Capitolo 22
Mike
È stata una settimana terribile.
Sono passati esattamente sette giorni da quando ho visto Éric per l'ultima volta. Da allora non ho più sue notizie. Subito dopo essere scappato via dalla verità che mi ostino a negare, ho capito di aver commesso l'errore più stupido della mia vita. E di errori ne ho fatti tanti, impossibili da contare sul palmo di una mano. Ma questo rientra sicuramente tra i tanti che non riuscirò mai a perdonarmi.
Non so definire con certezza il motivo della mia fuga. Forse avevo solamente paura. Forse la mia mente non era abbastanza lucida. Forse non era il momento giusto per confidarmi un sentimento tanto importante per lui. Nessuno dei due era pronto. E l'ho capito dalla mia irrefrenabile smania di scrivergli o di chiamarlo per sapere come sta, per capire se non voglia più avere a che fare con me, per arrendermi al fatto che mi abbia definitivamente messo da parte. Di sicuro, non lo biasimerei. Avrebbe pienamente ragione se volesse mandarmi a fanculo. Insomma, lui mi ha ascoltato per un'ora, o forse anche due. È stato lì a supportarmi mentre tiravo fuori il peggio di me, la parte di cui mi vergogno di più, ed io cosa ho fatto? Me la sono data a gambe solamente per avermi confidato... la sua verità? Una verità che potrebbe perfettamente combaciare con la mia? Forse avrebbe potuto funzionare se non fossi stato così ridicolo. So di esserlo, ma non ne vado fiero.
Gli avrò scritto più o meno venticinque messaggi in questi giorni, nessuno dei quali ha mai ricevuto una risposta. Eppure, il suo silenzio equivale già a una risposta o, forse, sarebbe meglio definirla come una sentenza. Una di quelle alle quali non riesci ad arrenderti. Seppur sentenza, non necessariamente corretta, non definitivamente definitiva.
Ho bisogno che mi perdoni. Non lascerò che i suoi ricordi scivolino tra le mie mani come sabbia ardente. Anche perché, quelli che ho, sono ben pochi in confronto a quelli che immaginavo avremmo creato insieme.
Adesso solamente briciole. Molliche di dignità che ostino a raccogliere nonostante io le abbia smarrite già al quarto messaggio in cui gli domando scusa, per poi insultare me stesso per essere stato un codardo. Ciò che mi resta sono briciole.
Ma la vita va avanti e il tempo, nemico qual è, scorre senza nemmeno rendermene conto. Durante questa settimana non sono riuscito a fare grandissimi progressi con la stesura del mio elaborato finale e ciò mi destabilizza e non poco, principalmente per la scadenza imminente.
Fuori non fa più così freddo, ma com'è che dentro di me sembra essere sempre inverno?
Max, da grande adulatore, mi ha costretto ad accettare di uscire con lui e alcuni suoi amici, nonostante avessi rifiutato in partenza. Ciò non è stato minimamente preso in considerazione da parte sua perché una promessa è una promessa, e avevamo già organizzato ogni singola cosa nei minimi dettagli una settimana fa. Avevo persino scelto la giacca di paillettes da indossare per la serata drag alla quale andremo. Ho provato ad autoconvincermi del fatto che ciò non può che essermi d'aiuto nel riabilitare la mia lucidità. Una lucidità che in questi giorni ha fatto cilecca e non per libera scelta, ma per un'ingannevole sensazione di tremenda fine.
Éric, rispondimi.
Inoltre, Max mi ha costretto a lasciare i pensieri negativi, e soprattutto lo studio, fuori dal mio spazio vitale almeno per stasera. «Qualche shot di tequila non ti farà di certo abbandonare questo stato di eterna commiserazione, ma ti farà bene» così si è concluso il suo discorso di incoraggiamento che ha avuto la meglio sulla mia decisione.
