物の哀れ ~ Mono no aware ~ DaiSuga ~
⚠️Disclaimer⚠️
Questa One Shot contiene un linguaggio scurrile e/o volgare, con la presenza di scene di sesso poco esplicite, per tanto non è andata ai minori.
Ci tenevo a ringraziare x_XXXTENTACION_x per avermi dato modo di riflettere su una coppia con così tanta potenzialità!
È la mia primissima One Shot sulla DaiSuga, ed è solo grazie a te se alla fine questa storia ha visto la luce!
Spero ti piaccia ❤️
Detto questo BUONA LETTURA ❤️
Vi aspetto nei commenti, alla fine della storia!
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~ Daichi x Sugawara ~
物の哀れ
Mono no aware.
Parole: 9484.
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物の哀れ
"Mono no aware" indica un concetto estetico giapponese.
Non ha una vera e propria traduzione letterale, poiché non traduce una frase, bensì cerca di esprimere una sensazione.
La sensazione un po' triste e malinconica che si avverte quando si vive un momento di grande felicità, ma che si sa essere effimero e destinato a concludersi presto.
Indica un grandissimo coinvolgimento emotivo, che potremmo trasporre come pathos.
*
Tokyo è sempre stato il luogo che da bambino non vedevo l'ora di visitare.
Quando partivamo in macchina, con fuori il cielo ancora buio e l'aria fredda di una nottata passata nel silenzio, non stavo nella pelle.
Ero il primo a mettermi sul sedile posteriore della vecchia utilitaria di mio padre, stringendo fortissimo il mio peluche rattoppato.
Disegnavo con le punte delle dita sul vetro del finestrino, ovviamente dopo averci alitato sopra, lasciando che i miei polpastrelli scorressero rapidi su quella condensa, prima che la mamma potesse rimproverarmi.
Fuori era ancora buio, e nonostante i visi dei miei genitori fossero assonnati, io disegnavo sempre il Sole.
Oramai era il mio portafortuna, una sorta di rito di buon auspicio, che ci avrebbe fatti arrivare a Tokyo sani e salvi.
Quando ero piccolo, visitare i miei cugini di Tokyo, partendo dalla periferia di Miyagi, mi sembrava come attraversare l'Oceano.
Sembravano lontanissime le luci della città, e la loro casa, sembrava non arrivare mai.
Così, mentre sonnecchiavo con la testa appoggiata al vetro, immaginavo lo scorrere delle campagne che lentamente lasciavano il posto alla grande Metropoli.
Tokyo è sempre stato un posto magico per me, che mi ammaliava con il suo fascinoso progresso ed il suo radicato folklore.
Si, perché ogni angolo di Tokyo mi sembrava immerso in un fluido di misticismo, di un etereo senso di tradizione e spiritualità.
Ma all'epoca, quando ero solo un bambino, mi lasciavo spaventare dalle storie che i miei cugini mi raccontavano, quando ci riunivamo tutti nello stesso futon.
M'impressionavano quei racconti: di mostri, di demoni, di spiriti maligni e quant'altro; ma nonostante tutto, ero sempre super eccitato quando iniziavano a parlare.
Di notte loro dormivano beati, io restavo con gli occhi sbarrati dal presentimento di incontrare qualcuna delle loro creature.
E così sono cresciuto temendo e rispettando Tokyo.
Innamorato della sua bellezza, rispettando la sua sacralità e guardandomi dalla sua malattia.
È inutile dire che fu impossibile, non ammalarsi di Tokyo.
Le acque erano veleno, l'aria era tossica ed i cuori delle genti erano corrotti e marci.
Se solo avessi saputo che sarei finito così, forse avrei smesso di tornarci.
Forse, avrei intrapreso una strada diversa, che mi avrebbe condotto altrove alla ricerca di una felicità sotto un'altra forma.
Ma la vita è imprevedibile, così come la corrente del vento e mi piega come se fossi un giunco fragile.
Crescendo, mi sono reso conto che avrei voluto aiutarla, la Tokyo dei miei ricordi.
Volevo salvarla e purificarla.
Volevo che tornasse limpida, trasparente come rugiada mattutina, che nonostante abbia il forte odore della pioggia non è altrettanto sporca.
Quando decisi che sarei diventato un poliziotto, credevo fermamente che la legge fosse l'unica in grado di smacchiare l'onta su Tokyo.
Credevo che ce l'avrei fatta, credevo che sarei stato un eroe per tutti quanti: per la mia famiglia, per i miei cugini, per me stesso e per tutta la mia amata Tokyo.
Credevo che, se avessi smesso di aver paura di quelle storie di fantasia, che inventavano i miei cugini, ed avessi afferrato con le mani quei demoni, io avrei potuto esorcizzarli.
E per un periodo è stato anche così.
Ma la realtà è sempre più crudele e spietata, di quella che vediamo nei nostri sogni.
Nella realtà, in quella cupa e opprimente realtà di un monolocale claustrofobico, in un palazzo fatiscente di Tokyo, non c'è spazio per tutto quello che avevi progettato da bambino.
Non c'è una finestra da lasciare aperta per far cambiare l'aria di delusione che aleggia, non c'è spazio nel tuo cassetto per i sogni.
Non c'è nessun luogo che tu possa considerare sacro, quando ti rendi conto che, alla fine, non hai fatto niente di quello che ti dicevi avresti fatto.
Così quelle promesse che avevi fatto, al bambino speranzoso che eri, adesso ti sembrano solo un ammasso di stronzate e fantasticherie senza senso.
Ti senti deluso, dall'adulto che diventi, ma non puoi farci niente, se non imparare a conviverci.
E forse è per questo che piaceri come il fumo e l'alcool sono riservati ai soli maggiorenni,
Perché disillusi ed impoveriti fin dentro allo spirito, hanno bisogno di sentirsi meno vuoti, riempiendosi di vanità e di momenti effimeri.
Si ubriacano, credendo che la loro sete sia di alcool e non di speranza.
Si lasciano andare a tutti quei piaceri carnali, ingannando i loro sensi e chiudendo le porte delle loro coscienze.
Poiché, se quella porta dovesse aprirsi, non ne entrerebbero che sensi di colpa e rimpianti.
E la vita fa già abbastanza schifo senza autocommiserarsi troppo.
In una Tokyo che sento estranea, che sento avermi divorato e che lentamente mi sta sciogliendo nei succhi gastrici della sua società, mi ritrovo a fare la guardia giurata.
Non il poliziotto eroe dei miei sogni.
Non il risolutore ed il santificatore.
Ma un semplice bodyguard che lavora a contratti.
E se qualcuno pensa che questo sia pur sempre un inizio, mi spiace ma si sbaglia di grosso: questo è l'arrivo.
Qui è dove i miei sogni mi hanno condotto, qui è dove sono arrivato da solo con le mie forze e la mia lungimirante sete di Tokyo.
Qui è dove sono approdato.
Questa è la mia meta, la mia prigione e la mia vita da qualche anno a questa parte.
E se qualcuno si sentisse deluso da come siano andate le cose nella mia vita, mi dispiace ammettere che il primo ad essere deluso è quel bambino che aspettava con il cuore in gola di andare a Tokyo.
E per quanto la compassione nei volti dei miei conoscenti, possa farmi rivoltare le budella, niente sarà mai paragonabile alla delusione di quel bambino.
Ma neanche le lacrime del me stesso del tempo, oggi, riescono a pagare l'affitto e a coprire le spese.
Per tanto, per quanto possa essere deludente la realtà al di là dei sogni, è pur sempre ciò che mi mantiene.
Ma oggi, in una sera pungente d'inverno, le cose vanno anche peggio del solito.
Ho litigato con mia madre per telefono, perché non ho il tempo e neanche la voglia di tornare a casa per il mio compleanno.
Che me lo vorrei dimenticare che oggi compio 28 anni.
