5. Somebody that I used to know
Ora erano degli estranei;
No, più che estranei,
Perché non avrebbero più potuto conoscersi
Jane Austen, Persuasione
Organizzare una trasferta di lavoro è una faticaccia e chiunque lo neghi mente sapendo di mentire.
Si prospetta infatti un weekend londinese per diversi associati, impegnati in un'accurata revisione della documentazione delle società del nuovo cliente, adesso che lo studio legale ha assunto in via ufficiale la rappresentanza legale del gruppo Bertrand - Company & Foundation - la cui sede principale si trova proprio nella capitale britannica.
Sto per svignarmela a pranzo, quando le porte dell'ufficio dell'avvocato Brancia Testasecca – ho deciso che riferirmi a lui per cognome, anche tra me e me, possa essere utile a mantenere le distanze adesso che sono ufficialmente alle sue dipendenze - si aprono, lasciando sciamare fuori i partecipanti all'ennesimo brainstorming in vista della trasferta del fine settimana. Rimango in loco, in attesa di un'eventuale convocazione da parte del capo, che, puntualmente, arriva.
Una ruga di preoccupazione ne segna la fronte. Sfila gli occhiali, massaggiandosi stancamente il viso.
‹‹Necessito ancora una volta dei suoi talenti, dottoressa Benedetti›› esclama ‹‹Saprebbe indicarmi un locale meno ricercato rispetto a quelli che sono solito frequentare a pranzo?››
Mi mordo la lingua per non commentare che gli basterebbe ricordare i locali che frequentavamo all'epoca della nostra relazione, limitandomi a fornirgliene un esempio pratico.
Mezz'ora dopo, infatti, varchiamo la soglia del The Lion King.
Legno, cuoio, velluto sbiadito e poster di Harley Davidson potrebbero indurre un cliente non abituale a credere di aver sbagliato indirizzo ma io, che lo bazzico sin dall'adolescenza, so perfettamente che questo posto merita una menzione speciale tra i pub più gettonati di Roma. Alberto però non pare ricordarsene.
Faccio un cenno a Leone, il proprietario, mentre prendiamo posto nella mia panca ad angolo preferita, sempre libera, come se mi fosse riservata in qualità di cliente abituale.
In attesa delle ordinazioni, il rosso continua a guardarsi intorno.
‹‹È abbastanza informale?›› mi informo.
‹‹Suppongo di sì›› concede ‹‹Di certo non rischiamo di incontrare facce note››.
‹‹Non ne sarei così sicura›› ribatto ‹‹Questo posto è perfetto per chi vuole un po' di discrezione››. Indico con la testa le salette private sul retro, da cui provengono voci di avventori un po' alticci.
Alberto non ha comunque modo di indagare, perché il titolare in persona si presenta al nostro tavolo:
‹‹Marì, che ve porto a te e all'amico tuo?››
Capelli brizzolati tagliati a spazzola, tatuaggi ben in vista sotto la canotta ascellare piuttosto aderente, pantaloni di pelle che nemmeno Pelù ai tempi d'oro, Leone Zagabrini, per tutti Leo, incarna il cliché del punk invecchiato male.
‹‹Il solito per entrambi, tenendo conto che siamo in orario di lavoro›› ordino io, sbirciando l'espressione indecifrabile del mio capo.
Leo annuisce e, poco dopo, ci scodella davanti due Club Sandwich con contorno di patatine fritte e Coca Cola alla spina.
‹‹Meno ricercato e con porzioni decisamente abbondanti›› commenta il rosso ‹‹Mio figlio l'adorerebbe››.
Il riferimento al figlio mi fa irrigidire ma cerco di mantenere un tono affabile, per ricambiare la nonchalance con cui Brancia ha accolto le mie scelte culinarie.
‹‹Dovrebbe portarcelo, un giorno›› gli suggerisco ‹‹I panini di Leo sono i più buoni della Capitale››.
‹‹Magari, quando sarà un po' più grande›› replica Alberto, accennando all'atmosfera non proprio adatta a un minorenne. ‹‹Sua madre non sarebbe affatto contenta di saperlo frequentare locali del genere››.
Mi sforzo di mandare giù almeno le patatine, anche se mi sta passando la fame.
‹‹Se non ricordo male, sua moglie è affezionata al Country Club tanto quanto mia madre››. L'osservazione mi esce un po' più sarcastica del previsto.
‹‹Rammenta benissimo, tranne che per un piccolo particolare›› mi corregge il mio ex ‹‹Carlotta è la mia ex moglie››.
La precisazione mi colpisce a tradimento in un punto imprecisato tra il cuore e lo sterno, rischiando di soffocarmi come un boccone troppo grande da mandare giù.
‹‹A quanto pare, amare i ristoranti stellati non è sufficiente a garantire la felicità coniugale›› aggiunge ancora, ma ormai l'appetito è sparito.
