per troppo" sussurrò sedendosi sul mio bacino. Spinsi la sua testa contro la mia, per baciarlo. Lui mi assecondò e lentamente cacciai la pistola da sotto la maglia senza che se ne accorgesse.
Iniziò a muoversi su di me, lussurioso
"Dimmi che mi ami" gli ordinai, ansimando.
"Ti amo"
"Dimmi che mi perdoni" mormorai poi con la voce spezzata, iniziando a piangere, disperata, puntando la pistola alla sua schiena.
Lo stavo per fare, stavo per ucciderlo.
Perché farlo? Lo amo, l'ho amato.
Solo per la consapevolezza che si dimenticherà di me? Che sono un attrezzo? Che è perfetto ma non mio, che non ho possibilità di possederlo? Sì, per quello, per tutte quelle cose. Per il terrore.
Mi guardò negli occhi, immobile, poi spinse il suo petto contro il mio.
Aveva capito. Questo incrementò le mie lacrime.
"Ti perdono" mormorò al mio orecchio, accarezzandomi i capelli, come a rassicurarmi, riportando la sua bocca sulla mia, muovendola, uccidendomi per primo, ma solo dentro, con quella eleganza, quella raffinatezza che aveva guadagnato.
Premetti il grilletto.
Lo sparò si sentì ovunque, il proiettile trapassò lui ed entrò anche in me, come previsto.
Non smisi di piangere sentendo il mio ed il suo sangue mescolarsi, continuando a sparare colpi sempre nello stesso punto, sentendo un dolore lancinante al petto.
Non smisi di piangere quando sentii che non respirava più.
Non smisi di piangere fino all'ultimo, fino a quando non ne ebbi più la forza.
Fino a quando i miei occhi smisero di vedere.
Fino a quando la mia voce smise di uscire.
Fino a quando il mio cuore smise di battere.
E lì, agonizzante, morii, in un semplice giorno estivo.

non so più che dire

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