彼を止めるのよ~ It Ends Tonight ~ KuroKen ~
⚠️Disclaimer⚠️
Questa One Shot è ispirata alla canzone degli All American Rejects, It Ends Tonight.
Vi lascio il link qualora vogliate ascoltarla durante o dopo la lettura.
[Dovrebbe esserci un GIF o un video qui. Aggiorna l'app ora per vederlo.]
•Presenza di ANGST.⚠️
•Finale Aperto. ⚠️
Buona lettura.
*
~ Kuroo x Kenma ~
彼を止めるのよ
It Ends Tonight.
Parole: 5052.
*
Com'era iniziata, quella routine fatta di baci dati di fretta e di sussurri detti dietro ad una porta che si chiudeva, Kenma Kozume non era certo di saperlo.
Casa sua era spesso vuota, come aveva tanto sperato che non succedesse, decidendo di mettersi assieme al suo vecchio amico d'infanzia.
E questo vuoto aveva iniziato ad assumere la forma dell'insoddisfazione e dell'abitudine.
C'erano state delle promesse, tra di loro, che parlavano di sicurezze e d'amore che seppur fossero solo due ragazzi al tempo, erano riusciti a scambiarsi ugualmente in un chiaro di luna di una notte di mezz'estate.
Kuroo Tetsurō era sempre stato come un libro aperto per Kenma che lo conosceva da quando se la faceva nei pantaloni alle scuole elementari; per questo sapeva interpretarli molto bene quei silenzi per telefono, quei sospiri dati sul divano e tutti quei gesti che da misurati e pensati erano diventati vaghi e lascivi.
Stava sbiadendo qualcosa dentro Kuroo.
Poteva essere il sentimento oppure, Kuroo stesso.
E Kenma non sapeva se fosse lo stress o qualcos'altro che lo turbava alla notte, che non gli faceva prendere sonno e che lo spingeva ad un sesso senza amore, mirato a riempire quei minuti di silenzio imbarazzate sotto le coperte.
Kenma aveva sempre sostenuto che un giorno, qualcuno come Kuroo si sarebbe stancato della sua apatia e del suo modo approssimativo e disinteressato di vivere la vita; lo sapeva ma non credeva che sarebbe successo.
Lo diceva più che altro perché sapeva che fosse giusto dirlo, ma non ci aveva mai creduto per davvero.
Eppure, Kuroo assomigliava sempre più ad uno sconosciuto incontrato per caso nella metro, che al fidanzato devoto ch'era stato per gli anni del liceo.
I suoi passi risuonavano felpati per casa, e nonostante Kenma fingesse di non averlo sentito rincasare, poiché concentrato su un videogame che stava rigiocando per l'ennesima volta, alla fine facevano un fracasso immane nella sua testa.
Gli mancava quel che avevano prima, ma non riusciva a dirlo in alcun modo, poiché lo conosceva Kuroo e sapeva bene che alla fine se ne sarebbe andato comunque.
Doveva solo scegliere se farsi vedere da lui con il cuore spezzato o se mostrarsi con la sua solita indifferenza; doveva solo scegliere se voleva che accadesse da sé o se voleva velocizzarne il processo.
Per questo aveva smesso di parlargli.
Di fargli domande che comportavano una risposta campata in aria, di fargli notare cose che comunque si sarebbero ripresentate uguali il giorno successivo.
Non gli diceva più nulla, quando Kuroo si rivestiva in tutta fretta dopo aver fatto sesso con lui.
Non gli chiedeva perché, non gli chiedeva dove stesse andando, non gli chiedeva più neanche se gli fosse piaciuto poiché era più semplice ingoiare quel silenzio che vedere il disgusto dipinto sul volto del suo amante, riguardo un sesso mediocre che si ritrovavano a fare più per necessità che per altro.
Non gli diceva più nulla sui suoi orari improbabili, in cui rientrava a casa tante volte persino ubriaco fradicio.
Gli bastava quella frase detta sull'uscio della porta, che risuonava di delusione e di rimpianti inespressi:
"Mi vedo con i ragazzi."
"Va bene, allora." pensava Kenma, mettendo su l'ennesimo film in dvd che avrebbe visto da solo, su un divano di casa pensato per due.
