7. Almeno tu, nell'universo
Esistono solo due linguaggi universali:
la matematica e la musica
Luca Parmitano
Tra gli ingrati compiti di segretaria di studio legale rientra anche il riordino periodico di fascicoli e incartamenti vari. Ho appena terminato di sistemare alcuni faldoni che giacevano sulla scrivania del capo da tempo immemore quando, di ritorno dall'archivio, trovo un bambino seduto alla mia postazione.
Capelli castano ramato a funghetto, occhi nocciola nascosti da occhiali cerchiati, divisa da marinaretto di una qualche scuola privata, questo tipetto somiglia moltissimo a come, pur non avendolo mai visto, mi sono immaginata negli anni baby Brancia Testasecca. Ipotesi confermata proprio dal diretto interessato il quale, vedendomi, scatta in piedi per poi tendere una manina dalle dita nodose.
‹‹Ciao, mi chiamo Attilio, sapresti dirmi dov'è il mio papà?››
È un marmocchio coraggioso per la sua età, io a sei anni correvo ancora a nascondermi dagli sconosciuti. Atteggiamento che ho mantenuto anche da adulta, seppur in modalità differenti, ora che ci penso.
Mi accovaccio per essere alla sua altezza - non ricordo dove, ma ho letto che i bambini si sentono presi sul serio se lo fai - infischiandomene dei polpacci che grideranno vendetta a fine giornata.
‹‹Ciao, io sono Marina›› mi presento ‹‹Il tuo papà è uscito ma tornerà presto. Ti va di aspettarlo qui con me?››
A quanto pare, Attilio non è un tipo paziente. Chissà da chi avrà preso.
‹‹Non posso aspettare, devo andare alle prove del saggio e papà deve accompagnarmici›› sentenzia. E, per avvalorare la propria affermazione, aggiunge: ‹‹Lo ha detto alla mamma››.
Il broncio lo rende per un attimo una copia perfetta del nonno materno, il temibile professor Luciani, di cui porta il nome.
Valuto in un attimo la situazione.
Alberto è fuori sede per un'udienza e credo ci rimarrà per tutto il giorno. Tuttavia, gettando uno sguardo al figlio sempre più irrequieto, decido di fare almeno un tentativo di rintracciarlo.
Nel frattempo, cerco di distrarre il bambino offrendogli delle caramelle che, tuttavia, il rampollo dei Brancia Testasecca rifiuta sdegnoso.
Sbuffo mentre le chiamate al mio capo vanno a vuoto, così intercetto la De Giorgis, che sembra essere al corrente della situazione ma non offre soluzioni utili a risolverla:
‹‹L'avvocato mi aveva accennato di un appuntamento al Conservatorio cui doveva accompagnare il figlio ma si vede che non è riuscito a rientrare in tempo››.
‹‹Ce lo porto io›› annuncio, senza pensarci due volte. ‹‹Informi chi di dovere qualora riuscisse a mettercisi in contatto››.
Via dei Greci, dove è sita la sede principale del Conservatorio S. Cecilia, non è troppo distante dallo studio legale, per cui approfitto della bella giornata per proporre al figlio del mio ex di fare due passi a piedi. Accetta di buon grado e io scopro così che, oltre la patina di naturale timidezza di seienne a cui è stato insegnato a non fidarsi degli sconosciuti, c'è un bambino curioso e molto vispo.
Attilio mi informa che il pianoforte, in realtà, lo annoia a morte, che lo studia solo per acquisire le basi e far piacere alla sua mamma e che vorrebbe invece imparare a suonare la tromba per diventare un grande musicista jazz come Louis Armstrong, che suo padre apprezza moltissimo e di cui ascolta sempre i vinili.
Mi chiede se lo conosca e io annuisco, iniziando a fischiettare What a wonderful world, performance che mi fa guadagnare un applauso da parte del musicista in erba.
Nel frattempo, siamo arrivati al conservatorio, puntuali per l'inizio delle prove.
Non so bene cosa fare adesso, ma la questione viene subito risolta da Brancia junior:
‹‹Ti va di rimanere ad ascoltarmi?›› propone ‹‹Papà è sempre troppo impegnato però mamma resta ogni tanto››.
‹‹Okay, mi siedo qui›› acconsento, accomodandomi in un angolo.
