Capitolo 39
MIKE
Ho passato il resto della settimana a casa di Éric. E tra queste quattro mura, mi sono chiuso in me piuttosto che uscire allo scoperto e affrontare il mondo al di fuori.
Mi sento uno schifo, e ogni giorno va anche peggio. È come se un enorme senso di vergogna si fosse abbattuto su di me e non riuscisse a farmi ragionare lucidamente, se non nei momenti in cui critico e odio me stesso. Un odio che deriva principalmente dal fatto che avrei potuto prevederlo, avrei potuto capire le sue intenzioni, avrei potuto allontanarmi appena in tempo. Ma io avevo gli occhi bendati, ed ero talmente accecato dal desiderio di sopravvivenza che i soldi mi hanno offuscato la vista.
Ogni tanto provo a domandarmi il perché di questo stato d'animo, capacitandomi del fatto che Bobby dovrebbe essere l'unico a pagare per quello che ha fatto, sia a me che chissà a quante altre persone prima.
E poi sorrido per un segno del destino, Éric, il quale è arrivato in tempo. E io, bloccato tra le lenzuola del suo letto, sono incapace di reagire. Ancora, non ho nemmeno trovato il coraggio di ringraziarlo.
La verità è che mi ha salvato la vita. E io non riesco a immaginare cosa sarebbe successo se...
ÉRIC
Ho voluto che Mike restasse a casa mia, e lui non ha esitato nemmeno per un istante ad accettare. Adesso, è da quattro giorni che non vuole mettere piede fuori dalla camera da letto e quelle poche volte che entro per controllare come sta, lo vedo annullarsi piano piano a causa di un porco schifoso che ha osato mettergli le mani addosso.
Mi sento così impotente.
Sin dal primo giorno in cui sono arrivato nell'agenzia di Bobby, avevo sentito delle voci sul suo conto. All'inizio stentavo a crederci, ma pian piano arrivarono sempre più testimonianze da parte di altri ragazzi vittime dei suoi abusi. E io cominciai a guardarlo con occhi diversi, allontanandomi il più possibile e limitando i nostri contatti a scambi di appuntamenti per i servizi fotografici. Con me non ha mai oltrepassato il limite, forse perché ho mantenuto le giuste distanze. Ma se avessi saputo che Mike lavorava per lui, lo avrei informato sulla brutta reputazione di Bobby. Perché non me l'ha detto?
MIKE
Éric è molto gentile con me, lo vedo. Anche se io continuo a respingerlo, noto le sue premure. So di non essere il solito Mike di sempre, ma lui è molto attento a lasciarmi lo spazio di cui ho bisogno per ritornare in me.
Sentire la sua presenza accanto mi aiuta a lenire il dolore.
Lo vedo entrare nella stanza con una tazza di tè ai frutti rossi, il mio preferito, e altre leccornie su un vassoio.
Il solo odore mi fa venire la nausea.
ÉRIC
Non ha ancora toccato cibo da quel giorno, e questo non fa che peggiorare la sensazione di debolezza che si porta addosso, di cui non si lamenta, ma che io riesco a vedere benissimo.
«Devi mangiare qualcosa.» Sentenzio poggiando il vassoio sul bordo del letto, per poi sedermi vicino a lui. Il suo viso è pallido, la sua espressione è più stanca del solito e gli occhi incavati ne sono la dimostrazione. Difatti, oltre a rifiutare il cibo, Mike fatica a dormire a causa degli incubi ricorrenti che lo tengono all'erta e lo costringono a svegliarsi in un pianto disperato. Io, nel mio piccolo, cerco di tranquillizzarlo ripetendogli che con me non ha nulla di cui preoccuparsi. E dopo qualche secondo, fortunatamente, riesce a ritrovare un equilibrio.
«Ti ringrazio, ma non ho fame.» Sussurra con voce debole.
Cerco di stabilire un contatto con lui sfiorandogli la mano, ma si ritrae. «Mi dispiace.» Dico d'istinto. Mi si forma un groppo alla gola e mi piange il cuore nel vederlo così.