Aveva rimuginato tante volte sul da farsi, considerando anche l'ipotesi di andarsene da quella casa che avevano entrambi in affitto, di lasciare Kuroo da solo con i suoi pensieri, le sue amarezze e quegli ultimi esami prima della laurea.
Ci pensava in ogni momento, da quando accendeva il suo pc a quando lo spegneva, ma la verità è che non ne aveva il coraggio.
Forse un po' perché sentiva di amarlo ancora, Kuroo.
Forse perché non sapeva dove altro andare, essendo che aveva passato una vita in sua compagnia.
Forse perché alla fine, non si sentiva neanche nella posizione di poterlo lasciare così su due piedi; sarebbe stato come fare un torto al Kuroo del passato, quello che l'aveva amato, che l'aveva visto nel suo peggio e che se n'è innamorato lo stesso.
Taceva da qualche mese a questa parte, tutto quello che c'era da tacere e tutto quello che aveva il bisogno di urlare a gran voce.
Qualche volta mentiva al telefono a sua madre, quando gli chiedeva come andavano le cose in quella zona di Tokyo troppo distante da casa e dalle sue rassicurazioni. Si fingeva occupato, vestendosi di un disinteresse che non gli apparteneva e le diceva:
<< Come vuoi che vadano? Bene.>>
Lei sembrava crederci, almeno secondo Kenma ed il suo scarno tentativo di mascherare una sofferenza ovattata dall'immagine di un Kuroo che gli stava sfuggendo dalle mani.
Ed anche Kenma se ne convinceva un po' ogni qual vota lo diceva, giusto il necessario per poter continuare ad andare avanti.
Quel giorno del 28 novembre sua madre gli pose, però, una domanda che colse Kenma del tutto impreparato.
Kuroo era uscito per seguire i corsi mattutini come di consueto, Kenma era reduce da una live streaming di 12h nel suo studio, per tanto stava impiegando tutte le sue forze nel trascinarsi dignitosamente a letto.
In casa c'era l'odore del caffè un po' bruciacchiato che Kuroo era solito preparare al mattino, assieme all'impercettibile odore di sé, che si lasciava dietro ovunque andasse.
C'era silenzio a quell'ora del mattino, quel silenzio che cullava un notturno dalle dita molli che si fondevano con i tasti della sua tastiera meccanica, come Kenma.
Un silenzio confortante, di quelli in cui puoi mettere in pausa i tuoi pensieri e goderti la leggerezza che solo una mente sgombra può regalarti.
Così, quando sentì il suo telefono risuonare di quell'orrenda suoneria generica, nel momento esatto in cui aveva posato le tue tempie sul cuscino ancora tiepido di Kuroo, Kenma Kozume imprecò.
Rispose amareggiato, solo perché a chiamarlo era sua madre.
Avrebbe risposto un po' meno incazzato se fosse stato Kuroo, ma anche per sua madre sentiva che poteva fare uno strappo alla regola.
<< Dimmi.>> rispose secco.
La persona dall'altro capo del telefono si sorprese un po', tant'è che fece passare qualche attimo prima di parlare.
<< Tesoro, tutto bene?>> chiese, apprensiva.
<< Sto andando a dormire, mamma.>>
Kenma non era mai stato il tipo dalle lunghe e logorroiche telefonate, lui diceva solo l'essenziale senza fronzoli o convenevoli, men che meno quando faticava a tenere gli occhi aperti ed i pensieri in ordine.
<< Alle 7:30 del mattino?>>
<< Si.>>
Sentì sua madre sospirare per telefono.
Nonostante avesse 25 anni e non abitasse più con i suoi genitori da almeno 6 anni, sua madre ancora non riusciva ad accettare il fatto che "giocare ai videogiochi" era divenuto, a tutti gli effetti, il suo lavoro.
<< Come sta Tetsurō?>> chiese ad un certo punto, dopo essersi accertata che suo figlio non patisse la fame e si lavasse con regolarità.
Di tutte le volte che si sentivano per telefono, per colmare quella mancanza fisica dovuta alla distanza, sua madre non gli aveva mai chiesto di Tetsurō.
Non perché non approvasse la loro relazione, o perché non avesse fiducia in quel ragazzo, ma perché semplicemente era convinta che l'unica cosa certa nella vita caotica del figlio fosse proprio la presenza del corvino vicino di casa.
