Capitolo 24 - Première partie

Infilo delicatamente le chiavi all'interno della serratura della porta del mio appartamento, evitando di fare troppo rumore per non disturbare i miei vicini. Sono quasi le sei del mattino e una denuncia per disturbo della quiete pubblica è l'ultima cosa di cui ho bisogno. Dopo qualche tentativo riesco a svincolarmi dai cigolii della porta massiccia e, con passo leggero, come farebbe un ladro, mi intrufolo all'interno di quella che è ormai diventata casa mia. Mi guardo attorno mentre sfilo dai piedi gli stivaletti che hanno provocato un'infiammazione ai talloni. Li accarezzo per alleviarne il dolore, ma con un lieve miglioramento. Tiro fuori dallo stipetto della cucina un bicchiere di vetro per versarci un po' d'acqua. La mia bocca è asciutta, probabilmente non avrei dovuto bere tutto quell'alcol, ma allora mi sembrava una buona idea.

Mentre mi dirigo verso la mia stanza da letto, lascio scivolare giù dalle braccia la giacca di paillettes, simbolo e ricordo di una notte incancellabile, che custodirò con estrema premura e gelosia. Mi avvicino allo specchio e osservo il mio riflesso: gli occhi lucidi a causa della stanchezza, le labbra leggermente screpolate per la disidratazione e i capelli arruffati dopo avergli permesso di poterli accarezzare. Comincio a ridere in preda a un'euforia incontrollata. Mi domando quanto possa essere stupido sbellicarsi dalle risate con il Mike nello specchio, l'altra metà di me. Osservo quel me stesso mentre il sorriso stampato sul mio viso rivela la felicità del momento, una spensieratezza al sapore di Éric. Un leggero retrogusto fisso sulla mia bocca che non ho intenzione di sprecare o di mandare giù. Se chiudo gli occhi riesco ancora a percepire il suo tocco leggero sulle mie braccia, sulle mie spalle, tra i miei capelli. Se chiudo gli occhi riesco ancora a ricordare il suo sapore.

È stato difficile rincontrare Max all'interno di quel locale, ma non potevo andare via senza avvertirlo del fatto che Éric mi avrebbe riaccompagnato a casa alla fine della serata. E, inoltre, avevo bisogno del mio cellulare, dovevo recuperare la mia ancora. Max non si stupì più di tanto che non sarei rimasto a dormire a casa sua, dato che Éric mi stava alle calcagna. E non mi dispiaceva affatto, anzi lo reputavo quasi piacevole. Mi liquidò con un semplice: «domani ti chiamo e mi racconti tutto». Anche se in realtà non c'è nulla da raccontare. Éric mi ha portato a casa e nulla più, senza pretendere che potesse succedere altro. Entrambi sapevamo che un bacio era tutto ciò di cui avevamo bisogno in quel momento... ed è tutto ciò di cui abbiamo bisogno fino a ora. Il domani è impossibile da programmare, ma si vedrà con il tempo se sarà possibile procedere con un passo avanti. Stranamente, è come se non avessi voluto affrettare le cose in maniera eccessiva. In altre situazioni mi sarei già fiondato nel suo letto, ma questa volta è completamente diverso. Éric è diverso. Aspetterò per potermi godere ogni istante e ogni singolo momento con lui, come ho già cominciato a fare.

Mi spoglio completamente. Indosso una t-shirt larga color panna che funge da pigiama. Mi fiondo sul letto portando le braccia dietro la mia testa e fissando il soffitto. Do una rapida occhiata alla sveglia sul comodino. Sono le sei e quindici del mattino e i miei occhi sembrano non aver nessuna voglia di concludere la giornata, né tantomeno io. Probabilmente perché vorrei sentirmi ogni giorno come mi sento adesso o probabilmente perché vorrei poter conservare questa sensazione per sempre... eppure un modo ci sarebbe. Porto le spalle allo schienale del letto e incrocio le gambe poggiandovi sopra il pc recuperato dalla scrivania adiacente. Apro un nuovo documento word e comincio a tirar fuori ogni singola emozione che mi passa per la testa fino al sorgere del sole, fino al giorno nuovo, senza mai staccare lo sguardo dallo schermo e le dita dalla tastiera.

