Capitolo 37
«Potrei abituarmi a tutto questo.» Éric è poggiato su di un fianco sul letto del suo appartamento, mentre con una mano accarezza lentamente la mia schiena.
«A cosa?» Domando ingenuo.
«A noi due. Nello stesso letto. Nel mio appartamento. Mentre fuori la vita continua a scorrere tranquillamente.» Mi bacia sul collo, lasciando che un brivido attraversi la mia schiena fino a depositarsi nel basso ventre.
Ho passato la notte da Éric. Anche se, devo ammettere, di aver già perso il conto di quante serate io abbia trascorso nel suo appartamento. Ma nonostante i suoi impegni lavorativi, e la mia agenda che continua a riempirsi grazie a Bobby, cerchiamo di sfruttare al meglio ogni istante libero. A volte lui dorme da me, altre volte sono io a rimanere da lui.
Non importa dove, l'importante è stare insieme.
E io sto bene. Molto bene.
Certo, mi ci è voluto un po' per abituarmi al fatto di svegliarmi accanto a lui, accanto al mio ragazzo. Soprattutto quando prima ero solito ritrovarmi in situazioni imbarazzanti al risveglio, con uomini di cui non ricordavo nemmeno il nome.
Adesso invece apro gli occhi accanto a Éric. E il suo nome me lo ricordo bene. È come se fosse impresso sul mio cuore.
«Dobbiamo approfittare di questi momenti insieme, no?» Sottolineo rannicchiandomi vicino al suo corpo per poter sentire il suo calore. Lui mi circonda con le braccia e mi stringe a sé. Potrei rimanere qui per sempre.
«Vorrei potessero non finire mai.» Commenta poggiando dolcemente il suo mento sulla mia testa, dopo averla baciata.
«E invece bisogna andare a lavorare. Anzi, siamo già in ritardo.» Oggi è il mio giorno off dagli shooting ai quali Bobby mi ha prenotato. Devo ammettere che sono stati un successo dietro l'altro, nonostante l'insicurezza iniziale, e i guadagni mi stanno aiutando a estinguere il debito con la banca. La mia vita non potrebbe andare meglio. Mi sento più leggero e tranquillo. L'unica cosa che mi inquieta è il fatto che Éric non sappia nulla e non credo di sentirmi ancora pronto a dirgli la verità. Anche perché non vorrei ci fossero incomprensioni tra di noi. La nostra relazione procede molto bene e non sarò colui che mette i bastoni tra le ruote.
Nonostante il day off, però, oggi devo incontrarmi con Kevin per lavorare alla conclusione del mio romanzo. Ha fissato un incontro con gli altri editor della sua casa editrice per buttare giù un paio di idee che possano servirmi come ispirazione. E confesso di essere tanto eccitato quanto spaventato allo stesso tempo. È il mio primo libro e, da tale novellino, detesto sentirmi fuori luogo, soprattutto in mezzo a dei professionisti.
«Lavoro? Non so cosa sia.» Mugugna, affondando il suo viso nel cuscino. «Non ho voglia di fare nulla. Voglio stare qui con te.»
«Anche io vorrei rimanere qui, ma sono talmente in ritardo da aver perso persino la cognizione del tempo.» Mi tiro su dal letto, per poi cercare i miei vestiti. La scorsa notte Éric me li ha letteralmente strappati di dosso. Risparmio i dettagli.
«In ritardo per cosa?» Arreso, scopre il suo corpo dalle lenzuola. Quant'è bello.
«Devo incontrare Kevin e i suoi collaboratori per lavorare al mio romanzo.»
«...Che non mi hai ancora fatto leggere.» Sottolinea.
Sorrido imbarazzato. «Preferirei che tu lo leggessi una volta concluso.»
«Va bene. Ma prendi la mia aiuto per andare. Arriverai lì prima che con i mezzi.»
«La... la tua auto?» Balbetto.
«Sì. Anzi, la nostra auto.» Rettifica spiazzandomi. La nostra auto? Ha seriamente detto nostra? Mi fa ancora effetto sentirlo dire, soprattutto da lui e soprattutto dopo aver vissuto tutto così intensamente da sembrar essere passati anni dal nostro incontro.
Annuisco per accettare la sua offerta. Anche se una volta entrati nel giro del noi, non si torna più indietro. E lo so bene. Ma penso di poterci convivere.
«Ma devi proprio andare adesso?»
Mi abbottono la camicia ritrovata sotto al letto.
«Neanche il tempo per una doccia veloce?» Mi supplica sfoggiando i suoi soliti occhi da cerbiatto per ottenere ciò che vuole.
Io alzo gli occhi al cielo, per poi gettare la camicia sul pavimento e lanciargli uno sguardo seducente. «L'ultimo che arriva deve insaponare l'altro.» E mi fiondo verso il bagno di casa.
«Allora mi sa che arriverò ultimo di proposito.»
*
Siamo seduti a una tavola rotonda. Io sudo freddo all'interno del mio abito migliore, mentre gli altri partecipanti sembrano abbastanza a loro agio con il proseguirsi dell'incontro. Le mie mani sono appiccicaticce e i miei movimenti sono più maldestri del solito. E come se non bastasse, la mia preoccupazione nel non far notare la mia inadeguatezza mi rende talmente agitato da non riuscire a concentrarmi sul lavoro.
«...Per questo abbiamo pensato a una conclusione più introspettiva che commerciale.» Conclude Kevin dalla sua postazione manageriale e in tutto il suo splendore professionale, mentre gli altri editor continuano a digitare nervosamente qualcosa ai loro laptop.