Gli voleva bene come fosse figlio suo e tantissime volte si raccomandava a lui, per far entrare qualcosa nella testa dura e cocciuta di Kenma.
Non chiedeva mai di Kuroo, perché dava sempre per scontato che ci fosse, e che se la passassero bene insieme.
Non lo invitava mai direttamente, poiché quando parlava con il figlio si rivolgeva sempre al plurale.
L'aveva visto nascere quell'amore, nato come gioco di due adolescenti e finito con una convivenza di due adulti che sapevano quel che stessero facendo; e fino a qualche mese fa, avrebbe fatto anche bene a pensarla così.
Eppure, oggi, in una giornata qualsiasi di un 28 novembre, sua madre lo fece, infilando la domanda come se fosse del tutto normale, in mezzo ai soliti rimproveri genitoriali iperprotettivi.
Forse era vero, che le madri lo sanno, senza bisogno di dir nulla, quando qualcosa non va.
Kenma rimase in silenzio, non sapendo cosa rispondere.
<< Tesoro, ci sei?>>
<< Si mamma... sono qui.>>
La telefonata si chiuse diversi minuti dopo, con Kenma che singhiozzava stretto al cuscino del suo amante, che ormai aveva perso il suo odore ed il suo calore.
Si sentiva inconsolabilmente triste e con il mal di testa di chi ha preso una bella sbornia, anche quando si risvegliò verso le due del pomeriggio.
Si sentiva leggero come un foglio di carta, che non ne voleva sapere di entrare nel cestino dei rifiuti ma che, per contro, non era neanche più buono per scriverci sopra.
Si era accartocciato, con le sue stesse mani, durante la sua vita e a Kuroo pareva andar bene, quel suo essere tutto un po' stropicciato e pieno di imprecisioni.
Un tempo Kuroo lo trovava persino bello, in quel suo modo essere.
Di una bellezza agrodolce che solo i suoi occhi riuscivano a cogliere, e che anche Kenma giurava di scorgere, quando si specchiava nelle iridi chiare di Kuroo.
E aveva faticato per abituarsi a quelle attenzioni e a quel modo di fare, Kenma.
Ci aveva messo dell'impegno, per farsi andare bene il fatto che qualcuno come Kuroo alla fine aveva scelto proprio qualcuno di corrosivo come lui.
Ma adesso i suoi peccati tornavano a bussare alla sua porta, presentandogli il conto di tutte quelle sbadatezze e dimenticanze avute in adolescenza.
Se n'era appropriato di Kuroo durante i suoi anni migliori, in cui era un ragazzino tutto ormoni e sogni nel cassetto, quindi adesso che pretese poteva vantare su di lui?
Che lo aveva appassito, lo aveva reso un fiore avvizzito senza più petali, dallo stelo fragile che si sarebbe spezzato alla prossima folata di vento.
Lo aveva reso apatico di un amore che doveva faticare per metterselo in tasca, di baci che doveva implorare e che alla fine sapevano sempre troppo di Kuroo e mai di Kenma.
Come poteva addossargli delle colpe ora?
Come poteva anche solo chiedergli di restare a casa, in quei venerdì sera che duravano sempre di più, quando lui esprimeva la volontà di voler stare fuori casa?
Non poteva, molto semplicemente.
Che forse quella casa adesso era divenuta troppo stretta, per entrambi loro.
Che se Kuroo s'era stancato di lui alla fine era, in primo luogo, merito della sua svogliatezza, del suo stanco gravitargli intorno senza mai né attrarlo e né respingerlo del tutto, che di Kuroo stesso.
E non ci poteva fare niente, seppur il suo disattento modo di amarlo, se adesso lui aveva deciso di riprendersi in mano la vita che aveva lentamente consumato dietro uno come Kenma.
Anzi forse ne aveva tutto il diritto.
Ma allora cos'era quella parola che gli si annodava sulla lingua, mentre mangiava gli avanzi della sera prima per pranzo?
Cos'era quella sensazione che gli pulsava nel petto e lo faceva tamburellare con le dita sul tavolo della cucina?
Si sentiva inquieto, si sentiva fuori di sé e non aveva le parole per esprimersi.