Vorrei proprio cancellare l'idea che, proprio il giorno di Capodanno, io compia gli anni.
Da piccolo mi dicevano spesso: "Anno nuovo, vita nuova, piccolo Daichi."
E sì, perché compio gli anni nella vigilia tra il nuovo e vecchio anno solare.
Da piccolo ci credevo tantissimo, che il giorno del mio compleanno coincidesse con il Capodanno per una qualche ragione mistica e trascendentale.
Ci credevo davvero, nel conto alla rovescia, nella speranza che il nuovo anno sarebbe stato sorprendentemente migliore rispetto quello precedente.
Che io mi sarei impegnato quanto più possibile, per concretizzare la mia felicità.
Oggi invece, dopo che ho perso l'ennesimo lavoro come guardia giurata di servizio ad un Supermercato aperto h24, mi rendo conto di quanto sia stata stronza la Dea della Fortuna.
Non so cosa abbia fatto per offenderla così profondamente, ma sta di fatto che da quando mi sono diplomato a Miyagi, non ha fatto altro che cercare di sotterrarmi anno dopo anno.
Non cambia niente da allora.
Non vivo un anno tranquillo da allora.
Non mi crogiolo più nell'illusione di "anno nuovo, vita nuova".
La vita non cambia, da anno in anno.
Quella puttana, prostituta del tempo, resta immobile, mentre ti corteggia da piccolo, ti seduce da adolescente e poi ti abbandona da adulto.
Anno nuovo, vita nuova, e sono venuti a mancare due dei miei nonni.
Anno nuovo, vita nuova, e non avevo neanche i soldi per tornare a casa per il loro funerale.
Anno nuovo, vita nuova, e mi hanno sfrattato dal mio vecchio appartamento.
Anno nuovo, vita nuova, ed ho perso il lavoro.
Anno nuovo, vita nuova, ed ho litigato con mia madre per telefono.
Anno nuovo, vita nuova, ed ho un disperato bisogno di soldi se voglio continuare a vivere in quel merdoso appartamento al quarto piano.
Sospiro, mentre mi aggiro come uno zombie appena risorto, per le strade di una Tokyo innevata ed in effervescente movimento.
I preparativi per il Capodanno sono iniziati da settimane, ma è oggi che si respira un'aria più frenetica del solito: tutti sono impegnati nell'acquisto di cibi e dolci- che inevitabilmente finiranno sprecati- di fuochi d'artificio, di bellissimi e pregiati abiti, da sfoggiare per la visita al Tempio.
Io non credo ci andrò al Tempio.
Non ha senso, andare lì per far ridere di me gli Dei ancora una volta.
Che forse è proprio per questo mio atteggiamento, deluso ed amareggiato, che mi hanno preso tutti di mira.
E va bene così, se volete ridere di me, fate pure.
M'infilo senza pensarci troppo, in una traversa qualsiasi, del quartiere di Shinjuku.
Sono venuto qui perché nel mio vagabondaggio, non avevo una meta ben precisa.
Mi ci hanno trascinato i piedi, ed anche la speranza di trovare un part-time qualsiasi.
Sono disposto a stare in giro anche tutta la notte, pur di non tornare a casa e rendermi conto che sono da solo, con il frigo mezzo vuoto e senza uno straccio di lavoro.
E mia madre insisteva per farmi andare a comprare almeno una torta.
È ironico, no?
Più si è piccoli e più si attende con ansia il giorno del proprio compleanno, arrabbiandosi se qualcuno lo dimentica.
Più si cresce e più si vuol far finta di nulla, ringraziando coloro che lo dimenticano e maledicendo sottovoce coloro che lo ricordano.
Sorrido, solo perché ho dimenticato come si piange, nel ricordare la conversazione avuta con lei.
Come se ci fosse qualcosa da dover festeggiare.
Come se ci fosse la voglia, di festeggiare.
Le insegne dei locali notturni sono tutte accese, in particolare sono accese quelle dei locali che offrono di festeggiare il Capodanno.
Le discoteche sono già piene di giovani, che sono venuti ad ascoltare il proprio Dj preferito, mixare pezzi per tutta la notte.
Non sono mai stato in una discoteca.
Sono luoghi angusti, dove la gente si accalca, e dove gli uomini hanno una scusa per palpare le donne senza essere visti.
Non mi sorprende che, annoiato dei miei 28 anni, io sia ancora vergine.
Il sesso è un altro di quei piaceri per adulti svogliati e stressati, che mi sarei concesso anche io, se non avessi avuto la presunzione di trascorrere la mia prima volta con una persona speciale.
Ma quando si è troppo impegnati a raggiungere un sogno irrealizzabile, le persone speciali anche se bussano alla tua porta, tu non le apri.
E forse Yui Michimiya, era proprio una di quelle, se solo quando ero al liceo non fossi stato così cieco da non accorgermi delle sue avances.
Ma ormai, è tardi per pensare anche a lei, che con molta probabilità sarà sposata con un uomo di carriera.
Inizia a fare decisamente freddo, così tanto che il mio cappotto imbottito, sembra essere un sottile velo di cipolla.
I brividi mi s'insinuano fin dentro all'animo, che se ne sta rintanato in un angolo del mio essere.
Improvvisamente sento la necessità di bere del Sakè caldo, per cercare di sentire nuovamente le punte delle mie dita intorpidite.
Che tanto alla fine la torta non l'ho comprata, posso permettermela una bottiglia, vero?
Mentre m'infilo in un locale, senza neanche far caso all'insegna, vengo colto dal pensiero di far sapere a mia madre che alla fine, l'ho festeggiato il mio compleanno:
Con una bottiglia di Sakè economico e non con una torta meringata.
Sono le 22:00 per tanto il locale è ancora semivuoto, in quanto la vera folla arriverà tra circa un'oretta.
Mi faccio largo fino al bancone, dove un ragazzo dai capelli lunghi legati in una coda bassa, e con il viso da teppista, è intento a pulire alcuni bicchieri.
Con un po' di timore, mi schiarisco la voce, prendendo posto ad uno degli sgabelli, e cercando di attirare la sua attenzione.
Nonostante la sua faccia poco raccomandabile, sobbalza non appena sente la mia voce.
La sua fronte s'imperla di sudore e di disagio, per essersi spaventato.
<< B-Buonasera... chiedo scusa, ma il proprietario non è ancora arrivato. Devo chiederle di attendere ancora qualche minuto.>> dice lentamente.
Un primo pensiero, che questo tipo mi stia prendendo per il culo, mi balena in mente.
Dopodiché, mi convinco che mi abbia scambiato semplicemente per qualcun altro.
Provo a mettere su la migliore faccia che mi viene, nel tentativo di dirgli che ho solo voglia di ordinare una bottiglia di Sakè.
<< No, guarda io volevo solo...>> inizio, prima che quel tipo insicuro dietro il bancone, trasalisca ancora.
<< C-chiedo scusa. Il proprietario non mi aveva raccomandato altro di offrire un bicchiere di benvenuto e di buon anno, a chiunque fosse venuto per il lavoro.>>
Non mi da neanche il tempo di realizzare quanto mi abbia appena detto, che inizia a trafficare con delle bottiglie decisamente costose alle sue spalle.
Il mio buon senso mi direbbe di fermarlo subito, di mettere in chiaro che sono solo un semplice e casuale cliente.
Che non sarebbe giusto approfittare di questo inconveniente malinteso.
Però poi mi rendo conto che ha detto lavoro.
E quindi quel bicchiere di, qualsiasi cosa sia, che mi sta porgendo con un sorriso nervoso, lo prendo più che volentieri.
Si tratta di un bicchiere da rum, basso e tozzo, con dentro un liquido ambrato dal forte odore di legno affumicato.
Un gusto avvolgente, che inasprisce la lingua in un primo momento per lasciare poi spazio alle note mellifere, nascoste nel forte retrogusto di alcool.