Gli occhi di tutti sono puntati su di me. Ma io non faccio altro che sprofondare nel mio posto occupato al tavolo, con la testa che vaga altrove. Probabilmente si aspetteranno una risposta sensata e che analizzi ciò che è stato elaborato nei minimi dettagli. Ma io ho prestato attenzione quasi al due percento di quello che è stato appena detto. «Penso sia un'ottima idea.» Taglio corto sperando di tranquillizzare gli sguardi indiscreti, nell'attesa che si concentrino su altro.
Kevin mi osserva con occhi attenti avendo, sicuramente, notato la mia agitazione. «Ragazzi, potete lasciarci un momento da soli?» E ancora prima che possa finire la frase, gli altri editor sono già fuori dalla sala riunioni in men che non si dica. È così temibile Kevin al lavoro?
Incrocia le mani sul tavolo di vetro, attirando la mia attenzione. Siamo uno di fronte all'altro e immagino si aspetti io dica qualcosa. Ma ciò mi rende solamente più nervoso.
«Cosa ti prende?» Chiede con tono più pacato, meno direttoriale rispetto a qualche istante prima.
Scuoto la testa alzando gli occhi al cielo. «Non ne ho la più pallida idea. Ho l'opportunità di farmi consigliare dai migliori editor dell'intero pianeta e sto rovinando tutto.» Porto le mani sul viso, per nascondere la mia vergogna.
«È normale essere nervosi. Le idee ti sono state date. Certo, alcune meglio di altre. Ad esempio, non prenderei mai in considerazione di concludere la storia con l'annegamento del protagonista nel fiume Hudson a causa di un attacco di gelosia verso il suo amante.» Commenta accennando un sorriso.
E ci risiamo. Kevin ha la capacità di farmi sorridere anche nei momenti più imbarazzanti. È un bravissimo amico, oltre che a essere un bravissimo CEO.
«Apri il tuo laptop. Ci lavoreremo insieme, anche a costo di concludere stanotte. Dico ai colleghi di andare a farsi un giro.» E con un cenno della mano, gli altri, ancora attaccati alle pareti in vetro della sala con la speranza di rientrare, vengono liquidati.
Passano le ore e, in un batter d'occhio, il cielo si scurisce, sfoggiando una luce lunare candida e splendente. Io e Kevin lavoriamo incessantemente alla conclusione del mio romanzo senza accorgerci del passare delle ore. E talmente la determinazione, decidiamo di trasferire il lavoro sul pavimento per aver un campo visivo più ampio. Dopo solamente alcune bozze con dettagli scrupolosi che terminano le ultime pagine dell'ultimo capitolo, ordiniamo una pizza da asporto.
Seduti sul pavimento freddo della sala, ci fiondiamo sul cartone della pizza, accompagnato da patatine fritte e bevande fresche.
«Dio, non mangiavo una pizza talmente buona da mesi ormai.» Commento addentandone una fetta. Non pensavo fosse così faticoso concludere un romanzo.
«Il proprietario del ristorante è italiano, sarà per questo che è squisita. Sai, dopo essermi trasferito dalla Sicilia avevo bisogno di trovarmi un posto dove facessero prelibatezze culinarie della mia patria.»
«Ti manca casa tua?» Domando. Entrambi siamo siciliani, ma non abbiamo mai approfondito il discorso più del dovuto.
Lui getta la crosta della sua fetta di pizza sul cartone e distende la schiena sorreggendo il suo peso con i gomiti appoggiati sul pavimento. «Non proprio.»
Curvo leggermente il viso. «Cosa intendi?»
«Intendo dire che vivere lì è stato un capitolo ormai chiuso della mia vita. Ho passato sia la mia infanzia che la mia adolescenza in Sicilia. Certo, ogni tanto mi manca; mi mancano le persone che ho conosciuto e che amo, ma non mi sognerei mai di tornarci. Neanche per una breve visita.»
Mi lascia interdetto. Perché non tornare a casa quando si ha nostalgia?
«Scusa la mia insistenza, ma come dico sempre: la curiosità non è donna, ma è queer. Perché non vorresti tornare?»
«È complicato.» Taglia corto.
«C'è qualcosa che non lo è?» Lo incito a continuare.
Lui socchiude gli occhi per poi ritornare a una posizione eretta. «Mettiamola così: tornare lì significherebbe dover fingere di non essere me stesso.»
Aggrotto la fronte. Non capisco.
«I miei genitori non sanno che sono gay, nemmeno mio fratello. Tantomeno il resto della mia famiglia.» Confessa alzando gli occhi verso l'alto per evitare il mio sguardo. Penso si senta imbarazzato.
«Non l'hanno mai scoperto?» Solitamente i genitori sanno sempre questo genere di cose ma, a volte, non riescono ad ammetterle.
«No. Come avrai potuto notare, non sono il tipico stereotipo di ragazzo gay. Non che ne esista uno, ma per alcune persone purtroppo è così. Negli anni ho cercato di nascondere il mio vero essere per paura del giudizio degli altri. Ero talmente terrorizzato da pensare che potessero non volermi più bene a causa della mia omosessualità. Ho persino finto di avere una ragazza qui a Parigi per evitare di tornare a trovarli per le feste.»
«Hai ancora paura?» Chiedo impassibile.
Lui tentenna per qualche istante. «Non lo so.»
«Non dovresti averne. Loro sono la tua famiglia. E ogni famiglia che vuole bene al proprio figlio lo accetta così com'è. Non avere paura di un qualcosa che ancora non esiste. Parla con loro, confessagli la tua verità. Cos'hai da perdere?» Continuo.
Lui non risponde.
«Nulla. Non hai assolutamente nulla da perdere. Continueresti solamente a vivere così come stai vivendo adesso, ma con un peso in meno.»
«È più difficile di quanto pensi.» Insiste.
«È difficile solo se non ci provi.»
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