Le due del pomeriggio divennero presto le sei, e dopo aver indossato la migliore maschera d'indifferenza che tenesse nel suo armadio per registrare un video, si rese conto che di lì a poco Kuroo sarebbe rientrato.
Non che la cosa fosse tanto diversa dagli altri giorni, ma se c'era una cosa che Kenma non poteva nascondere a Kuroo, era la sua insicurezza.
Se ne accorgeva subito, quando qualcosa lo turbava, sebbene lui non andasse mai direttamente a parlargli.
E lo trattava come un bambino, al quale doveva tirare le parole fuori di bocca con le tenaglie prima di riuscire a farlo aprire del tutto.
Ed era paradossale come Kenma riuscisse a mascherare la mancanza che provava da mesi, mentre al contrario, era certo che Kuroo lo avrebbe letto in tempo zero quel suo disagio dovuto alla chiamata avuta con la madre.
Forse perché del primo, in cuor suo, si era già rassegnato da tempo.
Il suo telefono trillò, facendo risuonare la vibrazione lungo tutto il legno scuro e spesso della sua scrivania.
"Faccio tardi, inizia pure a cenare."18:32 ✓✓
Poche e semplici parole, buttate a caso su una chat che ormai conteneva una sfilza di avvisi del genere.
Magari Kuroo le aveva digitate distrattamente quelle poche parole, con le mani congelate per il freddo pungente di quella serata di novembre.
Magari era solo una scusa per non cenare assieme o magari aveva sul serio qualcosa da fare, in vista della sua laurea imminente.
Qualsiasi fosse il significato dietro quel messaggio, Kenma Kozume si sentì mancare l'aria un po' di più di tutte le altre volte.
Si sentiva più piccolo, più insignificante e più vulnerabile, di tutte le altre volte in cui neanche l'aveva aperta con tutta quella rapidità, quella notifica.
Mentalmente si disse che la colpa era di sua madre e della conversazione avuta con lei, ma sapeva bene che quella scusa non era che una magra consolazione di un disagio ben più ancorato, dentro di lui.
Per tanto, piuttosto che visualizzare e basta come era solito fare, si ritrovò a scorrere con i polpastrelli sulla tastiera del display, prima ancora di realizzare quel che stesse facendo.
"Okay."18:33✓✓
A quel punto, nel momento in cui la voce nella sua chat segnò di essere online, probabilmente colto alla sprovvista da quella risposta, decise di inviare un ulteriore messaggio.
E lo inviò in quel momento, perché voleva essere del tutto sicuro che Kuroo, dall'altra parte dello schermo, lo leggesse.
"Ti aspetto."18:35✓✓
E poi Kenma attese, proprio come aveva detto.
Quando Kuroo rincasò, con il fiatone per aver corso lungo la rampa di scale, dopo un'ora di attesa tacita sul divano di casa, a Kenma sembrarono essere passati solo pochissimi minuti.
Kuroo era lì, nella sua giacca di pelle imbottita che gocciolava di uno strato leggero di pioggia, con le guance arrossate dal freddo e le mani strette attorno le bretelle dello zaino che portava in spalla.
Lo osservava con il fiato corto che si nebulizzava in mille goccioline di condensa quando lasciava la sua bocca, senza dire una singola parola.
Kenma, di rimando, stava seduto sul divano di casa con le gambe incrociate e la tv spenta, in tutta quella che aveva l'aria di essere una discussione rimandata da troppo tempo.
Kuroo prese a spogliarsi, lasciando la sua roba all'ingresso ed entrando in salotto scalzo, nel suo maglioncino di filo rosso e quella camicia bianca che spuntava disordinata al di sotto.
A Kenma sembrava che avesse ancora 17 anni quando si vestiva in quel modo.
Che nonostante prestasse moltissima attenzione nel sistemarsi al mattino, quando tornava a casa era sempre nel più totale disordine.
Kenma pensò che forse, questo suo modo di rendere un casino le cose per bene, di sporcare le cose nuove, fu proprio ciò che lo aveva spinto ad innamorarsi di un apatico come lui.
Forse lo voleva corrodere, al tempo, lo voleva macchiare e rendere immondo per ripagarlo, tacitamente, dell'amore che Kenma non riusciva a dargli.