Sono a casa di Max. Penso abbia provato più o meno otto outfit diversi, nessuno dei quali ha riscontrato un'approvazione né da parte mia né tantomeno dal suo ego. Un ego dolce, appassionato, genuino.
«Cosa ne pensi di queste?» Mi mostra delle ciglia finte con dei glitter. Sgrano gli occhi nell'incredulità che lui possa seriamente indossarle, rendendomi conto, subito dopo, che in realtà sarei colpito del contrario.
«Dovresti mettere quei pantaloni». Indico un paio di Liu Jo neri in latex all'interno del suo guardaroba.
«Gosh! Questi mi sembra di averli comprati a Roma durante un viaggio, ma non li ho mai indossati. Hai ragione, sono stupendi e poi risalterebbero ancora di più il mio culo pazzesco» si dà una pacca sul sedere mentre continua a guardarsi allo specchio, prima di tirare fuori dal cassetto del comò una palette di Fenty Beauty. Lo ammiro esterrefatto mentre realizza le sopracciglia più simmetriche di sempre.
«Se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere. Prendi ciò che vuoi». Lo ringrazio con un sorriso sincero.
Mentre studio attento le varie tonalità del suo guardaroba, sento arrivare una notifica sul cellulare. Lo tiro fuori dalla tasca con il battito cardiaco accelerato, sperando sia un messaggio da parte di Éric. Invece niente, solamente spam.
«Sai che non puoi fare così per tutta la sera» annuncia Max prima di avvicinarsi verso di me. Una mano sul fianco destro mentre con l'altra decide di strapparmi via il cellulare. «Questo lo tengo io!»
«Non puoi farmi questo, ti prego» piagnucolo mentre tento, invano, di recuperare l'unica speranza di una comunicazione con Éric.
«Posso eccome. È per il tuo bene. Inoltre, voglio presentarti un mio caro amico che potrebbe farti distrarre un po' da Mister E».
«Mister E?» Chiedo confuso.
«Da piccolo ero un appassionato di fumetti. No comment» si giustifica.
«Ma non c'è nulla di male».
«Cambiamo discorso, forse è meglio non ricordare tempi nefasti della mia infanzia». Entrambi sorridiamo.
Max mi comunica che, da casa sua, il locale dista una manciata di minuti a piedi. Non è necessario prendere la macchina, anche perché uno dei suoi amici ci riaccompagnerebbe a casa se non dovessimo essere nelle condizioni di farlo con i nostri piedi. D'altronde, si prospetta una serata all'insegna del caos. Dove per caos si intende devasto e per devasto si intende in hangover per almeno tre giorni consecutivi.
«Okay, penso di aver fatto. Sono pronto» annuncia prima di inarcare leggermente le labbra allo specchio e arruffarsi un po' i capelli. «Sei sicuro di non volere un po' di questo?» Si rivolge a me mentre agita con la mano destra un eye-liner.
Scuoto la testa. «No, grazie. Sono a posto».
«Anyway, adoro la tua giacca». Sorride.
Usciamo da camera sua per dirigerci nella stanza principale della casa, dove c'è Dorothea che tiene tra le braccia una pelliccia.
«Merci, chérie» la ringrazia mentre lo aiuta a indossarla, poi si rivolge a me: «Dorothea ha già preparato il tuo letto nella camera degli ospiti, così ti sentirai più a tuo agio».
«Rimango qui stanotte? Ma non ho portato nulla con me» chiedo colto di sorpresa.
«Ti presterò qualcosa, abbiamo la stessa taglia. Di sicuro non tornerai a casa da solo. È fuori discussione». Com'è premuroso.
Non contesto la sua decisione, anche perché ritornare da solo nel cuore della notte non mi affascina come idea, soprattutto in una città che conosco a malapena.
Entrambi ci addentriamo nel cuore del quartiere di Marais, dimora della comunità LGBT e uno dei luoghi più affascinanti dell'intera Parigi, nonché lo stesso quartiere in cui si trova casa di Max. Arriviamo a destinazione in pochissimo tempo, dove la serata e il caos sembrano già esser cominciati.