Ricevo un messaggio da parte di Georgiana, la quale, purtroppo, non si trova in loco:
G: Cena da me stasera?
Non abbiamo più avuto modo di vederci in seguito al concerto londinese, quindi sarebbe l'occasione perfetta per parlarne.
M: Arrivo non appena stacco.
G: Questo lavoro ti distrugge.
M: In realtà al momento non sono in studio. Anzi, non indovineresti mai dove mi trovo.
G: Indizio?
M: È un luogo che conosci bene per via di una lunga frequentazione.
G: La Farnesina?
M: Acqua
G: Il Caffè Greco?
M: I Greci c'entrano, in qualche misura, fuochino
G: Il conservatorio! Cosa combini al S. Cecilia?!
M: Ti racconto stasera
Metto via il cellulare per applaudire Attilio, sebbene abbia appena finito di massacrare una sonata di Mozart. Non sono dotata di alcun talento musicale, però non credo serva grande esperienza per intuire la scarsa propensione del bambino alla materia.
L'ha capito persino lui, che si avvicina parecchio giù di morale.
‹‹Ho suonato malissimo›› esclama ‹‹Forse è per questo che papà non viene mai a vedermi››.
‹‹Invece sono qui e tu sei stato bravissimo››.
Alberto fa il proprio ingresso, trafelato. Chioma fulva scompigliata, camicia bianca stazzonata, cravatta allentata, pare proprio che abbia corso per giungere in tempo.
Si è impegnato, gliene va dato atto, sennonché Attilio sembra essere di diverso avviso: ‹‹Come fai a dirlo? Non c'eri, non ci sei mai›› gli rinfaccia.
Il rosso mi rivolge uno sguardo sconfitto - lo stesso che mi indirizzava papà ogni volta che gli facevo notare le sue mancanze verso di me a causa del lavoro - poi va dietro alla prole corsa via, lasciandomi con uno strano senso di deja vù.
Ci ripenso a cena, mentre Georgiana scola la pasta rigorosamente al dente, nella cucina del suo pied à terre trasteverino ristrutturato di recente.
‹‹Ti vedo pensierosa›› esordisce la mia migliore amica, a cui di rado sfugge qualcosa.
‹‹Pensavo a mio padre›› le confesso ‹‹A tutte le volte in cui abbiamo litigato per via dei suoi impegni allo studio legale››.
Gigì serve la pasta in piatti di porcellana - all'insegna del plastic free che va tanto di moda adesso ma che, le va riconosciuto, ha sempre fatto parte delle sue battaglie da ambientalista convinta -, poi si siede e mi fissa:
‹‹C'è un motivo particolare per queste meditazioni serali?››
Mi torna in mente il senso di disfatta percepito nello sguardo di Alberto, oggi pomeriggio, e comprendo che si tratta di una sensazione difficile da tradurre in parole, dunque decido di tenerla per me. ‹‹No, niente di speciale››.
Georgiana non se la beve ma sceglie di soprassedere, cambiando argomento. Almeno in teoria. ‹‹Che ci facevi al S. Cecilia?››
Le lancio un'occhiata interrogativa, che mi restituisce con espressione furba. Dunque capitolo:
‹‹Ci ho accompagnato Attilio Brancia Testasecca››.
‹‹Il nipote di Carolina?›› esclama lei ‹‹Il figlio di Alberto e Carlotta?››
‹‹Vuoi sciorinare tutto l'albero genealogico di quel povero bambino o possiamo mangiare prima che si freddi?›› ironizzo.
‹‹Dio, siamo già a quel punto?›› si indigna.
Fingo di non capire: ‹‹Quale punto?››
‹‹Quello in cui, in quanto sua segretaria, sei obbligata a fare da babysitter al figlio del tuo capo, per giunta ex!›› sbotta ‹‹Quale sarà la prossima incombenza? Chiederti di scegliere i fiori da mandare alla moglie per l'anniversario?››
‹‹In primis non ha più una moglie, hanno divorziato›› non riesco a fare a meno di precisare ‹‹In secondo luogo nessuno mi ha obbligato a fare niente e poi scusa, perché ti stai scaldando tanto?››
‹‹Il fatto che tu abbia puntualizzato per prima cosa che Brancia e la moglie hanno divorziato dovrebbe essere indicativo›› sibila Georgiana ‹‹Ma, visto che sembri non volerci arrivare, sarò più esplicita dicendoti chiaro e tondo che ho paura per te››.