Non nel modo che chiedeva lui, per lo meno.
Si guardarono negli occhi a lungo, riscoprendosi ragazzetti timidi che s'incontrano per la prima volta.
Stavano assieme da così tanto tempo che sentirsi sconosciuti adesso, era davvero il meglio a cui Kenma potesse auspicare.
Kuroo sapeva che ci fosse aria viziata in quella stanza, poteva percepirla e respirarla a pieni polmoni, nonostante questi gli bruciassero ancora in petto per la fatica della corsa.
Ma non sapeva chiuso, puzzava di qualcosa di marcio, tenuto nascosto per troppo tempo sotto al tappeto.
Che poi il perché si sentisse agitato, non lo sapeva neanche lui.
Non sapeva spiegarsi quel che Kenma stava provando a dirgli, in uno slancio di fiducia in se stesso del tutto inaspettato.
Per tanto restava immobile, trattenendo il fiato, ben conscio che il suo ragazzo aveva finalmente realizzato che, tutte quelle cose che non credeva potessero esserci nella loro relazione, in verità c'erano eccome.
C'erano le difficoltà, c'era la routine opprimente, c'erano le bugie, c'era la stanchezza e c'era il sentirsi distanti e confusi.
Ed ora, se Kenma lo avesse guardato con disdegno, avrebbe avuto tutte le ragioni nel mondo.
Kuroo non credeva che Kenma potesse mai prendere il coraggio di iniziare una discussione con lui e, benché sapesse che il suo comportamento negli ultimi mesi fosse stato da vero stronzo menefreghista, credeva che quest'ultimo avrebbe lasciato correre.
Come sempre, ogni qual volta ne combinava una delle sue; solo che finora non era mai stato niente che durasse per più di mezza giornata.
Cosa gli desse questa sicurezza, ora che guardava gli occhi carichi di lacrime inespresse del suo ragazzo seduto in silenzio sul divano, neanche se lo ricordava più Kuroo Tetsurō.
Nel dubbio, o meglio, dietro a quella schiera di dubbi che aleggiavano in quella casa, uno di quelli persistenti era che a Kenma andava bene così.
Che gli andasse bene che lui si fosse un po' allontanato, che facesse l'amore con lui svogliatamente o che alla sera crollasse nel letto senza neanche chiedergli come fosse andata la sua giornata.
Kuroo aveva eretto un muro, si era trincerato dietro lo stesso silenzio che per anni aveva cercato di sciogliere in Kenma; che alla fine si giustificava dicendo:
Perché io non posso farlo?
Perché devo essere sempre quello attento a tutto? Si chiedeva.
Perché non posso essere un po' più come Kenma, piuttosto che essere sempre Kuroo per tutti e due?
Si sentiva in tutto e per tutto un bambino che stava facendo i capricci, nonostante ormai avesse 26 anni suonati.
<<Kenm->> iniziò Kuroo, senza mai riuscire a terminare la frase a cui aveva pensato per tutto il tragitto di ritorno.
Sentì Kenma deglutire forte sul divano e poi prendere la parola.
<< Vado un po' a casa dei miei.>> disse, in tono distaccato, che però gli aveva lasciato l'amaro in bocca di una relazione che stava finendo.
Kuroo sbarrò gli occhi, aprendo e chiudendo la bocca un paio di volte prima di riuscire ad articolare qualcosa che avesse senso.
Era rimasto sorpreso tanto quanto Kenma che l'aveva pronunciata.
Stava succedendo davvero?
Kenma, il suo tranquillo, pigro, viziato, passivo ed indolente Kenma, gliel'aveva detto sul serio?
"Perché?" avrebbe voluto chiedergli.
"Non farlo." Avrebbe voluto dirgli.
Ed invece strinse i pugni, abbassando il capo e riconoscendo il tentativo che il suo ragazzo stesse facendo per permettergli di lasciarsi senza soffrire.
Si sentì mancare improvvisamente tutto il coraggio che credeva di aver accumulato nel tragitto verso casa, a quelle poche, sussurrate e disattente parole.
Era da ammirare, quel ragazzetto biondiccio e un po' troppo magro per l'età che aveva, per il modo elegante e delicato che avevo trovato per mettere un punto dove lui non riusciva.