Il locale riesce a differenziarsi nel buio della notte sia grazie alle sue luci stroboscopiche, sia ai flussi di gente che entrano ed escono dall'antico palazzetto ristrutturato, che porta un nome inglesizzato. Risulta difficile persino riuscire a individuare la porta d'ingresso, ma Max non sembra preoccuparsene, continua a guardarsi intorno come se sapesse bene cosa fare e cosa dire.
«Aspetti qualcuno?» Chiedo.
Lui mi sorride delicatamente. «Penso che i miei amici stiano per arrivare, te l'ho detto. Inoltre, non vedo l'ora di presentarti il ragazzo di cui ti parlavo. È italiano anche lui e vive qui da ormai cinque anni. Penso possa piacerti».
«Non penso sia il caso...» vengo interrotto dall'urlo euforico di Max: «Eccoli! Finalmente».
Un gruppo di cinque ragazzi abbastanza affascinanti si avvicina verso di noi. Max gli corre incontro per abbracciarli uno alla volta, mentre io lo seguo a passo lento, a tratti imbarazzato.
Concluse le dimostrazioni d'affetto, Max agita il braccio sinistro verso di me, come se volesse introdurmi alle presentazioni. Cerco di distogliere lo sguardo da un ragazzo che continua a fissarmi con fare ammiccante.
«Ragazzi, lui è Mike. Un mio caro amico in visita dall'Italia» annuncia. Io indietreggio e incrocio le mani dietro la schiena, subito dopo aver salutato timidamente. Alcuni ricambiano con un cenno della testa, altri con un occhiolino e qualche sorriso amichevole.
«Wow, un altro italiano nel gruppo. Adesso la competizione si fa più interessante» risponde un ragazzo dai capelli rasati, dalla corporatura abbastanza robusta e con un tatuaggio che gli copre parte del collo, è una coda di drago. La maglia bianca gli evidenzia i pettorali e le spalle larghe. È leggermente più alto di me. A causa della scarsa luce nei dintorni, noto con difficoltà la sua eterocromia che mi fa, involontariamente, fissare i suoi occhi per svariati secondi.
«Se vuoi posso anche mandarti una fotografia. Ne ho parecchie... e non solo dei miei occhi» interrompe il mio studio attento.
Scuoto la testa in preda all'imbarazzo. «Scusami, non volevo essere inopportuno. È che...».
«...Ti sei innamorato del mio sguardo» mi interrompe.
«Cosa? No!» Esclamo. «Ti piacerebbe» lo punzecchio stando al gioco.
Lui si avvicina verso di me e mi tende una mano, prima di sfoggiare un sorriso veramente intrigante. «Sto scherzando, sono Kevin. Piacere di conoscerti». Gliela stringo mentre i nostri occhi prendono possesso l'uno dell'altro. Questa volta, però, con il suo consenso, mentre tutto intorno a me sembra perdere dinamicità per qualche istante. Che strano.
«Ragazzi, ci muoviamo? Siamo qui già da quindici minuti e non ho ancora fatto vedere il mio outfit a nessuno» esordisce Max, interrompendo la nostra connessione.
Distacco i suoi occhi dai miei ed entrambi raggiungiamo gli altri membri del gruppo che ci fanno strada verso il locale. La fila per entrare è infinita ma, a quanto pare, quando si è con Max non sembra essere qualcosa di cui doversi preoccupare, dato che il buttafuori all'esterno del locale gli rivolge un cenno con la testa prima di farlo accomodare all'interno. Al solito tavolo come annunciato al personale.
Il locale è gremito di gente. Difficilmente riesco a intravedere lo spazio complessivo della struttura, in stile moderno anche all'interno. Ma ciò che cerco più di tutti, così disperatamente, è l'angolo bar. Ho necessariamente bisogno di un po' di alcol in corpo per fare ciò che non farei mai da sobrio. Così, tanto per scherzare. Ho bisogno di pensare ad altro almeno per un paio d'ore. E no, non per scherzare.