Il primo sorso, scende giù che ho solamente sentito quanto dolce possa essere il nettare delle api se abbinato all'alcool.
Nel secondo, riscopro l'odore dell'affumicatura, in un'esplosione incontrollabile dentro la mia bocca.
Sarà che ora la bocca sembra anestetizzata dalla forte gradazione alcolica di questo rum, ma ogni nota dell'aroma adesso s'amplifica da sola.
E più è forte l'immagine di legno, più sono dolci le nuances della melassa zuccherina.
Al terzo sorso, sembra quasi che il miele voglia predominare sul sentore di affumicato, e così lo sento più dolce questo sorso rispetto ai precedenti.
È un bicchiere in continuo divenire, come se dentro ci fosse racchiuso tutto l'universo, compatto nelle sue leggi indecifrabili, ma che si schiude solo per me, nelle sue infinte sfaccettature.
Potrei commuovermi, dopo aver assaggiato una tale delizia per il palato e per il cervello.
Potrei non riuscire più a bere neanche una di quelle birre economiche del Kombini, potrei iniziare a mettere da parte i soldi, al solo scopo di tornare qui ogni anno, e regalarmi un bicchiere di questo per il mio compleanno.
Con gli occhi ricolmi di meraviglia, che lasciano trasparire la più sincera emozione di apprezzamento sul mio volto, cerco di rivolgere la parola nuovamente a quel barista dall'aria timida.
Lui sorride cordialmente ed annuisce, ben consapevole della bontà di quel che mi ha offerto.
<< È legno di ciliegio.>> dice una voce calda e gentile alle mie spalle.
Se non avesse indossato un cappotto pesante, che nascondeva un elegante completo nero da uomo, avrei giurato che fosse una donna.
Ma non perché sembrasse femminile nei suoi lineamenti, non perché la sua voce risuonasse come quella di una ragazza.
Semplicemente perché era bello, così bello che sembrava finto.
Così bello che sembrava una creatura uscita da un libro fantasy.
Così bello, che sembrava fatto di vetro, finemente lavorato in mille fregi preziosi, ma estremamente delicato.
E finora ho sempre pensato che una bellezza del genere, in grado di mozzarti il fiato, appartenesse solo alle donne.
Ma lui, nel suo completo scuro di ottima qualità, con i guanti di pelle alle mani, a contrasto con quella sua carnagione lunare e quei suoi fili d'argento in testa, sembrava venire da un altro pianeta.
Uno di quelli lontani, persi nei meandri di un Universo troppo vasto per essere osservato tutto.
Come una Stella brillava, senza sforzarsi di farlo.
Brillava perché poteva farlo.
Risplendeva, in un Cosmo buio, e mi faceva arrivare la sua luce.
Perché uno come lui, con la sua leggiadria, poteva solamente abbagliarlo uno come me.
Che della vita aveva avuto solo le note amare, che si era perso, affogando in un bicchiere di alcool troppo forte per essere mandato giù tutto d'un fiato, senza che mai avesse assaggiato le note dolci del miele.
E lui era il miele.
Lui aveva gli occhi, colore del miele.
Li aveva caldi, grandi, profondi che se avessi potuto tuffarmici dentro l'avrei fatto, ignorando anche la paura di non saper nuotare.
Dolci e tenere, quelle sue iridi geometriche mi stavano divorando.
C'era l'Ape Regina, in quei cunicoli di cera, che lentamente mi stava sigillando in una di quelle celle.
Ad impreziosire ulteriormente quello sguardo, c'era un piccolo e rotondo neo, sotto la guancia destra, che gli dava un'aria ancora più innocente e maestosa al contempo.
Se avessi avuto un briciolo di buon senso, me la sarei data a gambe, per il terrore di finire logoro sotto quel suo sguardo così carezzevole.
Ma ormai ero vittima di un incantesimo che non mi sono accorto stesse per essere scagliato.
Ed io sono troppo grande per credere alla magia, ma se quest'uomo, qui in piedi di fianco a me, mi avesse detto di essere una forma di vita eterna e superiore, io ci avrei creduto senza batter ciglio.
<< Co-come?>> balbetto, dopo qualche minuto passato nella sua più totale contemplazione.
Lui sorride appena, arriccia di poco gli angoli della sua bocca rosea, come se non fossi ancora pronto a vederlo sorridere del tutto.
O forse, come se non ne fossi degno.
Prende posto lentamente, su uno di quegli sgabelli, che solo ora mi rendo conto essere rivestiti di morbida pelle bordeaux.
Il barista, senza bisogno che gli venga detto, serve immediatamente un bicchiere di quel che sto bevendo io, al nuovo arrivato.
Lui lo prende tra le mani, facendomi indugiare ancora un po' su quanto quel bicchiere, e la sua carnagione, sembrino fatti dello stesso materiale.
Non era di un pallido malaticcio.
No, lui era evanescente come un primo candido strato di neve.
Era come fatto di una finissima porcellana, di un qualche tipo di quarzo prezioso.
Così etereo, da darmi la sensazione di essere intoccabile, che qualsiasi cosa di questo mondo avrebbe potuto macchiarlo irrimediabilmente.
Mi riporta alla mente, una sensazione che credevo di aver ormai ingoiato e digerito: la sensazione di quando volevo salvare Tokyo, di quando volevo epurarla.
In realtà adesso, guardando quest'uomo dall'aspetto così puro e immacolato, mi rendo conto che forse aver fallito con il proteggere Tokyo, non sia stato il più grande rammarico della mia vita se mi ha in qualche modo condotto da lui.
Era delicato, anche nel modo in cui faceva roteare il liquido nel bicchiere, tra le lunghe dita affusolate.
Lentamente, se lo avvicina al naso, chiudendo gli occhi ed ispirando.
Io seguo i suoi movimenti in religioso silenzio e rigorosa contemplazione.
<< Quest'affumicatura che senti, è legno di ciliegio.>> ripete nuovamente, mentre si porta il bicchiere alle labbra, inumidendosele appena.
Deglutisco, quando vedo quel liquido ambrato scendere per la sua gola.
Avrebbe potuto essere qualsiasi tipo di legno, che non ci avrei capito un cazzo, ma mi sarei comunque fidato di qualsiasi cosa lui mi avesse detto.
Sono ammaliato.
Sono rapito ed incantato.
E non potrei sentirmi più leggero di così, nello star seduto di questo locale di cui neanche ho letto l'insegna, e nell'avere davanti agli occhi la più bella creatura di tutta Tokyo.
<< Ahm... si, è davvero la cosa più buona che io abbia mai assaggiato.>>
Eccolo nuovamente, che solleva appena gli angoli della sua bocca, nuovamente non ritenendomi degno di vederlo sorridere.
<< Ne sono felice, è un distillato che produce la mia famiglia personalmente, da anni. Ci tengo sempre a servirlo ai miei collaboratori.>>
Se prima questo rum avesse risvegliato in me sensazioni ultra-sensoriali, adesso credo proprio di star per trascendere in un'altra dimensione.
Scuoto leggermente la testa, nel tentativo di svegliarmi dal sogno in cui sono immerso, per rendermi conto che queste persone pensano che sia qui per un lavoro di cui io non ho assolutamente idea.
Potrei aver inconsciamente accettato di trafficare droga.
O armi.
O minorenni.
O tutte e tre le cose assieme.
Ma un uomo del genere potrebbe davvero trafficare della droga, delle armi o delle minorenni?
<< Sono Koshi Sugawara, molto lieto.>> dice, porgendomi una mano guantata.
Io l'afferro con esitazione, per paura di romperlo, di creare una crepa sulla sua superficie perfetta.
O forse, ancora peggio, per la paura di macchiarlo, dello stesso sporco di cui io sono intriso.
<< Daichi Sawamura.>> mi limito a dire.