L'annuncio delle nozze tra Alberto Brancia Testasecca e Carlotta Luciani aveva colto di sorpresa diverse persone, all'epoca dei fatti, tra cui la sottoscritta. Non era passato che qualche mese dalla rottura tra me e il rosso eppure, dopotutto, c'era ben poco da cui rimanere sorpresi, considerato lo stato interessante della sposa al momento del sì. Tale circostanza mise d'accordo tutti, persino i più scettici, circa il sentimento alla base dell'unione.
Sentimento che, tuttavia, deve essere scemato in fretta, date le rivelazioni odierne. Sempre che ci sia stato, mi sussurra una vocina interiore che zittisco all'istante.
Alcuni detrattori della coppia, infatti, hanno sempre sostenuto che quello tra Alberto e Carlotta fosse stato un matrimonio di convenienza, mirato a soddisfare le ambizioni di entrambi; non è mai stato un mistero, infatti, che Brancia Testasecca puntasse a farsi un nome nella comunità accademica, prospettiva che avrebbe potuto realizzare sul serio con l'aiuto del suocero, Attilio Luciani, ordinario di Filosofia del Diritto alla Sapienza. Le aspirazioni della signorina Luciani invece, più modeste secondo i soliti ben informati, si concentravano sulla ricerca di un buon partito che le garantisse lo stesso agiato tenore di vita mantenuto durante la vita da single.
La famiglia Benedetti, complice la mia lontananza, fece buon viso a cattivo gioco, mantenendo i rapporti di amicizia, lavoro e buon vicinato con quelle degli sposi, che bazzicavano spesso casa nostra dove, peraltro, Carlotta e Alberto si erano conosciuti, a una festa organizzata da mia sorella Elisa, un tempo inseparabile dalla futura signora Brancia Testasecca quanto lo sono io, adesso, da Georgiana. Fu l'inizio della vera fine, perché nulla sarebbe rimasto uguale, dopo, nonostante tutto.
‹‹Mi spiace, non ne sapevo nulla›› esclamo, prestando attenzione a non incrociare lo sguardo del diretto interessato. Ho paura di ciò che potrei leggervi dentro, altrimenti.
‹‹L'accordo di divorzio è stato formalizzato di recente›› minimizza lui ‹‹Inoltre suppongo che avesse di meglio da fare a Parigi che non tenersi aggiornata sulla vita sentimentale di vecchi conoscenti››.
Fossimo stati solo quello, Alberto.
Il tono con cui pronuncia le ultime parole mi spinge ad osservarlo, a dispetto di quanto mi ero ripromessa di fare, giusto in tempo per notare una traccia di malinconia, rimpianto forse, nei suoi occhi di ghiaccio.
La patina di imbarazzo scesa tra noi viene spazzata via da Leone, che si avvicina per portare via gli avanzi. ‹‹Ve porto altro?›› chiede.
‹‹Per me niente, grazie Leo››.
‹‹Leo? Come Di Caprio?›› Riconosco un maldestro tentativo di ironia che, tuttavia, non sono in grado di sostenere al momento. Per fortuna, ci pensa l'apparente omonimo di star hollywoodiane.
‹‹No, come er fijio dei Ferragnez››. Il tono di Leone è piuttosto fiero, dal momento che, strano ma vero, è un fan sfegatato dell'influencer e del marito rapper.
‹‹Ah. Dunque l'insegna si spiega così›› commenta il rosso. ‹‹Un po' autoreferenziale ma ha un suo perché››.
‹‹Che vor di'? Nun te piace?›› vuole sapere il titolare del pub, con la schiettezza che lo contraddistingue.
‹‹Al contrario, ha molta personalità›› lo rassicura Alberto ‹‹Questo posto sembra sbucato fuori da Peaky Blinders››.
Leone annuisce, senza molta convinzione.
‹‹Ci porti il conto, per favore››.
‹‹Pe' l'amici de Marina offre la casa›› dichiara Leo, guadagnandosi un mio sorriso pieno di gratitudine.
‹‹È una fortuna, allora, che io sia il capo della dottoressa Benedetti e non un amico qualunque›› ribatte il rosso, alzandosi in piedi per poi mollare una banconota da cinquanta sul tavolo e uscire senza aspettarmi.
‹‹Mi dispiace Leo, passo al più presto e ti spiego tutto, promesso›› mi scuso, prima di correre dietro, per quanto i tacchi lo consentano, a quello stronzo del mio capo.
‹‹Che bisogno c'era di umiliare in quel modo Leone?›› esclamo, non appena ritengo sia in grado di sentirmi. Poiché continua a marciare come se nulla fosse, mi lancio in uno stacco da velocista che nemmeno Bolt a inizio carriera, sbarrandogli il passo.