Raggiungiamo il privè del locale facendoci largo tra la folla, intenta a scatenarsi sulle note di un vecchio successo di Jennifer Lopez. L'atmosfera non è niente male. Non vedo l'ora di prendere da bere per potermi scatenare sulla pista da ballo e sfoggiare le mosse che non possiedo.
Gli altri ragazzi si buttano nella mischia mentre Max si avvicina a me urlandomi all'orecchio qualcosa che a stento riesco a comprendere. Deve ripeterla due volte. «Posso lasciarti qui con Kevin? Vado a salutare un po' di gente che conosco». Io annuisco sorridendo.
Riesco a tenere Max sott'occhio solo per qualche istante, prima che venga inghiottito dalla folla. Kevin si avvicina verso di me, toglie la giacca così che io possa ammirare il suo corpo scolpito da un qualche scultore classicista, si inarca leggermente e mi chiede: «andiamo a prendere da bere?»
Sento il mio corpo ustionarsi. «Sì, ti prego. Ne ho bisogno».
Risulta difficile riuscire a trattenersi con la musica che ti implora di seguirlo e di essere suo schiavo, nonostante muoversi sia alquanto impossibile con la gente che ti spinge verso una direzione in cui non saresti voluto andare.
Raggiungiamo l'angolo bar con una nota di sollievo. Kevin mi squadra dalla testa ai piedi prima di chiedermi cosa mi andrebbe di bere. «Fai tu» rispondo sinceramente. Non ho voglia di mettermi lì a pensare a cosa mandare giù, l'importante è che abbia un tasso alcolico pari almeno al settantadue percento.
Dopo svariati minuti, Kevin mi porge un drink con una fetta di arancia che sormonta il bicchiere. Dal sapore riconosco la freschezza del Sex on the beach, ciò che di più gay si possa desiderare a una serata, che sia drag o meno.
«Perciò, cosa ti porta nella capitale dell'amore? Sei qui per rimarginare un cuore spezzato?» Chiede Kevin avvicinandosi a me affinché possa sentirlo.
Come fa a saperlo? «Non proprio». Lui alza un sopracciglio. «Hai presente quando il destino ha in serbo qualcosa per te di non necessariamente terribile?» Gli domando.
«Più o meno». Fa una smorfia.
«Ecco, sono qui perché il destino l'ha voluto... e io ho fatto del mio meglio per farlo accadere» continuo.
Beve un sorso del suo drink, uguale al mio. «Sei una persona veramente inquietante, caro Mike».
«Chi non lo è, mio caro Kevin?» Faccio una smorfia a mia volta prima di proseguire: «fammi indovinare. Tu sei finito qui dopo aver avuto una relazione che non ha portato nulla di positivo, sperando di trovare in Parigi un nuovo inizio».
«Tu come fai a saperlo?» Chiede sorpreso.
«Perché sono qui per lo stesso motivo» entrambi sorridiamo prima di annunciare all'unisono: «sì, Parigi è sempre un buona idea».
Finisco il mio drink nel giro di qualche secondo cercando di evitare un possibile commento da parte di Kevin. Strizzo gli occhi per mandare giù il colpo. «Ne avevi proprio bisogno, allora» si limita a dire.
«In realtà, avevo implorato Max di farmi rimanere a casa, ma quel ragazzo è veramente cocciuto».
«Conosco Max da diversi anni ed è impossibile terminare una conversazione con lui senza che ti faccia il lavaggio del cervello. Più che essere cocciuto, è abbastanza persuasivo» precisa.
Mi avvicino a lui affinché la mia voce sovrasti il volume della musica. «Cosa fai nella vita?»
«Sono CEO di una casa editrice che opera a livello internazionale».
«Wow. Un lavoretto, insomma» rispondo elettrizzato all'idea di un lavoro simile.