<< Sawamura, mi rendo conto che la mia richiesta nella notte di Capodanno sia davvero irrispettosa...>> inizia lui.
Le mie guance s'infiammano, mentre prendo subito la parola.
<< Oh no, io sono libero. Liberissimo, in verità.>>
Subito dopo aver parlato, mi vergogno di me stesso per averlo interrotto, così abbasso lo sguardo sul mio bicchiere, mentre mi schiarisco la voce.
<< Beh, non può che giovare alla situazione. Il mio annuncio richiede personale con un minimo d'esperienza. Ma essendo che sei l'unico ad essersi presentato finora, credo che se accetti, andrà bene ugualmente.>>
Si, ma cosa?
Esperienza in cosa?
Accettare cosa?
Inutile dire che mi sento irrimediabilmente stupido, nel chiederglielo, ma ormai...
<< Ecco, si... ma di preciso che cosa dovrei fare?>>
Koshi Sugawara, come se avesse fatto un silente conto alla rovescia da quando è entrato, finalmente mi sorride.
Mi sorride con tutto il viso:
Con quella sua bocca dall'accentuata forma arcuata.
Con il suo naso sottile, che si solleva leggermente all'insù.
Con quei suoi occhi color miele, che scintillano quasi fossero pietre opalescenti.
<< Mi serve una persona in più da mettere alla sicurezza, per stanotte, essendo che ho registrato un'inaspettata quantità di prevendite. Mi ritrovo scoperto di uno dei miei soliti uomini, poiché a sua moglie si sono improvvisamente rotte le acque.
Sono un uomo d'affari, ma davanti la nascita di un
bambino, mi piego anche io alla volontà degli Dei.>>
Qualcosa dentro la mia testa, smette di funzionare.
O forse lavora ad una velocità così elevata che mi sembra di produrre un rumore sordo, di ingranaggi che sferragliano tra di loro.
Non può essere possibile.
Non può star succedendo a me.
Si ad un po' di fortuna, dopo anni passati nella miseria, ma questo è troppo.
Questo è indiscutibilmente troppo, per una persona semplice come me.
Ho paura nel crederci fino in fondo, perché come tutte le cose belle della vita, poi finiscono nel modo più tagico e doloroso possibile.
Così parte, quel sentimento che conosco molto bene, da un punto remoto di me stesso, direttamente dal mio inconscio.
Le spalle diventano pesanti, e cedono sotto il peso della malinconia e della tristezza, di chi ben consapevole che la felicità la vede una volta ogni decennio, ha paura di afferrarla.
E mi rattristo, davanti a questa immensa botta di fortuna, offertami dall'uomo più bello che io abbia mai visto.
Mi rattristo perché, per chi come me è abituato ad avere niente, quando scorge all'orizzonte che gli viene dato qualcosa, ha timore nel prenderlo.
Perché quando non si ha niente, non si rimane scottati, non ci si ferisce e non si sta male.
Perché quando sei abituato all'infelicità ed alla delusione, ogni scorcio di un paesaggio di felicità ti sembra un miraggio.
Sono malinconico e triste, che lo so dentro di me che poi la pagherò cara, questa iniezione di fortuna.
Che lo so che le cose belle sono effimere e destinate ad appassire, proprio come i fiori, come i tramonti.
<< Sawamura, quindi accetti?>> la voce soave di Sugawara mi risolleva nuovamente, piuttosto che restare con i piedi saldi a terra, il suono dolce delle sue corde vocali m'innalza ancora, verso l'irraggiungibile.
E più salgo, più mi farò male quando cadrò.
Ma io, davanti ad un uomo come Sugawara, mi sento indegno anche di essere infelice in un momento di felicità.
E quindi cedo, all'ingannevole scambio tra ciò che posso avere e ciò che posso desiderare.
Cedo, ed accetto, ammaliato da un uomo diabolico, che entro stanotte con molta probabilità mi avrà divorato vivo.
Ci stringiamo la mano e con disinvoltura lui poi, estrae una bustina dal suo cappotto.
<< Un anticipo della paga di stanotte. Il resto lo avrai a serata ultimata, circa verso le 6:00 del mattino. Puoi cenare, se non hai ancora cenato, accomodandoti ad uno dei tavoli che vedi laggiù.>>
Non mi da neanche il tempo di ringraziarlo, che com'è arrivato, leggiadro come una farfalla, se ne va con un altro impalpabile battito d'ali.
Questa storia è talmente assurda che mi vien difficile venirne a capo razionalmente.
Okay, ho la stazza della guardia del corpo, essendo che sono alto 182 cm e peso 79Kg di muscoli e amarezza, ma possibile che non mi abbia chiesto nessuna referenza?
Non mi abbia chiesto, che ne so, del porto d'armi?
Possibile che fosse così disperato, da mettere un qualsiasi ragazzo alto e piazzato al suo servizio, per stanotte?
Mentre la mia pancia brontola, sotto lo sguardo impacciato del barista, mi domando che cosa dovrò fare esattamente.
Non mi ha detto neanche dove devo posizionarmi, se devo controllare dei biglietti d'ingresso... una lista di partecipanti.
Non so davvero nulla di quello che dovrò fare, ma ho comunque accettato ed ho per fino in tasca un anticipo.
Alla fine, dopo aver terminato quell'ottimo bicchiere di rum, ed aver fatto un cenno a quel barista- che ho scoperto chiamarsi Asahi Azumane- ho deciso di approfittare ancora di più di Sugawara, lasciandomi offrire anche la cena.
*
È stata una cena rapida, a base di un piatto pieno di onigiri, di ogni tipo di sapore.
Per quanto sia un piatto dalla semplice preparazione, mi ha fatto lacrimare nuovamente dalla meraviglia, nello scoprire un gusto tanto delizioso quanto delicato, in quei fagottini di riso ripieni.
Preparati con un'accortezza quasi manicale, nascondevano un cuore morbido e succoso, che mi si scioglieva in bocca.
Ed io che al cibo buono non sono abituato, ho mandato i miei complimenti allo chef del locale, un certo Osamu Miya le cui mani di fata mi hanno regalato la miglior cena di compleanno che potessi mai desiderare.
Poco dopo iniziarono ad entrare alcune persone, dai 25 ai 40 anni, tutte abbastanza alte, piazzate ed imponenti.
"Quindi loro sono i miei colleghi della serata."
Per prima cosa, prima ancora di togliersi le loro giacche, andarono a salutare Azumane al bancone da bar, per farsi servire un bicchiere di quel meraviglioso rum affumicato al ciliegio.
Come se fossi tornato al mio primo di giorno delle superiori, mi avvicino impacciatissimo a loro e finendo per salutarli con una voce artificiosa e poco naturale.
"Merda."
Oltre ogni mia cattiva sensazione, si rivelano decisamente molto cordiali, così tanto che mi spiegano anche che ruolo devo andare a coprire.
Un tipo alto, con i capelli neri e con due spalle larghe tre volte le mie, mi dice che il loro collega era solito pattugliare vicino al bar.
Praticamente devo far attenzione che nessuna ragazza venga molestata, che nessun ragazzo venga molestato ma che tutti bevano tranquillamente.
"Beh niente di più semplice."
<< Ti fai un giro, non stare piantonato vicino al bar... cerca di avere sempre un contatto visivo con Asahi. Lui ti avverte se c'è bisogno di te. Se non ti fa nessun cenno, vuol dire che la situazione è tranquilla e quindi magari temporeggi un po'.>> mi spiega un altro ragazzo, con un pizzetto scuro ed i capelli ossigenati.
<<Bene, tutto chiaro. E se dovesse esserci qualche problema... come devo comportarmi?>> chiedo poi, annuendo per tutte le informazioni utili che mi stanno dando.
<< Tu valuti la situazione, se basta che intervieni verbalmente o se c'è bisogno che accompagni qualcuno fuori.