‹‹Sei stata tu a suggerirmi per prima di cercare lavoro allo studio legale›› le faccio presente.
‹‹Sì, ma perché credevo che l'avessi superata, Mar›› replica con una certa veemenza.
‹‹Che cosa? La stupida infatuazione per Alberto Brancia Testasecca?›› prorompo.
‹‹Evidentemente non lo è, visto che siamo ancora qui a discuterne›› ribatte a tono.
Seguono diversi minuti di tensione, durante i quali la mia migliore amica intuisce che non intendo ritornare sull'argomento. Perciò, dando prova di possedere un'ottima vena diplomatica al pari del fratello, riporta ancora una volta la conversazione su temi meno caldi:
‹‹Poiché ci accompagni spontaneamente il figlio del tuo capo, suppongo tu non abbia nulla in contrario a mettere piede al S. Cecilia per causa mia››.
‹‹Certo che no, dimmi solo data, ora ed eventuale dress code da seguire›› mi affretto a rassicurarla. ‹‹E tutto quello che mi stai tacendo da settimane, per favore››.
Adesso è lei a essere sulle spine, l'indecisione che le scorgo in viso per un attimo me lo conferma.
‹‹Il tour di concerti è andato bene, così pensavo di potermi dedicare alla mia musica o prendere finalmente un periodo di vacanza ma, qualche giorno fa, ho avuto un incontro al S. Cecilia›› inizia a raccontare. ‹‹Mi è stato proposto di tenere un ciclo di seminari e conferenze extracurricolari, in veste di relatrice, ad allievi del Conservatorio beneficiari delle borse di studio assegnate per quest'anno accademico dalla Bertrand Foundation››. Sospira. ‹‹Ho ancora qualche giorno per pensarci, tuttavia non ti nascondo che sono combattuta››.
‹‹Bertrand Foundation›› ripeto, per essere certa di aver capito bene ‹‹Quel Bertrand?››
Georgiana fa segno di sì e il dubbio torna a farsi strada nel suo sguardo.
‹‹Come posso accettare di essere coinvolta in un'iniziativa finanziata da una multinazionale che lucra a dispetto della salute delle persone?›› si interroga ‹‹Non ho dimenticato che Bertrand Company figurasse nella lista di nomi fornita da quel periodico francese che ha analizzato diversi tipi di tè, evidenziando la massiccia presenza di pesticidi oltre la soglia consentita››. Si alza in piedi, cominciando a fare avanti e indietro per la stanza. ‹‹Come si fa a dare fiducia a gente che utilizza funghicidi, repellenti per uccelli e glifosato in maniera indiscriminata, fregandosene degli effetti che potrebbe avere sulla salute dei consumatori e dell'ambiente?›› Pare davvero combattuta e probabilmente, considerando quanto le stia a cuore la causa ambientalista, lo è davvero. ‹‹Mi sentirei ipocrita, date le mie convinzioni, mi sembrerebbe di avallare il perbenismo, se non qualcosa di peggio, di chi con una mano dà e con l'altra toglie››.
‹‹Frena un attimo, Gigì›› esclamo ‹‹Lungi da me voler difendere le corporation però mi tocca farti notare che le accuse sono cadute in un nulla di fatto. E che Bertrand Company opera anche in settori diversi dal tè, per cui non ha mai ricevuto alcun appunto›. Scaccio l'irritante sensazione di star dando ragione all'avvocato delle multinazionali prima di continuare, perché, in fondo, lo sto facendo per la mia migliore amica. ‹‹Inoltre la proposta di lavoro ti è stata fatta dal Conservatorio, che hai frequentato e conosci come le tue tasche. Sarebbe un'occasione irripetibile per trasmettere la tua passione per la musica a giovani musicisti che, senza sussidi, non avrebbero la possibilità di sviluppare i propri talenti›› finisco di illustrare il mio punto di vista.
‹‹Quindi dovrei accettare perché, dopotutto, il fine giustifica i mezzi?›› replica lei, alquanto scettica.
‹‹Dovresti dire di sì perché, in definitiva, sarebbero i poveri studenti a pagarne le spese se non lo facessi›› affermo ‹‹Vedila nell'ottica di una buona azione. Potresti donare il compenso in beneficenza, se proprio non ti sentissi a tuo agio nel percepirlo››.