«Tu, invece?» Chiede interessato prima di bere l'ennesimo sorso. Perché il suo drink sembra essere infinito e il mio invece è già finito?
«Studio lingue. In teoria quest'anno dovrei laurearmi».
«Sai già cosa fare dopo?» Che domanda terribile.
«Non ancora. So solo che vorrei un lavoro ben retribuito». Sorrido.
«Chi non lo vorrebbe?» Mi cede il suo drink. «Tieni, ne prenderò un altro dopo».
Lo ringrazio. Ne bevo qualche sorso, ma lentamente; in modo da godermi il sapore estremamente dolce.
«Scommetto che sei terrone!» Esordisce.
Spalanco gli occhi nell'incredulità che esista ancora qualcuno che usa questa parola. «Come fai a saperlo?»
«Perché lo sono anche io. Sono originario di un paesino in provincia di Catania».
«Palermo». Entrambi cominciamo a ridere, coscienti dell'eterna lotta di supremazia che vige tra le due città più importanti della Sicilia. Che imbarazzo.
«Quindi oltre che per ritrovare l'amore, sei qui per cercare fortuna» commenta.
«Più o meno. Ricerca tesi. Ma non escludo l'idea di un possibile trasferimento qui».
«È solamente un'idea? Perché non concretizzarla?» Chiede avvicinandosi a me. La distanza tra i nostri corpi è minima.
Osservo le sue labbra rosee e carnose. «Perché penso sia anche possibile avere dei dubbi». Mi lecco un labbro per smorzare la tensione causata da un'eccessiva produzione di testosterone nel mio corpo. Fisso i suoi occhi.
«I dubbi sono figli della paura. E la paura non deve, di certo, avere nulla a che fare con la vita. Ma non parlo della vita in senso estremo, ma di quella vita che bisogna vivere... adesso». Le sue labbra cercano di avvicinarsi alle mie, mentre io...
...sobbalzo sentendo le note di Hold It Against Me di Britney Spears.
«Questa bisogna assolutamente ballarla» annuncio prendendo di prepotenza la mano di Kevin e trascinandolo verso la pista da ballo. Ho scampato una situazione alquanto imbarazzante. Lui, però, non si oppone, e sembra quasi estasiato all'idea di potersi scatenare su un international gay Anthem.
Da quel poco che ho conosciuto, Kevin si è dimostrato un ragazzo veramente carino e io mi sono promesso di non pensare ad altro se non a me stesso, almeno per questa sera. Perché concedergli subito le mie labbra e, forse, anche il mio corpo quando potrei giocare un po' con lui?
Mi avvicino a Kevin sentendo il calore del suo corpo, un po' per gli spazi ristretti che non permettono di tenere una debita distanza, un po' per l'atmosfera che si crea quando Miss Britney Spears pompa le nostre orecchie con del sano pop. Gli do le spalle strusciandomi contro il suo corpo; le mie mani che gli accarezzano i capelli rasati, mentre le sue circondano i miei fianchi. Sento il suo alito fresco sulla nuca e un rigonfiamento in un certo punto del suo corpo. Chiudo gli occhi per qualche istante per lasciarmi trasportare dalla musica.
Come se Éric non fosse mai esistito, come se non mi importasse nulla del fatto che non abbia risposto nemmeno a un mio messaggio, come se fosse lontano anni luce da me.
Insomma, è la serata giusta per pensare ad altro. Per pensare a me, per riaprire gli occhi dopo un sonno un po' troppo lungo.
È la serata giusta per pensare a... ÉRIC!!!
Spalanco gli occhi. Mi stacco letteralmente dal corpo di Kevin, il quale mi guarda confuso. Io, invece, continuo a fissare un angolo del locale in cui Éric, sì proprio lui, sta baciando un... un altro ragazzo. Un ragazzo che non sono io.
Cosa diavolo ci fa Éric tra le braccia di un altro?
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top