Generalmente la situazione negli altri giorni è tranquilla, ma stanotte è Capodanno... qualcuno potrebbe aver voglia di creare problemi.
Il capo ci dà carta bianca su come e quando intervenire, si fida di noi e del nostro metro di giudizio.>>
Annuisco, cercando di mostrarmi il più professionale possibile.
Loro, dopo aver finito il loro bicchiere di rum andarono a cambiarsi, vestendosi di un'uniforme elegante.
Erano completamente vestiti di nero, con un completo di quelli di buona fattura e non dozzinale come quello che usavo io, quando lavorai nella sicurezza.
Ognuno aveva il proprio nome ricamato sulla parte destra della giacca, con un filo dorato che risaltava vistosamente.
Per un breve momento mi perdo nell'invidiare quei ragazzi: non tanto per il loro completo o per il loro lavoro, ma perché tra di loro c'era un'aria di serenità e non di tensione come mi succedeva negli altri posti di lavoro.
Non c'erano facce scure o infastidite, sembravano tutti molto entusiasti di prendere servizio.
Del resto, lo sarei stato anche io, se avessi potuto lavorare sotto un uomo come Koshi Sugawara.
A proposito di lui, era scomparso dopo il suo arrivo, circa 45 minuti fa, e non l'ho più visto da allora.
Chissà dove abbia il suo ufficio, in un locale così raffinato e grande.
Dopo aver lasciato la mia giacca ed i miei effetti personali, nella stanza sul retro dove vi erano depositate anche quelle di tutti gli altri, nella mia felpa scura e nei miei jeans un po' logori mi ritrovo a prendere servizio anche io.
Il locale era decisamente grande, composto da una prima sala, dove il grande bancone da bar si rifletteva anche sulla parete specchiata difronte. Sulla destra e sulla sinistra si aprivano due grandi aree: quella sulla destra destinata alla consumazione, contava circa una cinquantina di tavoli; mentre quella sulla sinistra una postazione per il Djset e diversi cubi, su cui delle ragazze seminude stavano già iniziando a salire.
La gente si stava riversando, lentamente all'interno, dopo un attento controllo da parte dei miei colleghi.
La musica iniziava a riempire la stanza, fondendosi con l'allegro chiacchiericcio dei clienti.
Tra una mezz'ora ci sarebbe stato il Countdown di Capodanno, sul megaschermo alle spalle della postazione da Dj.
E con esso sarebbe ufficialmente terminato anche il mio ventottesimo giorno di compleanno.
Nonostante il locale fosse veramente grande, Sugawara non mentiva sul numero di coperti che aveva straordinariamente registrato: ci si riusciva a muovere appena, mentre la gente si dimenava urlando esaltata.
Alcuni avevano preso a limonare sui divanetti.
Alcuni in pista da ballo, più che intrecciarsi in passi di danza, sembrava stessero compiendo i preliminari di un rapporto sessuale.
Azumane andava da una parte all'altra del bancone, per cercare di servire il più velocemente possibile la gente che urlava il suo nome.
I nostri sguardi s'incontrarono più di una volta e, nonostante fosse veramente indaffarato, restava comunque ben attento alla clientela difatti non mi segnalò niente.
E quindi mi ritrovo a passeggiare, nella parte sinistra del locale, tra il bancone e le spogliarelliste che a ritmo di musica, tolgono un indumento dopo un altro con fare decisamente provocante e tentatore.
Erano indiscutibilmente delle donne bellissime, che ondeggiavano i loro fianchi in modo davvero paradisiaco.
Se non fossi stato a lavoro, mi sarei sicuramente avvicinato per porgere a quelle meravigliose fanciulle, qualche banconota.
O forse...
È decisamente poco professionale da parte mia, indugiare con gli occhi sulle ballerine e sui loro capezzoli ben visibili.
In ogni caso, nonostante la loro vista non abbia provocato nessuna reazione a livello ormonale, resto sempre vigile, del resto tra poco dovrebbe partire il Countdown.
Ed infatti, lo schermo inizia a lampeggiare, diventando poi bianco e mostrando un enorme 10, fatto da pixel neri.
La gente impazzisce all'improvviso, iniziando ad urlare più forte e spingendosi di più verso la Console.
9
Le ballerine continuano a danzare, nonostante ormai non ci sia più nessuno che le stia guardando.
8
Improvvisamente, in quella calca indistinguibile, le luci stroboscopiche illuminano qualcuno che sta lasciando il palco.
I suoi capelli argentei risplendono, come se fossero stati cosparsi di polvere di diamanti.
Che cosa ci fa lui... li?
Dove sta andando?
7
I miei occhi non possono fare a meno di seguirlo, mentre si fa largo tra la folla senza scomporsi neanche per un attimo.
È vicino... se solo andassi incontro alla sua direzione... io potrei...
Che cosa?
Parlargli?
Con questo casino faccio difficoltà ad ascoltare i miei stessi pensieri, figuriamoci il tono pacato della sua voce.
La verità è che un uomo come me, non ha nulla da spartire con un uomo come lui.
I nostri mondi sono uno all'antipodo dell'altro e mai riusciranno a collidere.
6
Ma è così vicino, credo che stia per passarmi di fianco, così che mi sposto ancora un po' sulla sinistra per incrociare la sua traiettoria.
Ma che cosa sto facendo?
Perché gli sto andando incontro?
È il mio capo, seppur solo per stasera... che cosa mi sta saltando in mente?
5
I nostri occhi s'incontrano, mentre siamo quasi l'uno davanti all'altro senza gente schiamazzante a bloccarci la visuale.
Distogli lo sguardo, idiota.
Non guardarlo così...
Comportati come l'uomo adulto quale sei...
La gola si secca, mentre lo vedo avanzare verso di me, con quel suo sguardo dolce ed inafferrabile, come se si trovasse altrove e non nel bel mezzo di un isterico Countdown di Capodanno.
Smettila.
Smettila di supplicarlo con gli occhi.
Smettila di desiderarlo.
Non fa per te, qualcuno così.
Non sei minimamente attraente, ti sei fatto una doccia fredda stamattina perché volevi risparmiare sulla bolletta dell'acqua calda.
Non hai niente da poter offrire ad un uomo così.
Niente, neanche una patetica forma di corteggiamento.
Lui è un uomo come me... anzi no, pur avendo lo stesso sesso noi non saremo mai sullo stesso piano.
Ne sono consapevole, lo so così dannatamente bene, ma allora perché mi sento sul punto di svenire, mentre i nostri occhi sono in contatto?
Perché?
Perché sta succedendo a me?
Perché sta succedendo ora?
4
Il mio cuore non smette di battermi in petto, sovrastando anche il caos intorno al me.
Improvvisamente, mi sento come se mi fossi appena tuffato in acqua.
L'udito si ovatta e tutto diventa smorzato.
Lui si avvicina a me e nonostante sia più basso, mi guarda dall'alto in basso.
Mi giudica in silenzio, con quei suoi dolcissimi occhi fatti di miele.
È fuoco, quest'uomo è fatto di un fuoco indomabile e vorace, che mi si è appiccato addosso nel momento esatto in cui ho messo piede nel suo locale.
Finirò con il bruciarmi.
Finirò con il morire davanti a lui, carbonizzato, come se fossi un vecchio ceppo di legno.
3
C'è una sola regola da seguire: non distogliere lo sguardo.
Perché temo, che se io adesso guardassi altrove anche solo per un secondo, questa profonda connessione che sento dentro di me, possa svanire.
Che lui possa svanire, esattamente come prima.
Che possa dileguarsi e che alla fine io non riesca più a guardarlo.
Un sentimento di profonda malinconia si espande a macchia d'olio dentro di me, ovvero il dovermi separare da lui dopo stanotte.
Finito il mio dovere in questo locale, io non potrò più rivederlo.