*

«Hai intenzione di tenermi sulle spine ancora un altro po'?» Esclama Max con un tono di voce che suscita curiosità da parte dei clienti del locale. Con un gesto affrettato delle mani cerco di chiedergli di abbassare il volume della voce, per evitare che ci sbattano fuori da Ladurée.

È domenica e Max è venuto a prendermi sotto casa per pranzare fuori ed, evidentemente, per poter spettegolare su ciò che è successo ieri sera. Sì, la curiosità è queer. Ha di gran lunga preferito che parlassimo a quattr'occhi piuttosto che al cellulare.

«Com'è stato?» Chiede con espressione di giubilo. «Ce l'ha grosso? Secondo me sì» aggiunge con un movimento delle sopracciglia.

«Diavolo, non lo so. Cerca di placare i tuoi ormoni da sedicenne, Max» scherzo.

«Non posso, io sono eternamente adolescente dentro di me». Beve un sorso del suo calice di Merlot.

Alzo gli occhi al cielo. «Comunque non so se ce l'abbia grosso o meno».

Quasi si strozza con il vino. «Come scusa? Quindi ieri sera non avete...?»

«No» concludo timidamente.

Lui scuote la testa in segno di disapprovazione. «Devo commentare?» Gesticola.

«So già cosa vuoi dire» mi guardo attorno, «ma in quel momento andava bene così. In realtà va bene così anche adesso».

Alza un sopracciglio. «Beh, contenti voi» fa spallucce. «Comunque, devo dire che mi hai sorpreso».

«Perché?» Chiedo senza sapere di cosa stia parlando.

«Ti lascio con un ragazzo e poi ti ritrovo con un altro. Insomma, il perfetto preludio per scoprire l'essenza della dolce vita».

«Merda... Kevin! Mi sono completamente dimenticato di lui» mi gratto nervosamente la fronte prima di bere un sorso del mio Chardonnay. «Ti prego, passami il suo numero così da potermi scusare con lui per la brutta serata».

«Beh, non mi sembra sia stata tanto brutta... almeno per uno di voi due».

«Sì, ma sono scappato via senza degnarlo di una spiegazione» alzo nuovamente gli occhi al cielo.

«Non preoccuparti, probabilmente sarà già passata a Kevin, ma se ci tieni tanto ti do il suo numero. Poi sta a te decidere cosa farci... ma dove sono i nostri piatti?» Alza una mano nel tentativo di attirare l'attenzione di qualche cameriere, ma sembrano tutti impegnati a fare altro. Fortunatamente, dopo qualche minuto ci servono le portate.

«Non penso che lo utilizzerò in quel senso. In realtà, non credo di voler rovinare quello che c'è tra me ed Éric» confesso. A stento riesco a credere alle mie parole.

«Wow... ti sei innamorato» commenta estasiato.

«Cosa...? No, dai. Mi sembra esagerato metterla in questi termini». Entrambi tacciamo per qualche istante.

«Sì, ti sei innamorato» ripete Max con lo stesso entusiasmo di prima. Io rispondo con un semplice sorriso. Un sorriso spontaneo che, in realtà, nasconde una grande paura.

Ladurée si trova sugli Champs-Élysée e le grandi vetrate che circondano il ristorante lasciano intravedere il grigiore di questa mattinata domenicale. Nonostante ciò, la gente sembra essere in sintonia con la temperatura attuale e ammetto sia alquanto suggestivo anche per me.

«Ah, ho dimenticato di dirti una cosa».

Prende un'altra forchettata della sua insalata. «Dimmi tutto».

«Ho invitato Éric a unirsi a noi per... il dolce».