Che seppur in modo diverso, alla fine, Kenma lo aveva sempre amato nonostante i suoi silenzi ed i suoi baci dati sempre a fior di labbra.
Gli stava facendo un favore che Kuroo Tetsurō sentiva di non meritare.
Lo stava lasciando perché aveva compreso che lui non ne aveva il coraggio, e lo stava facendo in punta di piedi, per non disturbare troppo i suoi pensieri e per non scombussolargli troppo la routine.
<< E quando?>> gli disse, guardandosi i piedi.
<< Domani.>> rispose Kenma, facendo poi per alzarsi dal divano ed andare a rinchiudersi nel suo studio, fino a quando il giorno del loro addio non fosse sorto.
Non aveva mai pensato all'eventualità di lasciare Kenma, malgrado la sua disattenzione cronica.
E si ritrovò, nel giro di qualche secondo, di una discussione finita con la stessa rapidità con cui era iniziata, a star da solo sul divano di casa che era stato comprato per sedersi in due.
Ripensava mentalmente a quelle poche e caustiche parole, che gli logoravano il cervello ogni volta che le sentiva risuonare nelle sue orecchie.
Kenma non gli aveva mai detto niente di troppo, si era sempre e solo limitato all'essenziale ed anche questa volta glielo aveva dimostrato.
Non aveva fatto scenate, non aveva urlato e preteso spiegazioni che, a ragion veduta, forse Kuroo Tetsurō neanche sarebbe stato in grado di dargli.
Tutte le sue sottigliezze, quelle particolarità uniche che facevano di Kenma... proprio Kenma, adesso sembravano strangolarlo Kuroo, e neanche lui riusciva a capirne il perché.
Si sentiva esausto, di tutti quei bisogni, desideri e di tutte quelle cose di cui non sentiva più la necessità.
Si era svegliato una mattina e si era sentito incredibilmente stanco.
Tutto qui.
Tante volte aveva pensato che forse sarebbe stato meglio per Kenma se lo avesse lasciato da solo, ma in fin dei conti qualcosa continuava a farlo tornare a casa, a farlo infilare nello stesso letto ed ogni tanto a sfiorare il suo corpo magro ed asciutto.
Si chiedeva spesso se lo facesse per bisogno o se ancora mosso da un qualche tipo di sentimento, ma ogni volta che ci pensava non riusciva mai a trovare la risposta che cercava.
E Kuroo lo sapeva che, quando non riusciva a decidere, la risposta era no.
Dopo qualche ora, passata nel più totale silenzio, si ritrovò sul divano con la luce spenta ed il solo display del cellulare ad illuminargli il viso.
Scorreva con dita tremanti ed occhi tristi, che però non ne volevano sapere di piangere per davvero, le foto nella sua galleria del cellulare.
Scorrevano all'indietro le foto degli appunti, delle sue colleghe d'università di quando gli rubavano il cellulare, di screenshot di conversazioni che i suoi amici gli mandavano per conoscere la sua opinione.
Ed ancora: foto di feste alle quali andava sempre senza Kenma, volti sbiaditi ed offuscati da una sete che neanche l'alcol sarebbe riuscito a dissetare; immagini dei suoi amici, di sé stesso e di inviti ad eventi ai quali non sarebbe andato.
L'ultima foto che aveva scattato di Kenma risaliva al 19 di agosto.
Era uno scatto rubato, di quella loro giornata al lago in cui Kuroo s'era improvvisato pescatore.
Kenma stava disteso sulla tovaglia, con un capello di paglia in testa e quei fili d'oro che uscivano disordinati, pasticciandogli il viso.
Riposava placidamente, per una giornata troppo calda in cui fu costretto a fare qualcosa che non voleva fare.
Non ci voleva andare a pesca, Kenma Kozume.
Ma alla fine era lì, addormentato come un bambino dalla pelle candida ed immacolata, a farsi scattare una foto che molto probabilmente non avrebbe mai neanche visto.
A Kuroo sembrò davvero bello, addormentato a quel modo, tutto raggomitolato su sé stesso come un piccolo gatto davanti ad un camino scoppiettante.
Gli sembrò bello, come forse aveva dimenticato di apprezzare, quel ragazzo impresso in quell'immagine.