‹‹Se ho fatto qualcosa di sbagliato, se la prenda con me però non scarichi eventuali frustrazioni sui miei amici, chiaro?››
Brancia mi rivolge uno dei suoi sorrisi beffardi:
‹‹È proprio questo il suo problema, ritiene che il mondo ce l'abbia con lei e fa troppo affidamento su coloro che le stanno a cuore›› mi illumina ‹‹Beh, le darò una notizia spiacevole: non tutti sono destinati ad essere suoi amici. Io e lei, per esempio, non lo saremo mai››. Detto ciò, mi oltrepassa senza sforzo.
Rincaso a tarda sera, sfinita nel corpo e nello spirito.
Mi butto sul divano, scalciando via le scarpe.
Ho appena beccato l'ennesima replica de L'uomo bicentenario in tv quando appare mia madre.
‹‹Sapevi che Alberto e consorte hanno divorziato?›› le chiedo a bruciapelo.
Lo scontro avuto oggi mi brucia ancora.
Era evidente, dati i trascorsi, che non dovessi trattarlo con familiarità eppure ci sono ricascata con entrambe le scarpe. Al rientro dalla pausa pranzo è seguito un prevedibile silenzio, ragion per cui sono uscita da studio senza più incrociarlo. Nonostante ciò, non riesco a smettere di arrovellarmi sulle sue ultime parole, che mi frullano ancora in testa. Io e lei, ad esempio, non saremo mai amici.
‹‹Sì, tutto l'accordo, consensuale tra l'altro, è stato curato dallo stesso avvocato che si è occupato del divorzio della sorellastra di lui da quello stilista cubano, Raoul Monti, che ha fatto coming out dopo nemmeno tre mesi dalle nozze›› riferisce la bionda Gianna ‹‹Ma se Carolina è riuscita a ottenere condizioni abbastanza vantaggiose tra cui il mantenimento del cognome da sposata per motivi professionali, non si può dire lo stesso del fratello, che dovrà garantire un lauto assegno a figlio ed ex moglie finché lei non si risposerà con un altro povero pollo››. A quanto pare, il Country Club Magazine è stato ragguagliato a dovere circa il fallimento coniugale del mio capo.
‹‹Esiste sul serio questa possibilità?›› domando ‹‹Che lei abbia un altro, intendo››.
Non ho mai considerato Carlotta Luciani particolarmente brillante, da nessun punto di vista, ergo l'immagine di femme fatale che ne sta emergendo mi coglie alquanto alla sprovvista.
‹‹Quelle come lei non restano sole a lungo›› sentenzia mamma ‹‹Personalmente non l'ho mai stimata, disapprovavo persino l'amicizia tra lei e tua sorella Elisa. Sono contenta che Alberto se ne sia liberato, non era la moglie adatta al socio dirigente di uno studio legale come quello fondato da tuo padre››.
Facile parlare a posteriori. ‹‹Però, nonostante la pensassi così, hai accettato che le quote dello studio di papà andassero a lui, quando è morto›› le faccio notare. ‹‹Erano ancora sposati, a quel tempo››.
E non era trascorso neanche tanto tempo dacché ci eravamo lasciati perché Parigi, per lui, era troppo lontana.
‹‹Anche tu hai fatto lo stesso e non mi sembra che qualcuno te l'abbia mai rinfacciato›› replica lei.
‹‹Certo che no›› esclamo ‹‹La crociata contro di me era già in corso, e pure da tempi non sospetti.
Da quando, per l'esattezza, annunciai di non voler seguire le orme di papà, studiando Filosofia anziché Giurisprudenza. Sapevo che i miei ci contavano, considerando che Elisa aveva scelto Medicina e su Kitty non si poteva fare affidamento. Quando però rifiutai di lasciarmi condizionare, Alberto si insinuò pian piano nelle nostre vite, divenendo per papà l'erede che non avrebbe altrimenti avuto. E per me qualcosa di più di un fratello, un errore che continuo a pagare a caro prezzo.
Tuttavia non si può scappare dai rimpianti, perché ormai conoscono la strada e tornano comunque a stanarti.
Chissà come sarebbe andata se fossi rimasta. Forse sarei stata io a sposare Alberto. Forse lui avrebbe proseguito con la carriera accademica – abbandonata all'improvviso a un passo dal divenire professore associato - per mettere a frutto l'abilitazione forense nello studio di mio padre. Forse papà sarebbe ancora vivo.
A salvarmi dall'angustia è un messaggio di Georgiana.
La mia migliore amica chiede conferma della mia presenza per l'evento londinese.
Un fine settimana di svago è quello di cui necessito al momento, quindi confermo senza pensarci due volte. Salvo ricredermi quando mi torna in mente che mezzo studio legale sarà in trasferta proprio lì, questo weekend.
Che la terra di Albione non si riveli tanto perfida, prego. E soprattutto, sia grande abbastanza.
Spazio autrice
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