Non ho i soldi per venire ogni sera nel suo locale, nella speranza di incontrarlo, né tanto meno ho la sfacciataggine di chiedere il numero ad uno come lui.
Che per me sarebbe come vincere alla lotteria, avere in rubrica il numero di Sugawara, ma per lui... molto probabilmente la cosa potrebbe rivoltargli lo stomaco.
Potrebbe schifarsi di me, dei pensieri che sto facendo mentre lo guardo.
Si avvicina lentamente a me e mi posa una mano guantata sulla spalla, per farmi abbassare.
Obbedisco immediatamente, rabbrividendo per il suo improvviso tocco.
Le sue labbra sfiorano appena il mio orecchio, quel che basta per mandarmi il cervello in blackout.
2
<< Quando la serata sarà finita, riaccompagnami a casa.>> sussurra.
1
Il mio cuore si ferma, mentre Sugawara sparisce alle mie spalle.
Che cosa ha appena detto?
Riaccompagnarlo a casa?!
0
Il locale esplode in urlo di gioia quando il Countdown termina e sullo schermo compare il nuovo anno.
Mille bigliettini olografici cadono dal cielo, volteggiando sulla folla e facendo brillare tutta la sala.
Io resto immobile, spintonato da chiunque, mentre assaporo ancora mentalmente la sensazione delle sue labbra che sfiorano il mio orecchio.
Una scarica elettrica parte dal mio cervello ed alla velocità della luce raggiunge la mia intimità
Non mi era mai successo di avere un'erezione in pubblico.
Ma s'è per questo, non mi era mai successo neanche di averla a causa di un uomo.
Deglutisco, facendomi largo, fino ad un angolo un po' in penombra.
Devo solo ritrovare un momento la concentrazione e continuare il mio lavoro.
Che figura dell'idiota farei, se qualcuno andasse a riferire a Sugawara che sono andato in tilt?
Che non sono stato neanche in grado di stare in piedi, sorvegliando una parte di locale, come mi era stato detto di fare?
Prendo un profondo respiro e richiudo questi pensieri dietro una porta, che so che presto o tardi, mi toccherà riaprire.
Il resto della nottata, che ormai aveva il pesante sapore di una mattina che stava appena sorgendo, si svolse esattamente come da manuale.
Mi è toccato allontanare un ragazzo troppo ubriaco, che stava infastidendo una ragazza dai capelli corvini e gli occhiali.
La poverina non riusciva neanche a dirgli di allontanarsi, tanto che quel pelato la stesse mettendo in soggezione.
Per il resto, fila tutto liscio.
Tutto fino a quando non ho intravisto gli altri, iniziare a scortare la gente all'ingresso.
"Ma sono solo le 5:00 del mattino... Sugawara mi aveva detto che sarei rimasto al suo servizio fino alle 6:00..."
Ma i preparativi alla chiusura erano così inequivocabili che anche un sempliciotto come me, non poteva sbagliarsi.
Deglutisco rumorosamente, mentre mi dirigo verso il bancone di Azumane, il quale si era già infilato la giacca e stava per andarsene a casa.
Il ragazzo trasalì, quando avvertì la mia presenza alle spalle.
<< S-Sawamura...>> balbetta, stringendosi nelle spalle.
<< Scusami ma... qui si chiude alle 5:00?>> chiedo, cercando di non sembrare troppo stupido.
Lui annuisce, spiegandomi poi che da qui a breve sarebbe arrivata l'impresa di pulizia, e che il nostro lavoro finiva quando iniziava il loro.
Il locale è ormai vuoto, se non fosse per me, Azumane, gli altri ragazzi della sicurezza e, da qualche parte, Sugawara.
Un familiare senso di agitazione torna a bussare al mio cuore: e adesso, che cosa devo fare?
Gli altri, dopo essersi cambiati in abiti più comodi, escono dalla porta principale, salutandomi con la mano e dicendomi che avevo fatto un ottimo lavoro.
Ma era davvero così?
Avevo davvero meritato quel lavoro?
Anche Azumane mi saluta, ma prima che possa andarsene gli afferro il braccio completamente in preda al panico.
<< Azumane... scusami io... cosa devo fare adesso?>> chiedo.
Lui, visibilmente turbato dalla mia stretta, si schiarisce la voce, prima di prendere a parlare con rinnovata esitazione.
<< A-Aspetta il Capo, tra poco scenderà dal suo ufficio e ti pagherà. Poi potrai andare...>>
Faccio appello a tutte le mie forze, per non spiattellargli in faccia che il Capo mi abbia chiesto di riaccompagnarlo a casa.
Annuisco, dopodiché lo lascio andare e gli auguro Buon Anno.
Koshi Sugawara si fa attendere per 15 minuti.
Non che io avessi molto da fare, o non che io avessi altro a cui pensare.
Lo vedo che avanza, mentre l'impresa di pulizia è già all'opera, con passo felpato all'interno della sala.
I suoi capelli ed il suo viso risplendono a contrasto con il suo cappotto scuro.
Dio... è ancora più bello di quando sia arrivato.
O forse io sono solo più stanco.
Che i miei sensi non riescono più a star dietro ad uno come lui.
I nostri sguardi s'incontrano, mentre lui scambia qualche parola con il responsabile della ditta.
Il cuore mi torna in gola, così come il sangue mi scende nuovamente nelle parti basse.
Mi sento in colpa, nel fare pensieri del genere su qualcuno come Koshi Sugawara.
Lui così puro ed immacolato, viene violentemente sporcato e dissacrato dentro la mia testa.
Mi sento in colpa anche nel solo immaginare di passare una mano tra i suoi capelli argentei.
Mi sento in colpa di pensare a quando soffici debbano essere le sue labbra e mi sento terribilmente in colpa, nel pensare a quanto candido e divino possa essere il suo corpo nudo.
Realisticamente un fallito come me non ha nessuna chance con qualcuno come lui.
Anche perché molto probabilmente, Koshi Sugawara è ben conscio dell'effetto che sortisce su noi poveri esseri umani, e quindi penso sia decisamente in grado di sfruttarlo solo a suo vantaggio, in una società marcia come Tokyo.
Ed io, io non sarò mai lontanamente un vantaggio per quest'uomo.
Come potrei del resto?
<< Sawamura, vogliamo andare?>> dice piano, una volta arrivato da me.
Da vicino, mi mozza nuovamente il fiato, quasi fosse la prima volta che lo vedo.
Completamente ammutolito, seguo la sua figura sfilarmi davanti con passo lento seppur determinato.
Sto per morire, andando dritto nella bocca della Balena.
Ma se quella Balena è Koshi Sugawara... allora essere naufrago nelle sue acque è la miglior morte che possa toccarmi.
Intimorito, lo seguo.
Fuori ci investe il gelo del primo giorno di gennaio, nell'oscurità più totale e nel silenzio di una Tokyo che si è ritirata a pregare i suoi Dei dopo averli oltraggiati per un anno intero.
C'è una lussuosa auto nera, parcheggiata poco distante.
<< Guidi, Sawamura?>> mi chiede, senza voltarsi.
<< Si... io... ho la patente da diversi anni.>> dico con difficoltà, sentendomi la lingua improvvisamente troppo pesante per scandire bene le parole.
Lui annuisce e si accomoda sui sedili posteriori.
Mi sistemo al posto guida e aspetto, che mi porga le chiavi, osservandolo con estremo imbarazzo attraverso lo specchietto retrovisore.
<< Oh, è automatica. Non servono le chiavi.>> dice dopo un po', mentre rilassa il collo sui sedili ed inchioda i suoi occhi nei miei.
Mi schiarisco la voce, mentre premo il pulsante d'accensione della macchina, che automaticamente mi rimanda anche al percorso da seguire, tramite uno schermo posto di fianco allo sterzo.