Lui sgrana gli occhi. «Cercherò di sorvolare sul doppio senso che suscita questa frase. Anyway, finalmente conoscerò tuo marito».

«Smettila!» Lo zittisco prima di ridere a crepapelle senza un senso logico.

Concludiamo il pranzo con altrettanti pettegolezzi sulla mia vita sentimentale e su quella di Max, anche se sembra non aggiungere nulla di così piccante o rilevante. Mi confessa di non avere abbastanza tempo per trovare un ragazzo fisso: è troppo impegnato a gestire il suo blog sulla vita di Anna Wintour e a perfezionare il feed del suo account Instagram. Come dargli torto? Sono delle attività che richiedono grande attenzione, soprattutto la seconda. Io ci rinuncio ogni volta che tento di pubblicare tre fotografie coordinate, perché poi è come se ricominciassi da capo.

«Eccolo lì» Max annuncia l'arrivo di Éric , il quale varca la soglia del ristorante con un dolcevita aderente marrone e un paio di jeans chiari. Il suo viso è splendente, probabilmente grazie a qualche ora di riposo. Non come me che sembro appena uscito da un romanzo di Stephen King. Ci rivolge un sorriso mentre si avvicina al nostro tavolo. Qualsiasi parola risulterebbe inappropriata per descrivere la bellezza di quest'uomo... del mio uomo.

L'ho detto seriamente?

«È libero?» Chiede indicando una sedia accostata al nostro tavolo. Mi guarda negli occhi con fare di scherzo.

«In realtà... no». Il suo sguardo è attonito. «Aspetto un ragazzo dall'aspetto carino e dal carattere simpatico e qui non ne vedo».

«Peccato, vuol dire che dovrò tenermi la sorpresa per me».

«Quale sorpresa?» Chiedo incuriosito.

«Questa». Si avvicina verso di me e lentamente poggia le sue labbra sulle mie. Con delicatezza mi accarezza una guancia.

«Siete così carini che quasi... vomito» Max interrompe il nostro momento di intimità. Non so se ringraziarlo per questo, la situazione sarebbe potuta diventare incontenibile.

«Oh... scusaci. Max ti presento Éric. Éric, lui è Max».

«Ehi Max, come stai?» Chiede Éric rivolgendogli una pacca sulla spalla. Max ricambia con un sorriso. Scuoto leggermente la testa, non capisco.

«Un attimo. Voi due vi conoscete già?» Domando.

Éric annuisce. «Entrambi frequentiamo la stessa università, mi sarei stupito di più del contrario».

«Ma non me l'hai mica detto!» Esclamo voltandomi verso Max.

«Non pensavo fosse così importante per te saperlo. Sono passati quasi tre anni da quando ci siamo conosciuti» si giustifica.

«Ma non hai mai accennato nulla» continuo.

«Credimi, è meglio così» improvvisa un sorriso forzato invitandomi a concludere il discorso.

Faccio spallucce nonostante io mi chieda cosa voglia dire quel credimi, è meglio così. Li osservo per qualche istante mentre entrambi si rivolgono sguardi di affetto. Ma poi...

BAM. Capisco.

«Oddio! Voi due siete stati insieme?» Esclamo. Vorrei poter scattare una fotografia per ritrarre la loro espressione pietrificata. «Sì, è proprio così!» Aggiungo per dare maggiore enfasi alla mia affermazione.

«Cosa... noi due? Insieme?» Max indica entrambi con le dita. Sembra quasi divertito dalla mia affermazione.

Éric si volta verso di lui. «Perché? Cosa ci sarebbe di male, in caso?»

«Nulla, ovvio». Max tenta di giustificarsi, è come se sudasse freddo. «Ma fatico a immaginarci come una coppia».

Qualche minuto di silenzio tra i due. Sguardi imbarazzati che non migliorano la situazione.

«Okay» esordisce Éric. «Hai vinto tu. Sì, siamo stati insieme. Ma è ormai un capitolo più che chiuso... direi bruciato».