‹‹Chi sei tu, donna pragmatica, e cosa ne hai fatto della Marina Benedetti pasionaria delle questioni di principio?›› chiede Georgiana, tra il serio e il faceto.
Faccio spallucce: ‹‹Probabilmente l'ho mangiata, insieme a questa buonissima pasta››.
La risata che segue è il segno che va tutto bene.
‹‹A proposito di sir Bertrand, c'è altro che debba sapere?›› Mi riferisco ovviamente al suo bazzicare sospetto dietro le quinte della Royal Albert Hall poco prima che andassi a salutarla ma Gigì fa orecchie da mercante, dunque ricambio il favore, decidendo di non insistere su un argomento in apparenza delicato, tanto quanto i rapporti tra Alberto e me, forse.
Qualche giorno dopo, la Sala Accademica del Conservatorio S. Cecilia è affollata per l'inaugurazione del nuovo anno accademico.
Rivolgo un cenno di saluto alla mia migliore amica, tesissima tra gli altri addetti ai lavori, affrettandomi a prendere posto in platea, in una posizione centrale che mi permetta di godere di un'ottima visuale sul palco a cui fa da sfondo il famigerato organo Walcker-Tamburini, l'unico della Capitale sito in una sala laica.
‹‹Chi non muore si rivede›› esclama Carolina Monti, prendendo di nuovo posto accanto a me. Ormai l'ha preso a vizio. Sto per risponderle per le rime ma mi trattengo, notando che la traiettoria del suo sguardo è diretta qualche fila più avanti.
L'ultima volta che l'ho vista indossava un abito premaman a far risaltare un pancione enorme mentre si lamentava delle caviglie gonfie per via del caldo, fuori dallo studio notarile dove venne ratificata la cessione delle quote di maggioranza dell'allora Benedetti & Associati a colui che, all'epoca, poteva chiamare marito; però Carlotta Luciani, ex signora Brancia Testasecca, non sembra essere cambiata poi molto. Ha ripreso una linea invidiabile, tuttavia il caschetto illuminato da colpi di sole, gli occhi acquosi di un nocciola sbiadito e il naso aquilino sono rimasti gli stessi di sempre. E pure il bisogno di lamentarsi sempre e comunque, dacché non fa altro che sussurrare all'orecchio del suo vicino di posto, un uomo alquanto attraente dotato di occhi gialli come quelli di un felino. O forse, in maniera più o meno conscia, sono proprio le parole della sorellastra di Alberto a suggerire l'assonanza:
‹‹Quella gattamorta lo sta rovinando, il figlio›› borbotta la rossa. ‹‹Mio nipote non ha un briciolo di talento musicale eppure lei insiste affinché suoni il piano››. Si morde la lingua non appena realizza che posso sentirla ma ormai il danno è fatto.
Dev'essere dura, per lei, sfogarsi con la sorella della sua rivale in amore.
Perché sì, che Carolina avesse un debole per mio cognato Guglielmo è un segreto di Pulcinella che tutti fingiamo di ignorare.
A nulla è valsa la farsa del matrimonio lampo con il cubano, rivelatosi poi dell'altra sponda, se non a rendere palese la disperazione di questa donna, in apparenza superiore a chiunque, eppure comunque tanto fragile.
Non che questo possa in qualche modo fungere da giustificazione, sia chiaro. Il suo indegno comportamento nei confronti di Elisa, infatti, è uno dei motivi per cui nutro un'antipatia nemmeno troppo velata verso di lei. Gli altri, forse superabili, riguardano il legame di parentela con il mio ex nonché un carattere esuberante, per usare un eufemismo, che mal si sposa con il mio.
‹‹Premettendo che non possiedo alcuna cultura in ambito musicale, ritengo invece che Attilio abbia del potenziale›› la contraddico. ‹‹È lo strumento a essere sbagliato. E poi un uccellino mi ha confidato che il bambino ha una predilezione per gli strumenti a fiato››.
Carolina mi lancia un'occhiata curiosa però si astiene dal chiedermi come l'abbia saputo. Incrocio lo sguardo della rossa, magnetico quasi quanto quello del fratellastro sebbene le iridi siano di un verde dotato di pagliuzze dorate. Sento una strana forma di complicità nel curare gli interessi di Attilio perché, nonostante l'atteggiamento bizzarro, questa donna tiene al nipote. Ciò che dovrei chiedermi, invece, è il motivo per cui importi a me, sebbene stasera non sia in vena di domande scomode.