L'auto è silenziosa, fin troppo, così tanto che riesco a sentire uno ad uno tutti i miei pensieri impuri ed i miei dubbi scorrermi senza sosta.
E come se non bastasse, non posso alzare lo sguardo sullo specchietto retrovisore senza trovarci gli occhi di Sugawara.
Ma, date le precarie condizioni mentali e fisiche in cui verso, non è proprio la cosa migliore, continuare a fissarlo.
<< Mi piace la tua guida, Sawamura, è davvero molto rilassante.>> prende parola, dopo qualche minuto passato in un tombale silenzio.
"Grazie al cazzo, questa macchina fa tutto da sola."
Non ho idea di cosa rispondergli, così mi limito ad annuire e basta.
Non passano neanche cinque minuti, che Sugawara richiama la mia attenzione ancora una volta.
<< Sawamura...>>
Sposto velocemente lo sguardo sullo specchietto retrovisore per incontrare i suoi occhi che questa volta, luccicano di una luce più diabolica del solito.
<< Ti piacciono gli uomini?>>
Io tossisco, arrossendo ed imbarazzandomi come un liceale.
Mi vergogno profondamente di me stesso e di tutti i pensieri che ho fatto su di lui nell'arco della serata, sentendomi come se mi avesse letto nel pensiero.
Mi sento denudato improvvisamente, da tutta la mia intimità mentale, mi sento messo sotto giudizio come se fossi stato colto dai miei genitori nell'intento di masturbarmi.
<< No... non proprio.>> rispondo infine, distogliendo lo sguardo.
<< Uhm... davvero?>> incalza Sugawara.
Deglutisco.
Come potrei dirgli che lui è l'unico verso il quale mi sia sentito sessualmente attratto, in 28 anni?
<< Non lo so.>> confesso.
<< Vuoi fare sesso con me, Sawamura?>>
Improvvisamente la mia mente si annebbia e, se non fosse stato che questa cazzo di macchina potrebbe guidarsi completamente da sola, sarei appena finito fuori strada.
Lui accenna un sorriso, sollevando appena gli angoli della bocca, facendomi tornare in mente il nostro primo incontro al bancone.
I restanti quattordici minuti di macchina trascorrono nel silenzio più imbarazzante della mia vita.
Sugawara smette di guardare nello specchietto retrovisore e si perde, nel contemplare il paesaggio dal suo finestrino.
Che si sia offeso?
Ma è impensabile per me, condividere il letto con lui.
Come potrei sporcarlo con le mie mani?
Come potrei anche solo avvicinarmi al santuario che il suo corpo rappresenta?
La casa di Sugawara è in realtà l'attico di un lussuoso grattacielo.
Una volta entrati nel parcheggio sotterraneo, mi rendo conto che sono in una zona di Tokyo dove non ero mai stato.
Neanche da bambino.
Come cazzo faccio a tornare a casa, ora?
Lo scorto fino all'ascensore, mentre attendo che mi paghi la restante parte del mio compenso per la notte di lavoro.
Lui entra nell'ascensore di spalle, dopodiché si volta a guardarmi, con quei suoi occhi profondi come pozze di Tempo, che si piegano per la forte attrazione di un buco nero.
Si volta verso di me, e congiunge le mani guantate dietro la sua schiena.
<< Il mio piano è l'ultimo Sawamura e nella tua busta c'è tutta la retribuzione che ti dovevo.>>
Ancora una volta mi sento un'idiota, davanti a quest'uomo bellissimo, che si sta prendendo gioco di me da quando ha posato i suoi occhi sulla mia figura.
Annuisco, cercando di mostrarmi del tutto consapevole della cosa, nonostante io non abbia minimamente controllato.
Lui sorride, in modo dolce e sincero, che un bagliore di quella stessa luce si riflette anche nelle sue iridi.
<< Buon Anno, Sawamura. Arrivederci.>>
In quel momento mentre lui preme il pulsante dell'ultimo piano, io inizio a pensare a quanto tempo impieghino le porte di un ascensore per chiudersi.
Non che io ci abbia mai capito molto di fisica, ma a giudicare da come mi guarda deluso Koshi Sugawara, mentre sparisce dietro le pesanti porte dell'ascensore, credo che sia un tempo approssimabile ai 12 anni.
Sembrano 12 anni, quelli che mi passano davanti, in cui mi vedo stringere quest'uomo dall'aspetto etereo tra le braccia.
Nonostante la paura di spezzarlo, di romperlo e di renderlo irriconoscibile.
O forse, più che la paura è il desiderio, di sconvolgerlo con la stessa intensità con cui lui ha fatto con me?
Resto a fissare quell'ascensore per un tempo imprecisato.
Salgo?
Non salgo?
Magari stava scherzando.
Magari aveva davvero intenzioni serie con me.
Quindi salgo?
Ma da quando io mi concedo agli uomini?
Da quando mi ritrovo a pensare che essere la botta e via di qualcuno, sia il più alto segno di riguardo che uno sconosciuto possa mostrarmi?
Mi prendo la testa tra le mani.
Se salgo, finirò per fare sesso con un altro uomo, che sarà pure la mia prima volta in assoluto.
Questo fa di me una persona gay?
Se non salgo, finirò per pentirmene per il resto dei miei giorni.
E sono certo che finirei con il sognare Sugawara ed il suo tono di voce sempre posato ed impeccabile.
Chissà come sia la sua voce quando ansima di piacere, chissà in quanti modi potrei scomporre quella sua facciata per bene.
Dai allora, cazzo Sawamura.
Anno nuovo, vita nuova, te lo ricordi?
Non c'è niente di sbagliato in un uomo come Koshi Sugawara, niente di imperfetto e niente che ti possa far preferire di tornare nel tuo sudicio appartamento.
E quindi vai.
Vai e vedi cosa succede.
Vai perché non sei l'eroe di nessuno, neanche di te stesso.
Non sei il giustiziere di una città che non ti ha chiesto niente.
Sei solo un uomo, uno come tanti dentro questa moltitudine di anime.
Alcune si sono perse, tra le vie di Tokyo, altre invece brillano ed indicano la via.
E Koshi Sugawara brilla.
Lui splende di una luce così calda che non ne avevi mai viste di così in vita tua.
Koshi Sugawara è la luce che cercavi disperatamente di preservare quando eri bambino.
Allora seguila, quella luce, afferrala, dominala ed assorbila.
Che forse è lui destinato a purificare la tua anima così come tu sei designato a deturparlo.
Che come tu cerchi disperatamente il bene, una forza superiore in grado di riequilibrare la tua misera e dolente esistenza, lui cerca invece chi gliela sconvolga, chi lo immerga nel fango e lo faccia sentire vivo per una volta e non solo un'immobile fonte di bellezza.
Vai Daichi Sawamura.
Vai a prenderti la tua fetta di luce, dando in cambio un pezzo della tua oscurità.
*
Quando busso al campanello dell'attico dell'ultimo piano, sono passati esattamente 25 minuti da quando io e Sugawara ci siamo separati.
Probabilmente sarà andato a letto.
Probabilmente starà già dormendo e non aprirà mai questo cazzo di portone.
Ed invece lui appare, con addosso solo una vestaglia leggera rossa, ben chiusa sul petto, ma che lascia intravedere il suo collo fatto di cristallo.
Non dice niente Koshi Sugawara, mi invita ad entrare in silenzio, lasciando che a parlare siano solo i nostri occhi, che hanno già iniziato a fare l'amore al posto nostro.
<< Sawamura, credevo che te ne saresti andato sul serio.>> dice con fare lascivo.
Deglutisco rumorosamente.
<< Per un momento l'ho creduto anche io... ma chiamami Daichi, ti prego.>>
Lui sorride, mettendo le braccia conserte in vita.
