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Su una pira ancora spenta, situata nel lato sud del Campo Marzio, giaceva un corpo senza vita, chiuso dentro il suo pregiato catafalco di acero e palissandro, decorato lungo le fiancate con spirali d'oro e preziose schegge di zaffiro provenienti dall'India, con la quale il defunto aveva intrattenuto frequenti relazioni grazie al suo ruolo di diplomatico.
Crasso Cornelio Balbo aveva bruciato le tappe del cursus honorum; era stato cavaliere, tribuno militare e ufficiale dello stato maggiore negli anni di servizio militare obbligatorio. Quindi era divenuto questore, edile e pretore e, raggiunto il milione di sesterzi in saccoccia, si era comprato la carica senatoriale e aveva combattuto per farsi eleggere consul suffectus. Quell'anno le sue speranze si sarebbero realizzate, se le Parche non ci avessero messo lo zampino. Ma Crasso aveva perlomeno ottenuto di far conoscere la sua famiglia in tutta Roma, di aprirle le porte dei salotti mondani e ottenere buoni impieghi per i suoi figli.
Che fortuna essere finita in una simile famiglia, pensò Flavia, contemplando il morto con lo sguardo torvo che la contraddistingueva, e che le dava l'apparenza di una donna glaciale e insensibile. Accanto a lei, suo marito Crasso teneva lo sguardo fisso sul catafalco, le sopracciglia aggrottate e le labbra serrate. Lui e suo padre erano stati inseparabili, tanto tempo prima, e nessuno sapeva dire quando e come i loro rapporti si fossero raffreddati. Forse quando Crasso junior aveva disintegrato una taberna lusoria in un momento di ebbrezza e il taverniere aveva minacciato di denunciarlo e gli aveva fatto pagare tutti i danni, mettendo in ridicolo la gens Cornelia. O forse quando il vecchio lo aveva obbligato a sposare Flavia, in base ad un accordo tra famiglie stipulato fin dalla loro nascita.
Quali che fossero stati i loro problemi, era pur sempre suo padre, e Crasso non era rimasto indifferente alla notizia della sua morte, recapitatagli mentre era al fianco di Germanico ad Artaxata, ad assistere all'incoronazione del nuovo re di Armenia. Lì aveva chiesto al suo legato un congedo, e si era precipitato a Roma. Era arrivato solo quella mattina, in tempo per i funerali.
Flavia si domandò se stesse soffrendo davvero per la perdita, o la sua fosse un'espressione di circostanza. Probabilmente la seconda. Non voleva essere considerata una persona cinica, ma quella morte improvvisa aveva portato più bene che male. Suo padre Fabio e Crasso senior avevano costretto i loro figli a sposarsi per continuare a mantenere il legame che univa le loro due famiglie, dato che la moglie del vecchio era sorella di Fabio, e quella che all'inizio loro stessi avevano preso per una buona scelta si era rivelato un errore madornale. La forzata convivenza aveva sempre più allontanato quelli che da bambini, aiutati anche dai pochi anni di differenza, erano stati compagni di gioco e di studio, e i rapporti si erano definitivamente spezzati quando Flavia si era innamorata di suo cognato.
Lo cercò con lo sguardo, dalla parte opposta della pira, e come sempre provò un tuffo al cuore. Valerio era tutto quello che suo fratello non sarebbe mai stato. Sapeva farla ridere, sapeva come farla sentire viva e donna, e sapeva procurarle, con un solo bacio, un appagamento che lei non era mai riuscita a trovare con il fratello maggiore.
Valerio sollevò lo sguardo, e si fissarono per qualche istante. Poi lei colse quel luccichio malizioso che talvolta gli si accendeva negli occhi, provocante, irrisorio, che la faceva sciogliere.
Stava per ricambiare il sorriso, quando suo marito si mosse, toccandola leggermente, e Flavia distolse lo sguardo. Come se ne è accorto?, si domandò, irritata. Da quando Crasso aveva scoperto la sua tresca col fratello le rendeva la vita un inferno, ma non aveva mai osato ordinarle di smetterla, dato che sapeva che la moglie aveva in mano la carta dei bordelli in cui lui si chiudeva la notte e non usciva fino alla mattina. Non poteva minacciarla o ricattarla senza che lei poi gli facesse fare una bruttissima figura.
Memore di questo, Flavia drizzò le spalle e si spostò, evitando un contatto che da tempo la disgustava.
<<...un amico speciale, un uomo dalle grandi potenzialità...>>
Davanti a loro, nel mezzo del cerchio di congiunti, amici, conoscenti e clientes di Crasso, Fabio stava recitando l'oratio funebris per il suo vecchio amico. Lui sì aveva sofferto molto quella perdita, ma chi era rimasta davvero sconvolta era stata la vedova, Valeria. Era sostenuta dalle amiche Aprilia e Cornelia, pallida sotto il velo scuro, con gli occhi sgranati, allucinati, quasi non riuscisse a credere che fosse accaduto. Era bastato passeggiare per l'Urbe nel momento sbagliato. Era bastato un carro pesante trainato da buoi in un orario non consentito, secondo le leggi della città, che impedivano il passaggio di mezzi a traino animale durante le ore diurne per le strade sempre superaffollate. A che era servita poi la pesante multa al conducente? Si trattava dello schiavo di un noto patrizio, un avvocato di grido. La cosa si era risolta in un'ora. Era stata una tragica fatalità, avevano detto le autorità. Ma, intanto, un uomo era morto.