Sospirò Kuroo, quando si rese conto che tutte le emozioni che erano racchiuse in quella foto, tutti quei ricordi di quella bellissima giornata di sole, finivano li.
Tutto finiva lì, in quella sera e con quelle quattro parole inchiodate male al muro.
Tutto finiva quella notte, quando il buio si sarebbe tramutato in luce, Kenma se ne sarebbe andato e con molta probabilità non sarebbe più tornato.
Poteva lasciarlo andare così?
Dopo tutta la fatica che aveva fatto per renderlo suo, dopo tutte quelle liti dettate da una rabbia che divampava all'improvviso, dopo tutto quell'amore che lo aveva consumato come un fiammifero, lui poteva davvero?
Aprì la chat di Kenma per automatismo, come per controllare che fosse ancora lì, seppur per poche ore ancora.
"Okay."18:33✓✓
"Ti aspetto."18:35✓✓
Lo rilesse forse un milione di volte e imprecò contro Kenma, per averglielo scritto così tardi.
Che forse sarebbe bastato farlo prima, per evitare che tutto finisse in questo modo.
Forse tutto ciò di cui aveva bisogno Kuroo, era che Kenma gli dicesse che lo avrebbe aspettato.
O forse, questa era solo la scusa che Kuroo Tetsurō piantava nella sua testa, per non ammettere dell'altro.
Forse poteva ancora rimediare, forse non era tutto perduto.
Forse Kenma lo avrebbe ascoltato, se avesse messo in ordine i pensieri dentro la sua testa e nel suo cuore.
Forse, se solo avesse fatto un passo verso la porta dello studio, Kenma non se ne sarebbe andato.
Non sarebbe finito tutto quella notte.
Ci pensò e ripensò per diverso tempo, finché le sue palpebre non si fecero troppo pesanti.
Kenma Kozume, dal canto suo, stava seduto sulla sua sedia da gaming, con le ginocchia tirate fino al petto e la fronte abbandonata su di esse.
Avrebbe dovuto editare il video che aveva registrato in mattinata, ma non aveva voglia neanche di accendere la sua postazione.
Avrebbe dovuto condividere qualcosa sui suoi social, ma non ne aveva la forza di pubblicizzare chicchessia prodotto come se sul serio gli interessasse.
Non aveva particolarmente voglia di far nulla, pertanto pubblicò semplicemente un contenuto che annunciava che si sarebbe preso una pausa per quella serata.
Inutile dire che nei suoi messaggi personali, tutti i suoi followers, iniziarono a tempestarlo di domande o semplicemente di messaggi che esprimevano vicinanza e affetto.
Sbuffò Kenma, trovando divertente come dei perfetti sconosciuti si fossero così tanto affezionati a lui, da prendersi del tempo per scrivergli costantemente, mentre nell'altra stanza il suo ragazzo era saturo di lui.
Si chiese se tutte quelle persone che lo seguivano tramite uno schermo, se lo avessero conosciuto di persona e avessero passato del tempo in sua compagnia, se anche loro lo avrebbero abbandonato proprio come stava facendo Kuroo.
Si chiese se alla fine non era altro che destinato a sguazzare nella palude della sua autocommiserazione per sempre.
Si chiese come avrebbe fatto, da questo momento in poi, a vivere una vita senza la persona che l'aveva accompagnato per tanti anni.
Si tirò su il cappuccio della felpa e chiuse gli occhi, cercando di calmare quel suo batticuore dettato dalla consapevolezza che tutto sarebbe finito quella notte.
Che ora Kenma stava solo dalla sua parte, e forse era decisamente meglio che schierarsi da quella di Kuroo.
Che alla fine la colpa era sempre e solo stata sua, quando Kuroo non lo vedeva.
Era inutile nascondersi dietro prese di posizioni vane e frivole: la verità è che nonostante l'avesse amato sul serio, non era abbastanza per soddisfare qualcuno come Kuroo Tetsurō.
Ed avrebbe potuto provare un'infinità di volte, che comunque avrebbe sempre e solo fallito.
E pensò, mentre un brivido di delusione gli faceva inumidire gli occhi, che alla fine era giunto il momento in cui anche Kuroo se ne sarebbe dovuto rendere conto.