‹‹Si potrebbe consultare Georgiana, d'altronde lei se ne intende›› propone lei, indicando con un cenno la nostra comune amica, al momento impegnata altrimenti.
Ritta in un tubino scuro che fa risaltare la tonalità chiara del biondo dei suoi capelli, Georgiana sta infatti alla destra del direttore del Conservatorio, che ne tesse le lodi, ringraziandola per aver accettato di tenere il ciclo di seminari e conferenze extracurricolari finanziati dalla Bertrand Foundation, rappresentata qui stasera dal suo presidente.
Sir Thomas Bertrand si trova alla sinistra del direttore del Conservatorio, elegantissimo in un frac che gli cade a pennello.
Eppure l'espressione dell'illustre mecenate fa trasparire un tratto d'inquietudine selvaggia che stona con il contesto e l'ambiente circostante, come se, potendo, avrebbe preferito trovarsi in qualunque altro luogo sulla Terra che non fosse il palco su cui staziona in questo momento.
Il contrasto fisico tra lui e Georgiana non potrebbe essere più stridente però qualcosa nella faccia da poker che entrambi stanno mostrando al mondo li rende straordinariamente simili e, in qualche modo, complementari.
Nel frattempo Carolina Monti, nella poltrona di fianco alla mia, ha ricominciato a borbottare, gli occhi fissi sul nipote, maggiormente cupo di minuto in minuto:
‹‹Mio fratello non ha nemmeno cinquant'anni ma è già vecchio dentro. Sempre rintanato dentro quelle quattro mura ammuffite invece di godersi la vita e passare del tempo con suo figlio››.
Mi torna in mente l'espressione inerme degli occhi di ghiaccio di Alberto, la stessa con cui mio padre reagiva alle mie richieste di spiegazioni per aver disertato le occasioni sociali in cui, volente o nolente, mi trovavo coinvolta. E poi ricordo i miei sentimenti, la rabbia mista a delusione e sconforto rivolti verso me stessa anziché verso Marcello Benedetti. Perché se il grande giurista di fama internazionale, di cui avrei dovuto essere orgogliosa, non trovava uno spazio da dedicare alla sua secondogenita, era palese che la mancanza fosse mia e non sua. Il tempo è denaro, mi ripeteva sempre, ergo io non reggevo il confronto con i soldi che avrebbe mancato di guadagnare se avesse speso ore della sua vita in mia compagnia, per questo probabilmente non presenziava mai. D'un tratto il motivo per cui mi sta a cuore la felicità di Brancia junior è talmente lapalissiano che negarlo mi farebbe sentire una codarda.
Stufa di chi fa figli per poi lavarsene le mani, agisco di conseguenza, percorrendo a passo di carica la distanza che separa il S. Cecilia dallo studio legale.
Una volta lì, mi reco di filato nell'ufficio del socio dirigente, dove le luci sono ancora accese.
Il managing partner sta mettendo via alcuni documenti. Ha un'aria stanca e la mia comparsa lo coglie di sorpresa.
‹‹Tuo figlio ti aspetta al Conservatorio. Attende solo di vederti entrare a sistemarti su una poltroncina imbottita per fare il tifo per lui. E non importa se sarai in ritardo o se lui suonerà male, perché Attilio saprà che il suo papà è lì perché gli importa e pensa che suo figlio valga la pena, più di tutto il resto. Ed è la sola cosa che conta, ora e sempre. Non dimenticarti delle cose belle, Alberto››.
Il mio appello accorato sembra sortire gli effetti sperati. Mi assicuro che lo faccia nascosta nel buio dell'androne del palazzo perché, incapace di reggere oltre, sono fuggita.
Fuori portata d'orecchio, scoppio in un pianto liberatorio.
Dopotutto, giustizia è fatta, almeno per le nuove generazioni.
Prendendo la via di casa, incrocio il vicino di posto di Carlotta Luciani, che pare aver lasciato anche lui l'evento anzitempo. Mi indirizza un saluto, accompagnato da uno sguardo pieno di simpatia, eppure sono troppo presa dai miei pensieri per ricambiarlo. Ci sarà tempo per indagare, penso, crollando addormentata non appena poggiata la testa sul cuscino.
Spazio autrice
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