«No, scusami tu. Non volevo reagire così.» Non ha nulla di cui dispiacersi, non avrei dovuto farlo. Anche se, l'unica cosa alla quale penso è che se avessi Bobby tra le mani, in questo momento, penso che potrei anche strozzarlo. Lurido bastardo.
«Grazie.» Adesso è lui a prendermi la mano, lasciandomi spiazzato.
«Per cosa?» Domando disorientato.
«Per tutto quello che hai fatto per me e, soprattutto, per avermi salvato la vita. Se tu non fossi arrivato in tempo, Bobby avrebbe potuto...» Non termina la frase, cercando di rimandare giù le lacrime.
«Se non fossi arrivato in tempo, non me lo sarei mai perdonato.» Continuo al posto suo.
Lui mi sorride per la prima volta da quattro giorni ed è così bello che vorrei persino immortalare questo momento.
«Ma ora che ci penso... come facevi a sapere che mi trovavo lì?» Domanda con espressione confusa.
Mi alzo per raggiungere la scrivania.
MIKE
Da uno dei cassetti, tira fuori quella che sembra essere una rivista. La lancia delicatamente verso di me, permettendomi di afferrarla al volo.
«Pagina 37.» Esordisce con tono pacato.
Sfogliando la rivista, mi affretto ad arrivare alla pagina consigliatami, fino a ritrovare il mio viso stampato in bella vista vicino a un articolo sull'eredità artistica di David Bowie, riportandomi alla mente il mio primo servizio fotografico, quando ero ancora ignaro di tutto.
«Io... Io non so cosa dire.» Balbetto. Le foto sono magnifiche, su questo non ci piove. Ma il fatto che Éric sia venuto a conoscenza del mio lavoro clandestino da una fonte che non fossi io, mi agita parecchio. «Mi dispiace.» Sarà arrabbiato con me?
Éric aggrotta la fronte. «Perché mi stai chiedendo scusa?»
«Non avrei dovuto farmi convincere a lavorare per lui. Era il tuo lavoro e, di sicuro, non avrei dovuto ficcare il naso. Però, mi trovavo in una situazione difficile da risolvere, avevo bisogno di soldi e non sapevo cosa fare...» Le mie mani cominciano a tremare mentre, tutto d'un fiato, racconto una verità di cui, ancora oggi, fatico a non vergognarmi.
«Non sono arrabbiato. Perché dovrei esserlo?» Cerca di tranquillizzarmi. «Non è un lavoro esclusivo per me. E non devi assolutamente giustificarti, né tantomeno sentirti in dovere di farlo, almeno con il tuo ragazzo, perché è quello che sono.» Si siede vicino a me e raccoglie le mie mani tremolanti in una stretta, per poi guardarci negli occhi e ritrovare quell'intesa che da giorni sembrava essere smarrita. «...Ma se in futuro dovessi avere altri problemi, per favore, vieni da me e li risolveremo insieme.»
Sento quasi gli occhi inumidirsi. «Grazie.» Sussurro. Non ho nessuna giustificazione valida per scusare il mio orgoglio e per ritrarlo, ma non riesco a farne a meno. Ho sempre dovuto far fronte ai miei problemi da solo ed è proprio per questo che non ho chiesto aiuto, ma avrei dovuto. Ammettere di non riuscire a fare qualcosa non significa essere deboli, ma consapevoli dei propri limiti.
«Adesso mangia qualcosa, però.» Mi esorta a scegliere dal vassoio ben fornito lasciato a sé stesso sul bordo del letto. Con il sorriso accennato e con l'amore in corpo per quest'uomo, affondo i miei denti in un sandwich al burro d'arachidi. Avevo quasi dimenticato quanto fosse buono il cibo.
«Un attimo.» Mi sovviene qualcosa in mente. «Ma ciò non spiega come facevi a sapere dove mi trovassi. Come hai fatto?»
«Ho chiamato la sua segretaria, che mi ha fornito tutte le informazioni necessarie per raggiungerti. Ho sempre avuto un bel rapporto con Margaret.» Spiega soddisfatto.
«Allora, sia benedetta Margaret.» Dico leccando un po' di burro d'arachidi dal sandwich, per poi rivolgergli un sorriso sincero.