Si appisolò, dopo poco, con le lacrime agli occhi seduto sulla sua sedia da gaming e con la faccia spalmata sulla scrivania, senza accorgersene.
Kuroo si svegliò sul divano, con la foto di Kenma ancora aperta sul suo display e le guance umide, nonostante non ricordasse di aver pianto.
Guardò l'orario e si rese conto che aveva meno di 20 minuti per recarsi in università.
Deglutì forte, sentendo la casa immersa in un silenzio opprimente e ricordandosi della conversazione avuta ieri sera con Kenma.
Esitò un minuto abbondante, prima di riuscire ad alzarsi.
Avrebbe dovuto farsi la doccia, avrebbe dovuto fare colazione ed uscire di casa, ed invece si ritrovò in piedi davanti la porta dello studio di Kenma, con il cuore a mille.
Il giorno era arrivato e lui si sentiva tremare fin dentro le budella, nell'eventualità che Kenma se ne fosse già andato.
Voleva entrare a controllare ma allo stesso tempo non voleva.
Voleva trattenerlo ma allo stesso tempo sapeva che lo avrebbe solo fatto soffrire inutilmente, con la confusione che ultimamente aveva in testa.
Appoggiò la fronte contro il legno freddo della porta, sospirando e chiudendo gli occhi.
Pregò in silenzio dentro di sé che Kenma fosse ancora lì dentro, magari intendo ad editare qualcosa, o filmarne altre o magari in una live di prima mattina del tutto improvvisata.
Pregò, inoltre, che se ne fosse già andato e che potesse vivere una vita migliore, senza qualcuno come lui a deluderlo dopo avergli promesso che non l'avrebbe mai fatto.
Posò distrattamente una mano sulla maniglia e l'abbassò, facendo filtrare la luce esterna all'interno dello studio completamente immerso nell'oscurità.
Diede un'occhiata dentro la stanza, e dopodiché si richiuse la porta alle spalle, sentendo, in qualche modo, il peso sul suo cuore alleviarsi.
Sorrise, e quel sorriso gli durò sul viso per tutta la giornata.
Angolo Autore:
Ciao Stelline✨.
Ho un problema? Si.
Sto ancora metabolizzando la fine di BONDS e per questo ho scritto in una notte folle questa One Shot? Naturalmente.
Però:
Volevo sperimentare nuovamente con un racconto in terza persona, di cui nessuno sentiva l'esigenza.
Ho pensato, chissà se si può essere abbastanza introspettivi anche senza che sia il personaggio in sé a parlarne, ma un "narratore" esterno.
Voi che dite?
È stato un flop?
E poi si, ho un problema con i finali aperti che probabilmente piacciono SOLO A ME nel mondo.
Ma comunque adesso vi spiego la chiave di lettura a questo mio bizzarro esperimento:
C'è una riflessione, ci sono sei sensi di colpa per una relazione che sta finendo per dei motivi che non sempre sono ben chiari davanti a noi.
Ognuno si assume le proprie colpe ed ognuno pensa che l'altro stia facendo la scelta giusta, nonostante sia abbastanza sofferta.
C'è molto amore e poco egoismo, seppur velato.
E allora che cosa avrà fatto Kenma?
Se ne sarà andato alle prime luci dell'alba o starà ancora dormendo nello studio?
È un bivio che porta però ad una univoca verità: qualsiasi cosa abbia scelto di fare, Kuroo ne è rimasto contento.
Proprio per i motivi sopra citati!
Ne è felice, di una felicità genuina qualora lo avesse trovato ancora lì, riconoscendo la voglia di migliorarsi.
E ne è felice, di una felicità amara, qualora la stanza fosse stata vuota, riconoscendo la possibilità di non far soffrire più nessuno che sia Kenma o se stesso.
In entrambi i casi, entrambe le scelte sono giuste per entrambi loro!
Ha senso?
Non ha senso?
Probabilmente no, probabilmente ne avrete le palle piene dei miei finali aperti ad interpretazione.
E avete ragione, c'è solo da sopportare i miei folli esperimenti T_T
Fatemi sapere cosa ne pensate e perché no, voi cosa avreste scelto di fare?!
Ditemi un po'!
Come sempre vi lascio un bacino.
❤️
Alla prossima One Shot!
Lavienne_
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