<< Bene, Daichi... che cosa sei venuto a fare a casa mia a quest'ora?>>
Mentre parla, scandendo lentamente ogni singola parola, si avvicina a me, fin quando non posa una mano sulla mia giacca.
È in quel momento che le vedo.
Che vedo le sue mani per la prima volta e capisco il perché al locale le abbia tenute guantate fino alla fine.
Sono coperte di cicatrici, che lucide risplendono sotto i faretti dell'ingresso.
Sembrano una miriade di piccoli vermi bianchi, che s'infilano sotto la sua carne e riemergono in un groviglio di corpi.
Come può, un uomo della sua bellezza avere delle mani così devastate?
Che cosa può essergli successo, per avere questi segni sulla sua pelle candida?
<< Ti fanno schifo?>> dice, mentre la ritrae lentamente e se la porta al petto.
Abbassa lo sguardo, per la prima volta, Sugawara, mentre lo vedo vergognarsi di una parte di sé esposta che generalmente tende a nascondere.
Ma come faccio a dirgli che le trovo meravigliose le sue mani, così come tutto il resto di lui?
Come faccio a dirgli che non esiste bellezza più pura, di quella che ha conosciuto il dolore ma che ha saputo rialzarsi?
Sei ancora più immacolato e vergine di quello che la mia mente aveva proiettato su di te, Sugawara.
Sei ancora più bello, qualsiasi sia il motivo delle cicatrici sulle tue mani.
Sei ancora più inarrivabile, perché hai conosciuto anche tu la maledizione di Tokyo, ma invece che sprofondarci dentro come ho fatto io, tu ti sei saputo curare e disintossicare da solo.
La tua bellezza e purezza non ha pagato un prezzo troppo alto, se il risultato è stato riuscire a racchiudere dentro di te luce ed ombra in un equilibrio perfetto.
Lentamente prendo la sua mano, che sento tremare sotto al tocco della mia, e ci poso le labbra sopra.
Deve essere molto sensibile sulle sue mani, poiché gli sfugge un gemito dalla bocca.
Ma sorprendentemente, non si ritrae.
<< Le trovo meravigliose, così come ogni parte di te.>> sussurro, mentre continuo a baciare il dorso della sua mano.
Lui mi lascia fare, mi lascia baciarlo sulle mani fino a quando non sento i suoi ansimi farsi più pesanti.
È solo in quel momento che mi rendo conto di quanto siano vicini i nostri corpi e di quanto stia tremando il suo.
Sei un essere fragile Koshi Sugawara, sei fatto di vetro e rischi di romperti sotto un qualsiasi soffio di vento.
Sei un essere unico, meraviglioso, irripetibile nella tua singolarità.
Racchiudi dentro di te mondi e sfumature che neanche avrei potuto immaginare.
Per questo, mentre siamo nella sua camera da letto, nudi ed ardenti di voglie inespresse, mi rendo conto che, infondo, siamo uguali.
Siamo umani entrambi noi.
Esseri volubili e fallaci, che amano e odiano con la stessa intensità.
Che peccano e pregano, che s'infangano e si redimono.
Che si maledicono a vicenda e poi si promettono cose eterne.
Siamo uguali, nonostante non avrei mai detto che nella vita potesse capitarmi la fortuna di assaggiare qualcosa di così buono.
E sa anche lui di legno affumicato di ciliegio, con l'aggiunta di dolci note zuccherine.
Anche il suo corpo è squisito, al pari del suo rum.
Entrambi mi fanno sentire ebbro di qualcosa, che sia di alcool o di emozioni.
Ogni parte del corpo di Sugawara si piega, si inarca e si contrae, sotto le mie spinte.
Ed anche se io ho paura che possa spezzarsi, lui si aggrappa alla mia schiena sussurrandomi all'orecchio di fare di più.
Di andare di più in profondità, all'interno di lui.
Di romperlo, di più.
Di macchiarlo, di più.
Di farlo sentire umano, di più.
E mentre vengo assieme a lui che geme forte il mio nome, sulle sue costosissime lenzuola per la seconda volta, mi sento assalire nuovamente da quel senso di malinconica tristezza di quando le cose belle sono destinate a finire.
E tu, Sugawara durerai in eterno con me?
O ti perderai anche tu, in questa Tokyo che sembra bagnarsi delle acque sporche dell'Acheronte?
Splenderai radioso, divorando le ombre di questa città?
O appassirai, trasportato dal vento gelido, come se fossi un fiore fuori stagione?
Che cosa ci succederà domani, Sugawara?
Al momento non ho voglia di pensarci.
Al momento mi basta guardarti mentre ti addormenti sul mio petto, come se lo avessi sempre fatto e non fosse la prima volta.
Potrei star sveglio una vita a guardarti, Koshi Sugawara.
Bearmi di te, e osservare attraverso il riflesso dei tuoi occhi color miele, come m'innamoro di te giorno dopo giorno.
Ma sono umano anche io e quindi le mie palpebre calano poco dopo le tue, nonostante nel petto abbia quella sensazione che, domani riaprile sarà difficile.
Però, mi ritrovo a pensare che magari, il bello della vita sta proprio nel non sapere cosa succederà domani.
Nel non riconoscere i segni del destino, infusi in ogni cosa, e nel confondersi tra la gente, pur conservando la nostra unicità.
E ci mescoleremo anche noi, nella folla di Tokyo domani, perderemo il nostro essere stati speciali per stanotte e diventeremo esattamente come tutti gli altri.
Ma io, anche passassero cento vite, ti riconoscerei comunque per le strade di Tokyo, Sugawara.
Riconoscerei il calore del tuo sguardo, l'odore del tuo corpo ed il suono della tua voce.
Forse è proprio questa consapevolezza di essere tutti uguali e irripetibili, che ci rende umani.
Questo senso d'impotenza davanti al male e questa perenne ricerca del bene.
Forse, Sugawara, è questo che ci ha spinti ad amarci stanotte, nonostante io non abbia mai amato nessuno fino a questo momento.
Questa sensazione che tutto scorre, che tutto ci turba e lascia imperturbati al contempo.
Questa sensazione di tristezza legata indissolubilmente ad una più sincera sensazione di felicità.
Mi sento abbandonare ad un sonno dolce, dentro ad un letto che profuma dello stesso odore dell'uomo che è stretto al mio petto.
Un sonno che ho il presentimento possa portarmi bei sogni.
Ci penseremo domani, Sugawara, a quello che porterà il Sole di un nuovo giorno su Tokyo.
Sulla mia Tokyo.
Sulla nostra, incantevole e dannata Tokyo.
Angolo Autore:
Stelline ✨
Altro giro, altra corsa.
Ennesima OS scritta nella più completa sperimentazione delle mie inclinazioni del momento.
Volevo scrivere di una storia molto introspettiva, e mi sono imbattuta nel termine giapponese di "Mono no aware".
Quante volte è successo che un momento di gioia non siamo riusciti a godercelo, perché frenati dalla tristezza di vederlo finire?
Io davvero molte volte, e Daichi sembra ormai rassegnato a questo modo di vedere le cose.
Infatti non fa che chiedersi, se sia ancora in grado di coglierla e riconoscerla la felicità, quando gli capita davanti.
È una OS insolita, mi rendo conto, ma spero che vi sia piaciuta e che siate riuscit* ad apprezzare il " Carpe Diem" di fondo.
Daichi ci sarà riuscito?
Ed io, sono riuscita nel mio intendo?
La parola come sempre, spetta solo a voi!
Spero sia stata piacevole da leggere, nonostante tutto e ancora grazie a x_XXXTENTACION_x che mi ha spinto ad uscire dalla mia " comfort zone" delle ship, per farmi sperimentare qualcosa che prima non avevo assolutamente fatto.
Grazie ancora, è stato un bel viaggio per me, il processo creativo dietro questa storia ❤️
Vi lascio un bacino e alla prossima One Shot!
❤️
Lavienne
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