<<...un bravo marito, un accorto padrone, un ottimo economo, un padre amorevole, che anteponeva a tutto il bene dei suoi figli...>>
Non allargarti, tata, pensò Flavia. Un ottimo padre? Quale ottimo padre avrebbe minacciato il figlio di diseredarlo se non avesse sposato la ragazza da lui scelta? Quale ottimo padre si sarebbe mostrato tanto sordo alle richieste di divorzio? Ma ora, il pater familias sarebbe stato Crasso junior, e loro due avrebbero finalmente potuto porre fine a quella situazione invivibile. Lei avrebbe potuto coronare il suo sogno d'amore con Valerio, e Crasso tornare alla vita da scapolo che tanto gli piaceva, al vino e alle puttane.
Flavia si portò una mano alla nuca. Le faceva male la schiena, non era abituata a rimanere tanto a lungo in piedi. Non vedeva l'ora che l'orazione di suo padre finisse e quella maledetta pira prendesse fuoco. Ancora poche ore di sopportazione, poi lei sarebbe stata libera, e il suo amore clandestino sarebbe stato ufficiato.
Al suo fianco, un'altra ragazza si lamentava, in maniera molto meno educata, anzi, piuttosto scortese, libera com'era dalla supervisione dei suoi genitori. Sua madre Cornelia, sorella del defunto, stava seppellendo il viso tra le mani, mentre suo marito Duccio la consolava stringendola a sé.
Flavia lanciò un'occhiata alla sua coetanea, verso la quale provava una fredda antipatia da quando aveva scoperto che, mentre si andava proclamando innocente e illibata come una quindicenne, in attesa del ritorno del suo fidanzato, per quasi tre mesi era stata l'amante di Valerio, che l'aveva lasciata per cause non chiare. Flora aveva finto di non rammaricarsene, ma Flavia aveva potuto cogliere certi sguardi di fiamma che lei le lanciava nelle poche occasioni mondane in cui erano costrette a rimanere insieme, e l'atmosfera tra loro non era mai delle più amichevoli, anche se in pubblico si comportavano come due grandi amiche.
Anche in quel momento, sentendosi due occhi puntati addosso, Flora la fissò con asprezza. Flavia, ritenendosi troppo matura per lasciarsi provocare, le domandò, in un sussurro: <<Ti annoi?>>
<<Tu no?>> le chiese di rimando lei.
Flavia riportò lo sguardo su Valerio. Finché aveva il piacere di osservarlo, non si sarebbe mai annoiata.
Valerio sollevò di nuovo lo sguardo, e questa volta Flavia sorrise. Non le importava di suo marito, né di Flora, che non si era persa lo scambio.
<<Alla fine hai ottenuto quello che volevi>> le sibilò la giovane donna.
<<Che intendi dire?>>
<<Ora te lo puoi sposare, il nostro bel Valerio. È stata proprio una fortuna, quell'incidente. È giunto al momento più opportuno.>>
<<Cosa stai insinuando?>>
<<Sacra Diana, quanto caldo!>> sospirò lei, facendo un cenno ad un'ancella, che iniziò ad agitare il ventaglio.
Flavia la guardò con insistenza, ma Flora non aveva intenzione di continuare. Si voltò, con rabbia. Sebbene quella morte, e lo ammetteva con franchezza, fosse giunta proprio nel momento più opportuno, e lo avesse più volte desiderato, non era stata lei l'artefice dell'incidente. Non ne avrebbe mai avuto il coraggio. Le Erinni vendicatrici l'avrebbero perseguitata nei sogni, e lei aveva troppo timore degli dei per contravvenire alle loro regole.
Finalmente, suo padre si interruppe, e posò una mano sul catafalco. Poi si fece dare la fiaccola accesa, e si tirò indietro. Valeria si fece avanti, con passo lento e incerto e, dopo essersi portata una rosa alle labbra, la posò sul legno, che sfiorò in una carezza. Le sue amiche fecero altrettanto con le campanule, e così tutti i presenti. Flavia fece in modo di trovarsi dietro a Valerio che, quando si voltò, le rivolse uno dei suoi sguardi penetranti e brillanti. Quello sguardo conteneva una promessa, e Flavia rispose con uguale ardore. Sì, questa morte ha portato solo del bene, pensò posando con disinvoltura il fiore violetto sul palissandro.
Pochi istanti dopo, la pira bruciava, e con essa tutti i ricordi di una sofferenza durata troppo a lungo.
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