«Sì, è stato un tremendo errore pensare che avrebbe funzionato» aggiunge Max. Entrambi ridacchiano.

«Wait. Adesso sto cercando io di immaginarvi come una coppia e a stento riesco a farlo» commento. Che visione orribile. Sarebbe come spalmare nutella e ketchup insieme sul pane.

Max beve un altro sorso di vino. «Appunto. È successo all'inizio... quando ci siamo conosciuti. Ma si è trattata solamente di una sbandata passeggera, nient'altro. Se ci penso mi vengono ancora i brividi».

«Ehi!» Lo riprende Éric.

«Senza offesa, honey. Ma non sei il mio tipo». Fa l'occhiolino prima di aggiungere: «e assolutamente no, Mike!»

Sgrano gli occhi. «Cosa?»

«So cosa ti stai domandando e no, non abbiamo scopato».

*

«Stai bene?» Mi chiede Éric dal sedile lato guida della sua Austin Rover.

Annuisco guardando di sfuggita lo specchietto retrovisore. «Sì. Mai stato meglio». Mi volto verso di lui mentre accosta alla strada adiacente al cancello di casa mia.

Spegne l'auto. «Spero non ti abbia dato fastidio che né io né Max ti abbiamo accennato di ciò che c'è stato tra di noi».

Scuoto la testa. «Assolutamente no. In caso contrario so gestire benissimo la gelosia, tranquillo».

«Disse la stessa persona di ieri sera». Entrambi ridiamo.

Il silenzio cala all'interno dell'auto. «Quindi adesso...» lascia la frase a metà, senza insistere su cosa dire per concluderla.

«Adesso...?» Lo incoraggio a tirare fuori ciò che vuole realmente dire.

«Sono, tipo, il tuo ragazzo?» Si stringe nelle spalle.

Accenno un sorriso nell'imbarazzo della situazione. «Tu vuoi esserlo?»

Sorride di conseguenza. «E me lo chiedi?»

«Non so, magari da ieri sera a oggi hai cambiato idea» lo prendo in giro.

«Sappi che, di solito, quando prendo una decisione è difficile che torni indietro».

Il cuore mi scoppia dentro al petto. Probabilmente se non ci fosse l'eco delle nostre voci, sarebbe anche possibile riuscire a sentirne il battito.

«Okay, allora... sei, tipo, il mio ragazzo». Lo bacio. «Vuoi salire da me?»

«Non sai quanto vorrei, ma oggi non posso. Devo prepararmi per un casting che si terrà domani. Bobby mi sta torturando. Dice che potrebbe essere un'occasione molto importante per la mia carriera, se mai io ne abbia avuto una» si giustifica. La sua espressione, però, lascia intendere quanto avrebbe voluto poter fare il contrario.

«Non preoccuparti, sarà per un'altra volta. In questi giorni io sarò impegnato con la scrittura della tesi. La prossima settimana ho l'incontro con il professor Kavanaugh e devo assolutamente portargli ciò che mi ha chiesto. Probabilmente morirò di qui alla fine del mese».

«Vedrai che andrà bene. In caso contrario, il soldato Dubois è pronto a soccorrerti. Che ne dici?»

«L'idea non mi dispiace affatto» commento prima di baciarlo per l'ultima volta. «Adesso devo andare, in bocca al lupo per domani!» Apro lo sportello dell'auto e mi affretto a raggiungere l'entrata del palazzo. Nel mentre, un'unica voce nella mia testa mi consiglia di non voltarmi, perché lasciare andare è molto più difficile quando si guarda ciò che si desidera.

Però mi volto e lo guardo.

Lo guardo mentre mi sorride aspettando che io entri in casa.

Lo guardo prendersi cura del mio cuore spezzato.

Lo guardo rimettere insieme i residui dell'amore.

Perché, in realtà, è vero... lui è il mio soldato.

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