ÉRIC
Non c'è gioia più grande che vederlo sorridere.
Gli scorsi giorni sono stati duri da affrontare, sia perché non avessi la più pallida idea di come avrebbe metabolizzato l'accaduto, sia perché non avessi idea di come comportarmi.
«Ho deciso di denunciarlo.» Esordisce laconico.
Quasi mi pietrifico, come se non mi aspettassi una reazione del genere in così breve tempo.
Poi continua: «ho deciso di esporre denuncia principalmente per dare voce a coloro che non hanno avuto il coraggio di farlo, sia per paura o per altri motivi. Io sono stato fortunato, ma non immagino cosa sarebbe potuto succedere se tu non fossi arrivato al momento giusto. E non riesco nemmeno a immaginare come si senta chi ha subito una violenza da parte sua, senza nessuno a soccorrerli. Non importa quanto mi costerà, quel porco deve pagare per i crimini che ha commesso!» Mike comincia a sistemare nervosamente le pieghe del suo pigiama, per poi voltarsi verso di me: «tu cosa ne pensi?»
Non esito neanche un attimo nel rispondere. «Supporterò qualsiasi decisione tu scelga di prendere.»
«Anche se questo potrebbe ripercuotersi sul tuo lavoro?»
«Assolutamente. Tu sei più importante di qualsiasi altro lavoro. E poi... che si fotta Bobby! Non voglio essere cliente di uno stupratore. Ho ricevuto altre proposte che posso gestire anche da solo. E se così non dovesse essere, posso sempre contare sul mio lavoro all'università.» Mi avvicino a lui appoggiando delicatamente le mani sulle sue spalle, per accarezzarle in segno di conforto. «Manderemo quel bastardo in prigione. E io sarò al tuo fianco per combattere insieme a te!»
Mike si lascia trasportare dall'emozione e, alzando lo sguardo verso l'alto, cerca inutilmente di rimandare giù le lacrime che ormai rigano il suo volto. Con le mie dite le raccolgo per ripulire il suo viso, il quale diventa sempre più bello ogni volta che lo guardo.
«Non so come farei senza di te.» Esordisce con voce ancora spezzata dai singhiozzi. «Adesso vorrei solamente ripulirmi e ricominciare a vivere la mia vita. Senza offesa, ma mi sono rotto di stare nel tuo letto.» Continua.
«In realtà penso tu abbia avuto un'ottima idea. Cominciavo a sentire un po' di cattivo odore ed ero convinto si trattasse di Léon, ma ecco svelato il segreto!» Lo stuzzico a mia volta osservando il corpicino peloso di Léon disteso ai piedi del letto, vicino a Mike. Da quando è arrivato, il mio gatto non ha fatto altro che stargli vicino; è una guardia fedele.
«Grazie per il complimento.» Mi dà un colpo sulla gamba.
«Di nulla.»
Dopo quasi una settimana, Mike riaccende il suo cellulare, lasciato al proprio destino vicino al letto, sulla scrivania. «Vorrei chiamare Max. Di solito ci sentiamo ogni giorno e suppongo si sarà preoccupato.»
Ma nel momento in cui digita il suo nome sullo schermo, qualcuno varca la soglia della stanza.
«God. Hai un aspetto orrendo!» Esordisce Max in tutta la sua schiettezza.
«Ma non si usa più bussare da queste parti?» Domando alzandomi dal letto, colto alla sprovvista.
«Se tu e il tuo ragazzo smetteste di tenere le chiavi di riserva sotto allo zerbino, la gente non entrerebbe in casa vostra.»
«Mi sei mancato veramente tanto.» Mike lo interrompe aprendo le sue braccia simulando una richiesta di abbraccio.
«Dove diavolo ti eri cacciato? È da giorni che ti cerco.» Commenta l'altro stizzito.
«È una lunga storia.»
Max si siede a bordo del letto, posizionandosi a braccia conserte e assumendo un'espressione offesa, tipicamente usata quando si sa di avere ragione. «Non ho fretta.»
«Okay, vi lascio da soli.» E mi allontano dalla stanza con la voce di Mike alle mie spalle che si confida con il suo amico.
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